ROMAGNANO, Amedeo
da. – Figlio naturale di Antonio da Romagnano (v. la voce in questo Dizionario), nacque nel 1431, in luogo e da madre ignoti.
La nascita illegittima fu taciuta dal primo biografo, Ernesto Vernazza, per suggerimento del suo principale informatore – il vescovo di Mondovì Michele Casati – perché «questa bastardia non fa onore né al vescovo, né alla sua Chiesa» (Claretta, 1879).
La prima notizia certa risale al 1449, quando Amedeo ottenne, compiuti i 18 anni, il beneficio connesso alla chiesa di S. Maria di Pollenzo. Durante gli anni Cinquanta portò a compimento i suoi studi presso l’Università di Torino laureandosi in diritto civile e canonico; prima del 1465 aveva ottenuto la carica di protonotario apostolico. Alcuni anni più tardi (1473) prese contatti con Cicco Simonetta, il leader della corte e della cancelleria sforzesca, per acquisire informazioni sulle reazioni del duca di Milano al possibile spostamento del padre Antonio dal servizio diplomatico sforzesco alla cancelleria sabauda.
Le notizie biografiche su Romagnano prendono consistenza a partire dal 1480, quando fu chiamato – subito dopo la morte del padre – a far parte del Consiglio di Stato attivo a Torino, l’organo collegiale cui era riservata la giustizia d’appello. L’anno successivo iniziò anche l’attività diplomatica: con Antonio Giacomo del Pozzo fu inviato a Genova nel giugno 1481 per incontrare il doge e la delegazione papale (costituita dai cardinali Paolo Fregoso e Giovanni Battista Savelli) destinata a esperire forme di collaborazione fra gli Adorno e i Fregoso. Insieme all’arcivescovo, nominato generale della flotta Adriatica, Romagnano e del Pozzo avevano il compito di organizzare l’armamento delle navi papali (21 galere, in quel momento a Nizza), da utilizzare contro i turchi che alcuni mesi prima erano sbarcati a Otranto.
Nelle vesti di cancelliere, Amedeo presenziò nei mesi successivi (inizio 1482) a tutti gli atti pubblici più rilevanti del duca Filiberto I: una visita ufficiale a Lione presso il re di Francia, l’attribuzione della luogotenenza generale 'di là dai Monti' al vescovo di Ginevra, la conferma dei privilegi che il conte di Baugé aveva concesso nel 1471 a Bourg-en-Bresse (19 marzo 1482). Ma un mese dopo (22 aprile) Filiberto I moriva improvvisamente, senza eredi. Il suo corpo fu trasportato nel monastero di Altacomba, dove avevano dimora molti suoi antenati. Ai funerali molto probabilmente fu presente Amedeo.
L’avvicendamento tra Filiberto I e il nuovo duca, suo fratello Carlo I, mise in difficoltà Romagnano nei rapporti con la corte e il Consiglio di Stato, sì che egli chiese (1485) di essere annoverato tra i canonici del capitolo della Cattedrale di Torino, salvo poi rientrare nel Consiglio nel 1490 – su probabile sollecitazione del nuovo cancelliere Antoine Champion vescovo di Mondovì – quando iniziò la reggenza di Bianca di Monferrato. Da allora, e per un quinquennio, la sua perizia in materia giuridica e il suo senno politico furono messi a frutto in una serie di provvedimenti significativi (oltre a fruttargli un incremento del compenso annuo a 400 fiorini piccoli di Savoia).
La normativa elaborata con il concorso e il consenso di Romagnano riguardò la regolamentazione della circolazione monetaria aurea e la repressione dei falsi, uno snellimento nella procedura di escussione delle testimonianze nelle cause civili, la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi, la tutela dei beni dotali di carattere feudale e la possibilità di alienare i feudi nel caso dell’incapacità a saldare i debiti in moneta.
La sua carriera politica fece un salto di qualità quando Champion, dal 1490 vescovo di Ginevra e cancelliere del Ducato, morì (agosto 1495). Dopo qualche mese, Romagnano – che ancora nel novembre è appellato «consigliere nostro» dalla reggente – fu nominato cancelliere, dopo un iter decisionale non facile (verosimilmente in conseguenza della venalità della carica). La nomina fu perfezionata nel 1496; tra le competenze del cancelliere, oltre alla formale custodia dei sigilli, alla supervisione dell’ordinamento giudiziario e all’organizzazione dell’Università, spiccano i poteri di indirizzo in politica estera (per esempio le istruzioni diplomatiche agli ambasciatori).
Ratificò peraltro, nell’immediato, anche una delicata operazione finanziaria: un prestito di 4000 ducati in moneta veneta (mocenigiis et marcellis), pari a più di 13.400 fiorini piccoli di Savoia, erogato da alcuni finanzieri veneziani per ordine dogale, su richiesta del duca Filippo II, datata da Chambéry il 3 novembre 1496. La domanda di prestito fu vistata a Torino da Romagnano. L’atto finale avvenne sempre a Chambéry il 7 novembre alla presenza dei rappresentanti diplomatici veneziani e di quelli sabaudi.
In quegli stessi mesi di novembre-dicembre fu eletto (dal capitolo della cattedrale) e consacrato vescovo di Mondovì.
Negli anni successivi, nel rapido avvicendamento al governo del Ducato (dopo la morte di Filippo II nel 1497, si susseguirono Filiberto II sino al 1504 e poi Carlo II) l’attività legislativa e amministrativa del cancelliere si indirizzò ancora alla materia della vendibilità dei beni feudali concessi in dote, al riconoscimento delle antiche franchigie e privilegi della città di Torino (provvedimento del 6 novembre 1505), alle esenzioni richieste dalle comunità rurali soggette all’abbazia di Pinerolo. Non mancò inoltre di consigliare a Filiberto II un atteggiamento accondiscendente nei confronti di Renato, fratello naturale del duca, che fu legittimato e mantenne la contea di Villars (ricevuta dal padre in punto di morte).
Questa lunga carriera amministrativa e politica, complessivamente in crescita (sia pure con qualche incidente di percorso) per un trentennio, fu accompagnata da un pacchetto di benefici ecclesiastici che via via si incrementò, e da un corrispettivo impegno di edilizia devota e mecenatesco-celebrativa.
Sin dai tempi di Pio II aveva la commenda della piccola abbazia vallombrosana di S. Solutore Minore (fuori Torino), e doveva spartirne le rendite con i minori osservanti. Fu suo padre Antonio a mettere in questione il quieto godimento di quelle rendite, chiedendo a Sisto IV (fra 1472 e 1473) di poterne devolvere gli introiti alla costruzione di una chiesa di giuspatronato dei da Romagnano; ma successivamente cambiò progetto, e dopo la sua morte (1479) Amedeo e il fratello primogenito Giovanni Antonio diedero esecuzione a questi suoi nuovi intendimenti costruendo un altare e fondando una cappellania perpetua nella cappella Romagnano della cattedrale di Torino (ov’erano sepolti i due vescovi del casato, Ludovico e Aimone). La bolla papale relativa è del 23 ottobre 1479.
Sin dai primi anni Novanta poi, per intercessione della reggente, Amedeo ottenne la commenda della grande e ricca abbazia urbana di S. Solutore Maggiore (ove impostò la ristrutturazione della chiesa e dell’edificio monastico); la devozione a questo santo martire lo spinse inoltre a incaricare il celebre Macrino d’Alba dell’esecuzione di una tavola per la cappella a lui dedicata in cattedrale. Nella tavola in questione con la Madonna in adorazione del Bambino tra i ss. Giuseppe, Giovanni Battista, Girolamo, Solutore, è raffigurato Amedeo in veste di donatore (secondo la fondata ipotesi di Giovanni Romano ed Edoardo Villata). Infine, anche a Mondovì intraprese il rifacimento della cattedrale e fondò una cappella di suo giuspatronato; ebbe zelo di pastore quanto alla formazione dei preti in cura d’anime, anche se è incerto se abbia iniziato una visita diocesana.
Dettò testamento entro il 13 giugno 1505 a S. Solutore Maggiore di Torino (ove probabilmente abitava).
Del documento rimangono solo alcune particole per due istituzioni ecclesiastiche e la disposizione finale con la designazione del figlio naturale Antonio, doctor utriusque e protonotario apostolico, commendatario del monastero di S. Maria di Calvenzano in diocesi di Milano. I monaci di S. Solutore Maggiore, a cui lasciava sei giornate di prato con il diritto di adacquarlo nella zona torinese detta ad Valentinum, erano obbligati a celebrare ogni venerdì per sempre una messa cantata, con l’ufficio dei morti.
Morì a Torino il 17 marzo 1509 e fu sepolto nella cattedrale di S. Giovanni, in una tomba con il coperchio di marmo, opera di Antonio Carlone, su cui è scolpita a mezzo rilievo l’intera figura del presule.
Una lapide ne celebrava le doti, menzionando anche l’età (vixit annos LXXVIII). L’immagine a mezzo rilievo oggi è conservata, insieme alla statua funebre di suo padre Antonio, alla sinistra dell’ingresso nella cattedrale torinese.
Scompariva con lui un presule che fu anche uomo politico e di governo, dotato di destrezza negli affari di Stato, e di intelligenza nel contemperare il difficile rapporto tra giustizia e pietà; il suo operato, sia in campo civile sia in quello ecclesiastico, fornì linee di equilibrata condotta per le classi sociali responsabili del bene pubblico al termine dell’età medievale. La sua cultura andava ben oltre le specializzazioni canonistiche, giuridiche e di esperienza nel governo dello Stato. Non solo si scelse un pittore capace di accogliere le novità del Rinascimento, ma fu anche accorto e aperto alle innovazioni tecnologiche: favorì infatti la stampa delle leggi sabaude e volle che gli eruditi e i letterati utilizzassero l’arte dell’imprimere libri per diffondere maggiormente la cultura.
Fonti e Bibl.: S. Guichenon, Histoire de Bresse et de Bugey, Lyon 1650, pp. 88, 97; E. Vernazza, Vita di A. da R., Torino 1791, pp. 1-30; C. Tenivelli, Vita di A. R., vescovo di Mondovì, in Biografia piemontese, IV, 2, Torino 1792, pp. 19-45; G. De Gregory, Istoria della vercellese letteratura ed arti, I, Torino 1819, pp. 484 s.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, 1, Milano 1824, pp. 117-119; L. Cibrario, Lettere inedite di principi e di uomini illustri, Torino 1828, p. 3; G. Claretta, Sui principali storici piemontesi e particolarmente sugli storiografi…, in Memorie storiche dell’Accademia delle Scienze di Torino. Classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 2, 1879, vol. 31, p. 266; G. Romano, Sugli altari del duomo nuovo, in Domenico Della Rovere e il duomo nuovo di Torino, a cura di G. Romano, Torino 1990, pp. 326-329; E. Villata, Macrino d’Alba, Savigliano 2000, pp. 84, 89, 168, 170, 178; Macrino d’Alba. Protagonista del Rinascimento piemontese (catal., Alba), a cura di G. Romano, Savigliano 2001, ad ind.; F. Sorce, Macrino d’Alba, in Dizionario biografico degli italiani, LXVII, Roma 2006, s.v.; Il Duomo di Torino. Fede, arte e storia, a cura di C. Venengoni, Torino 2015, pp. 33-35, con l’immagine delle due statue sepolcrali.