Ambrogio
Dottore della Chiesa (Treviri 333 o 340-Milano 397), santo. Rimasto orfano del padre, che a Treviri era forse prefetto al pretorio, si recò a Roma con la madre, la sorella Marcellina (monaca nel 353 o 354) e il fratello Satiro (m. 378). Protetto da Sesto Petronio Probo, prefetto al pretorio, divenne (370 ca.) consularis dell’Emilia e della Liguria, con residenza a Milano. Morto il vescovo Aussenzio, ariano, A., ancora catecumeno, fu proclamato vescovo e in pochi giorni ebbe il battesimo e la consacrazione (7 dic. 374). Iniziò quindi la preparazione teologica e compose dapprima scritti esegetici e in lode della verginità.
Divenuto influente, persuase l’imperatore Graziano a riprendere la legislazione antipagana e a ordinare (382) la rimozione della statua della Vittoria dalla curia del senato, provvedimento che provocò accese proteste e una vivace polemica fra A. e Simmaco. In quella occasione A. richiamò ai suoi doveri di cristiano l’imperatore (Valentiniano II, succeduto a Graziano), che egli riteneva posto ‘nella Chiesa’, non ‘al di sopra’ di essa. Valentiniano e la madre Giustina gli dovevano gratitudine per la missione (inverno 383-384) in Gallia presso l’usurpatore Massimo, che si astenne per il momento dall’attaccare l’Italia. Una seconda missione (385) fallì. Ma già redigendo il De fide (378-380) per Graziano e nel concilio di Aquileia (381), A. s’era fatto difensore dell’ortodossia contro gli ariani. Questi erano favoriti da Giustina, la quale ingiunse ad A. di cedere loro una chiesa; A. resistette (385), ma il conflitto si fece più aspro l’anno dopo, quando, venuto a Milano un vescovo eretico, anch’egli di nome Aussenzio, A. per non cederla al nuovo venuto fece occupare la basilica Porzia dalla folla, la quale ravvivata nella sua fede e dal canto liturgico, insegnato da A., sostenne un vero assedio, finché la corte dovette cedere. Poco dopo (Pasqua, 387) battezzò s. Agostino. La medesima fermezza mostrò verso Teodosio, quando questi ordinò la ricostruzione, a spese del vescovo, della sinagoga di Callinico distrutta dai cristiani, e, soprattutto, in occasione della feroce repressione d’una sedizione, ordinata da Teodosio a Tessalonica (390): gli episodi, anche se spogliati degli abbellimenti leggendari, sono significativa applicazione del principio sopra ricordato (che passò al Medioevo) secondo il quale l’imperatore era ‘nella Chiesa’, non ‘al di sopra’. A. è una delle massime figure di vescovo del sec. 4°.
Teologo poco originale, tributario dei Greci (specialmente dei grandi Cappadoci), ma coniatore efficace di formule largamente accolte, diede ottima prova nel governo ecclesiastico: avversario di eretici (anche i manichei, Gioviniano e Apollinare di Laodicea) e dissidenti (l’antipapa Ursino; meno felice fu A. nei rapporti con Costantinopoli e Antiochia, osteggiando Nettario e Melezio), e difensore del primato romano (Ubi Petrus ibi Ecclesia); ritrovatore di reliquie (dei santi Gervasio e Protasio a Milano, di Vitale e Agricola a Bologna, e di Nazario e Celso a Milano); guida autorevole dell’episcopato dell’Italia settentrionale; moralista esaltatore della castità, della carità e della giustizia; regolarizzatore della liturgia, anche nel canto, e autore di inni (autentici, circa una dozzina, in strofe di quattro versi in dimetri giambici) che sono uno dei suoi titoli alla fama letteraria, da lui meritata anche come oratore efficacissimo. Dei trattati esegetici, in cui impiegò largamente l’allegorismo, il più noto è l’Hexaëmeron (sui 6 giorni della creazione); tra i morali, il De officiis ministrorum, ricalcato sul De officiis ciceroniano, è il primo tentativo di sintesi dell’etica cristiana. Importanti, come documenti storici, le lettere.
A., effigiato come vescovo, ha per attributi: il libro, perché dottore della Chiesa (rilievo in stucco dell’11° sec. nella Basilica ambrosiana a Milano); l’alveare, simbolo di eloquenza e allusivo alla leggenda che le api iniettassero il miele ad A. bambino, senza pungerlo (paliotto d’oro nella stessa Basilica ambrosiana, del 9° sec.); il flagello, allusivo alla penitenza imposta a Teodosio. La più antica effigie del Santo – senza nimbo e senza attributi – è quella, in mosaico, nella cappella dei santi Vittore e Satiro della Basilica ambrosiana, attribuita al sec. 5°.
Biografia