DI NEGRO, Ambrogio
Nobile genovese, nacque probabilmente tra il 1450 e il 1460 da Urbano.
Il padre fu governatore di Corsica nel 1455 e tra gli Anziani nel 1470. Il D. apparteneva ad uno dei rami meno numerosi della famiglia, quello di S. Lorenzo, che, nel Gran Consiglio del 1500 contava, tra i nobili "neri", solo quattro membri (contro i diciotto, ad esempio, del ramo di Banchi): il padre del D., il D. stesso, suo cugino Ambrogio fu Oliviero e un Agostino fu Luca.
L'attività del D. fu intensa e poliforme: annatore, come la maggior parte del Di Negro (quando il D. era ragazzo, Cristoforo Colombo compi sulle loro navi i primi viaggi come agente di commercio), politico, nella necessità abile condottiero, come dimostrò specie nei suoi interventi in Corsica, oggetto di ampia documentazione storica.
Giudizi globalmente favorevoli sul D. esprimono tanto le fonti genovesi (Bartolomeo Senarega dimostra una autentica ammirazione per quest'uomo onesto ed energico) quanto i cronisti corsi dell'epoca (Filippini), i quali, nonostante le sconfitte e le severe punizioni inflitte dal D. ai ribelli, dimostrano un certo rispetto per il suo senso di giustizia.
Il D. iniziò la sua carriera. al servizio del Banco di S. Giorgio nel 1487, come commissario a Sarzana nella guerra scoppiata per il possesso della città tra Genova e Firenze. Benché le cronache sottolineino, sia pure in modo generico, il coraggioso comportamento del D., questi fu fatto prigioniero e fu necessario l'intervento papale per ottenerne la liberazione. Ritornato a Genova. il D., nell'ottobre 1488, ricevette sempre dal Banco il primo commissariato in Corsica.
Nell'isola, mentre era governatore Gaspare da San Pietro. alcuni nobili corsi avevano ripreso le ostilità contro Genova, capitanati da Ranuccio e Giampaolo Da Leca. Il D. arrivò con poche truppe; resosi conto della superiorità militare dei ribelli, si chiuse in Cinarca e chiese rinforzi che gli furono prontamente inviati agli ordini di Rolandino Corte. Sebbene questi fosse subito sconfitto a Bocognago, il D. seppe abilmente sfruttare i dissidi insorti tra gli avversari e il 27 dic. 1488 poteva comunicare al suo governo di aver avviato trattative con Ranuccio.
Questi gli aveva proposto, in cambio di un suo figlio in ostaggio presso il D., la consegna di Giampaolo e d , ei suoi figli, vivi o morti. Ma il D. si dimostrò abile e sospettoso: "li tradimenti loro sono assai; per che de loro non me fiderò, salvo a ioco vincto". E infatti la trattativa segreta fallì per le esitazioni e le ambiguità di Ranuccio; la questione venne invece risolta militarmente, dopo l'arrivo di adeguati rinforzi inviati dal Banco agli ordini del capitano generale Filippino Fieschi.
Dopo la grande vittoria genovese alla Foce d'Orto il 29 marzo 1489, il D. poté trasferirsi a Vico per lo scontro finale: da lì il 3 aprile scriveva ai Protettori mostrandosi fiducioso nella prossima vittoria e molto ben informato su tutta la situazione, sulle mosse e sulle forze dei ribelli e sulle esigenze strategiche anche per il futuro. Tra l'altro indicava la necessità, oltre che di radere al suolo Vico, di "habitare Aiacio, e Il farge una fortezza": consiglio che sarà subito attuato dal Banco. Il 29 aprile Ranuccio Da Leca si arrendeva insieme con alcuni compagni, mentre Giampaolo di lì a poco preferiva riparare in Sardegna.
A questo punto il Fieschi decise di inviare Ranuccio insieme con una ventina di ribelli a Genova, presso lo zio ammiraglio Gian Luigi, affinché li presentasse agli Adorno e li affidasse alla clemenza del Banco. Tale decisione non convinse il D., il quale il 10 maggio faceva imbarcare sulla stessa nave che trasportava i corsi anche il suo cancelliere Barnaba da Cuneo con istruzioni ai Protettori perché, contrariamente alle promesse fatte dal Fieschi, non si liberassero a nessun costo Ranuccio e gli altri. In effetti il Banco disapprovò l'iniziativa dei Fieschi e seguì il consiglio del D.: Ranuccio e i ribelli furono chiusi nella prigione del castello di Lerici.
Nel giugno tanto il Fieschi che il D. chiesero il congedo; ma, mentre al Fieschi fu prontamente concesso, al D., nonostante facesse presente una malattia della moglie e la sua stanchezza per una attività militare durata nove mesi, per la qùale si proclamava "non costumato", venne risposto che nessuno era ritenuto più di lui capace di ottenere la completa pacificazione dell'isola. In effetti il D. la ottenne seguendo una linea dura, facendo prima confessare e poi giustiziare i capi dei ribelli, a cominciare da Giocante Da Luco. Il 22 dicembre venne concesso il congedo anche al D. che il mese successivo si trovava a Genova. E i Protettori, il 5 marzo 1490, gli decretarono l'erezione di una statua (la prima, a Genova, dedicata a un cittadino vivente) in palazzo S. Giorgio, che fu commissionata allo scultore Michele D'Aria ed è ancor oggi visibile tra quelle dei benefattori del Banco.
La missione corsa del D. ebbe ancora un sanguinoso strascico: il 2 aprile i Protettori gli affidarono il compito di estorcere a Ranuccio, prigioniero a Lerici, tutte le informazioni possibili, con la tortura e a rischio della vita del recluso. Non si sa come siano andate esattamente le cose e anche gli storici corsi si mostrano poco informati: ma, dopo che Ranuccio, sollecitato dalle promesse di liberazione del D., ebbe parlato, tra la fine di giugno e i primi del luglio 1490 fu trovato morto.
Nel settembre 1498 i Protettori, prontamente informati del ritorno in Corsica di Giampaolo Da Leca, avvertirono il governatore Niccolò Lomellini che, in caso di necessità, avrebbero inviato il D. in suo aiuto; poi subito, senza aspettare la richiesta, il 12 settembre elessero il D. commissario e gli diedero l'ordine di partire con duecento soldati, mentre essi provvedevano ad arruolarne altri. E, poiché il D. aveva in corso alcune non meglio precisate "cause" a Genova ed a Savona, i quattro deputati dell'ufficio di Corsica (Francesco Lomellini, Pellegro Mandilo, Lorenzo Grillo, Francesco Goano) si recarono personalmente dai fratelli Adorno per chiederne la sospensione: governatore e Anziani furono concordi nell'aderire alla richiesta e, in data 24 sett. 1498, le "cause" del D. furono sospese fino a otto giorni dopo il suo ritorno dalla Corsica.
Il D. tre giorni dopo salpò su un galeone per Bastia, dove si incontrò col Lomellini per concertare il piano delle operazioni sia militari sia diplomatiche con il nobile corso Ranuccio Della Rocca che aveva spontaneamente offerto la propria collaborazione ai Protettori. Nel giro di due mesi tutto sembrava risolto: Giampaolo, completamente isolato grazie alla condotta militare del D., meditava di lasciare di nuovo l'isola. Sospettando tuttavia segreti accordi del Della Rocca con il Da Leca, il D. ne informò i Protettori, che gli consigliarono di dissimulare. Il D. manifestava una certa inquietudine anche per le vicende di terraferma (Genova era passata nel settembre sotto la signoria del re di Francia e il D. voleva essere informato sia sulle precise aspirazioni di Luigi XII sia sulla guerra contro Pisa), ma fu rassicurato dai Protettori e incitato a condurre a termine l'impresa di Corsica; però, informati di una certa ostilità maturata dal Della Rocca nei confronti del D., ed anche di alcune divergenze sopravvenute nel dicembre tra il D. e il nuovo governatore Rolando De Ferrari, i nuovi Protettori, entrati in carica al principio del 1499, decisero di inviare come loro rappresentante, investito di pieni poteri, Cesare Cattaneo. La missione del Cattaneo si concluse in una ventina di giorni, ed egli il 4 febbraio poteva tornare a Genova, esprimendo la convinzione che fosse ormai superflua la permanenza nell'isola del D. e degli stipendiati che questi aveva portato con sé. Così il D., dopo aver provveduto ad opere offensive e difensive che, in larvata polemica col Cattaneo, riteneva ancora necessarie, il 13 febbraio ricevette la licenza di partire.
Tornato a Genova alla metà di marzo, dopo aver fatto adeguatamente ricompensare quanti (caporali e capi popolari corsi fedeli a S.Giorgio) lo avevano aiutato nella sua opera di repressione, il D. riprese la sua attività armatoriale e mercantile sulla rotta di Sicilia e del Levante. Ma era appena tornato da un viaggio in Sicilia, nel maggio 1501, quando i Protettori gli riaffidarono l'incarico di commissario in Corsica per l'ennesima ribellione.
Giampaolo Da Leca era infatti di nuovo tornato dalla Sardegna l'8 marzo 1501, occupando la pieve di Vico e saccheggiando le case dei genovesi, per poi darsi alla macchia. I Protettori avevano reagito prontamente: assoldati mille fanti, ne avevano offerto il comando, dopo il rifiuto di Filippino Fieschi, ad Alfonso Del Carretto, marchese del Finale, al quale avevano affiancato come commissari Emanuele Fieschi e Silvestro Giustiniani. Ma poiché queste forze erano tutte impegnate "di là dai monti", inviarono il D. "di qua dai monti" con altri mille fanti.
Arrivato a metà giugno, quando il marchese era caduto malato, il D. riportò una serie di successi militari, che dovettero indispettire Alfonso e gli altri commissari, i quali, il 14 agosto, fecero istanza di ritorno. I Protettori acconsentirono e affidarono al D. l'incarico di proseguire da solo la campagna fino alla totale estinzione della ribellione. Tra l'ottobre e il dicembre il D. riuscì a far prigioniero il figlio di Giampaolo, Orlando, e ricorrendo anche a larghissime concessioni e remissioni, indusse quasi tutti i ribelli a riconciliarsi col Banco, isolando il Da Leca, che fu costretto a lasciare di nuovo l'isola. Tornato a Genova nel 1502, il D. fu ricompensato con 50 "luoghi" di S. Giorgio.
Negli anni successivi, mentre la sua nave veniva usata come scorta armata per proteggere i trasporti di altre navi, in quel periodo sottoposte agli attacchi spagnoli, il D. risulta impegnato nelle varie magistrature della Repubblica: nel 1507 tra i censori, nel 1508 e nel 1510 alla Moneta, nel 1517 e nel 1518 alle Virtù. Altre cariche sono di difficile attribuzione, poiché potrebbero riguardare il cugino omonimo: ai censori anche nel 1503, alla Sanità nel 1504, 1507, 1510, 1512, 1514, 1523, alla Gazaria nel 1513 e tra i Padri del Comune nel 1518. Il D. era ancora vivo nel 1528, quando, in occasione della riforma legislativa doriana, risulta iscritto al libro d'oro della nobiltà tra i venticinque componenti dell'"albergo" Di Negro, mentre non vi risulta iscritto il figlio Urbano, probabilmente premorto al padre. Dal matrimonio con'Bianchina di Odoardo Carmandino il D. aveva avuto, oltre a Urbano, tre femmine: Giorgetta, Giacominetta e Franceschetta, poi sposa a Giannotto Spinola.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Manoscr. Biblioteca 170, cc. 28, 635v, 636; ms. 10, s. v.; Genova, Bibl. civ. Berio, m.r., XV, 25: G. Giscardi, Origini e fasti della nobiltà di Genova, c. 609; m.r., XV, 4, 6: F. Federici, Scrutinio della nobiltà di Genova, c. 279; m.r., X, 2, 168; L. Della Cella, Famiglie di Genova, II, cc. 1098, 1105; U. Foglietta, Clarorum Ligurum elogia, a cura di L.G. Grassi, Genova 1864, p. 142; B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria, in Rerum Italic. Script., 2 ed., XXIV, 2, a cura di E. Pandiani, ad Ind.; A. P. Filippini, Istoria di Corsica, Pisa 1827, III, pp. 96-97, 103-115; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, a cura di G. B. Spotorno, II, Genova 1817, pp. 592, 604; F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria, Genova 1880, IV, p. 189; L. T. Belgrano, Un assassinio politico nel 1490, in Atti della Soc. lig. di stona patria, XIX (1888), pp. 433-454; F. Donaver, La storia della Repubblica di Genova, Genova 1913, pp. 104, 105; C. Argegni, Condottieri, capitam, tribuni, Milano 1937, p. 325; C. Bornate, Genova e Corsica alla fine del Medio Evo, Milano 1940, pp. 4, 6, 52, 59, III, 136, 138, 145, 240, 277-282, 287-301.