AMBRA (dall'arabo ‛anbar)
Succo resinoso fossilizzato di piante a loro volta fossili.
La più bella delle ambre, di color giallo chiaro, limpida trasparente, contenente in minima quantità zolfo e molto acido succinico (C6H6O4) e perciò detta in mineralogia succinite, proviene da morte foreste oligoceniche di specie resinose (pinacee ed abetacee), giacenti sotterra in prossimità della costa del Mar Baltico (fra l'Oder e il bacino dell'Elba) i cui flutti, battendo sulla spiaggia, scoprono lisciano arrotondano e gettano sulla sabbia grumi di questa resina fossile. Altri importanti giacimenti sono nel Samland (Prussia orientale) sulla riva destra della Vistola; sotto le coste della Svezia (ant. Scania) e della Danimarca (specialmente l'ant. penisola cimbrica). Minori giacimenti di a. fossile, di colori varianti dall'aranciato al rossobruno e più o meno torbida, dove l'acido succinico trovasi in minor quantità e che con diversi nomi è chiamata in mineralogia, trovansi in strati di lignite di terreni terziarî di altre regioni d'Europa e d'Asia. Diverse e confuse furon le idee degli antichi circa la natura, l'origine e la provenienza dell'ambra. I Greci la chiamavano ἤλεκτρον o ἤλεκτρος, electron o electros nel V e IV sec. a. C. (non si sa se questo termine in Omero e in Esiodo significhi a. oppure una lega d'oro e d'argento o una pietra preziosa o il vetro dorato o lo smalto vitreo. Dopo il IV sec. a. C. per elettro intendesi di solito la suddetta lega metallica). Il mito di Fetonte (pianto dalle sorelle Eliadi, che perciò furono trasformate in pioppi, le cui lagrime, cadendo ogni anno nel Po, producono l'a.) dimostra che già prima di Esiodo attribuivasi all'a. origine vegetale. Questa opi nione, che fu forse anche di Talete, certamente di Aristotele (esser l'a. una specie di resina solidificata per effetto di raffreddamento o per evaporazione della sua umidità), fu condivisa dalle fonti di Plinio il Vecchio, che la chiama succinum (da succus cioè per l'appunto succo di pianta), mentre i Germani del tempo di Tacito la chiamavano con una parola tradotta in latino glaesum. Secondo altri, l'a. era un corpo fossile o il succo di certe pietre di Bretagna o una concrezione marina o l'urina solidificata (lyngourion, lyngurium o langurium) della lince (lynx) o d'altro animale chiamato langurus o langas (s'è pensato che questa idea derivi dall'erroneo scambio del vocabolo lyngourion per ligourion: intendi dakry cioè resina ligure, come sarebbesi chiamata una varietà d'a. fossile italica o arrivata in Liguria dalla Gallia e smerciata in Grecia). A causa della sua lucentezza e del suo color biondo, all'a. gialla fu attribuita origine solare e si pensò che gli ultimi raggi del sole, proiettati con forza sulla terra, ne esprimessero una specie di sudor grasso che, asportato dai flutti marini, sarebbe stato da questi rigettato sul lido in forma di pezzi d'ambra. Secondo altri, l'a. nasceva dal limo, riscaldato dal sole, d'un lago presso l'Atlantico o d'un fiume tributario di quell'oceano. Quanto al luogo d'origine, da Erodoto (iii, 115) si desume che, ai suoi tempi, dalle coste dell'Europa settentrionale l'a. arrivava fino all'Egeo lungo un fiume chiamato Eridano (mod. Elba o Vistola?). Il viaggiatore massiliese Pitea (IV sec. a. C.) sapeva che il mare gettava l'a. sul lido dell'isola d'Abalo presso il paese dei Gotoni (alla foce della Vistola). Altri la facevan venire dalla Scozia o dall'India o dall'Egitto o dall'Etiopia o dalla Numidia o dalla Liguria o da certe isole Elettridi site alle bocche del Po o nei mari nordici. Quest'incertezza fu forse dovuta o agli importatori, interessati ad impedir che si conoscesse il vero luogo di provenienza, oppure alla confusione con l'esistenza di a. locali (come per es. la rossobruna simetite di Sicilia), non menzionate dalle fonti ma pur tuttavia usate, com'è testimoniato dai rinvenimenti archeologici. I dati archeologici ci consentono d'affermare che l'a., rara in età paleolitica, durante il periodo neolitico, nei paesi dov'essa trovavasi, era utilizzata per intagliar talismani e oggetti d'ornamento, che sono stati rinvenuti in tombe megalitiche. L'estrazione mineraria dell'a., che si pratica oggi, era ignota agli antichi, che si limitavano a raccoglierla sulle spiagge. A decorrere dall'epoca dei metalli, l'a. del N comincia ad essere utilizzata anche dalle popolazioni dell'Europa centrale. In piena Età del Bronzo i popoli nordici fanno arrivare la loro a. ai mercati del S, dal Baltico sino al Mar Nero per la Vistola e il Dniester, e quindi all'Egeo, ai Balcani e all'Adriatico per la vallata dell'Elba, per la Boemia attraverso la Moldavia e per la vallata del Danubio, e dal Mare del Nord alla Liguria e a Marsiglia attraverso il Reno e il Rodano. Questo commercio per le vie fluviali e carovaniere dell' Europa durò fino a tutto il periodo protostorico, si affievolì durante l'età classica in Grecia, rifiorì nella epoca imperiale romana. Si crede ormai sempre meno alla vecchia idea circa il misterioso, geloso monopolio dell'a. che sarebbe stato esercitato dai Cartaginesi per la via marittima dell'Atlantico e dello stretto di Gibilterra, sulle cui coste sono stati rarissimi e sporadici i rinvenimenti di manufatti d'ambra. Circa la tecnica è da notarsi che nell'a., piuttosto che tagliare, si raschia e pertanto i sottosquadri, in genere, son rari e limitatissimi. Strumenti principali di lavorazione erano presso gli antichi la pomice e una ruvida pelle di squalo (che oggi son sostituiti rispettivamente dalla lima e dalla carta di smeriglio). Come oggi, così forse anche allora, il lustro si otteneva adoperando gesso crudo in polvere e strofinando con una pelle scamosciata.
I manufatti di a. preistorici e protostorici sono per la massima parte piccoli pendagli da collane o da fibule o da orecchini in forma di perle, di dischi, di asce e doppie asce, di lastricelle quadrangolari o poligonali, in cui non è possibile definire un limite fra la destinazione di adornamento e quella magica di amuleto. Carattere magico avranno avuto probabilmente le figurine antropomorfe e zoomorfe, come l'"espressionistico" quadrupede da Dobiesnew (Woldenberg). Vaghi di collane si son trovati in tombe minoiche di Micene, Tirinto, Kakkovatos in Trifilia, Kumasa nell'isola di Creta. Frammenti d'a. lavorata sono stati scoperti in Egitto in una tomba della XVIII dinastia, in Babilonia e in Siria, a Lachish e a Tell Zakariyah. Nell'Europa occidentale, nella zona degli Alti Pirenei, ad Aurenson (deposito dell'Età della Renna), in una stazione neolitica del Petit Morin e in dolmen del Gard e dell'Aveyron dell'Età del Bronzo. Benché la tradizione letteraria non parli dell'a. della Sicilia e della penisola italica, tuttavia in queste regioni si sono scoperti numerosi manufatti antichi di a. fossile rossobruna, certamente d'origine locale. Per l'Età del Bronzo, in Sicilia, è documentata la presenza di oggetti d'ornamento d'a. a Castelluccio, a Monte Castellaccio, a Gorzano. Dell'Età del Ferro sono le a. trovate in Lucania e in Campania (vaghi di collane e dischi per rivestire archi di fibule), nel Lazio (fusi e lastricelle per "incrostazioni" di mobili, figurine, un pomello di daga argentea prenestina), in Sardegna (epoca nuragica), in Etruria (a Cerveteri: lastricelle a figure geometriche forate da cucire su vesti accanto a brattee d'oro; a Tarquinia, a Vetulonia, a Chiusi: globuli di collane interamente di a., figurine antropoidi e pisciformi spesso intarsiate d'oro).
Nell'antica civiltà del Piceno l'a. rossobruna ha una parte singolarmente importante più che in qualsiasi altra regione d'Italia e d'Oriente. Mentre durante l'Età del Bronzo l'a. era stata rarissima nel Piceno, nella successiva Età del Ferro, invece, essa si presentò in tale copia da far sorgere nel Piceno una industria indigena, produttrice di migliaia di oggetti di ornamento personale o guarnizioni di indumenti personali, che sono stati trovati in quasi tutte le tombe di quella civiltà, dal periodo coevo al villanoviano sino a quello gallico. Il maggior fiore di quest'industria è nel periodo arcaico (VI sec. a. C.), quando l'uso, diventato popolare, dell'a. determina la creazione di speciali forme indigene, come i nuclei grossi e pesanti fino ad un chilogrammo, infilati negli archi di enormi fibule, le collane lunghissime e ricche di vaghi in forma di disco, nocciolo, bulla, anforisco, sfera, perlina, perlone, fuso. Lavori piceni in a. furono anche esportati in altre regioni d'Italia (se ne son trovati in Puglia e in Lucania), sulla costa dalmata e fino in Asia Minore (Efeso). Tuttavia non si sa ancora spiegare come sia avvenuta questa produzione picena così abbondante (mentre la stessa materia appare tanto rara negli altri paesi d'Italia e d'Oriente), dato che non è confermata l'esistenza di giacimenti nel Piceno o nell'Adriatico. Alcuni, fra cui l'Albizzati, lo Helbig, il Dimitrescu, ritengono che l'a. usata nel Piceno fosse d'origine baltica. Sembra infatti che la colorazione dell'a. di scavo possa ingannare l'archeologo circa l'origine, perché l'a. lavorata assume, in pochi decennî, per l'azione dell'aria e della luce, un colore rossastro che penetra gradualmente negli strati più profondi, e tende a rifossilizzarsi. Nelle a. rinvenute negli scavi archeologici l'ossidazione è spesso assai notevole, perché le tombe trovansi nell'humus a piccola profondità, mentre i giacimenti naturali dell'a. stanno negli strati profondi della lignite terziaria, in ambiente ben altrimenti favorevole alla conservazione. Quindi la colorazione rossastra o rossobruna può molto spesso far credere non baltica un'a. che in realtà è baltica d'origine. Comunque sia stato, è possibile che i navigatori e commercianti dell'Egeo e dell'Asia abbian conosciuto la risorsa picena dell'a. e che questa sia stata fra le cause delle relazioni fra l'Oriente e il Piceno e della frequenza ivi di commercianti e poi anche di artigiani d'oltremare. Le più importanti a. picene con figure son le seguenti: grande nucleo (alto m 0,17), forse da Ruvo di Puglia, nella Collezione Pourtalès; gruppo erotico di soggetto non definibile a causa della genericità delle figure (hieròs gàmos di Zeus ed Hera o di Kronos e Rhea o d'Urano e Ghe o amore di Posidone e Amymone o di Eracle ed una delle sue amate?) che sul rovescio ha la raffigurazione di un gran serpe, forse il genius loci; altro nucleo (lungo m 0,135) anche con gruppo erotico, proveniente da una località imprecisata della costa a N d'Ancona ed entrato nella collezione di Pierpont Morgan a New York.
È un rilievo a due facce, trattato con minuzia e finezza e mantenuto agli strati superficiali. Forse Arodite ed Anchise o Afrodite e Cinira. Sopra una klìne sta, col busto un po' sollevato, il mortale adolescente dalle membra delicate e presso di lui, puntando un ginocchio sul materasso per montarvi su, la dea chinasi affettuosamente, avvicina il suo viso a quello del giovine e, avendo in una mano un alàbastron, lo stura per fargli annusare il profumo, mentr'egli posa la destra sui riccioli di lei, a sentirne la realtà. Appollaiato sulle spalle d'Afrodite un cigno col collo ripiegato sull'ala destra è indice della natura mitica del soggetto. A piè della klìne sta rannicchiato un servetto, che si stiracchia, improvvisamente destato dal sopraggiungere dell'amorosa visitatrice. Ambedue questi lavori son di pura arte ionica, databili, il primo, alla metà circa, il secondo alla fine del VI sec.; quest'ultimo è un capolavoro, forse la più bell'a. scolpita che si conosca dell'antichità.
Diamo qui una descrizione sommaria di alcuni tra i principali trovamenti di a. lavorate del Piceno.
Ciondolo trovato fra la suppellettile d'una tomba preromana di Padula, in Lucania: v'è inciso sommariamente il profilo d'una nave di tipo italico, lunga, con prora zoocefala, poppa alta con timone a pala, cinque remi - ma con due soli rematori - e fasci di cordame ripiegato sul bordo. Questo lavoro, ritenuto ionico per lo stile, ma diverso per vari caratteri, dai disegni di navi greche su avorio o su laminette bronzee, dev'essere stato eseguito in Italia nel VI secolo. "Piattorilievi" da Castelbellino, (volatile con penne delineate ad incisioni parallele; mascherina umana con lineamenti approssimativi su piastrina pentagonale; gruppo di due figurette umane contrapposte di schiena con spesse parrucche). Esecuzione frettolosamente sommaria, riflessi di tratti ionici ma semplificati e impoveriti. Mascherette da Numana, da Vasto e da Belmonte ripetenti l'immagine piatta di un viso femminile di prospetto con occhi tondi cerchiati, bocca larga carnosa, capigliatura complessa con caratteri di acconciatura reale, peculiare del Piceno. Altre a. figurate provengono da Belmonte: tomba 72: nucleo lavorato su di un solo lato, dov'è scolpito a rilievo un leone, che ha azzannato e atterrato un vitello; altro nucleo con leonessa accosciata trattenente e divorante un vitello, coricato sul dorso. Tali soggetti son tra i più frequenti nel repertorio orientalizzante (poi ripresi dai primi ceramografi greci e dagli scultori dei frontoni arcaici dell'acropoli d'Atene); ma, per quanto riguarda lo stile, gli stessi elementi, che nei leoni eburnei d'Etruria, di Cipro, d'Efeso, di Sparta sono incisi con sentimento disegnativo sulla superficie della massa plastica, qui a Belmonte hanno consistenza di volumi plastici, grossezza massiccia, larghezza di massa pesante e succosa. Tomba 94: grossa bulla apotropaica, schiettamente picena per la struttura, con mascherine umane e feline e, al centro, un mascheroncino grottesco di Medusa, ricordanti schemi ionici arcaici. Tomba 124: testina d'ariete simile a quella da Montegiorgio. Tomba 212: felino accosciato, piatto, visto dall'alto (cfr. esemplari eburnei orientalizzanti della Tomba Barberini); scimmiotto accoccolato di tipo orientalizzante. Ad eccezione di quest'ultimo, che può ascriversi all'arte orientalizzante del VII sec. a. C. e provenire da officine estere, come gli analoghi oggetti delle tombe etrusche arcaiche, altri oggetti (gruppi erotici, gruppi zoomorfi, arieti, bulla apotropaica) sono strutturalmente caratteristici del costume piceno e devono essere stati commissionati ad artefici ionici da signori piceni. Nella produzione di alcuni oggetti, accanto ad un'influenza ionica indebolita, vediamo trasparire la locale visione primitiva ed elementare. Pertanto la struttura picena degli oggetti decorati con forme d'arte straniera e il trapasso dai valori artistici greci a quelli indigeni, avvalorano l'ipotesi dell'esistenza nel Piceno di officine, dove artisti ionici lavoravano il materiale grezzo, proveniente dalla stessa regione (o da altri luoghi non molto lontani) per l'uso dei barbari indigeni, e dove si addestrarono artefici locali. Le a. picene risalgono quasi tutte al VI sec. ed al pieno ionismo, ciò vale a dire che sono più tarde degli avori pure trovati nelle necropoli picene, ond'è avvalorata l'ipotesi di un'attività artistica locale, necessariamente successiva all'importazione di oggetti lavorati.
Durante il periodo "classico" della cultura greca l'a., benché conosciuta, non sembra essere stata molto utilizzata (tuttavia il v. 531 dei Cavalieri di Aristofane induce a credere che si solessero ornare le lyrae con incrostazioni di ambra). Durante l'epoca imperiale romana rifiorisce invece quest'industria, specialmente per oggetti destinati a completare l'eleganza delle donne, come anelli, fermagli, ciondoli, vasettini da tenere in mano per rinfrescarsi e profumarsi le dita con l'odore che l'a. emanava se strofinata. Numerosi, nella letteratura di età romana, sono gli accenni all'a. in tal senso (v. bibl.). Ma anche fuori del mundus muliebris questo materiale era lavorato per farne sigilli, ornamenti di letti e di scrigni, impugnature di posate, di spade e pugnali. La reale esistenza di figurine intagliate in a., trovate negli scavi archeologici, conferma la tradizione letteraria d'epoca imperiale circa il pregio in cui eran tenuti i prodotti della scultura in ambra. In Olimpia al tempo di Pausania il Periegeta, cioè nel II sec. d. C., esisteva un ritratto di Augusto in ambra. Solevasi pure tingere l'a. e farne imitazione di pietre dure, specialmente ametiste. Infine a questa sostanza si attribuivano virtù mediche contro molti malanni; la varietà detta criselettro (a. gialla del Baltico) era considerata una panacea. Sopravvivenza di quest'antica credenza può considerarsi l'idea, ancor oggi diffusa fra le popolazioni islamiche, specialmente della Turchia, che il bocchino del narghilè, anche se passato di bocca in bocca, come si usa colà, non trasmetta le malattie quando sia di ambra.
Bibl: In generale: A. Jacob, in Dict. Ant., s. v. Electrum; H. Blümner, in Pauly-Wissowa, s. v. Bernstein; Ebert, Reallexikon d. Vorgeschichte, 1924, s. v. Bernstein. Ambre picene: P. Marconi, La cult. orient. nel Piceno, in Mon. Ant. Lincei, XXXV, 1935. Navicella da Padula: A. Maiuri, in Not. Scavi, 1914, p. 404. Gruppi erotici: C. Albizzati, in Rassegna d'arte ant. e moderna, Milano 1919, p. 183 ss.; R. Siviero, Gli ori e le ambre del Museo Naz. di Napoli, Firenze 1955, p. xxx, ss. Principali fonti, oltre Erodoto sopra citato, sono Aristot., Meteon., IV, 10; Plin., Nat. hist., XXXVII, II, 30-41; Tacit., De mor. German., p. 45 ss.