Amelot de la Houssaye, Abraham-Nicolas
Letterato e poligrafo francese (Orléans 1634 - Parigi 1706). Editore di opere storiche, politiche e morali, tra cui il Principe di Machiavelli. Dopo gli studi presso i gesuiti, avvia una carriera nella diplomazia che però si interrompe nel 1670: a Venezia viene espulso dal corpo diplomatico per aver fatto incetta e commercio di documenti segreti. Torna a Parigi, dove si impiega nell’editoria, in qualità di correttore, autore, traduttore e curatore. Per oltre vent’anni, lavora per Frédéric Léonard, stampatore del re. Del 1676 è l’Histoire du gouvernement de Venise, in cui svela i misteri del governo della Serenissima e le cause della sua decadenza. Ha alcune noie con la censura, che tuttavia non ostacolano il successo, anche internazionale, del volume (ampliato, ristampato, tradotto in varie lingue). Nel 1683 pubblica in Olanda la sua traduzione, con prefazione e commento, della Istoria del Concilio tridentino di Paolo Sarpi e un’antologia ampiamente commentata di Tacito (Tibère: Discours politiques sur Tacite), in entrambi i casi sotto pseudonimo; e quindi la sua edizione del Principe. In un suo rapporto, Gabriel-Nicolas de La Reynie, luogotenente di polizia, fa presente che A., pur essendo un personaggio ambiguo, «potrebbe talvolta risultare utile al servizio del Re», in particolare nelle lotte per «limitare il potere spirituale» (Burger 1981, p. 201). Nel 1684, dedicando a Luigi XIV la traduzione commentata dell’Oráculo manual di Baltasar Gracián, sostiene che tutta la propria attività editoriale, fortemente ispirata dal gallicanesimo, ha avuto il solo scopo di avvicinarlo al re.
L’edizione del Principe (corredata di una prefazione e di circa centodieci note storiche e critiche, e di marginalia) uscì nel 1683 per uno dei più importanti editori d’Europa nel campo della divulgazione scientifica (Henry Wetstein). Proposta nella lingua che si avviava a dominare la cultura europea, ebbe grandissimo successo e rimane una tra le più importanti in tutta la tradizione machiavelliana: attraverso questa edizione avvicinarono il capolavoro di M. i lettori nell’età dell’Illuminismo. Alla prima edizione ne seguirono altre due, ognuna delle quali contiene aggiunte (1684; 1686; quest’ultima ristampata nel 1694). Dal 1740 al 1793, la traduzione, con commento e prefazione, viene ristampata non meno di diciotto volte, unita all’inizialmente anonimo [Federico II di Prussia] Anti-Machiavel, ou Examen du Prince de Machiavel; dal 1741, ne escono le traduzioni tedesca, olandese e inglese, più volte ristampate; nel 1768, insieme all’Anti-Machiavelli, l’apparato di A. è tradotto (da qui sono tratte le citazioni che seguono) presso il libraio veneziano Giovan Battista Pasquali, che lo utilizza nel 1769 per il primo volume della nuova edizione delle opere machiavelliane.
L’edizione del Principe appartiene alla piena maturità intellettuale di Amelot. Erede di Justus Lipsius e di Gabriel Naudé, egli è un maestro nell’arte della scrittura ‘libertina’. Proponendo il capolavoro di una figura così controversa come M., sente il bisogno di tutelarsi accostandola a un’autorità classica: Tacito, consacrato come pedagogo politico ufficiale da quando Enrico IV lo fece tradurre per suo figlio.
Nella prefazione, A. indica
una specie di concordanza della Politica di questi Autori, per cui si vedrà, che non si potrebbe condannare o approvare l’uno senza l’altro, di maniera che se Tacito deve esser letto da quelli che hanno bisogno d’apprender l’Arte di governare, il Machiavelli non lo è niente meno, uno insegnando come governavano gli imperatori romani, e l’altro come conviene governarsi oggi giorno (Il principe di Niccolò Machiavelli, 1768, p. 13).
Gli estesi commenti di A. alle sentenze di Tacito nel già menzionato Tibère (poi anche nella Morale de Tacite, 1686, e nella nuova traduzione dei sei primi libri degli Annali, 1690), dove già richiamava talvolta M., offrono varie possibilità di approfondimenti intertestuali. Ne risulta un metodo di lettura di M. e una teoria della ‘ragion di Stato’ che, nella prefazione alla seconda edizione del Tibère (1684), sfociano nell’esplicita, e sovversiva, intenzione di svelare a tutti gli ‘arcani del potere’:
Secondo l’imperatore Ottone, se una volta è concesso [ai sudditi] di chiedere al Principe, le ragioni delle sue decisioni, è spacciato il Principato, la cui forza consiste nel tenerli nell’ignoranza delle cose, che non devono sapere. Ed è per questo che Tacito chiama la ragion di stato Arcana Imperii, e Dominationis arcana, cioè i misteri o il meccanismo nascosto della dominazione: al quale in effetti non si può toccare, senza sconcertare l’ordine del governo, e annientare l’obbedienza (Tibère, 1684, senza paginazione).
Nella prefazione al Principe, A. avverte che il volgo è «prevenuto» contro M. da coloro che non lo hanno letto, oppure da coloro che ne limitano la comprensione al «senso letterale»; invece, «i politici sanno interpretare altrimenti» (Il principe di Niccolò Machiavelli, cit., p. XXX).
Il traduttore dichiara di essere stato fedele all’originale, sottolineando altresì che M. «ha una espressione laconica» (ll principe di Niccolò Machiavelli 1768, p. 12). Così il lettore è avvertito che le traduzioni più complesse sono anche meno fedeli. È questa una delle precauzioni stilistiche adottate da A. per tutelarsi mentre compie l’atto sovversivo di divulgare la vera essenza del principato e il significato della ‘ragion di Stato’. Per esempio, la traduzione del famosissimo passo del cap. xv suona:
Ma essendo l’intento mio scrivere per coloro che sanno come stanno le cose, mi è parso più conveniente parlare secondo la verità delle cose che secondo che il volgare s’immagina (Le Prince de Machiavel, 1686, p. 118).
Ma M. non si rivolge a ‘coloro che sanno le cose’, bensì a chi può comprendere ciò che egli scrive; anche il disprezzo per la moltitudine ignorante è una aggiunta del traduttore. Mentre secondo Josef Macek (1980, p. 223) A. «corregge il Principe per i bisogni dei sovrani della monarchia assoluta», Jacob Soll (2005) ha visto nell’erudito un cripto-repubblicano che ha messo a punto tecniche letterarie ed editoriali di critica politica in un’età di persecuzione e di adulazione. E, in effetti, A. si sforza di ricondurre l’interpretazione del Principe all’alveo storico repubblicano.
Ne fa già fede la prima nota di commento al cap. i del Principe. Dopo avere riportato a Tacito la divisione «che pone il Principato, e la Repubblica come i due contrari», A. precisa: «Ogni Repubblica è ancora Principato (“Il Serenissimo Principe fa sapere...”, dice la Repubblica di Venezia ne’ suoi Editti) ma ogni Principato non è Repubblica» (Il principe di Niccolò Machiavelli, 1768, p. 19, nota 1).
In un libro che si apre con la dedica a un principe, è un invito a ricordarsi chi era M.: segretario di Firenze, cioè di una Repubblica sconfitta nel 1512 per la «mala contentezza d’una gran parte de’ potenti cittadini» (I. Nardi, Istorie della città di Firenze, 2° vol., a cura di L. Arbib, 1838-1841, p. 11 ) e in cui il popolo, nel Consiglio grande, era chiamato «principe».
La prima nota del capitolo successivo invita a riportarsi al «ragionare delle Repubbliche», così come sviluppato da M. nei Discorsi, in lode della democrazia (Il principe di Niccolò Machiavelli, cit., p. 23, nota 1). Ma già nel finale della sua prefazione, A. aveva preparato il lettore con una fondamentale notizia, ricavata da una delle poche fonti contemporanee sulla vita di M., le rarissime Istorie della città di Fiorenza di Iacopo Nardi (1582), in cui era un riferimento al Discursus florentinarum rerum (pubblicato solo nel 1760):
Del resto dirò, che il Machiavello, che passa da per tutto per il Maestro della Tirannide, l’ha detestata più che ogn’altro ne’ suoi tempi, come è facile a conoscersi dal cap. 10 del lib. prim. de’ suoi Discorsi, ove parla fortemente contro i Tiranni. E il Nardi suo contemporaneo dice, che fu uno di quelli, che fecero i Panegirici alla Libertà, e al Cardinal Giulio de’ Medici, che dopo la morte di Leone X fingeva di volerla rendere alla sua Patria, e che ebbe sospetto, che egli fosse complice della congiura di Jacopo da Diacetto, Zanobi Buondelmonti, Luigi Alamanni, e Cosimo Rucellai contro questo cardinale a causa della stretta amicizia, che aveva con loro, e con gli altri Libertini (che così i Partigiani de’ Medici chiamavano quelli, che volevano mantenere Firenze in Libertà) (cfr. Il principe di Niccolò Machiavelli, cit., p. 15).
Questa notizia orienta la lettura del Principe ben diversamente di quanto faccia la dedica a un principe sovrano, il granduca di Toscana, nella quale si precisa che «se Machiavelli è censurato da tanta gente» è perché «pochi sanno cosa è la Ragion di Stato» (Le Prince de Machiavel, 1686, dedica, senza paginazione).
Alla richiesta di definire cosa si intenda con la nozione di ‘ragion di Stato’, A. risponde nella prefazione del Tibère del 1684. È proprio il momento politico in cui si tratta di «salvare lo stato», sia esso Repubblica o principato: «nelle Repubbliche tutta la Ragion di stato tende a conservare la comune libertà, mentre la Monarchia è interessata a distruggerla, o almeno ad indebolirla». Il Principe è dunque, per A., anche una meditazione offerta a una Repubblica nuova e bisognosa di darsi i mezzi per salvare la comune libertà.
Bibliografia: Fonti ed edizioni: Le Prince de Machiavel, troisième édition, revüe, corrigée, & augmentée par le traducteur [Amelot de la Houssaye], Amsterdam 1686; Il principe di Niccolò Machiavelli segretario della rep. fiorentina giusta il suo originale con la prefazione e le note istoriche e politiche di m.ur Amelot de La Houssaye..., Cosmopoli [Venezia] 1768; Tibère, Discours politiques sur Tacite, Paris 1684.
Per gli studi critici si vedano: J. Soll, Publishing the Prince. History, reading, and the birth of political criticism, Ann Arbor 2005.
Sulla fortuna internazionale di M. tra 17° e 18° secolo: J. Macek, Machiavelli e il Machiavellismo, Firenze 1980, pp. 209-304; G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, Bari 1995, pp. 255-95. I documenti sulla censura dell’Histoire du gouvernement de Venise e l’arresto di A. sono in Archives de la Bastille, a cura di F. Ravaisson, 8° vol., Paris 1876, pp. 93-94; il rapporto di La Reynie è in P.-F. Burger, Deux documents sur Amelot de la Houssaie, «XVIIe siècle», 1981, 29, 131, pp. 199-202.