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FRACCO, Ambrogio

di Franco Pignatti - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 49 (1997)
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FRACCO, Ambrogio

Franco Pignatti

Nacque verso il 1480 in un'umile famiglia a Ferentino (oggi in provincia di Frosinone), sede della curia provinciale e dei rettori della Campania e Marittima, fattore che contribuiva a tenervi viva una tradizione di studi umanistici. Ricevette l'istruzione in patria, abbracciò la vita ecclesiastica e coltivò la poesia prima di recarsi a Roma in cerca di fortuna. L'appellativo di "Novidius" (cioè "novus Ovidius"), che volle aggiungere al suo nome, indica nel poeta latino l'autore di cui sentì più prepotentemente la suggestione e che tentò di emulare nelle sue opere.

A Roma sembra sia approdato (comunque prima del 1527) senza poter contare sulla protezione di un mecenate e forse esercitò il mestiere di maestro per guadagnarsi di che vivere: cenni a un'esistenza grama e miseranda non mancano nei suoi componimenti. Il poemetto in 285 distici Consolatio ad Romam, stampato nel 1538 con una dedica al cardinale Ennio Filonardi, non prova che il F. sia stato alle dipendenze dal prelato sabino.

Il termine post quem per la data di morte è costituito dall'edizione dell'opera principale del F., i Sacrorum fastorum libri XII (Romae, apud A. Bladum, 1547), e da una lettera di raccomandazione di P. Giovio al cardinale A. Farnese dell'agosto dello stesso anno: dati che forniscono le testimonianze cronologicamente più avanzate su di lui.

La produzione poetica del F. è tramandata dai manoscritti 1327 della Biblioteca Corsiniana e 190, cc. 57-76v, della Biblioteca Alessandrina di Roma. Il primo contiene due gruppi di epistole amorose sul modello delle Heroides ovidiane. Le lettere del F. mostrano un'adesione pedissequa al poeta latino, priva di contributi personali, in quello che risulta in sostanza un esercizio di stile freddo e distaccato.

La sezione più significativa del codice è costituita dai cinque libri di elegie De adversis dedicate all'evento traumatico del sacco di Roma che il F. visse in prima persona. È difficile credere che le elegie siano state composte "barbariae in media" e "magno metu", né lo stile è squallido e incolto, come l'autore dichiara nel carme proemiale, tuttavia è autentico il sentimento di sgomento e di orrore che il F. vi riversa. Egli descrive con realismo e sofferta partecipazione la serie di violenze e di sacrilegi perpetrata dalle soldatesche imperiali sulla città inerme, sugli abitanti atterriti, sul clero e gli edifici sacri.

Nell'ultima sezione il codice corsiniano contiene cinque libri di epigrammi provenienti da una raccolta che ne comprendeva originariamente almeno quindici. Si tratta per lo più di semplici distici su soggetti vari (alcuni osceni), tra i quali spiccano quelli dedicati a luoghi e monumenti di Roma.

Interessante, per quanto ancora nei limiti di un esercizio convenzionale, la raccoltina di Hendecasillabi che si legge nel codice 190 della Biblioteca Alessandrina di Roma, in cui il F. applica il metro italiano alla poesia latina con risultati apprezzabili.

L'opera con cui il F. pensava di consegnare il suo nome alla posterità sono tuttavia i dodici Sacrorum fastorum libri, la cui stesura cominciò sotto Leone X per concludersi sotto Paolo III, al quale furono dedicati. Secondo lo schema dell'opera ovidiana, di cui si propongono di essere l'equivalente cristiano, i Fasti del F. intendono descrivere i riti e le ricorrenze sacre del calendario, a cui sono dedicati. L'atteggiamento verso le divinità e i riti pagani non è tuttavia di condanna: il F. anzi, senza adottare una precisa interpretazione filosofica della mitologia, accoglie tradizioni e credenze estranee alla religione cristiana, in base a uno spirito sincretistico per lo più arbitrario e fantasioso ma basato su antichissime tradizioni popolari fino ad allora tollerate e assecondate dalla Chiesa.

Fonti e Bibl.: B. Pecci, Contributo alla storia degli umanisti del Lazio, in Arch. della R. Società romana distoria patria, XIII (1890), pp. 466-468; Id., L'umanesimo e la "Cioceria", Trani 1912, pp. 209-399; G.G. Ferrero, Manoscritti e stampe delle lettere di P. Giovio, in Giornale stor. della lett. italiana, CXXVIII (1951), p. 421; B. Catracchia, L'umanista ferentinate N. F. e il "sacco" di Roma, in Lunarioromano, IX (1980), pp. 599-607; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indices.

Vedi anche
Umanesimo Periodo storico le cui origini sono rintracciate dopo la metà del 14° sec., e culminato nel 15°: tale periodo si caratterizza per un più ricco e più consapevole fiorire degli studi sulle lingue e letterature classiche, considerate come strumento di elevazione spirituale per l’uomo, e perciò chiamati, ... Roma Città del Lazio, capitale della Repubblica Italiana; capoluogo di regione e di provincia (Comune di 1307,7 km2 con 2.718.768 ab. nel 2008). ● Il problema dell’etimologia del nome di Roma si era presentato già alla mente degli antichi, ma le soluzioni da essi offerte non reggono alla critica scientifica. ... mecenatismo Tendenza a favorire le arti e le lettere, accordando un generoso sostegno a chi le coltiva. Oggi il termine è riferito anche all'attività di appoggio finanziario che alcune imprese private, talora con intento pubblicitario, svolgono a favore di iniziative artistiche o culturali di alto livello (spettacoli ... Publio Ovìdio Nasóne Ovìdio Nasóne, Publio (lat. Publius Ovidius Naso). - Poeta latino (Sulmona 43 a. C. - Tomi, sul Mar Nero, 17 d. C.). Venuto giovanissimo a Roma, vi studiò retorica, ma passò presto alla poesia. Fu a contatto con i maggiori letterati e poeti del suo tempo, come Messalla, Cornelio Gallo, Properzio, Orazio, ...
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Vocabolario
fracco
fracco s. m. [der. del dial. fraccare «premere», che è il lat. *fragicare, der. di frangĕre «rompere»], settentr. – Gran quantità; è usato soltanto al sing., nelle locuz. un f. di legnate, di botte, di bastonate e simili.
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