AMBROGIO
Proveniente dalla potente famiglia, forse vassalla del vescovato, dei signori di Mozzo, località situata all'estrema propaggine occidentale dei colli di Bergamo, fu chierico e canonico della chiesa e cattedrale di S. Vincenzo di Bergamo. Lo si trova menzionato per la prima volta il 10 nov. 1110; in tale data, ancora quale "clericus", sottoscrisse la rinuncia delle decime del territorio suburbano, a nord-ovest della città, fatta dai canonici di S. Vincenzo a favore del capitolo di S. Alessandro. Con ogni probabilità è priva di solido fondamento la notizia che A. sia stato anche monaco del monastero di S. Sepolcro di Astino, forse vallombrosano, vicino a Bergamo, di cui però fu bene-fattore.
Recatosi, probabilmente dopo il 1110, "ad studia" a Parigi, come abitudine dei migliori membri del clero, A. vi rimase ben poco tempo: nel gennaio 1112 infatti, già "episcopus electus", sottoscriveva all'atto che, perfezionando l'accordo tra i canonici di S. Vincenzo e quelli di S. Alessandro, rese operante la rinuncia già fatta sin dai primi del 1110; i canonici di S. Vincenzo, che probabilmente non volevano rispettare l'atto già stipulato, ebbero infatti come ricompensa, a titolo di permuta, diritti su altre decime fino allora di pertinenza dei canonici di S. Alessandro. Questa concessione, forse strappata da A. con l'autorità che la nuova carica conferiva all'antico "clericus'' di S. Vincenzo, è assai significativa come primo atto del nuovo vescovo tendente a ristabilire una certa pace nella vita ecclesiastica cittadina e a proteggere il capitolo da cui proveniva.
Toccava ad A., divenuto vescovo in un momento particolarmente delicato della vita della sua diocesi, il pesante compito della restaurazione patrimoniale e spirituale della Chiesa bergamasca turbata dalle conseguenze della lotta per le investiture.
Bergamo era infatti praticamente senza vescovo da quando, nel 1098, il predecessore di A., Arnolfo, era stato deposto per aver aderito allo scismatico papa Clemente III, ma non sostituito da altro presule. La vita della diocesi "in spiritualibus" era quindi rimasta, fino alla morte di Arnolfo ed alla elezione di A., nelle mani dei canonici di S. Vincenzo nella persona del loro presbitero Alberto da Sorlasco: a lui fu affidata da Pasquale .II la scelta del successore di Arnolfo. La lunga vacanza della sede episcopale aveva da una parte facilitato l'emancipazione della città dal predominio fin'allora esercitato dai vescovi -essa, probabilmente dal 1110, certamente dal 1117 risulta retta dai consoli -, dall'altra aveva certo portato ad un depauperament0 dei beni della Chiesa, le cui rendite erano rimaste allo scismatico Arnolfo, e a un disordine nella sua vita spirituale: il nascere ed il crescere delle controversie tra i due capitoli cattedrali ne sono un sintomo evidente. Inoltre la necessità di tutelare la propria integrità da possibili pressioni del vescovo scismatico e la mancanza dell'autorità centrale a cui affidare la tutela dei propri diritti portarono probabilmente i canonici stessi a cercare e a ottenere rispetto all'autorità vescovile un'autonomia quale non si era conosciuta nelle età precedenti. Le due bolle di papa Pasquale II per i canonici di S. Vincenzo prima (1101), per quelli di S. Alessandro poi (26 apr. 1109), sono assai significative.
Il compito che si prospettava ad A. era dunque difficile e tanto più in quanto non vi era stata unanimità di consensi alla sua elezione: i canonici di S. Alessandro in-fatti, che non aderirono, come sembra, alla sua candidatura vedendo probabilmente malvolentieri un membro del collegio canonicale avversato divenire presule, si lamentarono, anche se invano, presso il re Enrico V perché era stato eletto vescovo di Bergamo un "Patavinus" (forse "patarinus?), "contra decus et honorem Imperii".
Si deve pensare che Alberto da Sorlasco confidasse nella potenza della famiglia dei Mozzi, influente negli "urbana negotia" come attesta il contemporaneo Mosé del Brolo nel suo Pergaminus,e nella "plenitudo bonorum" di cui, per testimonianza dello stesso Mosè, era ornato Ambrogio, perché la diocesi potesse essere retta con mano ferma, ed in essa i canonici di S. Vincenzo potessero conservare il predominio fin'allora esercitato.
Vari atti provano la buona volontà con la quale il nuovo vescovo si accinse a svolgere l'azione di recupero dei beni vescovili andati dispersi nella burrascosa età precedente: nell'agosto del 1118 infatti ottenne da Guala "de Saltu" la restituzione di beni a lui giunti per mano del vescovo Arnolfo in varie località (come Parre, Valle di Ardesio, Scalve, Dezzo, ecc.); inoltre, probabilmente per ragioni analoghe, entrò in discordia, in data non precisabile, con Raimondo "de Cene'' per terre poste in Casale Gavazzolo e Grumelo. Della sua preoccupazione per la rinascita della vita religiosa è segno interessante la particolare cura che dimostrò per il monastero di S. Sepolcro di Astino: nel 1117 assistette, insieme al vescovo di Lodi Arderico, alla dedicazione di questo cenobio; successivamente lo dotò d'un campo del vescovato posto in Astino (agosto 1120) e dell'intero monte di Fasciano (febbraio 1125), parte dell'attuale territorio di Stabello.
Il tentativo che fece per recuparare l'autorità e la preminenza, comunque il controllo, sull'attività dei canonici di S. Alessandro, aprì invece una lunga controversia culminata con il lancio dell'interdetto contro i canonici da parte del nostro vescovo. La causa terminò nel 1129 davanti al tribunale papale a Roma con il riconoscimento delle ragioni dei canonici, pur rimanendo saldo il principio della reverenza dovuta al vescovo.
Non è giunto il testo della sentenza vera e propria, ma un breve diretto il 14 maggio 1129 da papa Onorio II ai canonici di S. Alessandro permette di conoscere sia i precisi motivi della discordia, sia le precise decisioni del tribunale papale. Il vescovo rivendicava la proprietà di decime rivendicate anche dai canonici; il diritto di scegliere i nuovi membri del capitolo; si rifiutava di consacrare la chiesa di Licina costruita senza il suo consenso e vantava diritti su un'altra chiesa posta in Almè; negava ai canonici le offerte che venivano fatte sull'altare di s. Alessandro in occasione della festa del santo. Onorio II riconobbe ai canonici il diritto di eleggere i nuovi membri del collegio, affidandone al vescovo la consacrazione; permise la scelta vescovile solo se confortata dal consenso del capitolo; stabilì a riguardo delle decime che i canonici possedessero in pace tutte quelle che potevano provare essere state loro concesse dallo stesso A. e dai suoi predecessori; fissò di competenza del vescovo le offerte di s. Alessandro; tolse l'interdetto che Ambrogio aveva lanciato.
Tuttavia la causa non si chiuse con la sentenza papale della primavera del 1129. A. infatti non doveva essersi rassegnato alla rinuncia di quelli che riteneva suoi legittimi diritti sulle due chiese già oggetto della sentenza papale; se Onorio II in una successiva lettera del 1129 esortò il vescovo a trattare i canonici "tam quam bonus Pater'' ed a non inquietarli sulle chiese in questione; e se vennero inviati a Bergamo due legati papali, i cardinali Giovanni del titolo di S. Crisogono e Pietro del titolo di S. Anastasia. La sentenza da loro emessa il 13 ott. 1129 stabilì con precisione i doveri del vescovo sulle chiese in questione riconosciute "iuris et proprietatis b. Alexandri ordiis".
Le testimonianze giunte sull'attività del capitolo di S. Alessandro confermano la completa autonomia raggiunta: una sola volta A. sottoscrisse a un atto di permuta stipulato dal preposito di S. Alessandro Pietro. Nelle altre operazioni di carattere economico non compare più il "missus episcopi'' che fino alla metà dell'XI secolo era stato sempre presente nella vita economica dei capitoli bergamaschi.
Dopo questa controversia l'accordo tra il vescovo ed il capitolo canonicale tornò: A. fu giudice infatti, probabilmente per accordo tra le parti, in una controversia tra i rustici di Calusco e i canonici di S. Alessandro, agitatasi prima del luglio 1130; intorno al 1130 ancora, Mosè del Brolo, in una lettera da Costantinopoli, pregò il fratello Pietro, che era il preposito di S. Alessandro, di salutare "dominum Ambrosium episcopuni sicut dominum et patrem''.
Poco è noto intorno all'attività del vescovo A. nelle vicende più generali della lotta tra la Chiesa ed Enrico V e tra Lotario di Supplimburgo e Corrado di Svevia. Tuttavia l'essersi sempre rivolto al pontefice romano nelle sue controversie, l'averne rispettato in sostanza le disposizioni, il non aver mai sollecitato nelle sue difficoltà interventi estranei, sono tutti indizi che non fanno dubitare che A., e con lui il suo clero, si sia sempre schierato a fianco dei pontefici romani nelle tormentate vicissitudini di questi anni.
Documentati sono i suoi contatti con gli arcivescovi di Milano Giordano, da cui fu forse consacrato vescovo, ed Olrico. Fu infatti a Milano per il sinodo che Giordano tenne nel novembre 1119 e sottoscrisse in questa occasione al placito che lo stesso arcivescovo presiedette per dirimere una controversia tra i preti decumani milanesi ed i cappellani; fu ancora a Milano nel dicembre 1125, giudice in un altro placito di Olrico, successore di Giordano, per una questione tra i vescovi di Tortona e di Lodi. Partecipò con ogni probabilità all'elezione di Anselmo alla cattedra arcivescovile milanese, dopo la morte di Olrico, ed a Milano sottoscrisse il placito con cui Anselmo, dopo l'aprile 1126, confermò la sentenza di Olrico riguardo la controversia tra Arderico di Lodi e Pietro di Tortona.
Non è improbabile che abbia partecipato anche ad altri avvenimenti di grande importanza: l'assemblea che si riunì a Milano nel gennaio-febbraio 1117 per trattare della posizione di Milano e della Chiesa lombarda dopo la scomunica di Enrico V; il primo concilio ecumenico romano (1123) cui presenziò il metropolita di A., Olrico che sancì gli accordi tra papato ed impero conclusi con il concordato di Worms (1122), il sinodo di Pavia (estate 1128) che scomunicò l'arcivescovo di Milano Anselmo reo d'aver unto re Corrado di Svevia (28 giugno 1128) contro il candidato papale Lotario di Supplimburgo.
Gli ultimi anni del vescovato di A. furono turbati da nuove liti tra i capitoli di S. Alessandro e S. Vincenzo per le pretese di superiorità di questo sul primo.
Tutta la causa fu discussa davanti al pontefice Innocenzo II durante il suo soggiorno in Lombardia (31 maggio-30 giugno 1132): fu definita dallo stesso Innocenzo II due anni dopo. Anche dopo la morte di Onorio II, quindi, la Chiesa bergamasca rimase fedele al legittimo pontefice di fronte all'antipapa Anacleto, pur sostenuto dalla vicina Milano.
L'ultima testimonianza di A. è del marzo 1133, quando presenziò ad uno scambio di promesse tra privati, in Bergamo.
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