Abstract
Il diritto internazionale dell’ambiente è un “sotto-settore” del diritto internazionale, composto dalle norme che disciplinano le relazioni tra Stati in materia ambientale in ambiti disparati, tra cui: la protezione delle specie, degli habitat e della biodiversità; la protezione dell’atmosfera; la protezione dell’ambiente marino; la gestione delle risorse idriche internazionali; e la disciplina delle sostanze pericolose. Come altre aree specialistiche del diritto internazionale, il diritto internazionale dell’ambiente si caratterizza per l’evoluzione di principi ispiratori comuni, quali il divieto di inquinamento transfrontaliero, il principio precauzionale, ed il principio “chi inquina paga”. I confini di questa materia ampia, complessa ed in costante evoluzione sono di difficile definizione, a causa dell’eterogeneità delle fonti, che sono di carattere multilaterale, “minilaterale” (cioè concluse tra un numero ristretto di parti, per esempio, degli stati rivieraschi) e bilaterale; dei soggetti e dell’oggetto dei loro rapporti, che includono una moltitudine di organizzazioni internazionali e attori non statali; e delle numerose aree di contatto, specialmente con il diritto del mare, il diritto internazionale dell’economia ed il sistema internazionale di tutela dei diritti umani.
La nascita di un corpus normativo di diritto internazionale dell’ambiente (v. Ambiente [dir. amm.]) viene comunemente associata ad una serie di trattati di natura bilaterale o minilaterale in materia di gestione delle risorse naturali transfrontaliere, adottati tra il diciannovesimo ed il ventesimo secolo, soprattutto in materia di fiumi e laghi internazionali (si vedano: il database: www.oregonstate.edu e Boisson de Chazournes, L., Environmental treaties in time, in Environmental Policy and Law, 2009, 39, 293 ss.). Nello stesso periodo, alcuni procedimenti arbitrali portarono allo sviluppo di principi fondamentali volti alla riduzione o riparazione di danni ambientali causati da uno Stato al territorio di altri – come nel caso della fonderia di Trail (1938 and 1941) – o a spazi e risorse di rilevanza internazionale – come nel caso delle foche del Mare di Bering (1893).
Detto periodo, dunque, è segnato dalla presenza di norme pattizie di carattere prevalentemente bilaterale o minilaterale, unitamente all’emergere di alcuni principi generali – come il divieto di inquinamento transfrontaliero, inspirato al principio di diritto classico “sic tuo utere ut altero non laedas”. Queste norme internazionali miravano a salvaguardare innanzitutto l’autonomia degli Stati, e gli interventi di cooperazione erano ad hoc, senza alcuna pretesa di risolvere questioni di natura ambientale su base multilaterale (Bodansky, D., The art and craft of international environmental law, Harvard, 2011, 24).
A decorrere dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, tenutasi a Stoccolma nel 1972, invece, si assiste alla nascita del cosiddetto diritto internazionale dell’ambiente moderno. A partire da questa data si susseguirono una serie di conferenze diplomatiche ad alto profilo finalizzate a trovare soluzioni concertate a problemi ambientali di interesse globale che richiedessero cooperazione transfrontaliera e/o sforzi coordinati da parte della comunità internazionale (si veda per esempio: Caldwell, L.K., International environmental policy: from the twentieth to the twenty-first century, III ed., Durham, 1996).
Da quel momento in avanti, pertanto, il diritto internazionale dell’ambiente assume un carattere spiccatamente multilaterale per il proliferare di nuovi trattati di carattere settoriale, in aree vecchie – come la protezione delle risorse idriche e delle risorse marine – e nuove – come la protezione dell’atmosfera, e la disciplina della produzione e il commercio delle sostanze pericolose per l’ambiente. I trattati di nuova generazione differiscono notevolmente in natura e contenuti dai trattati in materia ambientale dell’Ottocento e del primo Novecento, ed hanno l’obiettivo specifico di affrontare questioni globali di natura ambientale, quali il cambiamento climatico o la perdita di biodiversità, attraverso la collaborazione multilaterale. Per raggiungere questo traguardo, tali trattati creano strutture di supporto per la cooperazione internazionale, sostenute da apparati burocratici (tipicamente, la conferenza delle parti, un segretariato e vari organismi tecnico-scientifici) che consentono la discussione, lo scambio di informazioni ed il monitoraggio dei problemi ambientali, unitamente ad una serie di procedure di “sorveglianza” collettiva per il controllo sull’adempimento degli obblighi e la risoluzione delle questioni legate ad eventuali inadempimenti. La gestione delle questioni d’inadempimento non prevede procedure contenziose, ma è invece volta a identificare e eliminare le cause, attraverso la collaborazione e il rafforzamento della capacità di adempiere.
Il diritto internazionale dell’ambiente moderno si connota, pertanto, per lo sviluppo progressivo di un sistema di obblighi e di istituzioni volti a limitare il potere sovrano degli Stati di disporre delle proprie risorse naturali, in virtù soprattutto di decisioni multilaterali, adottate sulla base del consenso e del principio di cooperazione (si veda Birnie, P., Boyle, A., Redgwell, C., International Law and the Environment, III ed., Oxford, 2009, 97).
Importanza fondamentale in questo contesto va attribuita al concetto di sviluppo sostenibile, introdotto e perfezionato dalle conferenze di Rio de Janeiro (1992), Johannesburg (2002) e Rio+20 (2012). Esso viene convenzionalmente definito come «sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri» (World Commission on Environment and Development, Our common future, Oxford,1987, p. 27). Per quanto i suoi confini normativi rimangano incerti (si vedano per esempio: Barral, V., Sustainable development in international law: nature and operation of an evolutive legal norm, in European Journal of International Law, 2012, 23, 377 ss.; e Viñuales, J.E., The rise and fall of sustainable development, in Review of European, Comparative and International Environmental Law, 2013, 22, 3 ss.), il principio dello sviluppo sostenibile è diventato un caposaldo del diritto internazionale dell’ambiente moderno. Esso costituisce la base dei 17 Obiettivi adottati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2015 – Sustainable Development Goals, SDGs: www.un.org. Anche se non formalmente vincolanti, gli SDGs delineano un programma politico d’azione globale da perseguire entro il 2030, che si concentra su questioni chiave quali: la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico. Il conseguimento di questi obiettivi è intrinsecamente connesso con l’implementazione di numerosi trattati in materia ambientale (si veda, Kim, R.E., The nexus between international law and the sustainable development goals, in Review of European, Comparative and International Environmental Law, 2016, 25, 15 ss.).
Il risultato di questa intensa stagione di sviluppi normativi è un vasto complesso di regole settoriali specializzate, basate su principi comuni, che riflettono obiettivi universalmente condivisi, pur riconoscendo le esigenze dovute al diverso grado di sviluppo dei vari paesi. Si veda in proposito il Principio 2 della Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo del 1992, secondo il quale: «gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le proprie risorse secondo le loro politiche ambientali e di sviluppo, ed hanno il dovere di assicurare che le attività sottoposte alla loro giurisdizione o al loro controllo non causino danni all’ambiente di altri Stati o di zone situate oltre i limiti della giurisdizione nazionale».
Il diritto internazionale dell’ambiente si è così affermato come un nuovo settore del diritto internazionale dotato di caratteristiche che ne giustificano uno studio sistematico. La specificità della disciplina si evidenzia in molteplici direzioni, quanto a: i principi informatori delle norme e i modi di formazione delle medesime; il ruolo delle organizzazioni specializzate nell’attuazione delle regole stesse; ed i metodi di soluzione delle controversie.
2. Le fonti
Pur avendo un proprio carattere distintivo, il diritto internazionale dell’ambiente rimane, comunque e prima di tutto, diritto internazionale (Bodansky, D.-Brunnée, J.-Hey, E., International environmental law: Mapping the field, in Bodansky, D. -Brunnée, J. -Hey, E., a cura di, The Oxford handbook of international environmental law, Oxford, 2008, 1, p. 6). Le fonti del diritto internazionale dell’ambiente sono dunque le medesime del diritto internazionale (si veda: www.treccani.it): la consuetudine, gli atti unilaterali, i principi generali del diritto, gli atti delle organizzazioni internazionali ed i trattati.
Le norme consuetudinarie hanno svolto un ruolo storico importante nell’evoluzione del diritto internazionale in materia di inquinamento transfrontaliero e nella risoluzione di alcune importanti controversie da parte dei tribunali internazionali (si veda infra, e Dupuy, P.M., Formation of customary international law and general principles, in Bodansky, D.-Brunnée, J.-Hey, E., a cura di, The Oxford handbook of international environmental law, Oxford, 2008, 449).
La fonte principale del diritto internazionale dell’ambiente moderno sono, tuttavia, i trattati. La multilateralizzazione del diritto internazionale ed i progressi nella conoscenza scientifica degli ultimi decenni hanno, infatti, portato all’adozione di centinaia di trattati di carattere settoriale in materie disparate, quali: atmosfera e cambiamento climatico; risorse di acqua dolce; oceani, mari e pesca; biodiversità; sostanze e attività pericolose, inclusa la produzione di energia nucleare; rifiuti; e regioni polari (si veda per esempio la categorizzazione della materia in manuali classici, quali: Birnie, P.-Boyle, A.-Redgwell, C., International law and the environment, III ed., Oxford, 2009; e Sands, P.-Peel, J., Principles of international environmental law, III ed., Cambridge, 2012).
La formulazione di regole di comportamento e cooperazione di carattere pattizio è stata accompagnata da una copiosa produzione di atti giuridici non vincolanti, riconducibili al fenomeno del cd. “soft law”. La produzione di “soft law” in materia ambientale consta di strumenti disparati, quali risoluzioni di organizzazioni e di conferenze ad hoc, e dichiarazioni e decisioni adottate con procedure intergovernative diverse da quelle preposte alla redazione dei trattati. Quest’attività normativa spesso produce principi o criteri di azione programmatici, destinati ad essere perseguiti o recepiti con ampia discrezionalità, vuoi a causa della natura della fonte (ad es. risoluzioni di organizzazioni o di conferenze internazionali), vuoi per l’imprecisione del contenuto. Sebbene, dunque, le norme di “soft law” valgano spesso più come criterio orientativo, che come regola di condotta obbligatoria, esse hanno svolto un ruolo importante nell’evoluzione del diritto internazionale dell’ambiente. Per esempio, nonostante la Dichiarazione di principi su ambiente e sviluppo adottata alla conferenza di Rio de Janeiro nel 1992 sia una dichiarazione di natura politica e non vincolante, alcuni principi ivi inclusi sono ora riconosciuti come parte del diritto consuetudinario dell’ambiente.
Un trattamento separato meritano le norme sviluppate nel contesto degli organismi, come la cd. conferenza delle parti, che secondo numerosi trattati internazionali funziona quale organo deliberativo collettivo principale. In un famoso articolo, Churchill e Ulfstein notano come, nonostante il carattere non giuridicamente vincolante dal punto di vista formale, la produzione normativa degli organismi stabiliti dai trattati abbia un «certo contenuto normativo» (Churchill, R.R.-Ulfstein, G., Autonomous institutional arrangements in multilateral environmental agreements: a little-noticed phenomenon in international law, in American Journal of International Law, 2000, 94, 623 ss.). Da un lato, questi strumenti di “soft law” riempiono di contenuto le norme e i principi “aperti” dei trattati in materia ambientale, prescrivendo regole dettagliate che i paesi membri sono tenuti di prassi ad osservare nell’adempimento dei loro obblighi. Talora, questi strumenti sono emanazione di specifici poteri regolatori conferiti dai trattati stessi. In altri contesti, invece, lo status di questi strumenti dipende dal contesto in cui sono sviluppati. Ma anche quando non sono formalmente vincolanti, le decisioni delle conferenze delle parti forniscono “interpretazione autorevole” dei termini dei trattati (Si veda per esempio Boyle, A.E., Some reflections on the relationship of treaties and soft law, in International and Comparative Law Quarterly, 1999, 48, 901 ss.).
Similmente, gli standard tecnici per l’attuazione degli obblighi sostanziali non vengono solitamente inclusi in trattati, ma lasciati alle deliberazioni periodiche degli organi stabiliti dai trattati. Questa produzione normativa secondaria – definita da alcuni autori “diritto internazionale dell’ambiente derivato” (si veda Vinuales, J.E.-Dupuy, P-M., International environmental law, II ed., Cambridge, 2018, 41) – ha assunto dimensioni cospicue negli ultimi vent’anni. Tale attività normativa ha reso i trattati multilaterali in materia ambientale degli strumenti “viventi”, i cui contenuti vengono periodicamente riveduti e aggiornati alla luce di nuove conoscenze scientifiche e di mutate circostanze politiche (Brown Weiss, E., The rise or the fall of international law, in Fordham Law. Review, 2000, 69, 345ss, p. 352).
3. I soggetti
Il cospicuo sviluppo del diritto pattizio negli ultimi decenni si è accompagnato ad un significativo incremento di istituzioni specializzate e processi per regolare la cooperazione internazionale per la protezione dell’ambiente. Oltre al Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (www.unenvironment.org) – incaricato di svolgere una funzione di coordinamento delle attività delle Nazioni Unite in materia – esistono numerosissime organizzazioni specializzate che si occupano di questioni ambientali settoriali. L’Autorità Internazionale dei Fondali Marini (www.isa.org), per esempio, presiede lo sfruttamento delle risorse del fondo e del sottosuolo del mare internazionale, nell'ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 e dell’accordo applicativo della medesima convenzione, adottato nel 1994 (www.un.org). Similmente, la Global Environment Facility finanzia progetti di tutela ambientale, specialmente nei paesi in via di sviluppo, nel quadro di trattati internazionali quali la Convenzione sulla Diversità Biologica del 1992.
I trattati stessi, spesso, stabiliscono meccanismi predisposti per vigilare sull’adempimento degli obblighi internazionali, per esempio nel contesto del Protocollo di Montreal del 1987 della Convezione di Vienna per la protezione dell'ozono stratosferico, o del Protocollo di Kyoto del 1997 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (si veda in generale AA.VV., a cura di, Non-compliance procedures and mechanisms and the effectiveness of international environmental agreements, Leiden, 2009).
Esistono, poi, organizzazioni internazionali che, sebbene non si occupino specialmente di ambiente, svolgono importanti attività di studio, assistenza tecnica, o di elaborazione di regole di condotta (standard setting) in vari settori rilevanti per il conseguimento di obiettivi di carattere ambientale. Fra le altre, la International Maritime Organisation (www.imo.org) o la International Civil Aviation Organisation (www.icao.int), espletano funzioni regolamentari in materia di emissioni da veicoli, quali navi e aeromobili, che sono di notevole importanza per la protezione dell’atmosfera.
Infine, il diritto internazionale dell’ambiente si caratterizza anche per il ruolo particolarmente prominente dei cosiddetti attori non-statali, specie delle organizzazioni non governative (ONG). Nonostante, infatti, non siano soggetti ad obblighi di diritto internazionale pubblico, in pratica gli attori non statali hanno giocato un ruolo di notevole importanza, specie nel contesto della negoziazione ed implementazione di trattati, come quelli relativi alla protezione dell’atmosfera o alla conservazione della biodiversità (si veda per esempio Arts, B., The political influence of global NGOs: case studies on the climate and biodiversity conventions, Amsterdam, 1998).
La proliferazione del diritto pattizio multilaterale in materia ambientale non ha generato una crescita nelle controversie tra Stati. Sebbene infatti i trattati multilaterali in materia di ambiente generalmente includano norme sulla risoluzione delle controversie, esse sono rimaste per lo più lettera morta. Questa caratteristica differenzia il diritto internazionale dell’ambiente dagli altri sotto-settori del diritto internazionale moderno – quali, per esempio, il diritto internazionale dell’economia – dove l’accresciuta produzione normativa è stata accompagnata da un significativo incremento delle controversie.
La ragione di quest’anomalia risiede principalmente nella natura generica degli obblighi inclusi nei trattati multilaterali in materia ambientale, che poco si prestano a configurare ipotesi di responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti. Non è dunque un caso che la maggior parte delle controversie in materia ambientale registrate sino ad oggi abbiano a che fare con gli obblighi degli Stati derivanti dalla consuetudine e/o da trattati bilaterali o minilaterali in contesto transfrontaliero.
Per esempio, la Corte internazionale di giustizia – organo giudiziario principale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite – ha stabilito che la previsione di un meccanismo di valutazione di impatto ambientale (VIA) rientra tra gli obblighi derivanti dal diritto internazionale consuetudinario nel caso di attività che possano dare luogo ad un danno transfrontaliero significativo – si veda: Cartiere sul fiume Uruguay, 2010, par. 204, www.icj-cij.org. Si veda per esempio: Boyle, A., Developments in the international law of environmental impact assessments and their relation to the ESPOO convention, in Review of European Comparative and International Environmental Law, 2012, 20, 227ss.). Nel 2018 la Corte ha altresì per la prima volta ordinato la riparazione del danno ambientale transfrontaliero, in seguito alla violazione della sovranità territoriale del Costa Rica da parte del Nicaragua – si veda: Certe attività condotte dal Nicaragua nelle aree di confine, Costa Rica c. Nicaragua, 2018: www.icj-cij.org.
Attraverso queste decisioni, la Corte internazionale di giustizia ha contributo a delucidare alcuni principi fondamentali e obblighi di diritto consuetudinario in materia ambientale (si vedano: Boyle, A.E.-Harrison, J., Judicial settlement of international environmental disputes: current problems, in Journal of International Dispute Settlement, 2013, 4, 245 ss.; Tanaka, Y., Costa Rica v. Nicaragua and Nicaragua v. Costa Rica: Some reflections on the obligation to conduct an environmental impact assessment, in Review of European Comparative and International Environmental Law, 2017, 26, 91).
Ci sono state poi numerose istanze in cui tribunali internazionali con competenza in materia di diritti umani, diritto degli investimenti o diritto dell’economia sono stati chiamati a decidere controversie di rilevanza ambientale. Per esempio, a partire dal 2004, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha emanato una serie di sentenze innovative in materia di protezione degli interessi ambientali. Questi precedenti hanno ampliato considerevolmente la possibilità di effettuare ricorsi di natura “ambientale” nel contesto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Analoghi sviluppi sono avvenuti sia nell’ambito del sistema americano che di quello africano (per un compendio della casistica in questa materia, si vedano i rapporti compilati dal primo Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani e ambiente, John H. Knox: www.srenvironment.org).
Similmente, i sistemi di soluzione di controversie predisposti nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio hanno preso in considerazione la protezione ambientale nell’interpretazione di disposizioni dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio, che consentono alle parti contraenti di adottare misure «necessarie per proteggere la vita e la salute umana, animale o vegetale» o «relative alla conservazione di risorse naturali esauribili»; ciò purché le misure in questione non costituiscano «un mezzo di arbitraria e ingiustificata discriminazione» o una «restrizione mascherata al commercio internazionale» – Accordo generale sulle tariffe e il commercio, art. XX, lett. b) e g). Si pensi, per esempio, alla famosa controversia tra Stati Uniti e Messico sul commercio del tonno, decisa con due provvedimenti del 1991 e del 1994 (si vedano: Joseph, J., The tuna-dolphin controversy in the eastern pacific ocean: biological, economic, and political impacts, in Ocean Development and International Law, 1994, 25, 1ss.; Kingsbury, B., The tuna-dolphin controversy, the world trade organization, and the liberal project to reconceptualize international law, in Yearbook of International Environmental Law, 1995, 5, 1ss.).
Infine, i trattati internazionali in materia ambientale sono sempre più spesso chiamati in causa nell’ambito di contenziosi innanzi a tribunali nazionali, come nel caso dell’Accordo di Parigi del 2015; si vede per esempio: Urgenda Foundation and 886 citizens v. The State of the Nederlands, 9 ottobre 2018, www.uitspraken.rechtspraak.nl.
Fonti normative
Si veda la collezione di trattati curata dall’Università dell’Oregon: https://iea.uoregon.edu e il capitolo 27 del United Nations Treaty Collection https://treaties.un.org/ per i trattati depositati presso il Segretario Generale delle Nazioni Unite. Si veda inoltre: UN Environment, Division on Environmental Law and Conventions: http://web.unep.org/divisions/delc/our-work/environmental-law/international-environmental-law.
Bibliografia essenziale
Birnie, P.-Boyle, A.-Redgwell, C., International law and the environment, III ed., Oxford, 2009; Bodansky, D.-Brunnée, J.-Hey, E., a cura di, The Oxford handbook of international environmental law, Oxford, 2008; Fodella, A.-Pineschi, L., La protezione dell’ambiente nel diritto internazionale, Torino, 2009; Bodansky, D., The art and craft of international environmental law, Harvard, 2011; Montini, M., Profili di diritto internazionale, in Trattato di diritto dell’ambiente, a cura di P. Dell’Anno e E. Picozza, Milano, 2012; Sands, P.-Peel J., Principles of international environmental law, III ed., Cambridge, 2012; Vinuales, J.E.-Dupuy, P-M., International environmental law, II ed., Cambridge, 2018.