ambliopia
Patologia diffusa nella popolazione umana (incidenza del 2%), causata da un’anomalia del piano di sviluppo delle funzioni visive. La caratteristica preminente nel quadro clinico di un soggetto ambliope è una drammatica riduzione dell’acuità visiva di un occhio non attribuibile a un problema strutturale. Il termine, infatti, deriva dal greco ἀμβλύς che vuol dire ottuso, debole, pigro, e dalla radice ops, visione; correntemente per l’a. viene utilizzata la locuzione ‘occhio pigro’. Il deficit del visus è accompagnato da una vasta gamma di altre anomalie percettive, in partic. a carico delle capacità di discriminare la profondità e della sensibilità al movimento. L’a. si instaura nei primi anni di vita se si determina un’alterazione dell’esperienza sensoriale dovuta a uno squilibrio funzionale tra i due occhi. La vulnerabilità a danni ambliopigeni è massima nei primi 4 anni di vita: durante questa fase, infatti, il sistema nervoso è molto sensibile agli stimoli dall’ambiente esterno e una disparita dell’input sensoriale proveniente dai due occhi causa una riduzione permanente del numero di neuroni che rispondono all’occhio penalizzato, a seguito della quale si osserva l’indebolimento delle capacità visive. In seguito, la sensibilità all’insorgenza dell’a. si riduce gradualmente fino ai 6÷8 anni, in concomitanza con il completamento dello sviluppo del sistema visivo e il parallelo declino della plasticità corticale.
I fattori che possono provocare l’insorgenza dell’a. si dividono in tre categorie: anisometropia, ossia la condizione in cui tra i due occhi esiste una grande differenza di rifrazione (un occhio è normale e l’altro ha un difetto di rifrazione oppure sono diversi il tipo e il grado del vizio di rifrazione dei due occhi); strabismo, che consiste in una deviazione degli assi visivi causata da un malfunzionamento dei muscoli oculari estrinseci; deprivazione sensoriale, ossia qualsiasi impedimento o patologia oculare che non faccia pervenire una normale stimolazione visiva a uno degli occhi (cataratta congenita, ptosi palpebrale, opacità corneali, emovitreo, ecc).
L’a. rappresenta un importante problema socioeconomico, in quanto limita la qualità di vita degli individui: il mancato sviluppo delle normali capacità di localizzazione spaziale e percezione della profondità, infatti, determina una riduzione del rendimento scolastico e delle occasioni di inserimento lavorativo. Poiché attualmente non esiste un test specifico per la diagnosi dell’a., essa viene effettuata per esclusione. Una diagnosi precoce è fondamentale allo scopo di ottenere un recupero funzionale completo, perché l’a. è una patologia curabile solo se trattata in età infantile (entro i 9÷10 anni di età). La plasticità cerebrale nei primi anni di vita, infatti, se da una parte espone il soggetto all’influenza dei danni ambliopigeni, dall’altra è fondamentale per la riabilitazione delle funzioni visive compromesse. Il trattamento tradizionale consiste nella rimozione del fattore ambliopigenico primario (tramite intervento chirurgico o correzione ottica dei vizi di rifrazione), seguita da una terapia finalizzata a forzare il soggetto a utilizzare gli stimoli visivi derivanti dall’occhio ambliope, più debole. Il metodo riabilitativo può consistere nella riduzione dell’esperienza visiva dell’occhio normale tramite occlusione con benda opaca o penalizzazione farmacologica per somministrazione di atropina, o stimolazione diretta dell’occhio ambliope. Il buon esito del trattamento dipende da numerosi fattori, tra cui il grado di compromissione della capacità visiva, il tipo di a., il tempo dedicato alla terapia riabilitativa, l’età di inizio della cura e la collaborazione del paziente.
Studi clinici hanno evidenziato nuove possibilità terapeutiche per soggetti ambliopi adulti, suggerite dalla dimostrazione che un esercizio intensivo in compiti di discriminazione visiva comporta un miglioramento delle capacità percettive in individui adulti normali. Tale fenomeno, che prende il nome di apprendimento percettivo, è considerato una delle forme di plasticità del sistema visivo maturo e promuove il recupero (almeno parziale) della funzionalità visiva dell’occhio ambliope nei pazienti sottoposti al trattamento. Una limitazione alla validità di questo tipo di intervento è data dal fatto che il miglioramento è nella maggior parte dei casi ristretto al tipo di compito utilizzato durante l’esercizio percettivo. Tuttavia, la stimolazione visiva diretta dell’occhio debole rimane una strategia promettente come terapia per l’a. negli individui adulti: è stato messo in luce che l’uso dei videogiochi e della realtà virtuale potrebbe determinare effetti benefici sulle capacità visive dell’occhio ambliope a livello sia delle proprietà monoculari che di quelle binoculari.
L’a. può essere indotta nei modelli animali tramite un protocollo di deprivazione monoculare a lungo termine a partire dal periodo critico (➔), che determina (in modo simile a quanto si osserva nell’uomo) una riduzione permanente dell’acuità visiva dell’occhio occluso e un’alterazione delle proprietà di dominanza oculare dei neuroni della corteccia visiva a favore dell’occhio normale. Lo studio dei modelli animali permette di valutare l’efficacia di diversi protocolli per il trattamento dell’a. in età adulta. In partic., è stato osservato che ratti resi ambliopi in giovane età riacquistano da adulti una normale visione nell’occhio ambliope, se mantenuti in condizioni di arricchimento ambientale (questo metodo sperimentale viene usato per mimare negli animali una vita ricca di stimoli sensoriali, cognitivi e motori). Questi risultati sono molto importanti per le possibili applicazioni sull’uomo, dal momento che l’arricchimento ambientale permette di agire su molecole essenziali per la plasticità in maniera fisiologica e non invasiva.