BUTERA, Ambrogio Santapau Branciforte principe di
Nacque forse a Licodia (Catania) da Porzio e da una Branciforte, intorno al 1518, da famiglia di antica nobiltà trasferitasi nell'isola dalla Catalogna fin dalla seconda metà del sec. XIV. "Ancora ben giovane", come scrisse il viceré Ferrante Gonzaga, fu coinvolto in un grave fatto di sangue. Insieme con il padre e con lo zio Francesco Santapau appoggiò il marchese di Pietraperzia in una contesa con il vecchio padre, che alla fine restò ucciso. Il Gonzaga avrebbe voluto punire duramente il marchese di Pietraperzia, anche per dare un esempio alla turbolenta nobiltà siciliana, ma l'intervento tempestivo della corte glielo impedì. I Santapau riuscirono per giunta a instaurare buoni rapporti con lo stesso vicerè, che fece più volte ricorso alla ricca borsa del vecchio marchese di Licodia per le necessità finanziarie del Regno.
Il 16 ag. 1540 il B. ricevette l'investitura per la terra di Butera col titolo baronale, per donazione del padre, e alla fine dell'anno successivo il sovrano lo nominò stratigoto e capitano delle armi della città di Messina per gli anni 1542-1543.
Assunta la carica, si adoperò perché fosse continuata la costruzione delle mura e delle torri, che dovevano completare il sistema di fortificazione della città. Nel giugno 1543 dette prova di notevoli capacità di governo. Il 15 di quel mese venne avvistata nelle acque dello stretto una numerosa flotta turca comandata da Khair ad-din detto il Barbarossa, che il giorno dopo attaccò Reggio e ne espugnò il castello, dando alle fiamme parte della città dopo aver fatto man bassa d'ogni cosa e aver preso molti prigionieri. Lasciata Reggio, il Barbarossa tentò uno sbarco nella zona del Faro, a nord di Messina, ma venne respinto con prontezza dagli abitanti del villaggio. Di fronte all'incalzante pericolo di un attacco in forze lo stratigoto chiamò alle armi tutti i cittadini validi, e fece convergere sulla città i contadini dei villaggi vicini e ottocento archibugieri dei presidi circostanti. La pronta reazione degli abitanti del Faro e gli apprestamenti difensivi organizzati dal B. indussero l'avversario a desistere da ulteriori attacchi e il 19 il pericolo poté considerarsi passato.
Il 29 ag. 1542 - mentre era stratigoto di Messina - il B. successe al padre come erede legittimo nel titolo di marchese di Licodia e in tutti i beni e titoli di pertinenza della famiglia. Nel Parlamento del 1544 venne eletto deputato del Regno e l'elezione fu rinnovata nei Parlamenti del 1546, 1549, 1557 e 1562. L'11 maggio 1546 fu nominato presidente del Regno, ma, per cause di forza maggiore, in modo non conforme alla prassi. Ferrante Gonzaga aveva ricevuto la notizia del nuovo incarico, che lo portava fuori dell'isola, non con un dispaccio diretto del sovrano, ma per mezzo di un messaggero speciale, accreditato presso di lui da una lettera del cardinale di Granvelle. Lo stesso messaggero aveva anche precisato che "Sua Maestà rimetteva a Sua Eccellenza di far et lasciar Presidente in questo Regno chi pareva a lei e che non se li mandava di ciò la potestà in scripto atteso che Sua Maestà non voleva palesar di qualche giorno detta eleccione de li carrichi di Lombardia per alcuni respetti". Il 1º maggio il viceré aveva convocato il Sacro Regio Consiglio per consultarlo sulla possibilità di procedere alla nomina di un presidente anche in mancanza di un esplicito mandato scritto dell'imperatore. Il Consiglio dopo lunga discussione, attesa l'assoluta attendibilità del messaggero, espresse parere favorevole e il viceré il giorno 11 procedette alla nomina, con la riserva "quousque per Suam Cesaream Maiestateni fuerit aliter provisum". Ma prima che il Gonzaga rendesse pubblica la sua decisione - il 29 aprile - il marchese di Terranova inviava una lettera al sovrano, per rilevare che la nomina doveva considerarsi illegittima perché in contrasto con le prammatiche del Regno. Il B. quindi "per essere giovane et non di quella esperienza che ricercaria l'importanza del carico", doveva essere sostituito al più presto dal nuovo viceré. A dispetto di queste resistenze il 16 maggio il B. assunse l'alto ufficio, prestando il giuramento di rito nella cattedrale di Palermo, e alla fine del mese si trasferì a Messina. Il 10 giugno Carlo V, con un dispaccio datato da Ratisbona, gli confermò la nomina che riconobbe esplicitamente valida e legittima.
Appena giunto a Messina, il B. dovette sanare un grave dissidio sorto in seno al Senato, dove i rappresentanti della nobiltà erano stati accusati dagli altri senatori di avere monopolizzato il governo della città. Nello stesso tempo destituì alcuni dei funzionari preposti alla Zecca per gravi manchevolezze commesse.
Nell'ottobre successivo affrontò l'opposizione del Senato cittadino, che rifiutava di riconoscere la nomina a stratigoto di Antonio Branciforti barone di Mirto, perché per antico privilegio non poteva essere chiamato a ricoprire quella carica un cittadino messinese. Il B. superò l'ostacolo, convincendo i senatori a inoltrare una supplica a Carlo V perché, in deroga ad ogni privilegio, chiamasse all'alto ufficio un messinese. Su questa manovra influì forse il desiderio di favorire il barone di Mirto, legato al B. da parentela.
Grande energia dimostrò il B. nella lotta contro il banditismo, piaga fra le più gravi nella vita dell'isola, e nei provvedimenti annonari adottati per fronteggiare la carestia. Provvide anche a rifornire di viveri la guarnigione della Goletta e a mandare avanti la costruzione delle fortificazioni dell'isola. La sua azione di governo fu contrastata tenacemente e insidiosamente dal solito marchese di Terranova, che aveva iniziato col segnalare a corte il vizio di forma della nomina e continuò accusandolo di scarsa tempestività nell'invio dei soccorsi alla Goletta e di incapacità di sfruttare la situazione di mercato creata dalla carestia. Secondo il Terranova da essa l'erario avrebbe potuto trarre notevoli guadagni con una forte imposta sul commercio del grano, che il B. si oppose invece di portare a livelli superiori ai 10 tarì.
Le accuse del suo acerrimo avversario politico, che fu appoggiato anche dal consultore del Regno Andrea Arduino, non ebbero però alcun risultato: l'imperatore lo lasciò infatti alla presidenza del Regno per un anno buono, fino alla fine di maggio del 1547, quando giunse in Sicilia il nuovo viceré. Inoltre, con cedola reale del 10 luglio 1549, gli fu assegnato l'ufficio di maestro giustiziere, che lo poneva - a vita - al vertice della magistratura isolana e gli assicurava una posizione di notevole prestigio e un emolumento annuo fra i più alti pagati dall'erario a ufficiali del Regno.
Il 21 maggio 1552 il vicere Juan de Vega lo nominò vicario generale e capitano delle armi per la Val di Mazara per fronteggiare temuti colpi di mano della flotta turca. La situazione era considerata tanto grave da indurre il sovrano ad autorizzare vendite e alienazioni temporanee del Regio Patrimonio per provvedere alle più urgenti necessità della difesa del Regno. Il B. per suo conto soccorse le casse dello Stato versando circa 15.000 scudi. Con tale somma acquistava - con patto di retrovendita che veniva posto in atto nel settembre del 1556 - le secrezie di Lentini e Carlentini.
Nel 1555 il de Vega propose a corte di aumentare il numero dei componenti del Regio Consiglio per migliorarne la funzionalità e fece il nome del B. come quello di uomo "que tien esperiencia y ha governado con todo amor y buena diligencias. La proposta del viceré non ebbe seguito, ma al B. non mancarono altri riconoscimenti: il 5 marzo 1563, primo fra i nobili siciliani, gli fu concesso il titolo di principe sul feudo di Butera. Nel privilegio di concessione esecutoriatto il 4 apr. 1564 veniva anche ricordato il valido aiuto dato al sovrano nella spedizione di Algeri. Il 1º maggio 1564, nell'imminenza di nuove sortite della flotta turca, il viceré lo incaricò di organizzare le difese della Val di Noto come vicario generale e capitano delle armi. Nel mese di luglio gli avvistamenti di unità turche lungo le coste della Sicilia si fecero più frequenti tanto che il 2agosto il vicerè ordinò al B. di concentrare buon nerbo di armati in Lentini. Però verso la metà del mese egli morì improvvisamente.
Non lasciò eredi diretti, perché dalle nozze celebrate con Antonia del Balzo e Caraffa, figlia di Giacomo conte di Ugento e Castro, non erano nati figli, e il titolo passò al fratello Francesco, che ne ricevette investitura l'8 luglio 1565.
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