AMBROGIO
Documentato come vescovo di Bergamo, primo di tal nome, dall'aprile del 971 al maggio del 973; probabilinente ricoprì l'alta dignità, come successore di Olderico, dal 970, in quanto è menzionato nella Vita Deoderici episcopi Mettensis di Sigeberto di Gembloux a proposito di avvenimenti di tale anno.
Professante legge longobarda, A. appartenne quasi sicuramente a cospicua famiglia bergamasca: i vasti beni da lui posseduti in città e nel contado e l'essere egli stato eletto proprio a capo della diocesi di Bergamo confortano questa ipotesi. È invece cosa assai dubbia, data l'inesistenza di documentazione, che A. provenisse dalla famiglia gisalbertina .dei conti di Bergamo e fosse fratello di Gisalberto II.
Se è da identificarsi con quel "presbyter" della Chiesa milanese, che fu in corrispondenza, intorno al 945-950, con il vescovo di Vercelli Attone, A., formatosi nelle scuole della metropoli milanese, conobbe assai bene il greco e fu dotato di notevole cultura letteraria e giuridica; da alcuni studiosi fu ritenuto "scholasticus'' della scuola ambrosiana: certo il dotto vescovo vercellese riservò ad A. "presbyter" particolari espressioni di riverenza per la sua pietà e di stima per la sua dottrina. Per quanto l'identificazione del nostro A. con il "presbyter'' della Chiesa ambrosiana si basi solo su di un'ipotesi, essa è tuttavia suggestiva: l'essere stato A. "scholasticus" o comunque uomo di studio e di cultura, s'accorda bene con quella che sarà la caratteristica più significativa del suo breve pontificato: l'interesse fattivo per la scuola episcopale bergamasca.
Se è solo un'ipotesi che il futuro vescovo di Bergamo sia stato presbitero della Chiesa milanese, sembra invece da considerarsi come cosa sicura la sua identificazione con l'A. che fu cancelliere di Ottone I per l'Italia dal 2 dic. 966 al 25 maggio 970. La nomina ad una carica di tale prestigio è prova da una parte dell'importanza della persona di A., dall'altra del suo atteggiamento leale verso il nuovo imperatore sassone. Si può pensare infatti che A. sia divenuto cancelliere in occasione del rimaneggiamento della cancelleria italiana compiuto nel 965 da Ottone I per allontanarne gli elementi ancora legati a nostalgie berengariane, come l'arcicancelliere Guido, vescovo di Modena.
Nel suo nuovo incarico A. partecipò ai principali avvenimenti politico-religiosi del suo tempo, avvicinando le figure più rappresentative dell'età di Ottone I. Particolarmente interessanti sono a questo proposito i suoi rapporti col fiero vescovo veronese Raterio testimoniatici da due lettere. Entrambe del 968, l'una della metà d'aprile, l'altra degli inizi di luglio, esse furono certo scritte da Raterio ad A. perché questi, che come cancelliere era il normale tramite con l'imperatore, intercedesse in suo favore presso Ottone I nella sua controversia contro il suo clero maggiore. È specialmente pressante questa richiesta nella seconda delle due lettere, la quale narra l'esito, sfavorevole a Raterio, del placito del conte di Verona, Nannone. Probabilmente poco dopo la prima lettera, Raterio spedì allo stesso A., perché lo sottoponesse ad Ottone I, il famoso Iudicatum, cioè quel piano per una più equa distribuzione delle rendite dei beni cattedrali, elaborato dal vescovo veronese, che doveva suscitare tanta reazione nel clero maggiore della sua diocesi. Raterio dedicò al cancelliere anche un opuscolo, forse il Qualitatis coniectura, nel quale riassunse i termini della controversia.
Non sono precisabili i limiti e le modalità dell'azione di A., se pure ne ebbe una, nell'ambito degli avvenimenti cui certo partecipò: la dieta di Ravenna (primavera 967) che prese provvedimenti contro il clero concubinano e vide la restituzione, seppure formale, da parte di Ottone I di Ravenna e dell'Esarcato al pontefice; la dieta di Verona (ottobre 967), di cui si sa tuttavia poco; la solenne e significativa incoronazione di Ottone II ad imperatore a Roma (Natale 967); i reiterati tentativi di Ottone I in direzione dell'Italia meridionale (febbr. 967, ott. 968, marzo 970).
Certo compenso del lungo, fedele servizio a fianco del primo imperatore sassone fu la nomina di A. a vescovo di Bergamo. Le pochissime testimonianze della sua attività a capo della diocesi bergamasca mostrano il nostro vescovo preoccupato del miglioramento materiale e spirituale della sua Chiesa; significativo il contratto a livello stipulato con il patriarca di Aquileia Radaldo nel luglio del 972: con esso infatti la Chiesa di Bergamo ottenne l'usufrutto di tutti i beni posseduti dalla Chiesa di Aquileia nel territorio bergamasco (Curno, Telgate, Valle Camonica), concessi con la solita formula "ad meliorandum''. Può darsi che per la concessione di questi beni, fino a quel momento allivellati al vescovo di Cremona, A. si possa essere anche giovato d'una conoscenza personale col patriarca. Ma soprattutto importante e significativo è l'atto, del maggio 973, con il quale A. dotò i maestri di grammatica e di canto della scuola cattedrale di Bergamo di un'ampia fondazione, donando loro beni di sua proprietà siti in Bergamo, Aste ed Albano, onde potessero proficuamente e senza difficoltà esercitare il loro magistero. L'entità del lascito (100 "tabulae'', pari a duemilasettecento metri quadrati di terreno, nella sola città) testimonia ancora una volta sia la cospicuità della famiglia da cui A. proveniva, sia la sua generosità e il suo sincero amore per la cultura ecclesiastica, prezioso indizio di quanto si andava facendo da parte del clero più sensibile e preparato dell'età ottoniana e appoggiato dagli stessi Ottoni, per rinnovare la Chiesa ed i suoi membri. E in questa direzione è lecito supporre che A. fosse influenzato anche dai contatti avuti con uomini come, forse, Attone di Vercelli, e, certo, Raterio di Verona, rappresentanti cioè di una cultura preoccupata delle sorti della chiesa.
Intonate a questi atteggiamenti del vescovo A. sono le attribuzioni di due operette alla sua penna: una piccola cronaca di fatti della sua epoca che un antico scrittore bergamasco, il Vaerini, asserì d'aver visto, in una edizione a stampa, nella biblioteca della Certosa di Venezia, oggi irreperibile; e la cosiddetta Dativa Historia, cioè il De situ urbis Mediolani, che afferma il primato milanese su tutte le Chiese del "Regnum", in antagonismo con le tradizionali prerogative della Chiesa pavese. Quanto si sa di un'azione di A. per portare in Bergamo le reliquie di s. Vincenzo di Saragozza è ulteriore prova del profondo interesse religioso-spirituale che guidò il vescovo durante il suo pontificato.
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