Ambone
Il termine ἄμβων, probabilmente derivato da ἀναβαίνω 'salire', designa un luogo elevato dove era possibile per i lettori e i diaconi leggere e commentare i testi sacri e notificare all'assemblea le feste mobili; per i vescovi predicare in alternativa alla cattedra; per i cantori, soprattutto, verseggiare con il popolo i testi liturgici, il Graduale e l'Exultet.
In Oriente, nel caso eccezionale di Santa Sofia a Costantinopoli, sull'a. venivano anche incoronati gli imperatori e comunicati importanti avvenimenti, ma questo non sembra esserne stato l'uso in Occidente, se non forse a Venezia.
L'a. per le sue stesse funzioni è quindi in relazione con il presbiterio, direttamente inserito al suo interno o anche posto in collegamento con esso attraverso le varie strutture connesse (solea, schola cantorum, iconostasi); è costituito da una piattaforma a planimetrie diverse con parapetto (lettorile o lettorino), posizionata su colonne o pilastri, o su un basamento, e servita da una o due scale. Un caso a parte è costituito dagli a. della Siria settentrionale che assolvevano non solo le funzioni dell'a. ma anche quelle dell'abside e che contenevano i banchi presbiteriali e la cattedra episcopale: si tratta di strutture in muratura a ferro di cavallo, collocate nella navata centrale con la curva opposta all'abside.
I primi a. erano in legno e mobili; in seguito, divennero fissi, in marmo, soprattutto in Italia, o anche, a N delle Alpi, in legno ricoperto di lastre di materiali preziosi (Metz, SaintPierre; San Gallo; Aquisgrana, Cappella Palatina), costituendo piuttosto una sorta di ricco arredo che veri e propri impianti architettonici.
All'origine non veniva fatta una distinzione tra pulpito e a.; infatti nelle fonti storiche figurano indifferentemente ambedue i termini. Cominciarono a differenziarsi a partire dal sec. 12°: il pulpito sostituì l'a. e venne posto non più nel presbiterio o nelle parti a esso collegate, ma nella navata, appoggiato a una colonna o alla parete; a N delle Alpi venne, successivamente, inglobato nello jubé.
Probabilmente derivato dall'almemor per i lettori delle sinagoghe, l'a. venne riadattato nei territori di Bisanzio, da dove infatti sono stati tramandati i primi esemplari, che già all'origine presentano diverse tipologie: dal tipo più semplice, costituito da una piattaforma circolare in pietra con balaustra in legno (Dağ Pazarı in Turchia, basilica fuori le mura, sec. 5°), a quello in uso in Grecia dalla metà del sec. 4°, con molte varianti, caratterizzato da un parapetto generalmente semicircolare su uno zoccolo - decorato alcune volte da nicchie a conchiglia - con una scala di accesso munita di una balaustra che in molti casi è decorata (Salonicco, Acheiropoietos e basilica di Santa Sofia, sec. 6°, quest'ultimo oggi a Istanbul, Arkeoloji Müz.; Priene in Turchia, chiesa vescovile).
Una variante tarda di questa tipologia è costituita da un a. poligonale, eretto su un alto basamento con lo stesso andamento planimetrico (esagonale nella basilica di Ermioni in Grecia, sec. 6°; ottagonale a Salonicco nel S. Demetrio, dopo l'incendio del sec. 7°). In Dalmazia e in Palestina in questo tipo di a. a una scala, la cassa, quadrata (Gerasa in Giordania, Ss. Pietro e Paolo) o esagonale (Salona in Jugoslavia, basilica di Kapljuc, sec. 4° o 5°), è sorretta da colonne che poggiano su una piattaforma, secondo una tipologia che successivamente venne adottata anche nella cattedrale di Grado.
Un tipo particolare è attestato nel sec. 6° dall'a. semicircolare su uno zoccolo, con due rampe all'interno che seguono l'andamento esterno (Salonicco, S. Giorgio, ora a Istanbul, Arkeoloji Müz.; Tebe, basilica A).
Tuttavia l'a. più diffuso dalla metà del sec. 5° è quello dotato di due scale contrapposte, generalmente in muratura, ma ricoperte di lastre marmoree, che conducono al lettorino, poggiato su pilastri o colonne per permettere il passaggio sottostante, viste le grandi dimensioni (Lechaion presso Corinto, S. Leonida, sec. 6°; Nicopolis in Epiro, basilica B; Filippi in Grecia, basilica fuori le mura e basiliche A e B; Gortyna a Creta, S. Tito, sec. 6°), oppure su una base piena. Questo tipo di a. poteva essere sormontato anche da un baldacchino su colonne come in quello di Santa Sofia a Costantinopoli, perduto, ma documentato dalla descrizione del contemporaneo Paolo Silenziario nel sec. 6° (Descriptio ambonis; PG, LXXXVI, II, coll. 2251-2264) e dall'a., più tardo, ancora visibile in S. Marco a Venezia.
Queste tipologie vennero riprese anche nei territori occidentali soggetti all'impero bizantino. Per es. a Ravenna l'a. a due scale su colonne o pilastri si ritrova nella chiesa dello Spirito Santo (prima metà sec. 6°) o nel S. Apollinare Nuovo (metà sec. 6°), mentre quello, sempre a doppia scala, ma su un'alta base continua, si ha nella cattedrale (a. di Agnello, 557-570) o nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo (oggi nel Mus. Arcivescovile, 596-597), dove però le balaustre, a tutta altezza, favoriscono un largo sviluppo della decorazione. Su colonne, o alta base, è comunque questo un tipo di a. identificato dagli storici con il πύϱγοϚ (torre) sulla base della descrizione di Paolo Silenziario dell'a. di Santa Sofia, dove appunto compare questo termine applicato a un a. a doppia scala su colonne, e dell'iscrizione apposta su quello del vescovo Agnello: "Servus Chr(ist)i Agnellus episc(opus) hunc pyrgum fecit / [...] pi Agnellus episc(opus) hunc pyrgum". Attraverso gli esemplari carolingi gli a. ravennati furono in Occidente alla base di una tradizione attestata, ancora nel sec. 11°, da quello di Enrico II nel duomo di Aquisgrana (Rademacher, 1921; Adriani, 1966).
Già dal sec. 6° infatti è documentato dalle fonti l'uso dell'a. in Francia (Gregorio di Tours, Historia Francorum, VIII, 4; un esempio a Metz, basilica di Saint-Pierre; Schlosser, 1892) e in Spagna (Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XV, 4, 16-17) mentre al sec. 7° o 8° risalgono alcuni frammenti in Svizzera, caratterizzati da un lettorino semicircolare al quale si collegavano lastre piatte (Baumes; Romainmôtier; Saint-Maurice d'Agaune).
Con l'epoca carolingia l'a. divenne d'uso comune, probabilmente a seguito delle direttive liturgiche di Carlo Magno che ponevano un accento particolare sulla predica. Nella stessa chiesa potevano esserci anche due o tre a. e infatti nella pianta dell'abbazia di San Gallo (San Gallo, Stiftsbibl., 1092) dell'820 ca. figurano due a., situati nella navata centrale, vicino alla balaustra del coro. Il posizionamento dell'a. all'interno di una chiesa variava, comunque, secondo l'area culturale. In ambito bizantino era indipendente dalle transenne in quanto, servendo alla predicazione e alle letture, non poteva essere apposto all'interno del presbiterio poiché questo era chiuso dall'alta iconostasi (anche nella liturgia di Giovanni Crisostomo la lettura del Vangelo poteva avvenire fuori dall'iconostasi). Anche in Italia l'a., come struttura autonoma, si trova solo in ambito bizantino.
La chiesa romana al contrario adottò a. collocati all'interno delle transenne e collegati a esse e anzi, quando li portò fuori dalle recinzioni presbiteriali, questi ebbero una diversa destinazione d'uso, divenendo 'pulpiti per la predicazione'. È ovvio che ciò dipendeva dal fatto che, mancando l'iconostasi, bastava ai chierici salire sull'a. per farsi udire dall'assemblea. Secondo Krautheimer (1980) l'uso degli a. è sconosciuto a Roma fino alla fine del sec. 7° quando, con l'arrivo dei profughi orientali, si produssero notevoli cambiamenti nella liturgia e, con l'inclusione della predica nel rito occidentale, anche nelle chiese romane probabilmente venne adottato l'a. (un esempio viene segnalato in S. Maria Antiqua, documentato nel 705-707 dal Lib. Pont., I, p. 385). Si deve però rilevare che, pur non essendosi conservati a Roma a. anteriori a questo periodo, sulla base del Lib. Pont. la loro presenza è stata ipotizzata nella città già dall'epoca costantiniana, anche se Reygers (1937), cui risale la proposta, si riferisce alla chiesa di S. Lorenzo f.l.m. dove vengono invece citati solamente "grados ascensionis et descensionis" (intesi come gradini) in relazione alla comunicazione tra l'edificio dell'epoca di Silvestro (314-335) e la catacomba sottostante.
Comunque, l'uso dell'a. a Roma è sicuramente documentato sempre nel Lib. Pont. già sotto Pelagio (556-561), che in S. Pietro "in ambone ascendit" (I, p. 303), e sotto Sergio (687-701) che "fecit ambonem et cyburium in basilica sanctorum Cosmae et Damiani" (I, p. 375). Per i secc. 6°-9° le testimonianze monumentali sono molto scarse in quanto costituite da piccoli frammenti di a. presenti a Roma a S. Lorenzo f.l.m. e a S. Giovanni in Laterano - per questo pezzo viene notata una assonanza con l'a. di S. Cornelia presso Veio (ora a Roma, Mus. dell'Alto Medioevo) che confermerebbe "la ricostruzione tentata dal Mazzanti dei frammenti di Castel Sant'Elia" (Melucco Vaccaro, 1974) -, a Bagnoregio (La Capraccia) e a Castel Sant'Elia. Pochissime sono le chiese provviste di un arredo completo come S. Clemente a Roma, dove sono tuttora visibili l'a. per il vangelo che fronteggia quello dell'epistola sul lato opposto, rivolto verso l'altare, e quello della profezia, rivolto verso i fedeli e usato quindi probabilmente per la predica (Zauner, 1915). Nel caso fossero presenti solo due a., era su quello dell'epistola che avveniva la predica, mentre successivamente nelle chiese dove se ne trovava uno solo questo poteva essere dotato di più leggii per assolvere a diverse funzioni e doveva probabilmente essere collocato, secondo Zauner (1915), in cornu epistolae, in quanto il 'pulpito' per la predicazione in ambito romano venne in seguito situato su questo lato.
La chiesa romana riprese la tipologia a due scale contrapposte per l'a. del vangelo e quella a una scala per l'a. dell'epistola e della predica, mentre rifiutò l'a. sciolto dalle transenne, libero su colonne e pilastri, fino alla sua trasformazione in pulpito per la predicazione. Quello del vangelo è generalmente un a. con alta base massiccia e continua sulla quale poggia il lettorino, fiancheggiato da due lastre triangolari che fungono da balaustra alle due scale contrapposte. Secondo Bertaux (1903) questo a., che si può definire romano per la grande diffusione che ebbe nella città e nelle aree limitrofe, deriverebbe da prototipi campani del sec. 11° perduti ma documentati dalle miniature degli Exultet (rotuli di Mirabella Eclano, S. Maria Maggiore; di Capua, duomo; nonché i due del Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo a Pisa) e dall'a. più tardo (1094-1150) di Ravello, esemplare unico rimasto di questa tipologia nell'Italia meridionale. Bertaux notò anche come questo tipo di a. ricalchi fedelmente quello orientale, raffigurato nel Menologio di Basilio II (Roma, BAV, gr. 1613), e ipotizzò - attraverso la segnalazione dell'imitazione in S. Maria in Cosmedin del pavimento di Montecassino e quindi probabilmente anche dell'a. - che questo tipo di a. sia una diretta derivazione da quello in legno di Montecassino del tempo di Desiderio, documentato dalle fonti (che peraltro non forniscono notizie specifiche relative alla sua tipologia). Dalla Campania il modello, con alcune varianti, sarebbe quindi giunto a Roma e alle regioni di influenza romana (Roma, S. Maria in Cosmedin, sec. 12°; S. Clemente, sec. 12°; S. Maria in Aracoeli, tardo sec. 12°; S. Lorenzo f.l.m., 1243-1254; S. Pietro in Vaticano, Grotte, inizio sec. 13°; Tarquinia, S. Maria di Castello, 1209; Alba Fucente, S. Pietro, 1225 ca.).
L'ipotesi di Bertaux viene in qualche modo contestata da Claussen (1987) che ipotizza per Montecassino modelli bizantini già presenti a Roma nei secc. 4° e 6°, cosicché anche gli a. sarebbero frutto di una ripresa paleocristiana nel sec. 12° operata dai marmorari romani. A conferma di questa tesi si vuole in questa sede solamente segnalare, nella descrizione della liturgia secundum romanos dell'Ordo romanus V (secc. 10°-12°), la specifica: "Subdiaconi autem duo cum turibulis ante evangelium in ambonem ex una parte ascendentes et ex altera parte statim descendentes" (Andrieu, 1948) che lascia ipotizzare già dal sec. 10° la presenza a Roma della tipologia a due scale e quindi la sua ripresa nel 12° secolo.
Con Bernardo di Chiaravalle la predicazione assunse un ruolo predominante non solo nell'ambito della messa, ma anche come funzione autonoma, alla quale non riuscirono ad assolvere i vecchi a., adatti soprattutto alla liturgia: venne così adottato, alla fine del sec. 12°, un nuovo a. che segna il passaggio dall'a. vero e proprio al pulpito. Si tratta di quello che Zauner (1915) definisce Chorkanzel, un a. cioè (non più situato all'interno delle transenne, ma appoggiato con la parte posteriore su di esse e anteriormente su colonne) che richiama nella sua tipologia l'antico a. della profezia, su pianta rettangolare, con balaustre su tre lati e con la parte posteriore libera per le scale di accesso (Firenze, S. Miniato al Monte, 1190 ca.; Barga, duomo, 1220 ca.) e che introduce il pulpito vero e proprio.
Bibliografia
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