FRACCO, Ambrogio
Nacque verso il 1480 in un'umile famiglia a Ferentino (oggi in provincia di Frosinone), sede della curia provinciale e dei rettori della Campania e Marittima, fattore che contribuiva a tenervi viva una tradizione di studi umanistici. Ricevette l'istruzione in patria, abbracciò la vita ecclesiastica e coltivò la poesia prima di recarsi a Roma in cerca di fortuna. L'appellativo di "Novidius" (cioè "novus Ovidius"), che volle aggiungere al suo nome, indica nel poeta latino l'autore di cui sentì più prepotentemente la suggestione e che tentò di emulare nelle sue opere.
A Roma sembra sia approdato (comunque prima del 1527) senza poter contare sulla protezione di un mecenate e forse esercitò il mestiere di maestro per guadagnarsi di che vivere: cenni a un'esistenza grama e miseranda non mancano nei suoi componimenti. Il poemetto in 285 distici Consolatio ad Romam, stampato nel 1538 con una dedica al cardinale Ennio Filonardi, non prova che il F. sia stato alle dipendenze dal prelato sabino.
Il termine post quem per la data di morte è costituito dall'edizione dell'opera principale del F., i Sacrorum fastorum libri XII (Romae, apud A. Bladum, 1547), e da una lettera di raccomandazione di P. Giovio al cardinale A. Farnese dell'agosto dello stesso anno: dati che forniscono le testimonianze cronologicamente più avanzate su di lui.
La produzione poetica del F. è tramandata dai manoscritti 1327 della Biblioteca Corsiniana e 190, cc. 57-76v, della Biblioteca Alessandrina di Roma. Il primo contiene due gruppi di epistole amorose sul modello delle Heroides ovidiane. Le lettere del F. mostrano un'adesione pedissequa al poeta latino, priva di contributi personali, in quello che risulta in sostanza un esercizio di stile freddo e distaccato.
La sezione più significativa del codice è costituita dai cinque libri di elegie De adversis dedicate all'evento traumatico del sacco di Roma che il F. visse in prima persona. È difficile credere che le elegie siano state composte "barbariae in media" e "magno metu", né lo stile è squallido e incolto, come l'autore dichiara nel carme proemiale, tuttavia è autentico il sentimento di sgomento e di orrore che il F. vi riversa. Egli descrive con realismo e sofferta partecipazione la serie di violenze e di sacrilegi perpetrata dalle soldatesche imperiali sulla città inerme, sugli abitanti atterriti, sul clero e gli edifici sacri.
Nell'ultima sezione il codice corsiniano contiene cinque libri di epigrammi provenienti da una raccolta che ne comprendeva originariamente almeno quindici. Si tratta per lo più di semplici distici su soggetti vari (alcuni osceni), tra i quali spiccano quelli dedicati a luoghi e monumenti di Roma.
Interessante, per quanto ancora nei limiti di un esercizio convenzionale, la raccoltina di Hendecasillabi che si legge nel codice 190 della Biblioteca Alessandrina di Roma, in cui il F. applica il metro italiano alla poesia latina con risultati apprezzabili.
L'opera con cui il F. pensava di consegnare il suo nome alla posterità sono tuttavia i dodici Sacrorum fastorum libri, la cui stesura cominciò sotto Leone X per concludersi sotto Paolo III, al quale furono dedicati. Secondo lo schema dell'opera ovidiana, di cui si propongono di essere l'equivalente cristiano, i Fasti del F. intendono descrivere i riti e le ricorrenze sacre del calendario, a cui sono dedicati. L'atteggiamento verso le divinità e i riti pagani non è tuttavia di condanna: il F. anzi, senza adottare una precisa interpretazione filosofica della mitologia, accoglie tradizioni e credenze estranee alla religione cristiana, in base a uno spirito sincretistico per lo più arbitrario e fantasioso ma basato su antichissime tradizioni popolari fino ad allora tollerate e assecondate dalla Chiesa.
Fonti e Bibl.: B. Pecci, Contributo alla storia degli umanisti del Lazio, in Arch. della R. Società romana distoria patria, XIII (1890), pp. 466-468; Id., L'umanesimo e la "Cioceria", Trani 1912, pp. 209-399; G.G. Ferrero, Manoscritti e stampe delle lettere di P. Giovio, in Giornale stor. della lett. italiana, CXXVIII (1951), p. 421; B. Catracchia, L'umanista ferentinate N. F. e il "sacco" di Roma, in Lunarioromano, IX (1980), pp. 599-607; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indices.