MODIGLIANI, Amedeo (Amedeo Clemente)
– Nacque il 12 luglio 1884 a Livorno, da Flaminio, di origine ebrea sefardita romana, e da Eugénie Garsin, di origini ugualmente sefardite ma del ramo marsigliese.
Alla nascita del M., quarto figlio dopo Giuseppe Emanuele, Margherita e Umberto, l’impresa del padre, costituita da un insieme di società agricole e minerarie in Sardegna, era in fallimento; anche nella famiglia Garsin di Marsiglia si manifestarono gravi dissesti economici e i beni dei Modigliani furono messi in liquidazione (Parisot, 2005, p. 27). La madre, donna intraprendente, colta e liberale, divenne allora il reale cardine economico della famiglia che mantenne con i ricavi della scuola elementare e materna da lei fondata nel 1876, con lezioni private e con l’attività di traduttrice e critica letteraria condotta sotto pseudonimo. Eugenia seguì personalmente l’istruzione dei quattro figli; il suo diario, Journal de la famille - le livre de raison, scritto a partire dal 17 maggio 1886, è una fonte importante per ricostruire la personalità e gli esordi artistici del M., il più fragile dei suoi figli e forse, proprio per questo, il suo prediletto (Parisot, 2003, pp. 46-87).
Di vivace intelligenza, a soli cinque anni il M. apprese a leggere e scrivere iniziando, con gli insegnamenti talmudici, lo studio del francese, della musica e dell’ebraico. Al 1893 risalgono le sue prime prove creative: si tratta di alcuni disegni eseguiti a penna su un taccuino regalatogli dalla sorella Margherita (Parisot, 2008, p. 23). Nel 1895, quando a soli undici anni si ammalò di pleurite e fu costretto per un lungo periodo a letto, in un altro taccuino, donatogli dalla madre, il piccolo M. disegnò alcune figure immaginarie. Eugenia annotò nel diario di famiglia il carattere viziato ma intelligente del figlio ipotizzando per lui la personalità d’artista. Questi primi approcci al disegno furono in effetti, oltre che un’evasione dall’immobilità forzata, una prima forma d’espressione importante della fervida immaginazione del bambino e una premessa alle prime esperienze pittoriche scolasticamente strutturate, avvenute a partire dall’età di tredici anni. Nel 1898 la salute del M. peggiorò: una febbre tifoidea, unita a serie complicazioni polmonari, lo costrinse nuovamente a letto; durante un episodio di febbre delirante espresse il desiderio di diventare artista e, nell’agosto di quell’anno, dopo aver riportato risultati non eccellenti a scuola, iniziò a prendere lezioni di disegno. La madre annotò: «Dedo (Amedeo) non è stato brillante agli esami, il che non mi ha affatto sorpresa, avendo studiato malissimo tutto l’anno. Il primo agosto inizia un corso di disegno, cosa di cui ha grande desiderio da lungo tempo. Si vede già pittore». Nel diario emergono la condiscendenza e la preoccupazione della madre che, pur temendo che il figlio trascurasse gli studi «per inseguire un’ombra», nel dicembre concesse al M. di abbandonare il ginnasio per seguire il corso di pittura tenuto da G. Micheli, allievo affezionato di G. Fattori (Parisot, 2005, p. 34). Il M., pur dimostrando poco interesse per la pittura di paesaggio verso la quale il maestro indirizzava i suoi allievi, si applicò brillantemente alla pratica del disegno, della pittura dal vero e acquisì presto consapevolezza cromatica e vivace attenzione per il dettaglio a tal punto che Fattori, in visita allo studio di Micheli, lodò una sua natura morta eseguita a carboncino. Nell’atelier di villa Baciocchi il M. divenne amico di O. Ghiglia, conobbe Gino Romiti, suo maestro di nudo, e R. Natali, testimone della repulsa del M. per la recente pittura di paesaggio e della sua passione per la pittura del Trecento, in particolare per i maestri gotico-senesi, il cui linearismo si sedimentò nella sua arte fino a riemergere nello stile maturo della sua pittura. In quegli anni gli ambiti culturali di riferimento per il M. furono quello decadente e simbolista di Ch. Baudelaire e G. D’Annunzio da un lato, e quello filosofico e sociale dall’altro, grazie alle letture suggeritegli dalla zia Laura, sorella della madre, e dal nonno Isacco Garsin, competente di filosofia e poesia nonché di lingue straniere compresa l’ebraica, figura carismatica per il piccolo Modigliani. Il giovane si appassionò alla filosofia di Nietzsche al punto che Micheli lo soprannominò «il superuomo» (Nicosia, pp. 20-27).
Nel 1900 fu colpito da un nuovo e più grave episodio di pleurite che peggiorò fino a evolversi in tubercolosi all’età di 17 anni. Dovette lasciare dunque lo studio di Micheli e nell’inverno tra il 1900 e il 1901 partì da Livorno verso l’Italia centrale e meridionale alla ricerca di climi più miti. Napoli, Capri, Amalfi, Roma e poi Firenze furono le mete che, più del clima favorevole, offrirono al giovane M. interessanti stimoli artistici (tra i quali fu fondamentale la conoscenza delle sculture di Tino da Camaino) tradotti in alcune lettere dal tono entusiasta e dallo stile enfatico, indirizzate a Ghiglia. In esse, prima che all’amico, il M. si rappresentava a se stesso delineando con slancio la sua personalità e le sue ragioni esistenziali, affermando con determinazione l’intento di dedicarsi totalmente all’arte, di voler comprenderne le verità e di voler, una volta tornato nella città natale, sviluppare seriamente in pittura le idee raccolte durante il viaggio (Modigliani, p. 36).
Molte delle opere eseguite in quegli anni e conservate nella casa di Livorno furono distrutte da Eugénie e Margherita dopo il 1920, anno della morte del M., per rispettarne le volontà testamentarie. Un accurato lavoro di ricerca svolto tra la Francia e l’Italia (in Sardegna, a Marsiglia, Firenze, Napoli, Misurina e Venezia) ha portato però al ritrovamento di alcune opere eseguite dal M. nei primi anni del Novecento e ha consentito di colmare parzialmente la lacuna dei suoi esordi pittorici (Parisot, 2005).
Tornato a Livorno nel 1902, il M., desiderando una formazione artistica meno provinciale e culturalmente più aperta e solida, si iscrisse all’Accademia di belle arti di Firenze e frequentò la Scuola libera di nudo di Fattori alla quale era iscritto anche Ghiglia; ma l’anno seguente il sodalizio con l’amico si incrinò e il M. si stabilì a Venezia dove, grazie alle sovvenzioni dello zio Amedée, si iscrisse alla Scuola libera di nudo del Regio Istituto di belle arti. Venezia, rispetto a Firenze, era più ricca di stimoli culturali e animata da musicisti come G. Puccini e da artisti di diversa estrazione: simbolisti rivolti alla Secessione d’Oltralpe e artisti d’avanguardia di levatura internazionale quali G. Marussig, F. Mauroner, P. Nomellini o U. Boccioni. Il M., entusiasta della città, studiò nei musei e nelle chiese la pittura veneta, attratto in particolare da quella rinascimentale, da V. Carpaccio a Tiziano e, anticipando la pratica parigina, disegnò moltissimo, immerso nell’ambiente vivace dei caffé lagunari. A Venezia, con G. Cadorin, sperimentò per la prima volta l’hashish. Orientato verso la cultura mitteleuropea, sviluppava le sue idee estetiche assorbendo la luminosità della pittura veneta e traducendo il disegno toscano in linea pura, elemento di sintesi carico di valore estetico in sé. A Venezia, dove rimase fino al 1905, eseguì diversi ritratti, tra cui F. Mauroner, esposto alla Biennale di Venezia del 1930 (perduto), e conobbe M. Ortiz de Zarate, artista cileno che, aggiornato su precedenti esperienze francesi, divenne suo grande amico e lo introdusse alla conoscenza di P. Cézanne e dell’impressionismo. A Zarate il M. confidò il desiderio di diventare scultore, lamentandosi del costo dei materiali (Modigliani, p. 37). Già indirizzato dalla propria formazione e dalle radici familiari materne verso la cultura francese, e già amante, sin dagli anni della scuola di disegno livornese, della poesia di Baudelaire e di I.L. Ducasse conte di Lautréamont, il M. cominciò a maturare il progetto di trasferirsi a Parigi e partì per la capitale francese nel 1906 con una lettera di introduzione per il pittore e scultore S. Granowski fornitagli da Ortiz de Zarate, di materiali da disegno, libri (Divina Commedia e Così parlò Zarathustra) e foto di opere di maestri medievali e rinascimentali (Duccio di Buoninsegna, Simone Martini e Carpaccio). A Parigi si iscrisse all’Accademia Colarossi e prese contatto con Granowski, ma l’incontro non ebbe seguito (Modigliani, p. 43; Nicosia, p. 36). In un primo tempo si sistemò in un albergo centrale presso la Madeleine dal quale iniziò le sue esplorazioni per entrare nel vivo degli ambienti artistici frequentando librerie, caffè, cabaret, negozi e gallerie d’arte come quella di Ambroise Vollard o la Durand-Ruel, dove poteva ammirare le opere degli impressionisti. Poi si stabilì in rue Caulancourt a Montmartre, dove risiedevano gli scrittori A. Salmon, G. Apollinaire, M. Jacob, P.M. Orlan e il critico A. Warnod e dove erano gli atelier di tutti gli artisti d’avanguardia, tra cui quelli di J. Gris, K. Van Dongen, dell’amico Ortiz de Zarate e il celebre Bateau-Lavoir di P. Picasso, luogo d’incontro à la page degli artisti e degli intellettuali più importanti del momento. La vita per il M., come per molti artisti residenti a Montmartre, non era facile e, tra il 1906 e il 1907, venne dato al M. il soprannome di Modì, contrazione del suo cognome e allusione alla sua vita sregolata da peintre maudit.
Malgrado le approfondite ricerche condotte dalla figlia del M., Jeanne, di questo periodo si hanno di lui poche notizie sicure, ma certo la vita a Parigi si presentò presto molto dura; il M. visse quasi tutta la sua esistenza nella capitale francese ai limiti dell’indigenza. Durante le serate trascorse nei caffé eseguiva veloci ritratti che regalava per un pour-boire. G. Severini, che lo incontrò nel 1906, offre alcune considerazioni sulla sua attività nel libro Vita di un pittore: «Si trovava alle prese con le mie stesse difficoltà, i suoi lavori di quel periodo […] scomparsi, portavano tracce di quella visione italiana e provinciale da cui chi sta in Italia non arriva quasi mai a liberarsi interamente» (Nicosia, p. 39).
Profondo interesse suscitarono nel M. la grande retrospettiva di P. Gauguin nel 1906 e, nel 1907, la mostra dedicata a P. Cézanne (entrambe al Salon d’automne). Importante fu inoltre la conoscenza diretta delle opere e degli intenti delle avanguardie, del cubismo, del futurismo e dell’espressionismo. L’assimilazione dei principi cromatici applicati da Gauguin, da Cézanne e, in modo rivoluzionario, dai nuovi movimenti artistici, si sedimentò nell’opera del M. determinando progressivamente il suo allontanamento dalle cromie tradizionali. Al Bateau-Lavoir il M. ebbe modo di vedere Les demoiselles d’Avignon di Picasso e di comprenderne la portata rivoluzionaria, ma la coscienza della propria diversità incrinò, probabilmente, le sue sicurezze, anche se nei confronti di Picasso il M. manteneva un atteggiamento di aristocratica superiorità. In quel periodo iniziò ad abusare di stupefacenti e a bere molto.
Con Picasso comunque si frequentarono: significativo il ritratto che il M. gli fece con la scritta sulla destra «Savoir» (1915), probabile indice di considerazione al di là delle divergenze, ma anche possibile venatura ironica relativa a un certo «monsieur je-sais-tout» (collezione privata; Patani, 1991, fig. 89; Nicosia, 45; Chiappini, p. 213). Oltre al Bateau-Lavoir, per il M. fu punto di riferimento anche il cabaret Lapin Agile frequentato da artisti e scrittori residenti a Montmartre, tra cui Suzanne Valadon, ex modella e pittrice, e suo figlio M. Utrillo, del quale il M. divenne molto amico.
Nel 1907 il medico Paul Alexandre, mecenate d’arte contemporanea, acquistò alcuni dipinti del M. e ne incoraggiò la partecipazione a esposizioni collettive consigliandogli di iscriversi alla Société des indépendants al fine di esporre al Salon del 1908.
La collettiva fu infatti l’esordio ufficiale del M., in cui presentò sei opere, due disegni e due nudi nei quali era ritratta una giovanissima prostituta di nome Jeanne (sul retro di uno di questi dipinse l’anno seguente il ritratto di J. Alexandre conservato a Martigny, Fondazione Gianadda) e l'Ebrea, dipinto acquistato in seguito da P. Alexandre (collezione privata). Le opere del M. non furono quasi notate, in quanto estranee ai fermenti artistici parigini di quegli anni. Il M. rifuggiva le appartenenze artistiche di gruppo e, sebbene le sue opere fossero debitrici delle variegate esperienze estetiche dalle quali il M. era rimasto colpito (da Cézanne, a H. Toulose Lautrec ai postimpressionisti e simbolisti d’Oltralpe, al periodo blu di Picasso), esse eludevano chiare classificazioni poiché tutti gli stimoli ricevuti erano dal M. sensibilmente meditati e rielaborati.
A partire dal 1907 P. Alexandre e suo fratello Jean, farmacista, in un edificio al n. 7 di rue du Delta di proprietà del Comune di Parigi avevano messo a disposizione degli artisti indigenti una casa-atelier, di cui erano responsabili il pittore H. Doucet e lo scultore M. Drouard; vi dimorarono tra gli altri A. Gleizes, J. Marchand e C. Brancusi. Nell'edificio si organizzavano letture di poesie di P. Verlaine, S. Mallarmé o Baudelaire, partite di scacchi, performances teatrali e musicali e si ricorreva all’uso di droghe leggere a fini artistici e sperimentali. Il M. fu invitato al Delta da Doucet poiché era rimasto senza denaro e non aveva nessun acquirente per i suoi lavori. Pur senza trasferirvisi definitivamente, vi portò molte sue opere, strumenti per dipingere, e libri. Proprio al Delta, P. Alexandre conobbe il M. (di soli tre anni più giovane), ne restò affascinato e iniziò tra loro una stretta amicizia e frequentazione. Nel frattempo due avvenimenti deteriorarono seriamente i rapporti tra il M. e gli altri artisti residenti: durante il capodanno del 1908-09 un incendio si sviluppò nell’atelier e le cause furono imputate allo stato generale di alterazione indotto dall’uso di hashish distribuito a tutti dal M.; il secondo episodio fu determinato, invece, dallo stato di ubriachezza del M. che, in preda all’ira, distrusse e sfregiò le opere dei suoi colleghi. P. Alexandre continuò a considerare il M. un amico di famiglia e a sostenerlo nei momenti di difficoltà fino al 1914, anno in cui partì per la guerra.
Il M., tra il 1909 e il 1911, ritrasse il medico diverse volte ed eseguì il ritratto del padre (Jean Baptiste Alexandre, 1909, Rouen, Musée des beaux arts). Nel 1909 l’incontro con Brancusi, tramite P. Alexandre, rafforzò la sua passione per l’arte in pietra.
Brancusi trasmise al M. la tecnica scultorea basata sull’approccio diretto con la materia senza il ricorso a bozzetti in creta, applicando da un lato il concetto michelangiolesco del liberare la forma dalla materia e, dall’altro, quello del lavoro inteso come percorso di purificazione formale per raggiungere l’essenziale. La scultura primitiva africana ammirata con P. Alexandre al Museo Guimet o nelle sezioni etnografiche del Louvre e del Trocadéro, ma anche l’arte egizia, insieme con lo studio delle volumetrie sintetiche dei dipinti di Cézanne e con il mutamento delle cromie, furono determinanti nell’evoluzione del linguaggio pittorico del Modigliani. L’eleganza della linea e la sintesi delle forme, verso le quali il M. era orientato in quegli anni, sono riscontrabili nella diversa esecuzione dei ritratti di P. Alexandre (tra i molti eseguiti: Paul Alexandre, 1912, Parigi, Collection Madame Bréfort; Paul Alexandre devant un vitrage, 1913, Rouen, Musée des beaux arts). Non avendo mezzi per acquistare i materiali per scolpire, il M., insieme con Doucet, sottraeva di notte pietre e marmi dai cantieri degli edifici in costruzione a Montmartre o le traversine di legno dei binari della metropolitana, ugualmente in costruzione nella zona.
Nell’estate 1909, durante un breve soggiorno a Livorno, emerse nettamente la distanza con l’ambiente artistico della sua città creatasi in soli tre anni di frequentazione parigina. A Livorno il M., oltre a eseguire disegni e schizzi, scrisse alcuni articoli di filosofia con la zia Laura e dipinse il Mendicante di Livorno, esposto al Salon del 1910 (collezione privata). Tornato a Parigi, continuò la sua ricerca scultorea e iniziò a frequentare La Ruche, dove erano sistemati circa 80 atelier messi a disposizione degli artisti da A. Boucher, e strinse amicizia con M. Chagall, B. Cendras e, soprattutto, con C. Soutine; di quell’attività restano 26 sculture in pietra arenaria, una in marmo e una in legno realizzate tra il 1909 e il 1913 con soggetti femminili a figura intera e teste più o meno delle stesse dimensioni di forma allungata (Patani, 1992, p. 31), quasi idoli arcaici la cui astratta eleganza coincide con l’ideale estetico di Brancusi (Testa, 1911-12, Filadelfia, Museum of art; Testa, 1911-13, New York, Salomon Guggenheim Museum). Nel 1911, lo scultore portoghese A. de Souza Cardoso, suo amico, gli mise a disposizione il proprio atelier per allestire un’esposizione con alcune sculture e guaches che avevano per soggetto cariatidi (delle quali una soltanto fu realizzata in pietra dal M. tra il 1912 e il 1913, New York, Museum of modern art; a Parigi, Musée d’art moderne de la ville è invece conservata la Cariatide verso destra, matita e pastello). La mostra, inaugurata il 5 marzo 1911, fu visitata da molti amici e artisti tra i quali M. Jacob, Picasso, G. Apollinaire, A. Derain e Ortiz de Zarate ed ebbe un certo rilievo tra i colleghi.
A questo primo debutto nel campo scultoreo seguì, nel 1912, l’esposizione di sette grandi teste femminili al Salon d’automne. Avendo coraggiosamente presentato solo opere scultoree, la loro accettazione in blocco da parte della commissione fu per lui un notevole successo. L’ispirazione con la quale il M. si accostò alla materia si tradusse in severo rigore formale, ma le polveri d’arenaria, respirate durante le intense sessioni di lavoro, gli furono fatali: nell’estate del 1912 Ortiz de Zarate trovò il M. svenuto nel suo atelier; gli amici organizzarono una colletta per mandarlo a Livorno. A questo periodo viene fatto risalire il celebre episodio durante il quale il M. avrebbe gettato nel fosso di Livorno alcune teste da lui scolpite in pietra a seguito della rabbia provata per l’incomprensione da parte degli amici livornesi che deridevano il suo operato (Modigliani, pp. 69 s.; Parisot, 2003, p. 291). Quando tornò a Parigi, abbandonata la scultura, si trasferì vicino agli atelier di T. Foujita e Soutine a Montparnasse, altro centro d’arte d’avanguardia, e si dedicò completamente alla pittura. Da allora la sua ricerca fu particolarmente orientata alla purezza dei volumi e alla semplificazione delle figure. Il suo stile si definì chiaramente anche grazie agli stimoli germogliati dalla complessa relazione fisica e intellettuale intrapresa nel 1914 con Beatrice Hastings. Molte figure femminili dipinte dal M. sono ritratti di alcune delle donne da lui amate. Oltre alle modelle e alle sue amanti, il M. ritrasse gli amici, gli artisti e pressoché tutte le persone che frequentava.
La Hastings, scrittrice inglese energica e seducente, cercò di frenare gli eccessi del M. spingendolo a lavorare; la relazione si concluse drammaticamente nel 1916 con una gravidanza e un aborto (Parisot, 2003, p. 36; 2008, pp. 52-54). Della Hastings esistono molti ritratti, alcuni dei quali ne riflettono lo sguardo fiero (come quello del 1915 conservato a Milano, Civico Museo d’arte contemporanea), altri l’ironia del M. sul carattere della donna, come quello con un cappellino di piume e la scritta Madame Pompadour (1915, Chicago, Art Institute). Il ritratto fu il solo genere praticato in quel periodo dal M., che scrisse: «Per lavorare, ho bisogno d’un essere vivente, di vederlo davanti a me. L’astrazione uccide, è una dimensione senza uscita. È l’essere umano che mi interessa. Il volto è la creazione suprema della natura. Me ne servirò sempre» (Parisot, 2005, p. 46). Attraverso il ricorso a pochi tratti emergono le componenti psicologiche dei soggetti. La stilizzazione implica un allungamento dei tratti del viso e del corpo che rimanda alla deformazione manierista. L’astrazione degli occhi vuoti e a mandorla, come le vaghe ambientazioni, prive di particolari significanti, conduce tutti i ritratti in un’atmosfera sospesa, metafisica, nella quale le linee che definiscono le forme, secondo J. Cocteau, corrispondono alla linea interiore dell’artista (Nicosia, p. 78; tra i molti ritratti si ricordano quelli di Max Jacob, 1916, Düsseldorf, Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen; di Jean Cocteau, 1916, Princeton, Art Museum; di Jaques e Berthe Lipchitz, 1916, Chicago, Art Institute; 15 ritratti di Hanka, sposa di L. Zborowski di cui uno, del 1917, a Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea).
Nel 1914, partito per la guerra il suo amico e protettore P. Alexandre, il M. trovò un nuovo riferimento in P. Guillaume, che gli fu presentato da M. Jacob. Nella galleria aperta da Guillaume sulla rive droite il M. fu presente in diverse collettive. Guillaume fu per lui uno stimato collezionista, un mercante generoso che lo tolse temporaneamente dall’indigenza e una guida; eloquente in tal senso è la scritta «Novo pilota» nel ritratto del 1915 (Parigi, Musée de l’Orangerie). Poi, nel 1916, conobbe Zborowski, giovane poeta polacco che, arrivato a Parigi nel giugno del 1914, aveva intrapreso l’attività di mercante d’arte nel suo appartamento di rue J. Bara. Zborowski offrì al M. un compenso di 20 franchi al giorno e una delle stanze della sua casa per lavorare (Parisot, 2008, p. 73). Alla fine del dicembre di quell’anno il M. conobbe la giovane pittrice Jeanne Hébuterne e se ne innamorò. Zborowski aiutò la coppia di artisti a sistemarsi in un piccolo studio-appartamento di rue de la Grande Chaumière. Il mercante confidava nella positiva vicinanza di Jeanne per allontanare il M. dall’alcol e dalle droghe, che sempre più aggravavano le sue già precarie condizioni di salute. Zborowski, nel 1917, organizzò la prima personale del M. con 32 dipinti.
Per dare pubblicità all’evento, il mercante espose nella vetrina della nuova sede della rinomata galleria di Beth Weill un paio di nudi femminili ma questi, oltre a una folla numerosa e in parte indignata, richiamarono anche la polizia, che fece chiudere la mostra. Lo scandalo fornì al M. un’inaspettata notorietà (tra i nudi femminili del 1917: Nudo seduto, Anversa, Museo reale di belle arti; Nudo seduto con camicia, Villeneuve d’Ascq, Musée d’art moderne; Nudo dagli occhi chiusi con collana, New York, Solomon R. Guggenheim Museum; Il grande nudo, Ibid., Museum of modern art).
Dopo il bombardamento di Parigi, nella primavera del 1918, Zborowski decise di lasciare la capitale per recarsi con la moglie Hanka e i suoi amici Soutine, Foujita, M. e Jeanne nel Sud della Francia. Il 29 novembre di quell’anno nacque a Nizza Jeanne (Giovanna), l’unica figlia del M., riconosciuta dai tribunali francesi e italiani solo alcuni anni dopo la morte dei suoi genitori quale sola erede dei due pittori (dalle indagini condotte dalla figlia Jeanne è risultato che nel medesimo arco di tempo, oltre che con la Hastings, il M. ebbe una relazione con Simone Thiroux dalla quale, nel 1917, nacque Serge Gérald Thiroux, non riconosciuto dal M.: Parisot, 2008, p. 54). Il soggiorno nel Sud della Francia si protrasse fino al maggio 1919. Il M., che non era mai stato attratto dal genere pittorico del paesaggio e non vi si era più dedicato dall’epoca dei suoi esordi in pittura, dipinse quattro paesaggi: Albero e case (collezione privata), Cipressi e case (Merion Station, The Barnes Foundation), Paesaggio a Cagnes (New York, Perls Galleries), Paesaggio nel «Midi» (Patani, 1991, figg. 302-305). La memoria e la nostalgia lo spinsero a fissare sulla tela la luce e le forme mediterranee del luogo e a ritrovare, per similitudine, i paesaggi livornesi. Fu una breve pausa da tutta la folla di personaggi che aveva animato fino ad allora la sua pittura e che continuava a essere presente nei dipinti di quel soggiorno; ragazze comuni, bambini e contadini, rappresentati con toni chiari e luminosi e in atteggiamento malinconico, e molti (più di 25) ritratti di Jeanne, la donna per la quale si impegnò con un atto di matrimonio il 7 luglio del 1919, senza per questo lasciare la sua vita sregolata e autodistruttiva (si citano: Jeanne Hébuterne, New York, The Metropolitan Museum of art, Jeanne Hébuterne con cappello, Troyes, Musée d'art moderne, Jeanne Hébuterne con maglione giallo, Kurashiki, Museo d'arte di Ohara). Del 1919 è l’unico Autoritratto del M. (San Paolo, Museu de arte contemporãnea da Universidade).
La gioia della nascita della figlia e la vendita di 10 tele, conclusa a Marsiglia da Zborowski per 500 franchi, donarono al M. nuova fiducia ed energia. Il mercante aveva inoltre concordato la partecipazione del M. a un’esposizione collettiva londinese dal titolo Modern French art organizzata dai fratelli Sitwell alla Mansard Gallery e inaugurata il 1° ag. 1919. La mostra fu estremamente significativa in quanto l’arte del M. fu riconosciuta di pari importanza a quella di molti altri artisti presenti (tra cui Picasso, H. Matisse, A. Derain). Le condizioni di salute del M. intanto però precipitavano: alla tubercolosi si aggiunsero la nefrite e frequenti episodi di delirium tremens. Il M. desiderava tornare in Italia per curarsi, ma attendeva un riconoscimento più ampio del suo valore artistico. Il 22 genn. 1920, colpito da meningite tubercolotica, fu trasportato all’hôpital de la Charité di Parigi, dove morì il 24 gennaio.
Jeanne, incinta del secondo figlio, si suicidò il giorno seguente gettandosi dalla finestra della casa dei suoi genitori. Il 27 gennaio il M. fu sepolto al cimitero di Père Lachaise.
Fonti e Bibl.: I diari di Eugénie Garsin e molti documenti e lettere relative al M. si conservano a Roma, al Modigliani Institut Archives Légales Paris-Rome. J. Modigliani, M. senza leggenda, Firenze 1958; J.P. Jouvet, M., Disegni - Acqueforti - Litografie, Verona 1974; M.: gli anni della scultura, Milano 1984; C. Parisot, M.: catalogo ragionato, I, Livorno 1990; II, ibid. 1991; O. Patani, A. M., catalogo generale, dipinti, Milano 1991; Id., A. M., catalogo generale, sculture e disegni 1909-1914, Milano 1992; N. Alexandre, M. inconnu: Témoignages, documents et dessin inédits de l’ancienne collection de Paul Alexandre, Paris 1993; F. Tagliapietra, Ritratto di A. M., Udine 1993; O. Patani, A. M., catalogo generale. Disegni 1906-1920, Milano 1994; R. Chiappini, A. M., Milano 1999 (con bibl. precedente); C. Parisot, A. M. 1884-1920 biografia, Bari 2003; Id., M., Jeanne Hébuterne e gli artisti di Montmartre e Montparnasse, Milano 2003; F. Nicosia, Modigliani, Firenze 2005; M. a Venezia, tra Livorno e Parigi, a cura di C. Parisot, Sassari 2005; C. Parisot, M., la vita, le opere, Roma 2006; Id., M., catalogo ragionato, III (con riproduzione dei disegni), Roma 2007; H.R. Lottman, A. M.: principe di Montparnasse, Milano 2007; M.: immagini di una vita, testi di C. Parisot - V. Gorianov, Roma 2008 (con bibl. precedente); M. dal classicismo al cubismo, (catal. Palestrina), a cura di C. Strinati et al., Roma 2010.