AMBROSIANI o Ambrosini
Ordine religioso milanese che ha lasciato di sé poca traccia, essendosi spento fin dalla prima metà del'600, per scarso rendimento e per mancanza di adepti. Le poche notizie che se ne hanno ci riferiscono che questi frati, detti anche frati dei Ss. Barnaba e Ambrogio ad Nemus, possedevano, nel sec. XVII, in Milano, un monastero con chiesa detta di S. Primo, alla quale era annessa anche la parrocchia che fu poi divisa in tre parti, di cui una toccò a S. Bartolomeo, la seconda a S. Babila e la terza a S. Andrea, tre parrocchie in città. La chiesa o convento dell'ordine si trovava a porta Orientale, al principio della cosiddetta Strada Marina, ed era unita al Collegio Elvetico. Si sa che al principio del '600 era protettore degli ambrosiani il cardinale Giulio Roma, di Milano. Dal 1481 era stata loro affidata dalla città la cura della chiesa di S. Ambrogio della Vittoria, eretta a Parabiago in ricordo della vittoria ivi ottenuta dai Milanesi su Francesi e Svizzeri, nel 1339; e i frati dell'ordine vi vennero formando a poco a poco un vero convento, tanto che, crescendo l'importanza della nuova casa, poterono istituirvi un priore.
Sorse però una controversia fra la città e l'ordine degli ambrosiani, a dirimere la quale si interpose il cardinale Roma, che fece varie proposte, senza trovare tuttavia favorevole accoglienza, esigendo il consiglio generale della città il ripristino dei patti primitivi, o la rescissione del contratto fra la rappresentanza civica e l'ordine di S. Ambrogio ad Nemus. Gli ambrosiani, nella contesa, erano decisi a dare ampia soddisfazione all'altra parte, quando giunse la notizia dell'annichilazione, ossia dell'abolizione della loro religione, decretata da Innocenzo X con la bolla Quoniam, in data 1 aprile 1645, per cui i monasteri degli ambrosiani venivano eretti in benefici secolari, e quello di Parabiago, con gli altri della provincia milanese, veniva assegnato in commenda al cardinale Odescalchi.
Bibl.: M. Cremosano, Memorie storiche milanesi, in Archivio storico lombardo, 1880, p. 277; A. Giulini, ibidem, 1923, p. 144.