AMBROGIO Autperto
Originario della Provenza, entrò assai giovane nel monastero di S. Vincenzo al Volturno, nel quale iniziò anche la sua istruzione. Era già prete prima del 761, come si rileva dalla sua sottoscrizione a un atto di vendita fra l'abbazia di S. Vincenzo e quella di Farfa.
Queste notizie, che provengono da indicazioni autobiografiche di A. e da un documento sicuro, relegano fra le invenzioni il racconto del cronista del monastero Giovanni, secondo cui A. sarebbe stato di nobile nascita e avrebbe formato la sua cultura nel secolo, raggiungendo anche la dignità di arcicancelliere, anacronisticamente, presso la corte di Carlo Magno. Sarebbe poi divenuto monaco in occasione di una visita compiuta, già stanco del mondo, all'abbazia di S. Vincenzo. Le critiche al suo commento all'Apocalisse di s. Giovanni da parte dei suoi confratelli, forse gelosi del successo che l'opera si riprometteva di avere o troppo zelanti dell'antica tradizione patristica che A., secondo loro, pretendeva di emulare senza avere né le doti né la preparazione letteraria, lo spinsero a ricorrere al pontefice Stefano III, che lo incoraggiò invece a continuare e portare a termine il suo lavoro. Maggiori contrarietà lo attendevano per la sua elezione abbaziale alla quale egli si rassegnò a malincuore, il 4 ott. 777. L'inasprirsi infatti dei contrasti fra monaci longobardi e franchi per motivi politici, all'indomani della caduta del regno dei Longobardi, indusse A. a dimettersi appena un anno dopo (28 dic. 778). Né pare che egli vedesse la conclusione di quelle lotte interne del monastero. Si recava nel 784 a Roma con una delegazione di monaci per testimoniare nel processo contro il suo successore, il longobardo Potone, accusato di insubordinazione a Carlo Magno, il quale aveva rinviata la causa al papa Adriano I, quando lo colse la morte durante il viaggio, il 30 gennaio. La salma, trasportata a S. Vincenzo, fu sepolta nell'oratorio di S. Pietro.
Incluso dal Mabillon fra i santi dell'ordine benedettino e dai bollandisti negli Acta Sanctorum, Iul, IV, Antverpiae 1725, pp. 646-651, A. non ebbe però mai culto, neppure nella sua stessa abbazia di S. Vincenzo, anche se ebbe gran fama di vita santa e pia.
Di A. A., confuso spesso con l'omonimo Autperto abate di Montecassino, si conservano alcuni scritti, tutti di carattere esegetico e ascetico. Pur non avendo nessuna cultura profana, come egli stesso ci attesta, mostra nei suoi lavori una discreta conoscenza dei Padri, dai quali il suo pensiero non si discosta mai. Intento allo studio della Bibbia, egli non si preoccupa solo della spiegazione testuale, ma, sempre sull'esempio dei Padri, si preoccupa di elevarsi a un simbolismo che ha indotto qualche studioso a pensare a Gioacchino da Fiore, senza però volervi trovare alcuna relazione di dipendenza. Particolarmente notevole sotto questo aspetto è l'amplissimo commento all'Apocalisse di s. Giovanni (ed. in Maxima Bibliotheca Patrum, t. XIII, Lugduni 1677, pp. 403-657) in dieci libri, in cui continua la tradizione di Primasio e di Ticonio, servendosi anche delle opere di Gregorio Magno. Anche opere esegetiche erano i commenti al Levitico,ai Salmi e al Cantico dei Cantici,ricordati dal cronista di S. Vincenzo al Volturno e ora perduti. La perfetta ortodossia dottrinale e una profonda pietà sono le caratteristiche degli altri suoi scritti destinati alla edificazione spirituale: Vita beatorum Patrum Paldonis, Tatonis et Tasonis (in Chronicon Vulturnense, I, pp. 101-123), interessante per la storia primitiva dei monastero volturnese e in parte anche per quella dell'Italia meridionale; Conflictus vitiorum atque virtutum (Migne, Patr. Lat., XL, coll. 1091-1106), che ebbe straordinaria divulgazione nei monasteri medievali, come provano i numerosi manoscritti che l'hanno conservato, poiché, oltre il modo vivace della contrapposizione tra vizio e virtù, vi si trova in breve l'esposizione dell'ascetica cristiana basata sulla conoscenza della S. Scrittura e dei Padri; Oratio in partes divisa contra septies septena vitia (Migne, Patr. Lat., XVII, coll. 755-762; Chronicon Vulturnense, I, pp. 3-15), che si può considerare un'appendice dello scritto precedente; i Sermones de Cupiditate (Migne, Patr. Lat., LXXXIX, coll. 1277-1292), In Transfiguratione Domini (ibid.,coll. 1305-1320), In Purificatione B. M. V.(ibid.,coll. 1291-1304), In Assumptione (Migne, Patr. Lat.,XXXIX, coll. 2129-2134), In Nativitate B.M.V.(Migne, Patr. Lat.,CI, coll. 1300-1308; già attribuito allo Pseudo-Alcuino), De S. Mathia (Migne, Patr. Lat.,CXXIX, coll. 1023-1034, attribuito prima ad Autperto di Montecassino), De S. Luca (Migne, Patr. Lat.,XCV, coll. 1530-1535; è l'omelia 59 dell'Omeliario di Paolo Diacono), In Solemnitate Omnium Sanctorum (Migne, Patr. Lat.,XC IV, coll. 452-455; tra le opere di Beda), e in fine un sermone sulla dedicazione della chiesa, ancora inedito nel codice Vat. Lat.1269 (fol. 157v-159v), che però è solo un estratto dal commento all'Apocalisse.Va ricordata in ultimo anche una lettera di A., quella diretta al papa Stefano III, già ricordata, che è conservata all'inizio del già citato commento dell'Apocalisse.
Per questa sua produzione vasta, anche se non originale, A. occupa un posto notevole nella storia letteraria del suo secolo prima della rinascita carolingia, sia perché mette in mostra le componenti della cultura ecclesiastica del suo tempo, sia perché attesta la continuità della tradizione patristica negli studi sacri. Del resto proprio il fatto dell'attribuzione dei suoi scritti a nomi di primo piano dimostra il loro valore e l'importanza, quindi, che in realtà ebbe il loro autore fra gli scrittori dell'alto Medioevo.
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