MASSARI, Ambrogio (Ambrogio da Cori)
– Nacque intorno al 1432 a Cori, nel Lazio meridionale, da cui l’appellativo «Coranus», o «Coriolanus» con il quale è sovente menzionato nelle fonti.
Frammentarie sono le notizie relative agli anni dell’infanzia e della formazione. Nulla, o quasi, è noto della famiglia: riferisce l’autore della Historia Corana, Sante Laurienti, che il M. rimase orfano del padre in tenera età e che poco dopo la madre «ad secunda transivit matrimonii vota» (c. 54r). Appresi i rudimenti della grammatica «in coranis gymnasiis», il M., adolescente, maturò la decisione di entrare nel convento agostiniano del suo paese.
Riflette certamente un dato oggettivo, di là da intenti encomiastici, l’enfasi posta da Laurienti sulla parte che ebbe un proprio antenato, l’eremitano Agostino Laurienti da Cori, nell’incoraggiare la vocazione religiosa del giovane. Nella figura di questo frate, cui non facevano difetto erudizione e dottrina, il M. dovette riconoscere una guida spirituale e un maestro.
Riferisce inoltre Laurienti (c. 54v) che la madre del M. si oppose, in un primo momento, all’ingresso del figlio in convento e che mutò parere soltanto dopo che in sogno le apparve s. Agostino. L’aneddoto è tratto da una pagina autobiografica del M., il quale ricostruiva l’episodio nel Defensorium Ordinis, mantenendo celato il proprio nome (c. 17v).
Reca la data del 3 giugno 1452 il primo documento ufficiale concernente il M.: un atto del priore generale dell’Ordine, frate Giuliano da Salemi, affermava di far studiare «in conventu nostro et studio _Florentino fratrem Ambrosium de Cora» (Analecta Augustiniana, VII, p. 380). Da quel momento i registri dell’Ordine consentono di seguire le vicende del M.: in un atto del giugno 1459 è menzionato col titolo «bachalarius» (ibid., p. 389); il 15 dic. 1461 il priore generale, Guglielmo Becchi, lo nominò magister (ibid., p. 391); nel 1463 divenne reggente dello Studium di Perugia, incarico che dal settembre del 1465 ricoprì anche presso lo Studium di Napoli. Ma l’anno decisivo per le fortune del M. fu il 1466, allorché il capitolo provinciale di Cave, «nemine discrepante», lo elesse, il 2 maggio, superiore della provincia romana (ibid., p. 133). Il nuovo incarico, confermato nel 1470, rivelò nel M. doti di abile diplomatico e di accorto amministratore. Egli conquistò la piena fiducia di Guglielmo Becchi, che dopo averlo nominato, sul finire del 1466, visitatore della provincia di Terra del Lavoro e di Puglia, il 23 apr. 1468 lo designò suo vicario nei conventi di S. Maria del Popolo a Roma, S. Oliva a Cori, S. Maria dell’Orto a Velletri e S. Maria a Genazzano. Parallelamente, con la nomina «pro magistro seniori» allo Studium di Roma nel giugno del 1467, si rafforzava il suo prestigio culturale e accademico.
Negli stessi anni prese forma il progetto per l’edificazione di un nuovo convento agostiniano a Cori, opera alla quale, più che a ogni altra, il M. volle associato il proprio nome. Ne seguì con cura la realizzazione, vigilando sugli aspetti tecnici del progetto e contribuendo all’ideazione dei suoi significati simbolici. La genesi dell’impresa risaliva al 1464, allorché il pontefice Paolo II autorizzò gli eremitani di Cori, insediati fuori dalle mura, a raccogliere elemosine per la costruzione di un nuovo convento all’interno della cerchia muraria. Il progetto acquistò una più precisa fisionomia nel 1465, quando su autorizzazione papale il cardinale benedettino Guillaume d’Estouteville, protettore dell’Ordine dal 1449, assegnò agli agostiniani di Cori la chiesa di S. Oliva al fine di edificarvi il nuovo convento. Il coinvolgimento del M. è documentato ufficialmente dal 16 marzo 1466, data in cui, ottenuta l’autorizzazione pontificia per la costruzione di un convento «intra menia», presso la chiesa di S. Oliva, fu nominato dal Becchi vicario nel convento di Cori. Al fine di agevolare, sotto il profilo economico, l’edificazione del nuovo insediamento, al M. fu data licenza di disporre liberamente del patrimonio conventuale e, in particolare, di vendere «plus offerenti» una casa presso porta Romana (Alonso, p. 394). I lavori per il nuovo convento, concepito «cum claustro, dormitorio, ortis», ebbero inizio nel novembre 1467 e si protrassero, almeno per la parte architettonica, fino al 1480, anno in cui la struttura fu sede di un capitolo provinciale (Biferali, p. 42). Intensa, in quegli anni, fu la collaborazione del M. con il potente e ricchissimo cardinale d’Estouteville, cultore delle arti e delle lettere, nonché munifico benefattore dell’Ordine (promosse e sostenne finanziariamente la riedificazione della chiesa di S. Agostino a Roma e ne accrebbe con donazioni e lasciti il patrimonio librario). Entrambi profusero nell’impresa risorse materiali, energie intellettuali e sforzi diplomatici. Molto il M. si adoperò per rimuovere o prevenire difficoltà di ordine finanziario: nel 1470, divenuto procuratore dell’Ordine, egli fissò alla non elevata somma di 100 baiocchi il versamento annuale della comunità agostiniana di Cori e nel giugno del 1476 concesse la comunione dei suffragi a tutti i cittadini di Cori che avessero contribuito alla fabbrica del nuovo complesso. D’Estouteville, dal canto suo, donò al convento la parrocchia di S. Lorenzo e nel 1474 assegnò l’intera struttura al convento romano di S. Maria del Popolo, passato in quegli anni alla potente Congregazione lombarda.
Direttamente al M. è riconducibile, per vari indizi, la progettazione di due luoghi del convento di S. Oliva: la cappella di S. Agostino (o del Ss. Crocifisso), a pianta rettangolare e con volta a botte unghiata, che egli fece realizzare intorno al 1477, e il chiostro, costruito su due ordini sovrapposti: notevoli punti di contatto con gli scritti teologici e apologetici del M. sembra infatti avere il programma iconografico realizzato nei capitelli figurati, proiezione, sul piano artistico, di una cultura legata essenzialmente ai simboli del platonismo cristiano.
Nel settembre del 1470 il capitolo generale degli eremitani, celebrato a Bologna, elesse il M. «procurator Ordinis». Contestualmente Giacomo dell’Aquila successe a Guglielmo Becchi nella guida dell’Ordine. L’incarico di procuratore, assai rilevante sul piano politico, fu ricoperto dal M. fino al giugno del 1476. L’esperienza maturata nei territori romani gli consentì di far fronte alle molte lacerazioni che affliggevano l’Ordine: alla metà del 1475 si recò a Siena per appianare i contrasti sorti nel convento della città dopo la nomina del priore, Rosato da Viterbo, contestata da alcuni frati. La posizione del M., grazie al favore di cui godeva presso Sisto IV, succeduto nel 1471 a Paolo II, appariva quanto mai salda. Le condizioni per la sua ascesa alla suprema carica dell’Ordine maturarono nel 1476: morto nel marzo Giacomo dell’Aquila, il pontefice nominò il M. vicario generale, affidandogli il compito di convocare un nuovo capitolo per la scelta del successore; dal capitolo, riunito il 1° giugno a Roma, nel convento di S. Agostino, uscì eletto il M., che raccolse il voto unanime dei convocati.
Egli stesso ricordò il giorno della sua elezione in una pagina della Chronica Ordinis, data alle stampe nel 1482: «Celebratum est capitulum generale Rome, millesimo quadringentesimo septuagesimo sexto, in festo Penthecostes, ubi presidentes ex parte summi Pontificis fuerunt Reverendissimus dominus Cardinalis Rothomagensis protector, et ipse magister Ambrosius de Chora. In quo idem magister Ambrosius creatus est generalis tocius ordinis» (Analecta Augustiniana, VII, p. 261).
I primi anni del generalato del M. si distinsero per una vasta azione riformatrice, con la quale intese rimediare al crescente degrado dell’Ordine. Riorganizzò la Congregazione di Lecceto e in modo energico intervenne nei conventi di S. Marco a Milano, S. Agostino a Pavia, S. Nicola a Tolentino, S. Maria del Popolo a Roma. Quest’ultimo convento fu oggetto di una serie di iniziative che portarono, nel giro di qualche anno, a mutarne radicalmente la fisionomia. Passato nel 1472, per volontà di Sisto IV, alla Congregazione di Lombardia, dal 1468 il convento dipendeva, per l’amministrazione, dal Massari. Non soltanto egli, in pochi anni, ricondusse il convento agli austeri principî dell’osservanza lombarda, ma nel 1472, con il sostegno di Sisto IV e la collaborazione di d’Estouteville, promosse un’importante campagna di ristrutturazione dell’intero complesso. I lavori, che terminarono nel 1477, quando fu ultimata la facciata della nuova chiesa, furono eseguiti da maestranze lombarde capeggiate, presumibilmente, dal ticinese Andrea Bregno: le stesse maestranze risultano attive, significativamente, nel complesso di S. Oliva a Cori. Che in primo luogo al M. spetti il merito della duplice rifondazione, normativa e architettonica, del convento è attestato da Massello Venia, agostiniano di S. Maria del Popolo, nella lettera dedicatoria con la quale offriva al M., verso il 1476, una raccolta di scritti di s. Ambrogio: «Testabitur hoc conventus Sanctae Mariae de populo Romae, qui te auctore ad rectam veramque eremitarum regulam conversus est. Ipsius quoque templi ac monasterii admirabiles structurae sublimiaque aedificia id astruent» (c. 5r). Con modalità non dissimili il M. intervenne nel convento romano di S. Agostino, dove la sua iniziativa riformatrice s’intrecciò, egualmente, con un piano di ristrutturazione edilizia del complesso. Una massiccia campagna di lavori, distribuiti, in gran parte, tra il 1479 e il 1483, conferì infatti un nuovo aspetto al convento e alla chiesa. A patrocinare l’impresa e a finanziarla fu in special modo d’Estouteville, ma è sicuro che anche il M. vi ebbe una parte non trascurabile.
Il programma riformatore del M. trovò la sua espressione più compiuta nei 32 punti che l’11 febbr. 1477, dal convento pisano di S. Niccolò, egli inviò ai superiori di tutte le province. Il documento, cui il capitolo perugino del 1482 riconobbe valore normativo, intendeva emendare il lassismo della comunità, prescrivendo l’osservanza di alcune regole.
Nel 1477 il M. si trovò a fronteggiare una violenta disputa scoppiata tra eremitani e canonici regolari, divisi da antiche inimicizie.
I termini della controversia sono riassunti da Torelli: «volendo i Signori Milanesi porre sopra il loro Maestosissimo Duomo le Statue marmoree delli quattro principali Dottori di S. Chiesa, li PP. Canonici Regolari fecero istanza, che quella del nostro P.S. Agostino si dovesse formare con l’Habito loro Canonicale, asserendo costantemente essere stato quel gran Dottore Canonico Regolare […] ma essendosi opposti alla loro pretensione li nostri Padri Agostiniani dell’Insigne Monistero di S. Marco con prove più chiare, e evidenti, che dimostravano essere egli stato Monaco nostro, et havere anche istituito il nostro Ordine […] deliberarono col consenso delle parti di convocare una Congregatione di Huomini dotti, et eruditi, li quali esaminassero questa controversia» (p. 253).
Malgrado la commissione nominata per dirimere la contesa desse ragione agli eremitani, lo scontro assunse toni ancora più accesi. In seguito, a riattizzare il fuoco della polemica, intervenne la pubblicazione di due opuscoli denigratori, nei quali i canonici regolari Domenico Franchi da Treviso ed Eusebio Corradi da Milano accusavano gli eremitani di manipolare il vero. L’attacco provocò l’indignazione del M., che reagì con uno scritto apologetico, il Defensorium Ordinis, dato alle stampe solo nel 1482, ma che elementi interni inducono a datare, per ciò che concerne la stesura, tra il 1477 e il 1478. Alla contesa pose fine, nel 1484, un intervento di Sisto IV, che poco prima di morire, preoccupato per l’asprezza dei toni, categoricamente intimò alle parti di non proseguire la disputa.
Nel Defensorium Ordinis, dedicato al pontefice, il M. oppone alle accuse dei due canonici regolari sette veritates, la cui dimostrazione è condotta con uno stile asciutto e serrato. Merita di essere riferito l’argomento undicesimo allegato a favore della prima veritas «quod sanctus Augustinus […] vere fuit heremita, indutus nigra cuculla et cinctus zona pellicea». L’argomento si basa sul valore di alcune antiche testimonianze storico-artistiche, nelle quali Agostino sarebbe effigiato come un eremita. A titolo di esempio, il M. cita la statua del santo «in eminentissimo templo Divi Marci» a Venezia, di cui ricerche da lui stesso promosse avrebbero appurato la particolare vetustà: la scultura sarebbe stata realizzata nel 1084, contestualmente all’edificazione della chiesa. A conferma di questo dato, il M. trascrisse due documenti: un atto da lui fatto rogare a Venezia nel 1477, certificante l’antichità della statua, e una lettera del doge Andrea Vendramin, sempre del 1477, nella quale tale documento era dichiarato degno di fede (cc. 14v-15r; Torelli, p. 252b). Passione polemica e zelo religioso si fondono, in questa pagina del Defensorium, con l’indagine storico-documentaria e il gusto per l’antiquaria.
Il Defensorium non è l’unica opera connessa alla controversia del 1477. Nelle accuse dei canonici milanesi erano stati messi in discussione, con grande veemenza, i fondamenti sui quali si era costruita, nei secoli, l’identità dell’Ordine. Occorreva perciò, per tranquillizzare gli animi, tornare a quei fondamenti e ritrovare le radici. Primo frutto di questa operazione retrospettiva è il volume stampato a Roma nel 1481 dal tipografo Georg Herolt (Indice generale degli incunaboli [=IGI], n. 439), vero e proprio monumento alla tradizione eremitana e, al contempo, fiera rivendicazione di un’identità plurisecolare. Il volume comprende i seguenti scritti del M.: 1. Vita precellentissimi Ecclesie doctoris divi Aureli Augustini iponensis antistitis. 2. Commendatio regule eiusdem. 3. Commentarii super regula divi Augustini iponensis episcopi sancte Ecclesie doctoris precellentissimi. 4. Ambrosii Choriolani… Oratio de laudibus eiusdem sancti Augustini. Pensata dal M. in ideale connessione con questa è una seconda raccolta, che apparve subito dopo – è incerto se già nel 1481 o se nel 1482 (manca, in questo caso, l’anno di stampa) –, sempre per i tipi di Herolt (IGI, n. 437). Il volume comprende il citato Defensorium Ordinis fratrum eremitarum Sancti Augustini, seguito da testi e fonti per la storia dell’Ordine: la terza regola di s. Agostino, vari suoi Sermones, la Epistula de beato Augustino di Sigeberto di Gembloux, la Vita Augustini scritta da Possidio e la bolla di canonizzazione di s. Nicola da Tolentino. Chiude la raccolta, significativamente, la Cronica sacratissimi Ordinis heremitarum, breve compendio della storia dell’Ordine che si deve alla penna del Massari.
Obiettivi polemici a parte, le due raccolte di scritti, nelle intenzioni dell’autore, dovevano servire alla comunità dei religiosi agostiniani come una sorta di Speculum del passato, memoria della genesi e dello sviluppo dell’Ordine; per questo aspetto, la pubblicazione dei due volumi rientrava in quel disegno di restaurazione del primitivo spirito dell’Ordine che il M. aveva già perseguito in veste di riformatore e che si era saldato in lui con una più generale disposizione a mitizzare il tempo antico (e non sarà casuale – in ordine alla natura regressiva dell’operazione – il gioco compiaciuto sul proprio nome, alterato nella forma arcaica «Coriolanus»). Del resto, che in M. ci fosse l’obiettivo, raccogliendo questi scritti, di rafforzare nella comunità il senso delle origini lo dimostra la decisione assunta nel capitolo perugino del 1482, nel quale si stabilì «quod libri compositi per Reverendissimum patrem Generalem Magistrum Ambrosium de Chora […] accipiantur pro Ordine et secundum conditiones distribuantur per provincias, ita quod quilibet conventus et quilibet graduatus cuiuscumque provincie debeat accipere unum volumen» (Analecta Augustiniana, VII, p. 279).
Nel capitolo generale del 1482, celebrato a Perugia il 25 maggio, il M. fu confermato alla guida dell’Ordine. Avuta notizia che molti dei padri convocati per il voto non avrebbero preso parte al capitolo, il M. ottenne da Sisto IV, come risulta da un breve pontificio del 2 maggio 1482, di poter reintegrare i voti degli assenti nominando, a suo arbitrio, nuovi padri vocali. Parallelamente, una lettera del pontefice raccomandava ai padri vocali di votare, «sub pena excommunicationis late sententie», per il M. (ibid., p. 258).
Il M. proseguì, con varie iniziative, l’opera di riforma. Nella Curia mutavano, frattanto, gli equilibri che avevano contribuito alla sua fortuna. Nell’agosto del 1484 Sisto IV morì. Durante le esequie spettò al M. l’onore di recitarne l’orazione funebre, segno ulteriore della considerazione della quale egli aveva goduto presso il pontefice. Al Della Rovere succedette, il 29 agosto, il cardinale Giovan Battista Cibo, che prese il nome di Innocenzo VIII. Per il M. si preparavano giorni drammatici. All’improvviso e senza, apparentemente, un preciso capo d’accusa, nel gennaio 1485, per volontà del nuovo pontefice, fu rinchiuso nella prigione di Castel Sant’Angelo, dove rimase per circa un mese e dove patì aspri maltrattamenti.
Non è chiaro su quali accuse Innocenzo VIII fondasse la sua decisione. In mancanza di notizie più dettagliate, andrà tenuta nel massimo conto, perciò, la testimonianza di Egidio da Viterbo, priore dal 1506, che nel suo registro, annotando la morte, il 19 febbr. 1508, del frate agostiniano Gaspare da Orvieto, fa risalire a un atto di ritorsione di costui la causa della rovina del Massari. Nel settembre 1484 il M. aveva infatti elevato alla carica di procuratore generale dell’Ordine il conterraneo Serafino da Cori. La scelta del M. offese gravemente Gaspare da Orvieto, che ambiva, per averlo già ricoperto, allo stesso incarico, tanto che egli, con la complicità di alcuni confratelli, fece pervenire a Innocenzo VIII un libello contenente ingiurie contro la sua persona, attribuendolo alla penna del Massari. Volendo prestar fede a quanto riferisce il cronista contemporaneo Stefano Infessura, nel libello si affermava che il nuovo pontefice «in tenebris creatum, in tenebris vivit et in tenebris morietur» (p. 177). È probabile però, come vuole Torelli, che l’ostilità di Innocenzo VIII nei confronti del M. avesse radici più antiche.
Ai primi di marzo del 1485, come riferisce Egidio da Viterbo, il M. fu trasferito nel convento di S. Agostino, dove avrebbe dovuto continuare a scontare, non è noto per quanto tempo, la pena; minato ormai nella salute e prostrato dalle sofferenze patite, morì lì poco dopo, intorno alla metà di maggio.
«Benemerentissimo e ornamento del suo ordine, sommo letterato, autore di molte dottissime opere lodate», come scrive Moroni (p. 198), il M. lasciò un’eredità intellettuale complessa, che attende ancora una valutazione adeguata in sede storiografica. Certo il suo profilo culturale difficilmente potrebbe ridursi a un solo aspetto. Teologo, storico, cultore delle lettere, il M. fu altresì un validissimo oratore: per conto di Sisto IV, che tenne in grande considerazione questa sua dote, egli si recò come nunzio in Germania «per conciliar le differenze fra gli elettori dell’impero» (ibid.) e alla corte di Napoli, presso Ferdinando d’Aragona, che a detta del Venia rimase conquistato dalla sua eloquenza. Notevole impressione suscitò nei contemporanei la Oratio de conceptione Virginis Mariae, pronunciata nel giorno della Immacolata Concezione del 1472, alla presenza di Sisto IV, nella chiesa di S. Maria del Popolo e data alle stampe nel 1473 (IGI, n. 435). Una raccolta di sue orazioni, su vari temi, si conserva invece inedita (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds latin, 5621).
Il M. lasciò una trentina di opere. Si attribuiscono a lui, tra l’altro, trattati di retorica e omiletica (De inventione artium, De modo orandi), commenti aristotelici (Commentarii in posteriorum analyticorum libros e Super arte veteri), trattazioni teologiche (De essentia Dei, De proprietatibus angelorum; De scientia et sapientia Christi), scritti devozionali (Vita b. Catherinae Spoletanae): per un elenco completo si veda Biferali, pp. 29 s.
Il M. raccolse oltre 140 volumi, che alla sua morte passarono alla biblioteca del convento romano di S. Agostino. L’inventario della sua biblioteca, steso nel 1486 dal frate Battista de’ Casali, consente di tracciare con sufficiente precisione il perimetro delle sue letture, in larga parte costituito da opere di patristica, esegesi scritturale e filosofia scolastica (in particolare Tommaso d’Aquino, Egidio Romano, Duns Scoto), ma includente anche opere di diritto, grammatica, medicina.
Fonti e Bibl.: Per la ricostruzione delle vicende del M. all’interno dell’Ordine agostiniano, vedi il vol. VII di Analecta Augustiniana (1917-18), pp. 131-143, 165-212, 257-384, 389-403, 465-473. Roma, Biblioteca Casanatense, Mss., 4057: S. Laurienti, Historia Corana, 1637-38, cc. 54r-60v; M. Venia, Praefatio a S. Ambrosius, Hexameron; De Paradiso; De Ortu Adae, De arbore interdicta; De Cain et Abel, s.l. né data [ma Milano circa 1481], c. 5r; T. de Herrera, Alphabetum Augustinianum, Matriti 1644, I, p. 41; L. Torelli, Secoli agostiniani, VII, Bologna 1682, pp. 247-350; J.F. Ossinger, Bibliotheca Augustiniana, Ingolstadt 1768, pp. 260-264; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VI, Modena 1776, p. 221; J. Lanteri, Illustriores viri Augustinienses, II, Tolentino 1859, pp. 24-27; S. Infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, Roma 1889, p. 177; D.A. Perini, Bibliographia Augustiniana, II, Firenze 1931, pp. 194-197; D. Gutiérrez, La biblioteca di S. Agostino di Roma nel secolo XV, in Analecta Augustiniana, XXVIII (1965), 59, pp. 65, 135-147; Id., Gli agostiniani nel Medioevo. 1357-1517, Roma 1987, pp. 44, 64 s., 67, 122, 127, 138, 165, 175-177, 194, 206, 245, 365, 395; Egidio da Viterbo, Regestae generalatus, I, 1506-1514, a cura di A. De Meijer, Roma 1988, pp. 57 s.; C. Alonso, Bullarium Ordinis Sancti Augustini. Regesta, III, 1417-1492, Roma 1998, pp. 242 s., 394; F. Biferali, A. M., Guglielmo d’Estouteville e il chiostro figurato di S. Oliva a Cori, Tolentino 2002, pp. 27-93; Il complesso monumentale di S. Oliva a Cori. L’Età romana, medievale, moderna e contemporanea, a cura di D. Palombi - P.F. Pistilli, Tolentino 2008, pp. 65-85, 125-152, 161-181; La carriera di un uomo di Curia nella Roma del Quattrocento, in A. M. da Cori agostiniano (1432?-1485). Cultura umanistica e committenza artistica. Atti del Convegno, Roma-Cori… 2005, a cura di C. Frova - R. Michetti - D. Palombi (in corso di stampa); Enc. cattolica, I, col. 1000; Lexikon für Theologie und Kirche, I, p. 427; Dict. d’hist. et de géogr. ecclésiastiques, II, coll. 1116-1119; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, LXXXIX, pp. 198 s.