AMEN
. Parola ebraica ('āmēn), passata anche in altre lingue semitiche (siriaco, etiopico, ecc.), nelle versioni greche e latine del Vecchio Testamento e nei varî testi del Nuovo. Deriva dalla radice semitica 'mn col senso "sostenere, esser saldo", quindi "esser sicuro, certo, veritiero", ecc. Nella Bibbia è usato per lo più avverbialmente, sia per confermare ciò che altri ha detto ("sicuro! certo!"), sia per dare enfasi alla propria asserzione ("in verità! con sicurezza!"); qualche volta ha pure un significato ottativo, esprimendo il desiderio che avvenga ciò che si è detto. Quest'ultima accezione ha largamente diffuso l'impiego della parola nella liturgia giudaica sinagogale e in quelle cristiane, orientali, greche e latine, specialmente come conferma ottativa finale "così sia!". Sotto la forma araba āmīn il vocabolo è penetrato anche nell'uso liturgico musulmano.
Dai Settanta fu tradotto per lo più γένοιτο, e nelle versioni latine derivate da questa (come nei Salmi) fiat, "avvenga". Nel Nuovo Testamento si trova spesso amen (ἀμήη): ripetuto, con valore superlativo, nel IV Vangelo. Nei discorsi di Gesù, riferiti dai Vangeli, la frase 'Αμὴν λέγω σοι (o ὑμῖν) si traduce meglio: "In verità ti (o: vi) dico". Nell'Apocalisse (III, 14) amen diventa nome, ed è usato metaforicamente (ὁ 'Αμήν, "la verità" o "il veridico") per Gesù stesso.
Amen assunse il valore di acclamazione, come Alleluia. S. Paolo (I Corinzî, XIV, 16; cfr. II Cor., I, 20) ci è lui stesso testimone dell'abitudine di rispondere amen alle preghiere. Nella liturgia antica lo si trova dopo la consacrazione, dopo la comunione, e dopo dossologie o altre preghiere liturgiche; fu usato, come formula conclusiva, in fine ai simboli di fede (e si può tradurre, come vuole S. Agostino, verum est), penetrò nelle formule funerarie e negli amuleti, tanto che si trova in numerose iscrizioni e papiri. Talvolta è seguito dalle lettere greche kappa e thēta il cui valore numerico, 99, corrisponde alla somma di quelli rappresentati dalle lettere α (1), μ (40), η (8), γ (50).
Bibl.: F. Cabrol, in Dictionn. d'archéol. chrét. et de liturgie, I, i, s. v.