AMERICA [Geografia]
AMERICA (A. T., 121-122, 123-124, 149-150 e 151-152).
Sommario. - I. Geografia: 1. Generalità (pag. 837); 2. Storia della scoperta (pag. 838); 3. Geografia dell'America Settentrionale (pag. 841); 4. Geografia dell'America Centrale e delle Antille (pag. 866); 5. Geografia dell'America Meridionale (pag. 877). - II. Antropologia (pag. 903). - III. Archeologia e Preistoria (pag. 906). - IV. Etnologia (pag. 910). - V. Lingue indigene (pag. 920). - VI. Arte (pag. 932). - VII. Storia dell'America Anglosassone (pag. 934). - VIII. Storia dell'America latina (pag. 945).
I. Geografia.
1. Generalità. - Il nome America ricorda, come è noto, quello del navigatore fiorentino Amerigo Vespucci, che compì, negli anni 1499 e 1501-02, due viaggi lungo le coste dell'America del Sud, di importanza decisiva per la conoscenza di questo continente fino ad alte latitudini (forse fino a 60° S.). È pur noto che tale nome appare per la prima volta nel 1507, in un opuscolo di Martino Waldseemüller pubblicato a St. Dié di Lorena (Cosmographiae introductio cum quibusdam geometriae ac astronomiae principiis ad eam rem necessariis insuper quatuor Americi Vespucij navigationes etc.) e nella carta che l'accompagna. Precisamente, in questa, costruita, come oggi si sa con sicurezza, in base a materiale vespucciano, il nome America appare sulla terra sudamericana presso il Tropico del Capricorno; nel testo, ossia nell'Introductio, si avanza la proposta che la nuova parte del mondo, dallo scopritore Amerigo, sia intitolata Amerigen, quasi Americi terram sive Americam. La proposta ebbe una fortuna, che forse neppur il proponente sospettava, ed il nome si divulgò rapidamente per indicare la massa continua di terre corrispondenti all'odierna America del Sud, già precedentemente denominate Mundus Novus, per significare che erano qualche cosa di diverso e di staccato dall'Asia; distacco che, del resto, dové apparir chiaro anche a Colombo, forse già dopo il terzo viaggio, certo durante il quarto, giacché l'espressione Mondo Nuovo si legge in un ben noto schizzo cartografico di Bartolomeo Colombo relativo al quarto viaggio, e poi in altre carte derivate da materiali colombiani.
Ma per qualche tempo ancora, dopo l'introduzione del nome America, rimasero incerti i rapporti delle nuove terre sia con l'Asia, sia con le spiagge rivelate più a N. da una serie di scoperte assai più frammentarie (Caboto, Cortereal, ecc.), che oggi chiamiamo America del Nord, ma che allora da molti eran ritenute ancora appendici dell'Asia. L'indipendenza dell'America (ossia dell'America del Sud) verso mezzogiorno fu accertata per prima, con la spedizione di Magellano (ottobre-novembre 1520), ma a quest'epoca ancora taluno persisteva a ritener separate le terre del S. da quelle del N. per uno o più stretti, in corrispondenza all'America Centrale (si vegga ad es. la carta di Simone Grineo, 1532). Più a lungo durò il dubbio sulla connessione delle terre settentrionali con l'Asia tale connessione appare ancora, ad es., nei primi planisferi di Giacomo Gastaldi (1546, 1548, 1550), per quanto, alla metà del secolo, l'espressione Mondo Nuovo o Orbis Novus, per designare genericamente tutti i paesi nuovamente scoperti, fosse divenuta ormai d'uso comune. Ma solo verso il 1560 comincia ad esser figurato nelle carte, col nome di Stretto di Anian, un braccio di mare che divide le coste nord-occidentali del Continente Nuovo da quelle nord-orientali dell'Asia (tale nome è introdotto per la prima volta in mappamondi gastaldini tardivi), e da allora la completa indipendenza della nuova massa continentale rimase assodata definitivamente e i dotti si abituarono a rinunziare alla concezione, radicata da millennî, che l'abitabile fosse unica; apparve nel suo vero e complessivo valore la portata delle scoperte di Colombo, di Vespucci e dei loro successori, che avevano rivelato dunque una nuova abitabile. A questa rimase il nome di America, il quale, usato per lungo tempo, in concorrenza col nome Perù (o Peruvia) e con altri, a designare la massa di terre meridionali, fu esteso soltanto da Gerardo Mercatore all'intero Nuovo Continente, da lui detto America seu India Nova (già in carte anteriori al 1569), America sme Novus Orbis in una carta anonima, inserita nel Theatrum dell'Ortelio sin dalla prima edizione (1570); alla grande autorità di questi cartografi si deve senza dubbio se il nome rimase definitivamente (America da solo nella carta di Cornelio De Jode, 1593).
Che peraltro il Nuovo Continente fosse assai chiaramente distinto in due masse, unite da un assai sottile istmo, era apparso ben presto; la regione istmica è, p. es., già assai ben rappresentata nel suo contorno nella famosa carta di Diego Ribeiro (1529). Man mano che progredivano le conoscenze anche sulle parti interne delle due masse - l'America del Nord e l'America del Sud - si chiarivano le somiglianze e le differenze che corrono tra esse.
Ancor oggi si suole da molti mettere in vista le analogie generali nella struttura di entrambe: un grande fascio di alte e poderose catene montuose, geologicamente giovani, lungo le coste occidentali, cioè sul Pacifico, vasie zone di pianure nel centro, rilievi o alte terre molto antiche nella parte orientale. Ma bisogna ben guardarsi dall'andar tropp'oltre in questo ravvicinamento. Le Ande non sono affatto una continuazione delle Montagne Rocciose e delle altre cordigliere dell'America del Nord pacifica, come un tempo si credette; i rilievi dell'America del Nord orientale (Allegani, ecc.), antiche catene, ora in parte spianate o arrotondate, non hanno alcun rapporto con i tavolati dell'America del Sud (Guiana, Brasile); anche le zone centrali di pianure hanno diverso aspetto e in parte anche diversa origine nel N. e nel S.; il grande tavolato canadese, modellato dal glacialismo quaternario, non ha riscontro nell'America del Sud se non nel tavolato patagonico, molto più ristretto e diversamente conformato.
Profonde differenze esistono poi fra le due parti per ragioni di clima: l'America del Nord è compresa in massima parte nella zona temperata, l'America del Sud per due terzi nella zona torrida; sono perciò assolutamente diverse tanto la distribuzione delle temperature quanto quella delle piogge. Da ciò derivano poi diversità fondamentali, tanto nelle forme e nei tipi della vegetazione spontanea (manca p. es. naturalmente nell'America del Nord la foresta equatoriale), quanto nella distribuzione delle piante coltivate e perciò nei prodotti agricoli, nelle forme ed aspetti delle colture, ecc.; ne derivano ancora diversità molto rilevanti nella fauna. E queste diversità nelle risorse del mondo vegetale e animale determinano a loro volta diversità nel genere di vita, nell'economia delle popolazioni, ecc. Per la trattazione geografica vera e propria le due parti vengono perciò nel presente articolo tenute distinte.
Per contro, la popolazione originaria, ossia precolombiana, del Nuovo Continente, veniva e viene tuttora di solito ascritta ad una unica razza o tipo; e, per quanto, con l'approfondirsi delle nostre conoscenze, questa unicità si vada sempre più dileguando, tuttavia una trattazione generale dei problemi antropologici ed etnici non può farsi oggi che in modo globale; e lo stesso criterio si è seguito qui per i linguaggi precolombiani.
Ma, com'è noto, la maggioranza degli abitanti attuali dell'America è formata da coloni europei e loro discendenti. Tuttavia sotto questo riguardo le due parti dell'America sono andate incontro a sorti diverse; perché nell'America del Nord il popolamento è avvenuto prevalentemente per opera della stirpe anglo-sassone, nell'America del Sud per opera della stirpe latina (onde si parla spesso, specialmente da noi, di un'America Latina, che include però anche il Messico); e quelle due stirpi hanno sviluppato anche, in suolo americano, istituzioni civili e ordinamenti notevolmente differenti.
Infine è da avvertire che, dal punto di vista geografico, anche l'America Centrale ha un'esistenza a sé, poiché il suo rilievo non ha stretti rapporti né con l'America Settentrionale, né con la Meridionale, e la sua struttura, così varia e così frammentata, è, nello aspetto attuale, profondamente diversa da quella dei due membri maggiori. L'America Centrale appartiene alla grande zona dei Mediterranei che fascia il nostro globo, ed ha raggiunto il suo assetto presente in un'epoca geologicamente recentissima. Il grande Mediterraneo Americano agevola singolarmente i rapporti fra le terre che si affacciano alle sue sponde; ma, d'altro lato, la grande frammentarietà di quelle terre, smembrate in istmi, in penisole, in isole, ha avuto anche dei riflessi nel campo politico, favorendo, dopo la caduta del dominio spagnuolo, il formarsi di molte piccole unità statali. E la natura stessa dei rapporti di queste con i maggiori organismi politici del continente americano dà luogo spesso a un gran numero di problemi particolari.
Sui limiti fra le tre parti, nelle quali, in conclusione, risulta diviso il continente americano, non vertono dubbî. Come limite fra l'America Meridionale e la Centrale si deve assumere, piuttosto che l'Istmo di Panamá, la linea spartiacque fra l'Atrato e il Tuira; il limite fra la Centrale e la Settentrionale sarebbe indicato dall'istmo fra i golfi di Campeggio e di Tehuantepec, ma in pratica il Messico si ascrive per intero, nei suoi confini politici, all'America Settentrionale. Le Antille, grandi e piccole, vengono invece di solito attribuite tutte all'America Centrale, per quanto alcune delle più meridionali abbiano indubbie connessioni con l'America del Sud. Come parte integrante dell'America Settentrionale è da considerarsi l'Arcipelago Artico Americano.
I dati fondamentali sono offerti dalla tabella seguente in cifre tonde:
2. Storia della scoperta. - Se si esclude l'ipotesi, da pochi sostenuta oggidì, secondo la quale l'America sarebbe stata popolata da genti autoctone, deve dirsi veramente "scoperta" della terra americana quella dovuta agli antichissimi Europei o Asiatici, che, vuoi per il ponte terrestre unente ancora alla fine del Terziario l'Europa e la Groenlandia, vuoi per un altro ponte corrispondente all'odierno Stretto di Bering, o al cordone delle Aleutine, capitarono per primi in questa terra vuota di abitatori. Da quei primi immigrati del Vecchio Mondo (se pure non vi fu anche, come da taluno si sostiene, una intrusione di genti dell'Oceania navigate attraverso il Pacifico) deriva il popolamento graduale, che dall'estremo NO. si estese man mano per tutto il continente fino alla Terra del Fuoco.
Di questa primitiva scoperta asiatica e del popolamento successivo, nessuna nuova pervenne, per quel che possiamo saperne, ai grandi popoli civili dell'Asia Orientale (v. fu-sang), e men che meno alle genti dell'Europa antiche e medievali. Taluni autori, è vero, hanno creduto poter affermare una conoscenza europea dell'America nelle età storiche primitive: e questo grazie al racconto di Platone d'un'isola Atlantide situata nell'Oceano occidentale, grande più della Libia e dell'Europa riunite, pervenuta a un'ammirabile prosperità e a un'ideale perfezione di leggi, ingoiata poi a un tratto da un violento cataclisma e scomparsa nei gorghi marini. Sarebbe questa Atlantide, secondo una fra le molte ipotesi messe innanzi a spiegazione del misterioso racconto, l'America stessa, alla quale sarebbe arrivata (come si vuol argomentare anche da un passo di Diodoro Siculo) qualche nave fenicia o cartaginese spinta dai venti o dalle correnti, ma senza che poi altre navi s'arrischiassero dietro a quelle prime: così che alla fine, tranne il racconto mezzo fantastico di Platone, nessun benché minimo ricordo di quella remotissima terra sarebbe sopravvissuto presso le genti mediterranee (v. atlantide). Non è mancato però chi sostenesse anche l'ipotesi di relazioni lungamente seguite tra i paesi mediterranei e l'America in età preistorica: e questo, fondandosi principalmente su talune singolari analogie esistenti tra gli antichi monumenti egiziani e quelli che gli Americani di prima della scoperta hanno lasciato sparsi nei paesi andici dal Messico al Perù.
Ma, lasciate da parte queste, che, stando a ciò che sappiamo, non si possono chiamare altrimenti che fantasie, resta che di una sola scoperta europea di terre americane può parlarsi con certezza avanti Colombo, ed è la scoperta dovuta ai Normanni. Dall'Islanda, raggiunta e colonizzata da Norvegesi già nel sec. IX, un Gunnbjorn Ulfsson, navigando innanzi verso ponente, scopre nei primi lustri del sec. X la Terra Verde (Grön-land); quivi Erico il Rosso (Erik Rauda) stabilisce (985 o 986), sulla costa meridionale, la prima colonia, ben presto seguita da altre. Maggiore scoperta devesi, a quanto pare, a Leif, figlio di Erik, il quale, casualmente travolto colla sua nave assai più lontano, a SO., avrebbe toccato nel 999 un'altm terra, parte del continente americano, ch'egli, per avervi trovata la vite (?), denominò il Vinland. Altre terre, poste pure di là dalla Groenlandia, il Helluland (terra rocciosa) e il Markland (terra selvosa), sarebbero state toccate negli anni successivi. Disgraziatamente il racconto di queste scoperte non ci è conservato che da taluni manoscritti islandesi, posteriori di tre o quattro secoli, spesso contraddittorî fra loro e viziati da molti elementi fantastici, così che non appare possibile identificare con certezza le terre taggiunte; e mentre taluno (F. Nansen), revocando in dubbio l'intiero racconto, ritiene addirittura impossibile tentare un'identificazione, da altri pur dubitativamente si crede di poter ravvisare nel Helluland il Labrador, nel Markland Terranova, nel Vinland la Nuova Scozia o anche più a S. il Maine o il Massachusetts. Comunque, una colonizzazione, se vi fu (nel Vinland, 1003-1006), non ebbe seguito per l'ostilità degli indigeni, ed altri viaggi verso quelle terre non sembra si verificassero più, se non forse saltuariamente; insomma, tolta la Groenlandia meridionale, dove coloni normanni si mantennero fino alla fine del sec. XV (v. groenlandia), nessun altro ricordo di terre americane fu conservato presso le genti Normanne stesse, tranne quelle fortunatamente tramandate dalle saghe islandesi.
Ad altre scoperte dell'America precolombiana, oltre a queste così incerte dei Normanni, potrebbe credere chi si fondasse come su documenti sicuri sulle carte nautiche (quasi tutte prodotti italiani) del sec. XIV e del XV. Non poche di tali carte raffigurano a caso a ponente dell'Irlanda o all'estremo limite occidentale dell'Oceano inesplorato, la fantastica isola di S. Brandano; una carta del veneziano Andrea Bianco del 1448 (Biblioteca Ambrosiana in Milano) registra una misteriosa "isola otinticha" nell'Oceano a SO delle isole del Capo Verde, nella direzione dove realmente è il Brasile; altre carte, in non scarso numero, presentano, al largo nell'Atlantico più in là delle Azzorre, un'isola "delle Sette Città", il cui nome si ricollega con la leggenda spagnola dei sette vescovi salvatisi oltre oceano sfuggendo all'invasione araba della penisola; altre carte ancora, prima quella del veneto Pizigano (13a), pongono negli stessi paraggi un'altra misteriosa isola "Antillia". Ma sebbene quest'ultima abbia avuto anche la fortuna di regalare il proprio nome alle Antille, scoperte poi da Colombo oltre l'Atlantico, la presenza di tutte codeste terre strane nelle carte medievali, come non ha a che fare con le ignorate navigazioni normanne, così non autorizza in alcun modo a presumere avvenuta una traversata dell'Oceano e una scoperta di terre americane a ponente della penisola iberica, prima dalla nota impresa di C. Colombo: trattasi soltanto, fino a dimostrazione in contrario, di isole fantastiche, oppure di duplicati erronei di isole veramente scoperte (quali le Azzorre, Madera, ecc.).
Posto ciò, e dato l'oblio in cui erano cadute le scoperte normanne, è pienamente legittimo continuare a chiamare scoperta dell'America quella di Cristoforo Colombo, dalla quale data appunto la rivelazione del Nuovo Mondo (v. colombo).
La prima scoperta, verso l'albeggiare del 12 ottobre 1492, fu quella dell'isola che gl'indigeni chiamavano Guanahani e che Colombo denominò S. Salvador (una delle Bahama, assai probabilmente quella che oggi ha nome Watling), dopo la quale isola furono toccate, fra ottobre e dicembre, altre delle Bahama, poi Cuba, seguita per un tratto non breve della sponda settentrionale, indi Haiti riconosciuta per gran parte e battezzata Española. In un secondo viaggio, un anno dopo, fu toccata per prima la Dominica delle minori Antille, poi la Guadalupa, Portorico, l'Española (dove fu sbarcato un grosso nucleo di coloni), la Giamaica, e ancora Cuba, fino a raggiungere l'isola dei Pini quasi all'estremità occidentale di Cuba stessa (12 giugno 1494). Quattro anni più tardi Colombo stesso in un terzo viaggio tocca l'isola Trinidad, indi s'imbatte (5 agosto 1498) nella terraferma meridionale, della quale egli, deducendo dalle acque dolci che riempiono il Golfo di Paria l'enorme portata del vicino sfociante Orinoco, intuisce rettamente il carattere continentale. Come la terraferma meridionale, così in quell'anno stesso si rivela, ad O. dell'Atlantico, anche la settentrionale: Giovanni Caboto veneziano, mosso da Bristol a scoprire per conto dell'Inghilterra, aveva già il 24 giugno 1497 incontrato, secondo ogni probabilità, l'isola di Terranova; nel '98, ritornato a quelle spiagge, egli tocca e costeggia il continente lungo le rive del Canadà o della Nuova Scozia, od anche più a sud.
Poste così le prime basi, le conoscenze delle nuove terre crescono rapidissimamente in pochi anni, specie lungo le coste tropicali. Una spedizione spagnola comandata (ma soltanto per una parte del viaggio) da Alonso de Ojeda, e avente come pilota e cosmografo il fiorentino Amerigo Vespucci, scopre (1499-1500) tutte le coste dall'attuale Guiana Francese fin verso il Capo S. Rocco (compreso l'ingresso delle Amazzoni), indi, risalendo a N., tutto il tratto Guiana-Venezuela fin quasi alla foce del Magdalena, mostrando così la continuità della costa sud-americana per più di 3000 km. Pedro Alonso Niño, Vicente Yáñez Pinzón, Diego de Lepe, tutti spagnoli, nello stesso anno 1500, perfezionano le scoperte vespucciane, il primo lungo il Venezuela, il secondo e poi il terzo arrivando a S. a un dipresso dove oggi è Pernambuco; Pedro Alvarez Cabral, portoghese, avviato con una flottiglia dal Portogallo alle Indie, allargatosi dalla costa di Guinea verso SO., riconosce la costa brasiliana più a S., tra 16° e 20° di lat., mentre d'altro canto Rodrigo de Bastidas prolunga la scoperta del continente meridionale verso N., dal Venezuela girando tutto il Golfo di Darien, fino alla curva più settentrionale di quello che più tardi fu noto come istmo di Panamá (inverno 1500-1501). E ancora estendono la conoscenza dell'America Meridionale verso S. e verso N. una seconda spedizione del Vespucci e una quarta di Colombo (l'ultima del grande scopritore); il Fiorentino scendendo con navi portoghesi, tra l'estate del 1501 e l'inverno successivo, lungo la costa brasiliana fino a 25° S. (a SO. di Rio de Janeiro) e forse prolungando con una rapida avanscoperta la spedizione fino ai lidi patagoni, il Genovese dal canto suo scoprendo (agosto 1502-maggio 1503) un altro tratto della stessa costa continentale, tra la spiaggia di Honduras e quella dell'istmo, già riconosciuta dal Bastidas.
A questo così grandioso complesso di coste, rivelate in un dodicennio dall'Honduras fino al Brasile meridionale ed anche più a S., non fa riscontro un eguale progresso di conoscenza nell'America Settentrionale, ché nel N. alle scoperte del Caboto s'erano aggiunte, per quel che sappiamo, soltanto quelle dei due fratelli Cortereal portoghesi: Gaspare approdato (estate del 1500) probabilmente a Terranova o al Labrador, Gaspare ancora e Michele tornati un anno dopo a sponde poco più meridionali, l'uno e l'altro scomparsi più tardi in quegli stessi mari. Di queste terre così settentrionali i Cortereal stessi intuirono la connessione con la gran terraferma meridionale, ma la dimostrazione di tale connessione non doveva venire che parecchio tempo più tardi. Invece l'esistenza d'una sola compatta massa continentale, dall'Honduras al Brasile ed oltre, appariva ormai evidente ad ognuno, e non meno evidente appariva anche il fatto che, per la posizione, per la forma e per ogni circostanza del suolo, dei prodotti e della vita umana, questa massa continentale, che gli scopritori stessi chiamavano "mondo nuovo", non aveva nulla a che fare con quell'estremo Oriente favolosamente ricco e civile, che era stato il richiamo e la meta del viaggio di Colombo attraverso l'Oceano. L'illusione del Genovese, che nel 1492 credeva realmente di essere arrivato all'Oriente asiatico e nominava le isole scoperte Indie Occidentali era ormai svanita dieci anni dopo la prima scoperta, sia per lo stesso Colombo, come s'è avvertito, sia per tutti gli altri scopritori maggiori; tanto che per questa gran terra, che o si frapponeva fra l'Asia e l'Europa o dall'Asia si protendeva innanzi verso di noi, fu potuto proporre il nuovo battesimo di America, dal nome del navigatore che aveva scoperto più lunga serie di sponde del gran continente.
Le scoperte degli anni consecutivi, benché mosse, più che dal desiderio di meglio conoscere l'America, da quello di trovare un passaggio che girando le nuove terre permettesse di arrivare alle contrade asiatiche, aiutano man mano a completare il disegno del continente. Le terre scoperte nel N. tendono a congiungersi con quelle del Sud. Mentre Juan Díaz de Solís e Vicente Pinzón risalgono a N. dell'Honduras la costa orientale del Yucatán (1508-9), Sebastiano Caboto figlio di Giovanni, con navi inglesi, scende dal Labrador lungo le coste NE. degli Stati Uniti odierni; nel 1513 Juan Ponce de León scopre la Florida e ne gira gran parte; nel 1517 Francisco Hernández de Córdoba compie il giro del Yucatȧn, nel '18 Juan de Grijalva prosegue lungo la costa messicana, dal Yucatán fin quasi ai paraggi del Tropico, nel '19 Alonso Álvarez de Pineda completa il gran giro del Golfo del Messico dalla Florida riconoscendo le foci del Mississippi e raggiungendo le spiagge toccate dal Grijalva; Lucas Vázquez de Ayllón, nel 1520 e poi nel '26, fa esplorare ed esplora la costa che oggi è della Carolina, Giovanni da Verrazzano fiorentino, nel 1524, con una nave francese riconosce minutamente tutte le spiagge dalla Carolina fin verso la Nuova Scozia, particolarmente perlustrando la foce del Hudson e il seno di Newport. A una trentina d'anni dunque dalla scoperta di Colombo, nessuna soluzione di continuità esiste più dal Labrador fino all'estrema America Meridionale, e l'unità del continente appare palese a tutti, tranne a pochi illusi che ancora cercano, tra l'una e l'altra piega della costa, uno stretto aperto verso ponente.
Ma intanto più grande novità rivelava la scoperta di Vasco Núñez de Bálboa, che dalla foce dell'Atrato nel Golfo di Darien internavasi nell'inestricabile foresta e, vincendo le frequenti ostilità degl'indigeni, raggiungeva (29 settembre 1513) le acque dell'Oceano Pacifico nel Golfo di S. Miguel. Si era così effettuata la scoperta dell'Istmo e del primo piccolo lembo di tutto il lunghissimo orlo occidentale del continente americano.
La scoperta del Bálboa affretta la ricerca d'un passaggio che, girando l'America, permetta di arrivare al nuovo oceano: Juan Díaz de Solís (1515-16) cercando lo stretto arriva all'estuario della Plata; Fernão de Magalhães (Ferdinando Magellano), portoghese al servizio di Spagna, mosso al viaggio che doveva per la prima volta circumnavigare il globo, naviga lungo la costa della Patagonia, scopre (21 novembre 1520) lo stretto che porta il suo nome, e uscitone fuori nel Pacifico riconosce di lontano anche la costa occidentale, dallo stretto fin quasi all'altezza dell'odierna Valparaiso.
Alla conoscenza delle linee fondamentali del contorno continentale contribuisce ormai anche la penetrazione dell'interno, iniziatasi dapprima (1509) nella regione dell'Istmo, proseguita poi rapidamente in tutta l'America Centrale. La conquista del Messico, operata tra il 1519 e il 1522 da Fernando Cortés, porta a nuove spedizioni irradiate da codesta contrada appunto, le quali completano il riconoscimento del contorno occidentale del Messico stesso e dell'America istmica. Non solo, ma l'audace spedizione disegnata da Francisco Pizarro, coadiuvato da Diego de Almagro, verso le ricchissime terre a S. dell'Istmo, conduce nel 1524-26 alla scoperta della sponda occidentale dei paesi che oggi si dicono Colombia e Ecuador, nel 1527 fino a mezzo la costa del Perù. L'occupazione poi dell'interno del Perù e quella di gran parte del Chile dovuta all'Almagro, rivelano ancor più a S. i lineamenti fondamentali del continente, che finalmente in questa parte si completano grazie alla navigazione di Alonso de Camargo, che risale tutta la costa sud-americana occidentale dallo stretto di Magellano fino al Pem (1539-40). Soltanto alcuni lustri più tardi, nel 1616, gli Olandesi Schouten e Lemaire, preoccupati di evitare il pericoloso Stretto di Magellano, cercano e riescono, per lo stretto detto poi di Lemaire, a girare anche la Terra del Fuoco, raggiungendo il Grande Oceano oltre il Capo Horn.
Quanto ai lineamenti dell'America Settentrionale, nel 1533 una spedizione di Fernando de Grijalva scopre l'estremità della penisola di California; nel '39 Francisco de Ulloa esplora e riconosce chiuso l'intero Golfo di California, nel '42 Juan Rodríguez Cabrillo dal Messico risale fin oltre la baia di S. Francisco e il suo pilota Bartolomeo Ferrel prosegue a N. fino a circa 39°.
Ma l'attività esploratrice esercitata dagli Spagnoli su queste sponde, che erano certamente meno attraenti per ricchezza di metalli preziosi e per civiltà, finisce coll'arrestarsi, e dalla spedizione di Juan de Fuca in poi, che nel 1592 scopre lo stretto che oggi porta il suo nome, ogni iniziativa è lasciata ad età più tarda; rimane così ad un russo, Simon Dešnev, che primo arriva nel 1648, lungo la costa siberiana, all'odierno stretto di Bering, il riconoscimento del fino allora presunto - non dimostrato - isolamento reciproco dell'Asia e dell'America, e rimane poi principalmente ad esploratori inglesi e secondariamente a russi e spagnoli durante il sec. XVIII la scoperta di tutte le sponde, ignote ancora, tra lo stretto di Juan de Fuca e quello di Bering. Sono da ricordare Vito Bering danese e il capitano Čirikov con navi russe, scopritori dell'isola Kodiak, delle rive meridionali dell'Alasca, e dell'arcipelago delle Tlinkite (1741-42); le tre navi spagnole inviate dal viceré del Messico Bucarelli ad esplorare pure nel dedalo delle Tlinkite (1775); Giacomo Cook che nella sua terza spedizione corse lungo tutta la costa dell'odierna Columbia britannica, lungo tutta l'Alasca fino al Capo Principe di Galles estremo termine del continente, ed anche per un lungo tratto nel Mar Polare (1773); Alessandro Malaspina italiano, al servizio di Spagna, che dopo le metodiche esplorazioni di lunghi tratti di costa dal Chile al Messico, salì a riconoscere minutamente la costa delle Tlinkite fin oltre il monte S. Elia (1791); numerose spedizioni inglesi in tutto lo scorcio del sec. XVIII, principali le tre studiosissime navigazioni di Giorgio Vancouver (1791-94), lungo tutte le coste della Columbia britannica.
Il riconoscimento del rimanente contorno americano, per tutta quanta la lunghezza del giro settentrionale del continente, dallo Stretto di Bering fino a raggiungere le terre scoperte già tra il 1497 e il 1501 dai Caboto e dai Cortereal, è impresa di esploratori polari protrattasi per quasi tre secoli. Difatti il primo ingenuo concetto di Giovanni Caboto arrivato a Terranova, che bastasse di qui seguitare costeggiando verso O. per arrivare ai paesi dell'estremo Oriente, s'era ben presto dimostrato fallace di fronte alle enormi difficoltà offerte dai mari glaciali. I tre viaggi di Martino Frobisher (1576-78) che portano alle rive SE. di quella che oggi chiamasi Terra di Baffin, i tre di John Davis (1585-87) che conducono più a N. sulle stesse rive e su quelle fronteggianti della Groenlandia, la memoranda spedizione di Henry Hudson (1610-11) che rivela lo stretto e gran parte della baia che serbano il di lui nome, non sono che l'inizio di quella lunga serie di esplorazioni, quasi tutte inglesi, condotte attraverso indicibili ostacoli a N. dell'America in cerca del cosiddetto passaggio di NO., esplorazioni che soltanto nella prima metà del sec. XIX riescono a darci il riconoscimento completo di tutto il tormentatissimo giro settentrionale del gran continente. (Per la storia delle esplorazioni americane v. america centrale; america meridionale; america settentrionale).
3. Geografia dell'America Settentrionale. - Generalità.
L'America Settentrionale (A. T. 121-122 e 123-124), vasta circa 23.000.000 di kmq., si stende fra l'Oceano Pacifico, il Mare Glaciale Artico e l'Oceano Atlantico, dalla latitudine di 83°30′ N. (C. Morris Jesup, nella Terra di Peary) alla latitudine di 15°40′ N. (Istmo di Tehuantepec) e dal 167° 21′ (C. Principe di Galles, nell'Alasca) al 55° 40′ (C. S. Charles, nel Labrador) di longitudine O., tenendo conto della Groenlandia e dell'Arcipelago Artico, ma escludendo le due appendici articolate, continentale ed insulare (America Centrale e Antille), che la congiungono all'America del Sud, con le quali la superficie oltrepassa i 24.000.000 di kmq. Senza la Groenlandia e l'Arcipelago Artico, il punto più settentrionale del continente è il C. Murchison, nella Penisola Boothia (71°50′ N.).
Lunghezza e larghezza massime superano i 7000 km., ma la seconda viene riducendosi man mano che si procede verso S., a partire all'incirca dal 30° N., sì da far assumere al continente una forma a triangolo, del tutto simile a quella dell'America Meridionale, con la quale del resto sussistono anche altre analogie (disposizione dei lati del triangolo, dei rilievi marginali, sviluppo e direzione dei fiumi, ecc.), mentre i contrasti maggiori risultano in sostanza dalla diversa proporzione dello spazio appartenente, nelle due masse, alla zona temperata. In rapporto con queste condizioni, e perciò con la diversa facilità ed opportunità di penetrazione e di colonizzazione per gli Europei, la civiltà occidentale ha potuto pressoché totalmente soppiantare quella originaria nell'America del Nord, creandovi poche ma potenti unità politiche, laddove la permanenza di antiche stirpi, e le varie mescolanze etniche che ne seguirono, hanno determinato, insieme con le influenze climatiche, il formarsi di organismi statali relativamente più numerosi, ma meno stabili e potenti, nell'America Meridionale.
A differenza di quest'ultima, l'America Settentrionale gode di una favorevole posizione centmle, rispetto alle due estremità boreali del continente eurasico, al quale si avvicina così ad E., attraverso l'Atlantico, dove le distanze si riducono da 3200 km. (Irlanda-Terranova) a meno di 1500 km. verso N. (Norvegia-Groenlandia), come, e più, ad O., sul lato del Pacifico: qui anzi i continenti sono separati dal basso e poco ampio (92 km.) Stretto di Bering, chiuso a S. dall'arco delle Aleutine, che si stendono come i piloni di un immenso ponte rovinato, dal Camciatca all'Alasca. Questa posizione centrale è stata poi ancor meglio valorizzata dall'apertura del Canale di Panamá (1914), che ha molto ravvicinate le regioni economicamente più progredite dell'America e dell'Asia.
L'America Settentrionale differisce considerevolmente dalla Meridionale anche per la sua maggiore articolazione, coprendo le isole oltre 4.200.000 kmq. ed oltre 2.350.000 le penisole, ossia tutte insieme più del 27% della superficie del continente. Escludendo però dal computo l'Arcipelago Artico e la Groenlandia, la proporzione scende al 12,6%, valore assai più basso del corrispondente europeo (35%), e il cui significato antropogeografico diminuisce ancora, al paragone, se si tien conto del fatto che le penisole vengono rappresentate, nell'America Settentrionale, per la quasi totalità, da territorî climaticamente poco adatti agli insediamenti umani (Labrador, Nuova California). Conseguenza della forma massiccia dell'America Settentrionale è che molte località dell'interno sono distanti dal mare oltre 1500 km. (massima distanza 1650 km.). Invece relativamente notevole è lo sviluppo delle coste (75.500 km.), superiore a quello dell'Asia stessa, che pure è più che doppia in superficie: ciò che sta in rapporto con l'articolazione molto accentuata delle coste su cui lavorarono i ghiacciai (specialmente a NO.).
La superficie dell'America Settentrionale, nei più ristretti limiti sopra accennati, corrisponde al 15,6% di quella delle terre emerse; la sua popolazione (143 milioni di ab.) costituisce invece solo il 7,2% della popolazione del Globo, con una densità media di circa 7 ab. per kmq., vale a dire press'a poco la metà di quella calcolata per l'intera superficie terrestre.
Storia dell'esplorazione. - La linea complessiva del contorno dell'America Settentrionale, nella parte volta all'Europa, è già riconosciuta dal Labrador fino a tutto il golfo del Messico circa il 1520, ma ancora in tale epoca è del tutto ignota l'enorme estensione di terre che questa costa delimita. Incomincia la penetrazione nell'interno con la spedizione di F. Cortés, sbarcato nel 1519 sulla costa del Messico dove oggi è Veracruz e in due anni fattosi padrone dello stato degli Aztechi e fondatore del vicereame della Nuova Spagna. A questa occupazione del Messico centrale seguono, per iniziativa del Cortés stesso, le spedizioni ed occupazioni nell'America Cemrale (1523-26) e quelle rivolte a N. lungo la costa del Pacifico: nel 1530 Nuño de Guzmán occupa le terre del Messico prossime all'ingresso del Golfo di California e le chiama Nuova Galizia; nel 1539 Francisco Vázquez de Coronado, governatore della Nuova Galizia, invia frate Marco da Nizza nel N., alla ricerca di Cibola, la maggiore di sette città fantasticamente magnificate dagl'indigeni, e dietro al racconto del frate reduce conduce egli stesso (1540-42) una spedizione che penetra fin negli altipiani desertici dell'Arizona, indi scende, trovando soltanto poveri villaggi o indigeni vaganti, fin nei piani bagnati dall'Arkansas; López de Cárdenas scopre intanto le meraviglie del Gran Cañon.
D'altra parte tenta i paesi dell'interno Pánfilo de Narváez, che nel 1528, mosso dalle spiaggie della Florida, incontra la morte nelle bassure percorse dal Mississippi; solo Álvaro Núñez Cabeza de Vaca e altri tre, superstiti della spedizione, riescono a raggiungere, tra varie vicende, continuando sempre per terra, il Messico. Ritenta nel 1539 il cammino Hernando de Soto, governatore di Cuba, con un cospicuo nucleo di armati, riuscendo tra le insidie dei luoghi e le ostilità degl'indigeni a raggiungere, come pare, il fiume Tennessee, indi il Mississippi e poi l'Arkansas fino in vista delle Montagne Rocciose: perirono quasi tutti, senza aver trovato nulla delle agognate ricchezze.
Il triste esito della spedizione e le difficoltà aspramente saggiate ritardano ogni altro tentativo spagnuolo in questa parte, e solo continua la graduale espansione a N. e NO. del Messico: del 1609 o 1611 è la fondazione di Santa Fé tra le Montagne Rocciose, e più tardi diffondono maggiori conoscenze sull'interno della penisola di California parecchi viaggi di missionarî (Chini, 1685) o sui paesi tra le Rocciose e il Pacifico (Chini sul basso Colorado, 1698-1701, Sedelmayer lungo il Colorado, 1744, Escalante al Gran Lago Salato, 1776). Del 1769 è la fondazione di San Diego, del 1776 quella di San Francisco.
Altra penetrazione nell'interno s'inizia assai presto dai paraggi di Terranova e dal Golfo del San Lorenzo, dove subito dopo la scoperta affluiscono navi pescherecce francesi e inglesi. Primi i Francesi, avendo già esplorato la costa col Verrazzano, penetrano nell'interno con le tre spedizioni di Jacques Cartier (1534, 1535, 1841), il quale scopre il golfo e il fiume di S. Lorenzo e risale la corrente fino a Hochelaga (oggi Montreal), vi apprende nuova dei Grandi Laghi, e stringe amicizia coi capi indigeni; François de Roberval (1542) tenta a Quebec vanamente un primo stabilimento di coloni; Samuele Champlain ritenta la via dopo lungo abbandono, tornando a Hochelaga nel 1603, fondando la colonia di Quebec (1608), scoprendo il lago Champlain (1609), raggiungendo pel fiume Ottawa il lago Huron, il Niagara, il lago Ontario (1615).
Dal canto loro gl'Inglesi, mentre continuano i vani sforzi per il passaggio di nord-ovest (v. artiche, terre), tentano coi primi coloni per opera di W. Raleigh le spiagge che si chiamarono poi Carolina (1584), e pongono il primo stabilimento in Virginia (1607). Quivi presso si susseguono, negli anni consecutivi, altre occupazioni costiere, e intanto primi i trafficanti di pellicce, poi i coloni pionieri penetrano lungo i fiumi fino agli Appalachi; ma soltanto nei primi lustri del secolo XVIII dalla Pennsylvania la colonizzazione invade le valli degli Appalachi e, a mezzo il secolo, raggiunge il fiume Ohio, mentre la guerra contro il Canadà francese conduce i soldati britannici fino al lago Ontario e al luogo che denominarono Pittsburgh. Daniel Boone nel 1778 fonda i primi stabilimenti sul Kentucky e spinge i suoi pionieri fino al Mississippi.
La penetrazione francese aveva però preceduto di gran lunga sul massimo fiume quella rivale procedendo innanzi dal Canadà. Già nel 1634, per iniziativa del Champlain, Jean Nicollet aveva riconosciuto il lago Michigan, poi (1640-41) i gesuiti francesi Chaumonot e de Brébeuf l'Erie, e il padre Raymbault, anch'egli gesuita, il Lago Superiore. Le missioni cattoliche, che tosto si stabiliscono presso i laghi, si irradiano sempre più lontano: il padre Marquette e il commerciante Louis Jolliet, nel 1673, dal lago Michigan raggiungono il fiume Wisconsin, poi il Mississippi che discendono coi canotti fin circa alla confluenza dell'Arkansas, ritornando poi lungo il fiume Illinois fino al Michigan dove oggi è Chicago: facilissima via questa, aperta dal Canadà verso il Golfo del Messico, attraverso terre ricche d'ogni fecondità. Più a fondo esplora la contrada Roberto Cavelier de la Salle, che, dopo varie punte verso l'Ohio, nel 1682, secondato dal suo luogotenente Enrico De Tonti italiano, compie dal lago Michigan la discesa del Mississippi fino alla foce prendendo possesso in nome della Francia di tutta la regione che chiamò Luisiana. Negli anni seguenti, consolidato il dominio sul corso del gran fiume, altre missioni e spedizioni francesi perfezionano la conoscenza del paese: particolarmente notevoli quelle del gesuita Charlevoix (1720-44) intorno ai laghi e sull'alto Mississippi, e quelle di P. Gaultier de la Vérendrye dal lago Superiore al lago Winnipeg e lungo l'Assiniboine fino al Missouri (1731-40); nel 1742 i due figli del La Vérendrye, sorpassato l'alto Missouri, toccano il piede delle Montagne Rocciose, nel tempo appunto in cui i pionieri delle colonie inglesi appena si affacciavano oltre gli Appalachi.
Con la fine del sec. XVIII però, costituitisi i nuovi Stati Uniti e ottenuto da essi il confine al Mississippi, la spinta di questi pionieri anglosassoni verso l'O. procede con accresciuta rapidità: tra il 1804 e il 1806 una memorabile spedizione, guidata dai due ufficiali Lewis e Clark, dalla confluenza del Missouri risale il fiume, indi l'affluente Jefferson fino alle Montagne Rocciose, coi canotti poi discende lo Snake River e l'Oregon o Columbia fino a raggiungere il Pacifico, tornando poi a Saint Louis parte per l'alto Missouri e parte per il Yellowstone. Gli anni seguenti vedono svilupparsi rapidamente l'esplorazione sistematica, promossa in ogni parte del territorio dal governo federale stesso: particolarmente ricordevoli le spedizioni di Pike (1805-1807) e di Long (1819-23), condotte sull'alto corso del Mississippi, nelle regioni delle praterie e nel cuore delle Montagne Rocciose; dalla spedizione di Long si stacca quella dell'italiano Costantino Beltrami, che, con poverissimi mezzi, riesce a raggiungere i laghi sorgentiferi del Mississippi (1823). Ormai in tutta questa zona occidentale ai cacciatori di pellicce succedono sempre più numerose le spedizioni regolari, connesse con campagne militari o coi progetti di ferrovie transcontinentali o con le necessità del rilevamento geologico, soprattutto dal 1879 in poi, per merito del Geological and Geographical Survey of U. S. A.: particolarmente notevoli le spedizioni di King lungo il parallelo 40° (1867-72), di Wheeler lungo il 100° O. (1871-79), di Powell sul fiume Columbia e sull'alto Colorado (1869-72), di Hayden alle Montagne Rocciose settentrionali (1871), ecc.
Nel N., fino dal sec. XVII, compaiono come esploratori delle fredde terre subartiche i Francesi della Compagnie du Nord, cacciatori di pellicce, e i loro concorrenti gl'Inglesi della Compagnia commerciale della Baia di Hudson: questi nel 1680 già stabiliti sulla sponda O. della baia (Fort York, Fort Churchill), quelli intorno al 1730 (La Vérendrye) sul lago Winnipeg, indi penetrati ad O. circa la metà del secolo, fin quasi alle Montagne Rocciose, lungo il fiume Saskatchewan. Sostituita poi nel Canadà (1763) la dominazione inglese a quella francese, S. Hearne già nel 1770 si spinge arditamente dal Forte Churchill ad incontrare il fiume Coppermine, che egli segue poi fino allo sbocco nel Mare Artico. Poco più tardi P. Pond raggiunge il lago Athabaska e di qui manda innanzi a scoprire il Gran Lago degli Schiavi (1778), e, seguendo le sue tracce, Alessandro Mackenzie trova e segue fino alla sua remota foce l'emissario del lago stesso, al quale lascia il suo nome (1789); quattro anni dopo dal lago Athabaska, seguendo il Fiume della Pace, il Mackenzie stesso arriva alla Cordigliera, e, con gravi stenti oltrepassatala, perviene all'alto corso del fiume Fraser, indi direttamente alla costa del Pacifico raggiunta a 52°20′ di latitudine.
Tra le maggiori esplorazioni del sec. XIX basta rammentare, pure in quest'angolo NO. del continente, i viaggi di Finlay (1824) e di Macleod (1834-39) tra le alte vallate della Columbia inglese, indi, a completamento di questi, la scoperta, dovuta a Campbell e J. Bell (1840-47), delle sorgenti del fiume Yukon, che il Campbell stesso discendeva poi fino al corso medio, completando l'esplorazione compiuta più a valle dal russo Zagoskin (1842-44); più fruttuosi di tutti, i viaggi di George M. Dawson, l'eroe dell'esplorazione della Cordigliera canadese dalla valle del Fraser fino allo Yukon (1873-1900). Anche qui del resto gli spazî vuoti ancora rimasti nelle carte geografiche si sono riempiti rapidamente, grazie agli studî per la costruzione delle linee telegrafiche e delle ferrovie canadesi ed alascane e alle esplorazioni sistematiche promosse dagli uffici statali geologici ed altri, così per il Dominio canadese, come per l'Alasca (Stati Uniti). È anche frutto di esplorazioni condotte specialmente nell'ultimo ventennio del sec. XIX la miglior conoscenza dell'interno del Labrador (Peck, Low, Eaton ed altri).
Nella parte interna e meno accessibile del Messico, esplorazioni sistematiche e scientificamente fondate non si hanno che dopo la caduta del governo spagnuolo. Apre la nuova èra degli studî Alessandro Humboldt nel 1803, coi suoi classici viaggi, che per la prima volta veramente rivelano la Nuova Spagna nei suoi lineamenti fondamentali; dietro di lui, col sec. XIX, segue una lunga schiera di studiosi, in gran parte stranieri, essendo qui più lenta e parziale che negli Stati Uniti e nel Canadà l'opera sistematica d'indagine, promossa e coordinata dagli enti scientifici locali (v. per la storia delle esplorazioni nel Messico, come per le altre regioni dell'America settentrionale, alle voci singole).
G. Bancroft, History of the Pacific States of North America, S. Francisco 1882; E. Deckert, Nordamerika, Lipsia-Vienna 1904; S. G. Fisher, The discovery of America, Boston 1893; J. Fiske, The discovery of America, Boston 1892; H. Harrisse, History of North America, Parigi 1900; R. G. Thwaites, Travels and Explorations of the Jesuit Missionaries in New France, Cleveland 1900; J. Winsor, Narrative and critical history of America, Boston 1886.
Geologia. - Nell'America del Nord si ritrovano tutte le formazioni accettate nella cronologia stratigrafica, dalle più antiche alle più recenti, spesso con carattere di stretta affinità con le equivalenti dell'Europa, dove ne fu dapprima stabilito il numero e l'ordine di successione; tanto che lo studio di non poche di esse, con sviluppo spettacoloso nell'America settentrionale, ha servito a confermare e completare quanto al di qua dell'Atlantico le precedenti ricerche avevano acquisito alla scienza.
La causa prima delle affinità sta nel fatto che in origine l'America del Nord e l'Europa riunite costituirono una sola massa continentale (Atlantide periartica del Suess, Continente nordatlantico del Haug). L'Atlantico settentrionale si è andato successivamente formando e ingrandendo, insinuandosi fra i due continenti odierni.
L'opposto è avvenuto con l'America del Sud, staccata dalla settentrionale, fino ad un tempo geologicamente recente, da un'ampia distesa di mare, specie di Mediterraneo delle trascorse ere geologiche (Tethys), ultimi residui del quale sono il Mar Caraibico e il Golfo del Messico. Solo con l'innalzamento delle Cordigliere americane nel Terziario i due continenti si saldarono, e ciò dopo che l'America del Sud si era staccata dall'Africa, con la quale aveva a lungo formato il continente brasiliano-etiopico; e fra esse distendeva le sue acque l'Atlantico meridionale. Gli avanzi cospicui dei due continenti America del Nord-Europa e America del Sud-Africa sono per ciò conservati nella parte orientale o atlantica delle due Americhe, mentre sul lato occidentale o del Pacifico prevalgono le terre di sollevamento più recente.
La genesi del continente nord-americano esordisce adunque con uno smembramento del primo continente periartico e un distacco dall'Europa; seguono nel Paleozoico un primo ingrandimento verso SE. (sistema Appalachiano), e nel Mesozoico-Cenozoico uno molto maggiore verso occidente e verso mezzogiorno (sistema delle Cordigliere), che dànno al Nuovo M0ndo la forma che ha presentemente.
Nucleo primordiale del continente nord-americano è la sterminata piattaforma cristallina settentrionale e centrale, lo "scudo canadese" del Suess, che comprende, oltre il paese intorno alla Baia di Hudson, l'Arcipelago artico, la Groenlandia, e si estende verso S. nella parte mediana degli Stati Uniti fino al Colorado e all'Arizona. Avanzo del primitivo continente periartico, consta di rocce cristalline arcaiche o gneiss laurenziani, coi segni di un intenso corrugamento dovuto alla più antica delle azioni orogenetiche di cui rimanga traccia, la huroniana o prealgonchiana. I terreni archeozoici immediatamente posteriori, Huroniano e Algonchiano, collegati fra di loro da passaggi, coprono in discordanza il Laurenziano, sopra un'area, se pur vasta, comparativamente assai minore, specie nella regione del Lago Superiore.
L'enorme platea geognostica antica del continente è rimasta da quel tempo in poi interamente rigida, e non ha subito che movimenti epeirogenetici, cioè una serie di sollevamenti ed abbassamenti per i quali venne ripetute volte (17 secondo lo Schuchert) più o meno parzialmente invasa o abbandonata dal mare; mentre questo mare epicontinentale copriva e scopriva, con alterna vicenda, la piattaforma, lungo i contorni di questa si formavano le geosinclinali permanenti appalachiana e delle Cordigliere, che accoglievano i sedimenti provenienti dalla distruzione dei terreni più antichi e preparavano il materiale dei futuri sollevamenti.
Già fino dai primordî del Paleozoico si disegnano e vanno con il tempo facendosi più manifeste le differenze fra le due regioni atlantica e pacifica. Nel Cambrico quest'ultima si distingue dalla prima per l'assenza del genere Paradoxides. I terreni di quest'età si trovano in più luoghi ancora perfettamente orizzontali sopra il substrato cristallino settentrionale e centrale, mentre sono ripiegati e sconvolti nelle catene dipendenti dalle geosinclinali. Estensione grandissima ha il Silurico che si mostra tanto negli Appalachi, nel bassopiano interno e nell'Ovest degli Stati Uniti, quanto nel Canadà, dove giunge al Circolo polare, alla Terra di Grinnel e alla Groenlandia settentrionale. Né sviluppo molto minore ha il Devonico, sebbene con caratteri propri, differenti dagli europei. All'opposto il Carbonico presenta nella sua ricca flora una sorprendente analogia con la sincrona dell'Europa. La sezione superiore o produttiva del Carbonico si sviluppa nell'oriente e nel mezzogiorno degli Stati Uniti in modo imponente. I bacini carboniferi, fondamento della prosperità industriale della repubblica, sono quelli del New England e della Pennsylvania, antracitici; l'appalachiano, che si stende sopra 150.000 kmq. dalla Pennsylvania fino al Kentucky ed all'Alabama; quello del Michigan; il centrale, che abbraccia l'Illinois, l'Indiana ed il Kentucky, ed infine il maggiore di tutti, detto del Missouri, con 200.000 kmq., dallo Iowa fino al Texas.
Il Permico si depose dopo il sollevamento degli Appalachiani; in esso si accentua il contrasto fra l'E. e l'O. Ad oriente è strettamente legato al Carbonico con facies littoranea e continentale; nell'Occidente lo rappresentano calcari con facies pacifica di mare profondo.
I terreni paleozoici deposti lungo il margine sud-orientale dello scudo canadese, sollevati a due riprese dalle spinte orogenetiche, caledonica nel Silurico superiore, ed ercinica nel Carbonico medio, originarono corrugandosi il sistema di monti appalachiano, contro la massa arcaica, dal Golfo del Messico fino al Golfo del San Lorenzo, ora separato dall'Atlantico, a S. di New York, dalla pianura costiera più recente.
Le pieghe appalachiane dirette da NE. a SO. sono accavallate e rovesciate verso la massa continentale a N. Le spinte generatrici si spensero con il finire del Paleozoico, e quelle montagne, nei periodi immediatamente successivi, dagli agenti naturali distruggitori furono ridotte ad un penepiano. Però, sollevamenti epeirogenetici posteriori, abbassando il livello base, hanno determinato in esse l'escavazione di una ricca serie di profonde valli che morfologicamente le ringiovanivano, dando loro nuovamente, specie nella parte denominata ora degli Allegani, aspetto di monti. L'ultimo di tali sollevamenti è abbastanza recente, perché verso l'Atlantico le valli non sono ancora mature e presentano tutte cateratte e rapide, disposte da New York all'Alabama (Montgomery) lungo un gradino parallelo alla catena, detto linea delle cascate (fall line).
Il sollevamento appalachiano che ha interessato tutta la serie dal Cristallino al Carbonico, fu accompagnato da manifestazioni eruttive di graniti e dioriti, e da effusioni che ora appaiono interstratificate.
Il Trias verso oriente si trova con formazioni litoranee o desertiche; vi sono in esso grandiose eruzioni basiche, delle quali sono esempio le note Palissades del Hudson, dolomiti con stupenda divisione colonnare. Nell'occidente lo sviluppo del Trias è invece pelagico o alpino, con masse enormi di calcari e dolomie.
Il Giura si trova esclusivamente ad occidente nelle isole Aleutine, nell'Alasca, a Vancouver, nel Dakota, Wyoming, Nevada e nella California. Nella sua parte inferiore presenta ancora qualche analogia con l'Europa, ma nella superiore, in forte trasgressione, prevalgono rassomiglianze con il Pacifico da un lato e con il massiccio russo-siberiano dall'altro. Il Giurassico americano termina veno l'alto, nella regione dei grandi piani appié delle Rocciose verso E., coi singolari Atlantosaurus beds, formazione continentale lacustre, diventata celebre per i giganteschi rettili fossili dell'ordine dei Dinosauri che vi si rinvennero.
Durante il Trias e il Giura molto probabilmente si ristabilì una comunicazione terrestre con l'Europa, riformandosi un continente nord-Atlantico, che doveva durare fino a mezzo il Terziario. Sedimenti del Cretacico contornano gli Appalachi meridionali e coprono una sterminata estensione a levante delle Rocciose, dalla valle del Mackenzie al Golfo del Messico, e a ponente delle Cordigliere nella California, con caratteristiche che accennano ad eteropie e differenze climatiche. Specialmente interessante, nei più alti orizzonti, è la formazione continentale dei Laramie beds (Wyoming), ricchissima di avanzi di rettili (Triceratops) e in particolare di mammiferi, precursori di quelli rinvenuti negli strati terziarî immediatamente seguenti (Puerco beds).
Il Terziario antico, od Eogene, sviluppato lungo tutto l'orlo marino del continente da New York alla Florida, e intorno al Golfo del Messico, con carattere litoraneo, si addentra con forme di acqua dolce nel bassopiano mediano. Ha invece tipo marino profondo sul versante del Pacifico.
Fra l'Eogene e il Neogene cade la massima intensità della quarta dislocazione orogenetica americana, corrispondente all'alpina del vecchio continente. Le stratificazioni accumulate dopo il Laurenziano nella geosinclinale pacifica, in perfetta concordanza, sono innalzate a formare il complesso sistema delle Rocciose e delle Cordigliere costiere (Pacific range). Diretto da NO. a SE. all'incirca, dall'Alasca fino al Messico, dopo l'istmo di Tehuantepec, si volge ad E. collegandosi per il Yucatán all'arco delle Grandi Antille; indi, mediante la ghirlanda delle Piccole Antille e la catena costiera del Venezuela, ritorna verso O. al Pacifico per raccordarsi alle Ande.
Il grande diastrofismo, attenuato ma non ancora estinto, con il creare tutta la fascia occidentale dell'America del Nord, ne ha fissato la fisionomia odierna, dando luogo ad una successione altamente caratteristica di elementi strutturali e morfologici diversi da E. verso O., a partire dal bassopiano mediano, meno di un secolo fa ancora coperto dalle savane o praterie. Immediatamente a ponente di queste stanno, una dopo l'altra:
a) la larga fascia pedemontana dei Grandi Piani (Great Plains) che comprende l'arida ma pittoresca regione dei Bad Lands, i piani orientali dello stato del Colorado, lo Llano Estacado, e si spinge fino al Messico; piani che verso O. si elevano con dolce pendio fino a 2000 m. e più, formati da strati indisturbati, tabulari, del Cretacico e del Terziario;
b) le Montagne Rocciose, sorgenti bruscamente dai Grandi Piani fino a superare in più luoghi i 4000 m., formate da terreni dal Cristallino al Cenozoico, con strati inclinati fortemente verso E. Nella loro architettura però prevalgono le fratture sui ripiegamenti;
c) la zona degli altipiani interni o regione dei Plateaux, che va dalla Columbia Britannica fino al deserto del Colorado, e alla quale si annette il grande bacino senza deflusso del Lago Salato o dell'Utah. Caratteristica per la pila di strati perfettamente orizzontali dal Cambrico al Terziario poggiante in discordanze sull'Algonchico e Laurenziano, come mostra la magnifica sezione naturale del Gran Cañon del Rio Colorado, ma solcata da pieghe monoclinali e spezzata da immani fratture tettoniche con rigetti che giungono fino a 4000 metri di salto, portando il Nummulitico medio a contatto con il Cambrico.
Tanto nelle Rocciose quanto negli altipiani le rocce ignee, così effusive come intrusive, occupano vaste estensioni con estrema varietà di tipi. Celebre, fra gli altri, l'altipiano basaltico dell'Idaho, inciso dallo Snake River, di oltre mezzo milione di kmq. di superficie;
d) il fascio delle Cordigliere marginali del Pacifico, dall'Alasca, dove supera i m. 6000, al Messico e alla Bassa California, schietto tipo di catena di ripiegamento, nella quale prevalgono formazioni del Terziario e del Cretacico, con manifestazioni grandiose di vulcanismo recente, ancora in attività nel Messico e nell'Alasca, mentre nella costituzione della Sierra Nevada e nella Bassa California predominano i graniti.
Il Neogene fu teatro di un sollevamento epeirogenico ulteriore, durante il quale si formò l'odierna rete fluviale principalmente verso il Golfo del Messico e nel sistema appalachiano.
Ultimo grandioso evento, l'èra glaciale quaternaria: un immenso mantello di ghiaccio copre il Canadà e si spinge negli Stati Uniti fino al 38° parallelo, limitato a S. all'incirca dal Missouri e dall'Ohio, dipartendosi da tre centri principali: uno nella Cordigliera occidentale, all'incirca veno il M. Hooker; l'altro nel Keewatin del Canadà settentrionale; il terzo infine nei monti a N. della penisola del Labrador. La Groenlandia aveva una sua glaciazione particolare, maggiore dell'odierna. Questa immensa espansione glaciale che ha spianato e levigato le rocce cristalline della regione intorno alla Baia di Hudson e del Labrador, ha lasciato altresì nel Canadà proprio e negli Stati Uniti settentrionali i vasti depositi morenici ed i loess fertilissimi delle pratene, e con la sua morena frontale ha elevato lo spartiacque fra il bacino del Mississippi ed i Grandi Laghi defluenti al S. Lorenzo.
La sismicità è in diretta relazione con le origini e l'età delle varie parti del continente. La parte mediana, sostenuta dallo scudo canadese, è sismicamente tranquilla e rarissimi vi sono i terremoti. Nel sistema appalachiano le scosse sono più frequenti, di rado con sensibili danni. Il massimo dell'intensità nei sismi è dato dalle Cordigliere della costa del Pacifico, dove spesseggiano i terremoti rovinosi, come quello ben noto di San Francisco del 18 aprile 1906.
Rilievo. - Come s'è accennato, disposizione e struttura del rilievo presentano, nell'America Settentrionale, evidente analogia con quelle dell'America Meridionale. Due sistemi di elevazioni marginali limitano anche qui un'ampia zona mediana pianeggiante: di essi quello più imponente ed esteso, correndo lungo il Pacifico, continua il sollevamento andino e lo congiunge al coevo complesso di montagne a pieghe dell'Asia. Ad oriente la fascia di alteterre che fronteggia l'Atlantico corrisponde ad una zona più antica, che, oltre ad essere stata soggetta a più d'una completa o parziale peneplanazione, fu poi a più riprese sollevata ed abbassata e subì deformazioni varie da luogo a luogo, in modo simile alle montagne dell'Europa media, con le quali ha comune gran parte della sua storia geologica.
Ma nell'America del Nord la grande glaciazione pleistocenica ha avuto un'estensione ed ha esercitato un'influenza morfologica di somma importanza, che non si riscontra affatto nell'America del Sud. Nella pianura centrale, il limite della glaciazione, segnato da una complicata serie di deboli rilievi morenici, separa all'ingrosso due regioni a carattere profondamente diverso, di cui quella meridionale è solo in minima parte il risultato di un recente alluvionamento. Tutto il territorio compreso fra le alte terre occidentali, i Grandi Laghi, il S. Lorenzo e l'Oceano appartiene alla regione laurenziana (scudo canadese), avanzo di una molto più estesa massa continentale già denudata e quasi spianata in epoca precambrica, e poi sommersa e riportata all'azione erosiva dopo un lungo periodo di quiescenza. Il mantello di ghiaccio che la ricoprì durante il Pleistocene vi lasciò poi le sue impronte tipiche: onde la topografia di oggi, caratterizzata dagl'innumerevoli laghi e laghetti, particolarmente estesi nelle zone periferiche occidentale e meridionale, il margine oceanico inciso da fiordi, gli accumuli morenici, i cordoni di detriti (eskers), i ciottoli sparsi, ecc. La regione si solleva verso oriente fino a superare i 2300 m. sulla costa NE. del Labrador, i 3000 m. nella Groenlandia e si deprime gradatamente verso O., per rialzarsi in corrispondenza delle Montagne Rocciose: dove non è, come nell'Arcipelago Artico e nella Groenlandia, parzialmente o totalmente ricoperta dai ghiacci, risulta costituita da pianure rocciose e deserte (Barren lands) o da sterili tundre, che solo verso S. e SO. cedono il posto alla foresta canadese, ovunque il suolo e il clima ne consentono lo sviluppo.
La regione laurenziana a N., le pianure mediane ad O., l'Atlantico a S. e ad E. delimitano la zona delle alteterre orientali e la fascia costiera che le va congiunta. La prima, formata dal sistema appalachiano, si distende dall'isola di Terranova all'Alabama per una lunghezza di oltre 2500 km. e per una larghezza media di circa 300 km. La sua sezione settentrionale, limitata a S. dal solco lungo il quale corre il canale dell'Erie, è formata dai monti della Nuova Inghilterra, che proseguono, con la direzione prevalente del sistema (NE.-SO.), nel Canadà sud-orientale, e risultano da modesti rilievi isolati (monadnocks) divisi da larghe e piatte bassure vallive, ricche di laghi, di acquitrini, di torbiere. Gli Allegani o Appalachi proprî scendono ad O. sulla pianura centrale con una ampia fascia di ripiani terrazzati, costituiti da strati orizzontali sollevati, alti in media non oltre i 500 m. - in origine rivestiti di dense foreste, ora acquisiti alla coltura dei cereali ed all'allevamento - che nella loro porzione meridionale, dove risultano in parte di zone calcaree, presentano largo sviluppo di fenomeni carsici (Kentucky). Ad E. invece, in corrispondenza alle zone di più intenso corrugamento e di più complessa struttura, si sviluppa una compatta serie di catene parallele, separate da lunghe valli longitudinali (notevole soprattutto la Great Valley, che servì come via di penetrazione ai primi coloni europei), dalle quali i fiumi si aprono la via all'Atlantico attraverso anguste brecce (water gaps) che incidono profondamente le dure muraglie di quarzite. Le cime non oltrepassano di regola i 1700 m. (il M. Mitchell, m. 2045, è la vetta più elevata) e la montagna, ancora in parte boscosa, presenta in complesso forme dolci e dossi arrotondati, in rapporto col fatto che i più recenti disturbi tettonici operano sopra regioni quasi del tutto spianate. È questa la parte del sistema che racchiude i più considerevoli giacimenti di ferro e di carbon fossile del continente, ricchezze il cui sfruttamento venne favorito dal decorso dei fiumi, i quali, oltre a segnare un facile cammino verso oriente, precipitano al piano attraverso cascate, che si prestano ottimamente alla utilizzazione industriale. La linea lungo la quale si distribuiscono le cascate, estendentesi dal New Jersey alla Carolina del Nord (fall line), chiude ad E. la piatta, larga e ondulata zona pedemontana (Pedemont belt), che separa le catene esterne degli Allegani (Blue Ridge) dalla pianura costiera (coastal plain), la quale corrisponde ad un penepiano sollevato, a debolissimo rilievo, ma inciso da valli, e trova la sua continuazione morfologica nella piattaforma continentale sottomarina (continental shelf), su cui a S. emerge il tozzo aggetto peninsulare della Florida. La costa localmente accusa il prevalere di sollevamenti (S. Lorenzo, Golfo del Messico), ma per la più parte della sua estensione deve essere messa in rapporto con un abbassamento relativamente non antico, che tenne dietro alla glaciazione pleistocenica: a queste cause sono dovuti in sostanza i suoi tratti morfologici caratteristici (valli affogate, lidi sabbiosi).
Allargandosi man mano che si procede verso S., questa fascia costiera si collega, attraverso il basso Mississippi, alla grande pianura centrale, la quale si estende, per una larghezza massima di oltre 2000 km., dal Mare Glaciale Artico al Golfo del Messico, e risulta a sua volta, di una sezione orientale compresa fra gli Allegani, il fiume e i grandi laghi, e di una occidentale, fra questa e le Montagne Rocciose. La prima costituisce la zona delle praterie vere e proprie (Prairie Plains): immensa pianura a larghe ondulazioni, avanzo di una più estesa superficie sollevata in epoca mesozoica e poi denudata, la cui altezza, non superiore in media ai 200 m., aumenta verso N., dove la glaciazione pleistocenica lasciò il terreno coperto da una spessa coltre detritica, magnificamente adatta alla coltura dei cereali. Dalla zona delle praterie è quasi insensíbile il trapasso così alle finitime terrazze degli Allegani, come alla piatta cimosa alluvionale che la chiude a mezzogiorno, con le quali zone si confonde per i caratteri della vegetazione. Il trapasso è inavvertito anche verso O., ma qui il terreno viene gradatamente innalzandosi in una serie di vasti ripiani, fino a toccare i 1000-1500 m. ai piedi delle montagne, delle quali forma come un immenso imbasamento roccioso, di strati orizzontali o debolmente inclinati. Su questo le acque hanno lavorato più attivamente che non faccia credere il nome di piani (Great Plains), con cui è conosciuto, scavando valli profonde, isolando giganteschi blocchi arenacei (mesas), frammentando le poco resistenti zolle argillose in miriadi di nude vallecole (Bad Lands del Dakota del Nord e del Nebraska). Il territorio va facendosi sempre più arido per difetto di precipitazioni verso O., dove si passa dalla coltura granaria e dalla prateria vera e propria alla tipica steppa arbustiva (savana) o addirittura al deserto (Llano Estacado).
La zona di alteterre occidentali, che si sviluppa per una lunghezza di circa 8000 km. dallo Stretto di Bering all'Istmo di Tehuantepec, e raggiunge nella sua sezione mediana un'ampiezza massima di oltre 1700 km., è, come le Ande, costituita in sostanza da una serie di altipiani, limitati ai margini da catene montuose. Di queste la più orientale, che potrebbe dirsi interna al sistema, e prende il nome di Montagne Rocciose (Rocky Mountains), presenta, a S. di Santa Fé, un'interruzione, che permette alle alte terre mediane di affacciarsi direttamente sulla vallata del Mississippi. Tutto il Messico si può poi considerare un immenso altipiano, di forma trapezoidale, aperto verso N., e sorretto ad E. e ad O. da orli rialzati, che vengono man mano ravvicinandosi verso S., dove si saldano in un'ultima catena marginale, per discendere rapidamente al paesaggio meno che collinare dell'Istmo di Tehuantepec.
La disposizione relativamente semplice del rilievo non esclude grande varietà di tipi morfologici, i quali, oltre che col clima, stanno soprattutto in rapporto col fatto che le superficie da cui risultò costituito, affette in epoca preterziaria da peneplanazioni diverse e diversamente intense, furono, durante e dopo il loro corrugamento, soggette a energiche spinte verticali. Ne risultarono, fra l'altro, fratture e sprofondamenti, che favorirono la fuoruscita di masse eruttive, le quali assumono localmente estensione e importanza anche maggiore del corrugamento stesso. A questo sviluppo di antiche rocce effusive, fa riscontro, pur se in misura senza confronto minore, lo sviluppo delle manifestazioni endogene attuali o recenti, per le quali, oltre le Aleutine e il Messico, che sono fra le zone della terra più ricche di vulcani, debbono essere ricordate la sezione esterna delle cordigliere dell'Alasca e la Catena delle Cascate, dove si hanno apparati eruttivi quiescenti. Data la giovane età del sistema, la sua altezza media è di molto superiore a quella degli Appalachi. Varie cime oltrepassano i 5000 m., così al N., in Alasca (M. Logan m. 5955, M. S. Elia m. 5488), dov'è la massima elevazione di tutta l'America Settentrionale (M. Mc Kinley, m. 6190), come al S., nel Messico, dove, nell'ampia fascia dei vulcani che limitano a mezzogiorno l'Anahuac, si allineano il Popocatepetl (m. 5439), l'Iztaccihuatl (m. 5286) e il più alto di tutti, il Citlaltepetl o Picco di Orizaba (m. 5653). Salvo però che nelle più aspre zone del Canadà e nell'Alasca, le cordigliere presentano in complesso forme più dolci di quelle delle Alpi, ed anche uno sviluppo di ghiacciai minore che in queste.
Delle catene marginali, l'interna (Montagne Rocciose) consta di più fasci paralleli, riuniti da catene trasversali che racchiudono, massime nella parte meridionale, bacini più o meno ampî, dal fondo generalmente nudo e stepposo, ma rivestiti di foreste sui fianchi delle montagne che li circondano, ai quali vien dato nome di parchi (famoso pei la varietà e l'imponenza degli spettacoli naturali il parco nazionale di Yellowstone). Delle catene la più elevata è quella che guarda alla pianura centrale (Front Range): in più luoghi raggiunge e supera i 4000 m. (M. Elbert, m. 4395; M. Harvard, m. 4381; M. Antero, m. 4342; M. Evans, m. 4340), toccando nel monte Massive l'altezza massima di tutto il sistema (m. 4396; nei M. Sawatch). Ampiezza e imponenza dei fasci vengono via via diminuendo verso nord, dove, nella sezione compresa fra lo Stretto di Bering e lo Smoky River, le catene si deprimono, per ridursi considerevolmente d'altezza lungo i bacini dello Yukon e del Mackenzie.
I monti dell'Alasca a N., le Catene Costiere e la Catena delle Cascate al centro, la Sierra Nevada al S., formano l'orlo occidentale interno dell'altipiano, sollevandosi in ognuna delle tre sezioni a quote altissime (M. Mc Kinley, M. Foraker m. 5200, M. Rainier m. 4391, M. Whitney m. 4420, M. Williamson m. 4384) e presentando di regola il fianco O., battuto dagli umidi venti del Pacifico, ammantato di nevi e rivestito di foreste, mentre il versante opposto, volto agli altipiani interni, è arido e quasi ovunque spoglio di vegetazione. Parallela a questo fascio di rilievi ed esterna ad essi, si distende lungo il Pacifico la più breve e bassa catena costiera, frammentata a N. in penisole (Kenai) e isole (Kodiak, Vancouver) dall'azione dei ghiacci, che vi scolpirono una tipica costa a fiordi, salvo che nella poderosa, compatta muraglia del S. Elia, dov'è ancor oggi largo sviluppo di ghiacciai di tipo alpino e di pedemonte (Ghiacciaio Malaspina: 3200 kmq.). Le due catene marginali isolano poi lunghe valli longitudinali discontinue, in parte affogate come lo stretto fra il continente e l'isola Vancouver, in parte ricoperte di depositi alluvionali o anche glaciali: la più importante di queste, percorsa dal Sacramento e dal S. Joaquin, si apre al mare attraverso l'ampia rada di S. Francisco.
Bacini intermontani senza confronto più ampî e a diverso carattere trovano posto fra le catene marginali esterne e l'interna, dove più divergono. L'altipiano della Columbia, che comprende il bacino di questo fiume e del suo affluente Snake River, esteso oltre mezzo milione di kmq., è una regione a superficie ampiamente ondulata, costituita in sostanza da enormi colate laviche, e perciò rocciosa, e, salvo che sulle alture, arida e stepposa. L'elevata catena dei Wasatch (M. Uinta m. 4092), che si distacca dalle Rocciose, divide più a S. il cosiddetto Gran Bacino dall'Altipiano del Colorado; questo è per la più parte formato da un immenso tavolato arenaceo, che i fiumi hanno inciso in ampie zolle (mesas), separate da gole profonde (cañones), con pareti frangiate da terrazzi, torri, pinnacoli, ecc., dalle forme più varie (Gran Cañon del Colorado). Una superficie ancora maggiore è occupata ad O. dal Gran Bacino, che è un altipiano elevato in media 1300-1500 m., senza sbocco al mare: arida e desolata regione, nella quale numerose catene di monti appaiono come sepolte (Lost Mountains) fra potenti coltri alluvionali, rappresentanti i materiali di denudazione strappati alle aree più elevate. Le acque meteoriche, discendendo lungo i fianchi di queste montagne, si perdono nelle sabbie, o formano bacini chiusi, spesso occupati da laghi, quelli di oggi essendo talora (Gran Lago Salato) solo resti di masse d'acqua senza confronto più estese (il "Lago Bonneville" dei geologi). Fra le depressioni ve ne sono anche di assolute (L. Salton −91). La serie dei grandi bacini intermontani si continua a S., dove i deserti del Colorado - una volta formante la estremità N. del Golfo di California e poi separatone dalle alluvioni del fiume omonimo - di Gila e di Sonora presentano in sostanza poca diversità morfologica e lo stesso carattere di regioni desertiche: in essi la vegetazione è confinata a ristrette oasi, dove è possibile l'irrigazione artificiale.
La penisola della Bassa California rappresenta la continuazione delle catene costiere degli Stati Uniti, ma ha clima arido ed è perciò stepposa e quasi spopolata, nonostante le sue ricchezze minerarie, ancora più dello Yucatán, ripiano carsico (sahcab) di debole elevazione (150 m.), rivestito di boschi e coperto di rovine dell'antica civiltà maya. Le due sierre marginali del Messico, la Sierra Madre Orientale e la Sierra Madre Occidentale, quest'ultima alta (Cerro Mohinora m. 3500) e compatta, nonostante le numerose incisioni (barrancas) che vi hanno operato i fiumi scendenti dall'altipiano, la prima non meno alta (Peña Nevada m. 3664), ma discontinua, seguono l'andamento dei rilievi del Gran Bacino, il quale trova piena rispondenza nelle zone, senza sbocco al mare, dell'interno (Altipiano di Chihuahua, Llano de los Gigantes, Bolsón Mapimi, quest'ultimo sparso di laghi salati). Più a S. l'altipiano si eleva (Guanajuato) fino a congiungersi col triangolo dell'Anahuac, ricoperto per la più parte di rocce vulcaniche, ricco di giacimenti minerarî, in cui l'altezza tempera gli eccessi del clima tropicale, e le precipitazioni sono sufficienti. È questo il vero cuore del Messico, la sede dell'antica civiltà degli Aztechi. Dal Tepic (m. 945) all'Orizaba si allineano qui una ventina di coni eruttivi e tutte, si può dire, le varietà delle forme vulcaniche. Un secondo margine meno elevato (1500-2000 m.) forma più a S. la Sierra Madre del Sur, che si continua fino all'Istmo di Tehuantepec, collegando, come s'è detto, i due orli rialzati dell'altipiano del Messico.
Coste. - Il contrasto segnato dal rilievo fra le regioni occidentale ed orientale dell'America del Nord, trova un'altra espressione nel diverso carattere delle coste, di regola alte e compatte lungo il Pacifico, le cui onde battono direttamente il ripido fianco delle alture costiere, basse e frangiate sull'Atlantico, in corrispondenza del quale, da Terranova allo Yucatán, la piattaforma costiera si continua oltre la linea di spiaggia, costituendo uno zoccolo (continental shelf), su cui si distende un orlo più o meno largo di basse acque. L'isobata di 200 m., che corre vicinissima alla riva lungo il Pacifico, se ne allontana di oltre 300 km. ad O. della Florida e dello Yucatán, 100-150 km. in media in tutto il resto del contorno costiero, mentre a poca distanza dal brusco pendio degli alti rilievi delle catene dell'Alasca e del Messico meridionale si raggiungono e si oltrepassano i 5000 m. di profondità. Costa generalmente diritta e senza intaccature, questa del Pacifico - se se ne toglie il lungo e profondo solco tettonico del Golfo di California - fino allo Stretto di Juan de Fuca; cesellata, a N. di questo, dall'azione escavatrice dei ghiacciai pleistocenici, in miriadi di canali, di baie, di fiordi, di isole, fra cui solo poche di considerevole ampiezza (Vancouver, 40.000 kmq.; Kodiak, 10.000; Principe di Galles, 8000; Baranov, 4500) e tutte, o quasi, a breve distanza dalla riva. È perciò costa essenzialmente portuosa a N., priva, o quasi, di buoni rifugi naturali a S. del Capo Flattery, oltre il quale val la pena di ricordare la superba "Porta d'oro" di San Francisco, e il magnifico, ma insalubre (malaria) porto di Acapulco nel Messico meridionale.
Ricchissima di isole e articolata si presenta la costa settentrionale del continente, dallo Stretto di Bering alla Groenlandia ed al Labrador, ma in condizioni climatiche troppo sfavorevoli per risentire del beneficio di questo suo carattere; dove poi il mare più si insinua entro terra (Baia di Hudson), torna a farsi diritta ed inospite. Groenlandia e Labrador disegnano ad E. una linea di spiaggia generalmente alta e continua, incisa però anch'essa dai tipici fiordi, che si ritrovano sullo stesso lato di Terranova. Quando si prescinda dalla Groenlandia (2.170.000 kmq.) e dalle isole dell'Arcipelago Artico (tutte insieme: 1.300.000 kmq.), Terranova è l'isola più vasta dell'America Settentrionale (110.000 kmq.) - che ne è divisa da angusti e poco profondi canali (Stretto di Belle Isle: 15-20 km.; Stretto di Caboto: 95 km.) - ed è anche il punto di questa più vicino all'Europa.
A sud del S. Lorenzo, la costa atlantica presenta dapprima forme plasmate dall'azione escavatrice dei ghiacciai, sia lungo il litorale del Maine, fronteggiato da isole, frangiato di canali, di baie e di promontorî, sia dal Capo Cod al New Jersey, dove la topografia accusa la presenza di valli affogate, che appaiono come larghi estuarî ramificati (fiume Hudson, Baia di Delaware e di Chesapeake); ma oltre il Capo Hatteras, si fa bassa e piatta, orlandosi di lagune e di insenature (sounds), chiuse da lunghi cordoni litoranei, più o meno frequentemente interrotti da canali (inlets). La cimosa costiera, crescendo in ampiezza verso S., viene percorsa per buon tratto da fiumi pigri e tardi, ostruiti al loro sbocco in mare da questi cordoni (Roanoke, Neuse River), mentre a N. si restringe, lasciando appena posto agli estuarî, che vi formano baie larghe e abbastanza profonde, in fondo alle quali non han tardato a svilupparsi grossi centri commerciali (Philadelphia, Baltimora, Washington) e marittimi (New York). Il regime regolare e la buona navigabilità dei corsi di acqua, la cui foce è tenuta sgombra di detriti dal giuoco delle maree, hanno contribuito a costituire nel retroterra un territorio di denso popolamento.
Oltre le due Caroline, la costa si va facendo sempre più piatta, e sempre più indecisa la separazione fra mare e terra, finché, nella Florida, il dominio di questa sfuma in una lunga, esile diga discontinua (i cosiddetti keys), costituita di madrepore, al riparo della quale il terreno tende a consolidarsi e ad allargarsi. La costa rimane bassa, orlata di lagune, di pantani, di cordoni di dune (medanos) lungo tutto il golfo del Messico. Il Mississippi ha costruito qui un ampio delta, che termina con una caratteristica digitazione, detta dai Francesi Patte d'oie. A 177 km. dalla foce, è situata la città di New Orleans, il porto piú notevole degli Stati Uniti sul Golfo del Messico. Nella parte meridionale di questo in corrispondenza alla stretta fascia delle tierras calientes, le eccessive temperature, le piogge sovrabbondanti, il suolo acquitrinoso, le fulminee e micidiali pestilenze, creano condizioni quanto mai avverse al sorgere di porti, che qui si riducono ai soli sbocchi indispensabili alla vita del paese (Matamoros, Tampico, Veracruz, Puerto México). A 1100 km. ad E. della costa atlantica degli Stati Uniti è il piccolo gruppo oceanico delle Bemude, costituito da oltre 150 isolotti corallini, coprenti una superficie di poco meno che 50 kmq.
Clima. - Comparata con l'Europa, l'America Settentrionale presenta maggiore varietà di climi: ciò sta in rapporto sostanzialmente con la sua maggiore estensione in latitudine, con le condizioni del rilievo, e colle correnti marine. Il 77% del continente è compreso nella zona temperata, il 7% nella torrida, il 16% nella glaciale: quest'ultima ha quindi uno sviluppo maggiore della corrispondente eurasica. Come nell'America Meridionale, per la disposizione marginale N-S. dei rilievi, l'influenza benefica dei due oceani si esaurisce sopra zone relativamente ristrette: l'interno cade quasi tutto nel dominio di climi continentali. L'avvicinarsi dei due oceani a S. ne riduce il beneficio alla zona tropicale. Il continente è invece aperto all'influenza dei venti di N. e di S. La barriera montuosa dell'E. è più sottile e breve di quella dell'O.; di più, dato il prevalere dei venti occidentali, quasi tutte le precipitazioni dell'America Settentrionale provengono dall'Atlantico. Perciò esse vanno facendosi più scarse man mano che si procede verso occidente. Infine, mentre le coste ad E. sono lambite da correnti fredde (cold wall), quelle ad O. risentono l'influsso di correnti calde, ciò che determina fra le coste stesse un marcato contrasto. I caratteri del clima continentale si estendono addirittura fin sulle coste dell'Atlantico.
Tipico clima polare hanno le regioni poste al N. del 60° di latitudine e la metà settentrionale del Labrador. Il suolo è coperto di neve quasi tutto l'anno: i lunghi inverni, quando per mesi il sole non sorge sull'orizzonte, vi sono rigidissimi (F. Mac Pherson: media di gennaio −32°,2), brevi e fredde le estati, scarse le precipitazioni. Le medie temperature sono sempre inferiori a 0°. Queste condizioni si aggravano nelle regioni oceaniche, come la Groenlandia, dove l'inverno è un po' meno gelido, ma non si ha, quasi, estate, e le medie annue scendono fin oltre −20°; vanno invece temperandosi più a S., nell'interno dell'Alasca e del Canadà, caratterizzati da clima freddo continentale. L'inverno è ancora lungo e rigido, ma i mesi estivi sono piuttosto caldi (Winnipeg: temperatura media di luglio 18°,7) e, per la lunga permanenza del sole sull'orizzonte, sufficienti alla coltura dei cereali. Le precipitazioni, relativamente abbondanti, diminuiscono verso l'interno (Winnipeg: 583 mm.), aumentano verso l'Atlantico (Montreal: 1041 mm.), dove (regione del S. Lorenzo) gl'inverni sono meno freddi, ma le estati, anch'esse meno calde, determinano condizioni non altrettanto favorevoli alle colture. Alle due zone climatiche corrispondono all'ingrosso rispettivamente la fascia di barren grounds e la foresta di conifere del Canadà settentrionale. Sul Pacifico il clima perde il suo carattere continentale: gl'inverni si fanno temperati e più fresca l'estate, con piogge abbondanti tutto l'anno e massime in autunno (Sitka: media del mese più freddo −0°,1, del più caldo 12°,6; precipitazioni 2070 mm., dei quali 768 da settembre a novembre.).
Una buona parte almeno del territorio degli Stati Uniti è compresa nel dominio di climi temperati, che variano però fra condizioni estreme piuttosto diverse. Comunque, i massimi contrasti, più che fra N. e S., si avvertono tra E. e O. Il 100° O. segna all'ingrosso il limite fra la regione nella quale le precipitazioni sono sufficienti all'agricoltura, e quella in cui è necessario ricorrere all'irrigazione artificiale e al dry farming. L'una e l'altra regione hanno comune il carattere della continentalità, che va aumentando verso O. nella prima, mentre nella seconda non è attenuato, come s'è detto, neppure in vicinanza dell'Atlantico (New York: media del mese più freddo −1°,0, del più caldo 23°,1). In questa il massimo delle precipitazioni, che cadono pressoché in ogni stagione, da autunnale, com'è ad E., tende sempre più a farsi estivo e primaverile, via via che si procede verso O. Le temperature medie oscillano fra 5° e 10° a N. del 40°, tra 11° e 18° a S., tra 7° e 16° nelle regioni del centro (Chicago: 9°,2; St. Louis: 13°,2), l'escursione annua non si allontana gran che dai 20°-25° in media (New York: 24°,1; Knoxville: 21°,5; Chicago: 27°,0; St. Louis: 13°,2), perché ai forti calori estivi tengono dietro ovunque inverni rigidi, più spesso con precipitazioni nevose. L'escursione diurna, anche nel giro di poche ore, è sensibilissima. Repentine onde di freddo (cold waves) scendono dal N. fino al Golfo del Messico e violenti uragani (tornados) attraversano, devastandole, le pianure centrali. Ad O. di questa regione, il cui clima può definirsi continentale temperato, si stende quella delle pratene (in largo senso), non poco diversa anch'essa da zona a zona, e specialmente tra N. e S. Carattere generale l'estrema scarsezza delle precipitazioni, che scendono al disotto di 300 mm., e che, unitamente al forte contrasto fra temperature estreme, fanno di questo un clima continentale eccessivo, segnando a poco a poco il passaggio al clima desertico tipico. Il terreno, dove non è rimasto, qual è ancora per vastissime estensioni, sabbioso o roccioso, si presenta come una steppa (savana) di dure erbe cespicose (sage brush) a N., di magri arbusti spinosi (creosote brush) a S.: solo l'irrigazione artificiale lo ha conquistato alla coltura dei cereali, a carattere tuttavia ancora largamente estensivo. A N. gli inverni si fanno più rigidi e più asciutti, e il suolo è protetto a lungo da un ammanto di neve. I caldi e secchi venti occidentali che scendono dalle Cordigliere (chinook), in modo analogo al föhn alpino, spingono molto a NO. (Canadà) il limite delle coltivazioni. A S. invece, il benefico effetto degli umidi venti che spirano dal Golfo del Messico è annullato dalle condizioni del rilievo. Al riparo da questi, nel Gran Bacino, lungo il basso Colorado e nella parte settentrionale del Messico, si distendono veri deserti, nei quali furono registrate alcune delle più alte temperature della superficie terrestre (56°,7 nel Greenland Ranch, in California).
Condizioni del tutto diverse si presentano appena al di là delle cordigliere, lungo il litorale del Pacifico. Oltre all'abbondante piovosità, sono qui tipiche le miti temperature invernali ed estive (Seattle: mass. 17°,7, min. 10°,7; S. Francisco: mass. 27°,8, minima 7°,4; Los Angeles: mass. 20°,3, min. 11°,7) e perciò la debole escursione annua, che non oltrepassa 16° a N. (Seattle: 13°,4) e scende anche al disotto nella California centrale (S. Francisco: 5°,5). Il mese più caldo è l'agosto o il settembre. Le piogge cadono soprattutto d'inverno. Si è parlato a buon diritto di clima mediterraneo.
Abbondanti precipitazioni hanno anche la zona SE. degli Stati Uniti, quella lungo il Golfo del Messico e la Florida, ma l'andamento delle temperature mostra anche qui un carattere continentale, con estati eccessive e inverni relativamente crudi, in rapporto con le improvvise onde di freddo che attraversano le pianure centrali (New Orleans: massimi assoluti da −5° a 35°). I venti spirano da N. d'inverno, da S. d'estate; le piogge sono copiose in ogni mese, un po' più nella stagione calda (New Orleans: mm. 1560). Temperatura media annua e precipitazioni vanno diminuendo verso N. e soprattutto verso O. (S. Antonio: temp. media annua 10°,6; pioggia mm. 760), per accrescersi di nuovo man mano che si procede verso S. Nelle regioni nord-occidentali dell'altipiano del Messico, oltre le vaste aree desertiche dei bolsones, le piogge si fanno scarse e talora scarsissime (Chihuahua: mm. 385), a carattere temporalesco, e si riducono al solo periodo estivo, oltre il quale si ha una lunga stagione asciutta. Questa regione sub-tropicale segna nel Messico il trapasso, da un lato al tipico clima tropicale delle zone costiere, dall'altro a quello delle tierras frias, che costituiscono piccole isole in mezzo a territorî desertici o sub-desertici. In esse l'altitudine (oltre 2000 m.) tempera come s'è detto le influenze eccessive della latitudine, determinando un mite clima d'altipiano, per cui è stato opportunamente proposto il nome di clima messicano. Le piogge, non molto copiose (Messico: mm. 590), cadono nella stagione estiva (a Messico i 9/10 tra novembre ed aprile), le temperature oscillano di poco intorno ai 15°, l'escursione annua intorno ai 3°. L'altipiano si presta alle colture del frumento e del cotone, che hanno soppiantato in parte l'originario manto xerofilo.
Delle zone costiere, quelle sull'Atlantico, esposte al soffio degli alisei, sono più umide (Veracruz mm. 1553) delle occidentali, dove le precipitazioni non oltrepassano di regola il metro. In ambedue le regioni le temperature medie annue si mantengono piuttosto elevate (Veracruz: 24°,7; Mazatlán: 19°,3; Xalapa, a 1400 m. d'altitudine: 14°,5) con debole escursione annua. Il periodo di pioggia si concentra nei mesi estivi, dopo i quali si ha una lunga stagione asciutta (da ottobre a giugno). Da questo tipico clima tropicale, nel cui dominio cade anche quasi tutto lo Yucatán, è insensibile il trapasso al regime sub-equatoriale delle estreme regioni meridionali del Messico, regime caratterizzato da piogge senza confronto più abbondanti, doppio periodo di precipitazioni, forte umidità e nebulosità, e temperature ancora più elevate, così nella fascia costiera che corre lungo il Pacifico, come nell'alta regione di Chiapas.
Acque continentali. - Disposizione e sviluppo dei fiumi sono nell'America Settentrionale in evidente rapporto col rilievo, poiché lo spartiacque principale (main divide line) corre in complesso lungo le Montagne Rocciose e perciò quasi ovunque poco discosto dal Pacifico. Dove più se ne allontana, come nella regione mediana delle alte terre occidentali, si estendono zone senza sbocco al mare, che coprono tuttavia solo il 5,2% della superficie del continente (600.000 kmq. negli Stati Uniti, 350.000 nel Messico, il resto nel Canadà). Alla brevità dei fiumi sfocianti nel Pacifico, il cui bacino rappresenta appena il 22,4% dell'America Settentrionale, si contrappone perciò il notevole sviluppo di quelli che si versano nell'Atlantico (74,2%), non, però, nell'Atlantico aperto (13,0%), ma, data la disposizione del rilievo orientale, nell'Oceano Glaciale Artico (34,6%) e nel golfo del Messico (24,8%). In quest'ultimo mette foce il Mississippi ("padre delle acque"), il più grande fiume del mondo per lunghezza di corso (6730 km.), quando si consideri come suo ramo sorgentifero il Missouri (4170 km. senza di questo), ma non per ricchezza d'acque (portata media 19.000 mc. al minuto secondo; minima 8.000, massima 40.000), per la quale è superato da molti altri fiumi, né per l'ampiezza del bacino (3.248.000 kmq.), che non è molto più grande della metà di quello dell'Amazzoni. Nato da una serie di laghetti poco ad O. del lago Superiore (lago Itasca), dopo un breve corso accidentato diviene navigabile (a valle di St. Paul) e riceve il tributo dei suoi maggiori affluenti: il Missouri a destra, l'Ohio a sinistra; al primo deve solo il 14% delle sue acque, quasi un terzo al secondo, che, con un bacino tre volte più piccolo di quello del Missouri, ha una portata più che doppia. Gli affluenti del Mississippi hanno le piene in periodi diversi, perciò il fiume ha acque alte per quasi metà dell'anno (gennaio-giugno), e spesso piene disastrose, in rapporto soprattutto con quelle degli affluenti appalachiani, che si gonfiano in primavera. Più che di acque il Missouri ("acqua fangosa": 4710 km.), che viene dalle Montagne Rocciose, è ricco di detriti (e perciò è detto big muddy): è fiume irregolare, inadatto alla navigazione e di poca utilità per la zona dei Grandi Piani dell'Occidente, tra i quali scorre. Al contrario l'Ohio (1560 km.), che nasce dagli Allegani (Allegheny R. e Monongahela R., riunentisi a Pittsburgh), forma coi suoi affluenti e coi canali che lo congiungono ai Grandi Laghi un'estesa rete di vie navigabili, al centro di una ricca regione industriale. Caratteri press'a poco simili a quelli del Missouri e dell'Ohio hanno gli altri affluenti delle due parti del Mississippi: l'Illinois a sinistra, congiunto col lago Michigan, l'Arkansas e il Red River a destra, che corrono incassati in profondi cañones e attraversano territorî stepposi.
Corso non molto esteso hanno i fiumi che scendono dagli Allegani (Savannah, Roanoke, Potomac, Susquehanna, Delaware), ricchi di acque e tanto più importanti quanto più si procede verso N., dove lo Hudson, unito per canali all'Ontario e all'Erie, forma una delle più importanti vie d'acqua del mondo. Navigatissimo è poi il S. Lorenzo (990 km. dall'uscita dal lago Ontario, 3280 km. considerando come sua sorgente il St. Louis; bacino 1.380.000 kmq.; portata media 10.000 mc. al secondo), il cui corso, interrotto da rapide a monte di Montreal, è completato con canali e collegato coi Grandi Laghi. È però, alla sua foce, gelato in media per cinque mesi l'anno (dicembre-aprile). Per un periodo più o meno lungo (da quattro a nove mesi), a seconda della latitudine, gelano anche i fiumi che sfociano a N. nell'Atlantico (Hamilton R.) e nella baia di Hudson, dei quali notevoli il Churchill R. (1700 km.) e il Saskatchewan-Nelson (2440 km.; bacino 1.180.000 kmq.), nei quali però la navigazione è impedita anche dalle cascate. Tutti questi fiumi hanno portata considerevole e regime piuttosto regolare, dati i molti laghi che attraversano. Così è anche del Mackenzie, che col suo ramo sorgentifero, l'Athabaska, è per lunghezza (4600 km.), bacino (1.610.000 kmq.) e portata (16.000 mc. al secondo), il secondo fiume dell'America Settentrionale. Il Mackenzie attraversa o è in comunicazione, per mezzo di affluenti, coi più grandi laghi delle regioni nord-occidentali, ma, rimanendo libero dai ghiacci solo per un breve periodo dell'anno (4 mesi), è poco utilizzato per la navigazione. Al Mar di Bering versa le sue acque lo Yukon, che attraversa l'Alasca ed ha un corso lunghissimo (3200 km.), vasto bacino (860.000 kmq.), ma regime meno regolare del Mackenzie, con magre invernali e piene primaverili. È navigabile solo da giugno a settembre; la sua portata media è tuttavia di poco inferiore a quella del Mississippi.
Carattere ancora meno costante hanno i fiumi sfocianti nel Pacifico; di questi i più settentrionali, e in ispecie il Fraser R. e il Columbia (2250 km.; bacino 770.000 kmq.; portata 6000 mc. al secondo; oscillazioni di livello da 10 a 20 m. presso la foce), per quanto ricchi d'acqua, hanno il corso interrotto in più punti da cascate; sono però pescosissimi. Vero fiume di steppa è invece il Colorado (2700 km.; bacino 660.000 kmq.; portata media 800 mc. al secondo, minima 200, massima 1500), che attraversa regioni aride e deserte con una serie di profondissime gole (Gran Cañon). A S. di questo (Messico) non si hanno, si può dire, fiumi di qualche importanza. Cospicuo per lunghezza (2800 km.) e per vastità di bacino (570.000 kmq.) è il Río Grande del Norte, che mette nel golfo del Messico, ma ha regime nettamente torrentizio, con doppio periodo di piene (principio e fine dell'estate), e meschino deflusso di acque (750 mc. al secondo, in media); è tuttavia navigabile nel suo corso inferiore.
A differenza dell'America Meridioriale, la Settentrionale è ricchissima di laghi: di questi la quasi totalità è rappresentata da laghi di origine glaciale, estesi qui assai più che nelle corrispondenti zone europee. I cinque maggiori, tra Canadà orientale e Stati Uniti, occupano da soli una superficie quasi doppia di quella dell'Adriatico (245.240 kmq.). Il più occidentale (Lago Superiore) è anche il più grande del mondo, dopo il Caspio, avendo una superficie di 83.000 kmq.: è profondo in media 145 m. (massima 307), ha un volume di 12.000 mc. e si eleva col suo specchio a 183 m. sul livello del mare. Lo seguono, scendendo verso il S. Lorenzo, il Michigan (57.850 kmq.; prof. media 100 m., massima 265), lo Huron (59.510 kmq., prof. media 76, massima 223) che sono allo stesso livello (177 m.), l'Erie (25.820 kmq.; prof. media 20 m., massima 64 m.; altezza 174 m.) e l'Ontario (18.760 kmq.; profondità media 91 m., massima 225; altezza 75 m.); il forte dislivello fra i due ultimi, superato per mezzo della cascata del Niagara, ha reso necessaria la costruzione di canali. Canali mettono poi in comunicazione questi laghi, non solo col S. Lorenzo, ma anche con la regione atlantica oltre gli Appalachi, cosicché si è sviluppata qui una fittissima rete di vie d'acqua, che non ha riscontro in alcuna altra parte del mondo. Scarsa è però l'efficacia di queste superficie liquide sul clima, e la loro importanza economica è diminuita considerevolmente dal lungo periodo di gelo. Vasti e numerosi laghi glaciali si trovano anche nel Canadà di N. e di NO., dove coprono, nell'insieme, una superficie più grande di quella dell'intera Italia; maggiori fra questi il Gran Lago degli Orsi (30.260 kmq.), il Gran Lago degli Schiavi (27.440 kmq.), il Lago Winnipeg (24.650 kmq.), l'Athabaska (7500 kmq.), ecc., i quali tutti però, oltre ad essere gelati per buona parte dell'anno, si collegano con fiumi anche per altre cause (rapide) non navigabili, e correnti in regioni disabitate.
Laghi chiusi e salati non mancano nelle alte terre occidentali: cospicuo fra questi il Gran Lago Salato, il quale copre una superficie di 6100 kmq., ha una salsedine del 18%, una profondità mássima di 15 m. e presenta considerevoli oscillazioni di livello. Anche nell'Oregon e nel Nevada abbondano laghi salati (Humboldt Lake. Carson L., Pyramid L., Walker L., Momo L., ecc.). Lagune e stagni costieri sono poi numerosissimi lungo le coste SE., e specialmente nella Florida, la cui porzione meridionale (Everglades) è tutta un immenso e desolato acquitrino (18.000 kmq.).
Flora. - Poiché le estreme terre meridionali dell'America del Nord vengono studiate, per quanto riguarda la loro flora, nel capitolo dedicato all'America Centrale, nell'America boreale possono essenzialmente distinguersi due grandi dominî: uno artico ed uno temperato.
Il primo, formante un grande arco attorno al mare polare, alberga una vegetazione relativamente uniforme di specie erbacee (Ciperacee, GraminaLee, Cariofillee, Sassifragacee, Ranuncolacee, Rosacee) e di bassi suffrutici a foglie persistenti (Salicacee, Ericacee) o caduche (Betulacee). In esso, malgrado l'esistenza di un grande numero di specie comuni a tutte le regioni circumpolari, è tuttavia possibile riconoscere alcuni distretti fitogeograficamente distinti. Essi sono ordinatamente: 1. il distretto delle tundre del Mare di Bering, prolungantesi al di là dello stretto omonimo, lungo la costa boreale siberiana, sino alla foce della Kolima e sul continente americano sino a quella del Mackenzie; 2. il distretto delle tundre canadesi; 3. il distretto groenlandese. Caratteristico della tundra canadese, in confronto a quella siberiana, è il predominio delle formazioni di licheni sopra quelle di muschi. La vegetazione della Groenlandia è la più varia dei tre distretti e si distribuisce in due zone: una costiera, nella quale si alternano boscaglie basse di Salix e di Alnus, lande a Dryas octopetala, praterie acquitrinose, torbiere e tundre; e una interna, quasi esclusivamente occupata da tundre lichenose. Il limite superiore della vegetazione terrestre si eleva nella terra di Grinnell a 500-600 m. s. m. (Greely) e in Groenlandia a circa 1000 m. (Warming).
Assai più vario è il dominio dell'America temperata, il quale, fitogeograficamente, può essere suddiviso in tre regioni: una boreale - America boreale sub-artica - comprendente tutto il Canadà, a S. del limite boreale della vegetazione arborea e sino alla regione dei Grandi Laghi; e due, situate in gran parte a mezzogiorno di questa e separate dal margine orientale delle Montagne Rocciose, estendentisi, rispettivamente, fino all'Oceano Pacifico - America boreale pacifica - e all'Oceano Atlantico - America boreale atlantica.
L'America boreale sub-artica è rivestita di un'immensa ed apparentemente uniforme formazione boscosa, costituita specialmente di conifere e sporadicamente interrotta da laghi o paludi e, verso mezzogiorno, anche dalle prime isole avanzate di vegetazione steppica. La grande ricchezza di specie arboree che essa effettivamente presenta consente la distinzione di alcuni distretti bene caratterizzati anche floristicamente. In un primo distretto, quello dell'Alasca, si inizia, per chi proviene dal nord, la vegetazione forestale caratterizzata dalla Picea Sitkensis; mentre, nel distretto del Canadà, che comprende il bacino del Mackenzie e tutta l'area situata a S. della Baia d'Hudson sino al Labrador e a Terranova, sono tipici componenti dei consorzî arborei la Picea alba (White Spruce), la Picea nigra (Black Spruce) e il Pinus Banksiana. Il distretto forestale costiero della Colombia presenta foreste di Pseudotsuga Douglasii (Douglas Fir), Thuya gigantea e Tsuga Mertensiana; quello delle catene a N. delle Montagne Rocciose è caratterizzato dal predominio di Pinus ponderosa e P. Lambertiana; mentre l'ultimo, quello dei Grandi Laghi, che dalla costa atlantica compresa fra il New Brunswick e Philadelphia si stende sino a NO. del Lago Winnipeg, è caratterizzato dalle foreste di Pinus strobus e Tsuga canadensis, oltre che da una maggiore partecipazione alla composizione dei consorzî arborei di specie di latifoglie.
L'America boreale pacifica comprende a sua volta per lo meno cinque grandi distretti. Il distretto forestale della Colombia è continuato a S. dal distretto della depressione e delle catene montuose californiane, estremamente vario perché esteso a tutto il versante occidentale della Catena delle Cascate e della Sierra Nevada, con flora assai ricca di generi e specie endemiche e con foreste di Pinus Lambertiana, Cupressus macrocarpa, Libocedrus sp., Chamaecyparis sp. oltre alla nota Wellingtonia gigantea, alla Castanopsis chrysophylla, al genere Umbellaria (Lauracee) e alle specie più boreali di Quercus. Ad oriente di quest'area, a clima atlantico e così schiettamente forestale, una seconda area, nella quale un clima prettamente continentale trova la sua reazione in una vegetazione sub-desertica (distretto delle steppe e dei deserti salati delle Montagne Rocciose), è compresa fra la catena omonima ad oriente e le due sopracitate - la Catena delle Cascate e la Sierra Nevada - ad occidente. È la regione del Gran Lago Salato: si tratta di un altipiano situato a circa 1200 m. s. m. rivestito da una flora xerofila ed alofila nella quale, come nei deserti salati degli altri continenti, assumono un'importanza notevole le famiglie delle Chenopodiacee e Salsolacee e talune tribù di Graminacee e di Leguminose (Astragalee) con specie però americane. Il carattere di questi due distretti si continua verso S., rispettivamente nei due successivi delle foreste montane del Messico settentrionale e delle steppe e chaparrales del Texas, dell'Arizona e del Messico settentrionale. Il primo possiede rigogliose formazioni forestali, costituite da parecchie specie di querce a foglie persistenti, frammiste a latifoglie dei generi Juglans, Fraxinus, Platanus, Populus ed a conifere dei generi Juniperus, Cupressus e Pinus (P. Chihuahuana nella zona superiore). Il secondo presenta, nell'interno, un paesaggio di steppe sud-tropicali, con piante succulente (Cereus, Opuntia, Mammillaria), mon0cotiledoni xerofile (Agave, Yucca, Dasylirion) e composite frutescenti (Baccharis, Pluchea); mentre nella zona costiera il chaparral assume caratteri che l'avvicinano alla fisionomia del Mediterraneo meridionale.
I fitogeografi americani distinguono, non senza buone ragioni, come regione a sé il distretto delle praterie del Missouri, vera steppa continentale di Graminacee, soggetta a variazioni termiche molto ampie e a scarse precipitazioni, non tali tuttavia da impedire la coltura dei cereali. Le due specie dominanti nella prateria sono la Bouteloua oligostachya (Buffalo grass) e la Buchloë dactyloides; seguono specie dei generi Agropyrum, Andropogon, Eriocoma, Stipa. Le specie accessorie della prateria presentano, nella primavera, una fioritura molto brillante. Inoltre, come si comprende, la vegetazione va gradualmente assumendo verso occidente i caratteri della steppa salata con la quale confina, mentre ad oriente acquista specie arboree, che tipicamente le mancherebbero, dapprima rappresentate da individui sporadici, poi da cespugli sempre più frequenti.
Finalmente, nella regione dell'America boreale atlantica si distinguono tre distretti. Anzitutto il distretto settentrionale delle foreste e delle praterie, compreso fra la regione dei Grandi Laghi e le Montagne Rocciose, dove le specie arboree orientali raggiungono il loro limite verso occidente formando caratteristiche mescolanze floristiche (Pinus Murrayiana, Ulmus americana, Betula papyracea), dalle quali tuttavia le specie occidentali sono rigorosamente assenti. Segue il distretto delle foreste di caducifoglie del bacino del Mississippi, intercalato fra quello delle foreste atlantico boreali e quello dei boschi a foglie persistenti degli stati sud-orientali della Unione: esso si stende sui due versanti e a S. della catena degli Allegani, nei bacini dell'Ohio e del Mississippi, fra il 42° lat. N. e il limite settentrionale dell'Olea americana e del Quercus virens. Ricco originariamente di boschi, possiede numerose specie del genere Quercus (18), alle quali si accompagnano, in modo da imprimere un'impronta particolare al paesaggio vegetale, parecchie specie di Juglandee (Juglans, Caria). Sono pure caratteristiche nel distretto la Maclura aurantiaca e le più settentrionali delle Magnoliacee (Magnolia sp. pl., Liriodendron). Il distretto delle foreste a foglie persistenti poi comprende, fatta eccezione per l'estremità della Florida, che, come il Messico meridionale, viene inclusa nel dominio floristico dell'America Centrale, gli stati meridionali ed orientali dell'Unione. Alle specie indicatrici di quest'area - Quercus virens, Olea americana, Sabal palmetto, Pinus australis - si associano, nelle foreste a facies molto variata, numerose Ericacee arboree ed arbustacee (Rhododendron, Gay-Lussacia, Oxydendron, Vaccinium, Andromeda), Magnoliacee (Magnolia, Illicium, Liriodendron), una Anonacea (Asimina), ecc.
Bibl.: Grisebach-Tchihatcheff, La Végétation du Globe, II, Parigi 1876; O. Drude, Manuel de géographie botanique (trad. G. Poirault), Parigi 1897; Korschelt, Link, Oltmanns, ecc., Handwörterbuch für naturwissenschaften, IV, Jena 1913, s. v. Geographie der Pflanzen (Florenreiche); C. Hayek, Allgemeine Pflanzengeographie, Berlino 1926.
Fauna. - La fauna dell'America Settentrionale è meno ricca e meno caratteristica di quelle dell'America Meridionale e dell'America Centrale. Essa non possiede che 120 famiglie di vertebrati terrestri, di cui solo 5 vi sono esclusive, cioè: Haplodontidae e Antilocapridae fra i mammiferi, Chamaeidae fra gli uccelli, Aniel lidae fra i rettili e Sirenidae fra gli anfibî; l'America Centrale e Meridionale (che costituiscono un'unica regione zoogeografica, la neotropicale) ne hanno 39 caratteristiche su 155 presenti.
Varie famiglie esclusivamente americane, oltre che nell'America del Nord, sono estese ad altre terre del Nuovo Mondo: tali i Phyllostomatidae, i Geomyidae, gli Heteromyidae, gli Erethizontidae, i Dicotylidae, i Dasypodidae, i Didelphidae fra i mammiferi; gli Icteridae, i Tanagridae, i Mniotiltidae, i Vireonidae, i Mimidae, i Cotingidae, i Tyrannidae, i Trochilidae, i Cathartidae, i Cracidae, gli Odontophoridae, i Meleagridae fra gli uccelli; i Tejidae, gli Xantusiidae, gli Helodermatidae, i Cinosternidae, i Platysternidae fra i rettili; i Lepidosteidae fra i pesci. D'altra parte non sono lievi le affinità tra la fauna nord-americana e quella dell'Eurasia e talune famiglie sono esclusive di questo continente e dell'America Settentrionale, rimanendo escluse dagli altri continenti: così i Talpidae, gli Ochotonidae e i Castoridae fra i mammiferi; i Regulidae, i Colymbidae e i Tetraonidae fra gli uccelli; i Proteidae, i Salamandridae, gli Amphiumidae fra gli anfibî; i Percidae, i Gastrosteidae, gli Esocidae, gli Acipenseridae, i Polyodontidae fra i pesci.
Viste così le affinità della fauna nord-americana, o neartica, passiamone in rassegna i rappresentanti più notevoli.
L'America Settentrionale è del tutto priva di scimmie, né pare che ve ne siano state durante il Terziario. Tra i pipistrelli si contano i Vespertilionidae, i Noctilionidae, come nel Vecchio Mondo; i Phyllostomatidae annoverano nella Bassa California una specie caratteristica: l'Otopterus californicus; anche nord-americane sono due specie di noctilionidi, che costituiscono il genere Nyctinomops.
Gl'insettivori scarseggiano e le uniche due famiglie presenti, quelle dei Soricidae e dei Talpidae, vivono anche nel Mondo Antico. Pertanto vi sono dei generi esclusivamente nord-americani, come quello delle talpe americane (Scalops), il genere Scapanus, con due specie di cui la più nota è S. americanus, il genere Condylura, a cui appartengono delle sorta di talpe con proboscide, come C. cristata, i generi Blarina e Notiosorex, simili ai nostri toporagni. Non mancano dei veri toporagni, come Sorex palustris, S. Cooperi, S. Bendirei.
Lungo le coste pacifiche, da 20° lat. N. fino allo Stretto di Bering, vivono foche della famiglia degli Otariidae (Eumetopias, Arctocephalus ursinus); lungo le coste pacifiche ed atlantiche, a N. rispettivamente della Bassa California e della Florida, si trovano vere foche (Phocidae).
I carnivori sono abbastanza ben rappresentati, spesso da forme parallele a quelle che vivono in Europa e in Asia; così nell'America del Nord, in luogo del Canis lupus, vive il Canis occidentalis e la Vulpes fulva sostituisce la Vulpes vulpes. Un genere di Canidae proprio della regione neartica è l'Urocyon. Gli orsi vi posseggono due tipi ben distinti: il sottogenere Enarctos, a cui appartengono il Baribal (Ursus americanus), il cui maschio, molto più grosso della femmina, supera la lunghezza di m. 1,50, e l'Ursus luteolus, a cui si contrappongono alcune specie grosse e più temibili, come l'U. horribilis delle Montagne Rocciose, l'U. Middendorffi, l'U. Dalli, ecc. dell'Alasca, i quali si avvicinano a talune sottospecie dell'orso d'Europa (U. piscator, U. beringianus) del Camciatca e all'U. spelaeus del Quaternario. I Procyonidae, che Cuvier designava col nome di Piccoli Orsi, son comuni alle due Americhe; caratteristico è il Procyon lotor, abbastanza comune negli Stati Uniti, mentre la California possiede un Coati (Nasua narica) e un Bassari (Bassariscus astutus). Tra i Mustelidae è caratteristico il Tasso americano (Taxidea americana), molto diffuso; il gen. Mephitis, proprio delle Americhe, possiede M. mephitica e M. hudsonica; le martore sono rappresentate da Mustela americana e da M. Pennanti; fra varie lontre notiamo l'interessante Latrax lustris, con abitudini marine, che frequenta le coste asiatiche e americane del nord-Pacifico. Le iene e i Viverridae mancano. I Felidae invece sono ben rappresentati, ma in generale da specie più piccole di quelle che vivono nel Mondo Antico: i grossi felini del Terziario (Felis atrox, F. imperialis) non hanno lasciato discendenti. Il Coguaro (Felis concolor) si estende fino al Canadà, ma solo nel Messico raggiunge le dimensioni di una leonessa; in quanto al Giaguaro (F. onca) esso è più proprio dell'America Meridionale, ma raggiunge e oltrepassa i limiti meridionali degli Stati Uniti e vive nella Vecchia California. Varî piccoli felini sono piuttosto messicani, ma le linci posseggono varie specie, come Lynx canadensis, L. fasciata, L. rufa, che popolano il Canadà, gli Stati Uniti e la California.
La fauna dei rosicanti rassomiglia molto, soprattutto a N., a quella dell'Eurasia. I generi Sciuropterus, Sciurus, Tamias, Citellus, Cynomys, Marmota, Castor sono rappresentati da specie diverse, ma più o meno affini a quelle europee e asiatiche. Pertanto il genere Haplodon è esclusivamente nord-americano e le sue cinque specie sono localizzate ad O. delle Montagne Rocciose, tra S. Diego e Vancouver. I Muridae posseggono dei grossi topi acquatici, come Fiber zibeticus e Neofiber Alleni, e varie specie di Sigmodontinae fitofaghe. Varî Cricetus sono proprî dell'America Settentrionale, fra cui l'Hamster dai piedi bianchi (Cricetus leucopus) ed alcuni Neotoma, fra cui N. floridiana. I Geomyidae, assenti ad oriente, salvo che nella Florida, sono caratteristici dell'America del Nord e si diffondono fino all'Istmo di Panamá: a tali rosicanti appartengono il Topo dalle borse (Geomys bursana), che abita soprattutto il bacino del Mississippi e dei suoi affluenti, e i Tomomys. Agli Heteromyidae che, diffusi in gran parte dell'America Settentrionale, raggiungono la Colombia, il Venezuela e l'Ecuador, appartengono i Dipodomys, sorta di rosicanti saltatori che rassomigliano ai dipi e sono confinati ad O. delle Montagne Rocciose e al Messico, i Perognatus, estesi dalla Columbia Britannica al Messico, e gli Heteromys, di cui tre specie vivono nell'America del Sud, una nell'isola Trinidad e 17 negli Stati Uniti (salvo la porzione orientale) e nel Messico. I Jaculidae posseggono il genere Zapus rappresentato anche in Cina da una specie (Eozapus setchuanus); i cinghiali il genere Erethizon. Gli Ochotonidae o lepri di montagna, diffusissimi in Asia, si trovano nel NO. dell'America Settentrionale, ove presentano sette specie; e i Leporidae posseggono numerose specie appartenenti ai generi Sylvilagus, Lepus, Macrotolagus, mentre l'interessante Romerolagus vive sul monte Popocatepetl, nel Messico.
Gli ungulati non sono oggi rappresentati nell'America del Nord che da artiodattili, poiché i Tapiri non si spingono a N. oltre l'America Centrale. I cinghiali americani (Dicotilydae), così abbondanti nell'America del Sud, toccano appena gli Stati Uniti con Tayassus tajacu e T. angulatus. Esclusiva della regione delle Montagne Rocciose è l'Antilocapra antericana, che da sola costituisce la famiglia degli Antilocapridae. Varî cervi sono importanti: la Renna (Rangifer tarandus), propria di tutta la zona artica dell'America e dell'Eurasia, il Wapiti (Cervus canadensis), l'Alce americana, varie specie più piccole del genere Odocoileus. Né meno interessanti sono le specie presenti di Bovidae: alle più alte latitudini del Canadà, come anche nella Terra di Ellesmere e nella Groenlandia settentrionale vive il famoso Bue muschiato (Ovibos moschatus); l'Ovis canadensis è proprio dell'Alasca e delle Montagne Rocciose canadesi; una capra (Haplocerus montanus) abita le Montagne Rocciose, dalla California all'Alasca; invece del Bisonte o Bufalo americano (Bos americanus), un tempo abbondante nelle praterie, restano pochi superstiti.
Degli sdentati, così abbondanti nell'America del Sud, solo Tatus novemcinctus si avanza fino al Texas; e i Didelphidae posseggono solo tre specie nordamericane: Didelphys virginiana, che ad E. si avanza fino a New York, D. mes-americana, che raggiunge la California meridionale, e D. texensis che non oltrepassa il Texas.
Gli uccelli che nidificano nell'America Settentrionale appartengono in gran parte ai medesimi gruppi di quelli dell'Europa e dell'Asia; molti migrano per andare a svernare nel Messico meridionale, nelle Antille o nelle regioni settentrionali dell'America del Sud. Generi di uccelli comuni all'America del Nord e all'Eurasia, e spesso più diffusi in quella che in questa, sono: Regulus, Certhia, Sitta, Parus, Lophophanes, Lanius, Perisoreus, Pica, Corvus, Ampelis, Loxia, Pinicola, Linota, Passerella, Leucosticte, Euspiza, Plectrophanes, Tetrao, Lagopus, Nyctale, Archibuteo, Haliaëtus.
Tra i passeriformi, l'America Settentrionale conta alcuni tordi, fra cui Planesticus merula; benché la famiglia dei Turdidae non vi sia gran che rappresentata; gli Alaudidae posseggono un solo rappresentante, Otocorys alpestris, della zona artica. I Motacillidae posseggono cinque specie del diffusissimo genere Anthus; gli Ampelidae sono rappresentati dall'Ampelis garrulus, che abita le foreste di conifere del nord. I Laniidae, così ben rappresentati nel Vecchio Mondo, non posseggono che due specie: Lanius borealis e L. ludovicianus. La famiglia dei Corvidae ha specie caratteristiche, come Corvus americanus. Nelle foreste delle Montagne Rocciose, fino all'Alasca, vive un nucifragide, Nucifraga columbianus, e le piche hanno due forme particolari alla regione: Pica Nuttalli e Pica pica hudsonia. La famiglia dei Paridae possiede dei generi caratteristici, come Penthetis, di cui una forma si ritrova in Siberia, Auriparus del SO. e Psaltriparus diffuso ad ovest. I Mniotiltidae posseggono numerose specie e i Regulidae, col genere Regulus, presentano varie specie particolari come Regulus satrapa, R. Cuvierii, R. calendula. I Certhiidae non sono rappresentati che da una specie circumpolare, Certhia familiaris. I Sittidae posseggono nell'America del Nord quattro specie: Sitta carolinensis, S. pusilla, S. pygmaea e S. canadensis. Ai Fringillidae, abbastanza numerosi, appartengono forme di generi comuni a tutta la zona boreale, come Loxia, Pinicola, Acanthis, Passerina, Calcarius, e forme di generi prettamente nord-americani, come Junco, Passerella, Pipilo, Calamospiza, Spiza, Chondestes, Pooecetes, Hesperiphona. Ai passeriformi appartiene l'unica famiglia esclusiva dell'America Settentrionale e localizzata nella California, quella dei Chamaeidae, con due sole specie: Chamaea fasciata e Ch. henshawi. In quanto ai Mimidae, famiglia esclusivamente americana, varie specie vivono nel Messico; ma negli Stati Uniti, solo i due generi Galeoscoptes e Oroscoptes.
I Trochilidae, o uccelli-mosca, così abbondanti nell'America del Sud e nel Brasile, scarseggiano nell'America del Nord; però talune specie si trovano anche ad alte latitudini, come Selasphorus platycercus, che raggiunge gli stati di Wyoming, di Nebraska e di Montana, S. rufus, che raggiunge l'Alasca, Archilocus colubris, che vive negli Stati Uniti dell'E. e raggiunge il Labrador e il lago Athabaska; nella California gli uccelli-mosca sono maggiormente rappresentati da specie appartenenti ai generi Basilinna, Eugenes, Selasphorus, Calypte, Stellula, Calothorax, Amazilla, ecc.
Un accipitriforme della California è il Pseudogryphus californianus, che peraltro si ritrova anche nell'America Centrale.
Notiamo infine i tacchini (Meleagris), di cui quattro specie vivono nell'America del Nord e nel Messico, mentre una sola specie (Agriocharis ocellata) è propria dell'America Centrale.
Tra i Rettili ricordiamo anzitutto la caratteristica famiglia degli Aniellidae, le cui due specie Aniella pulchra e A. nigra sono limitate in California, a S. di S. Francisco; una terza specie di tali sauri vermiformi pare che viva nel Texas, a El Paso. Altri sauri notevoli sono: il Phrynosoma cornutum del Texas; i Tejidae del genere Cnemidophorus; i Xantusiidae, localizzati nella Bassa California e in comune con l'America Centrale e Cuba; gli Helodermatidae, che si avanzano nell'America Centrale e vivono soprattutto nel Messico occidentale, nel Nuovo Messico, nell'Arizona e nella Nevada, comprendendo gli unici due sauri velenosi oggi conosciuti, Heloderma horndum ed H. suspectum; gli Eublepharidae del genere Coleonyx, che dall'America Centrale si inoltrano fino al Messico settentrionale. Mancano i Gechi, ma gli Iguanidae sono abbondanti e, oltre al Phrynosoma già citato, posseggono nell'America del Nord i generi Callisaurus, Uta, Euphryne, Uma, Holbrookia.
Gli Ofidî posseggono generi particolari, come Conophis, Chilomeniscus, Pitnophis, Ischnognathus, Farancia, Dimodes, Lichanotus e, fra i Crotalidae velenosi, Cenchris, Crotalophorus, Uropsophorus, Crotalus. Il cosiddetto serpente a sonagli è il Crotalus durissus.
I veri coccodrilli (Crocodilidae) non si rinvengono che nella Florida meridionale; ma gli alligatori, rappresentati dall'Alligator missisipiensis abitano tutti i corsi d'acqua del SE. e si spingono fino alla Carolina del Nord.
Le testuggini d'acqua dolce (Emys) sono abbondanti. Varî Trionychidae vivono nella parte orientale dell'America del Nord. I Cynosternidae e i Chelydridae, famiglie esclusivamente americane, sono ben rappresentate a SE.: il genere Macroclemmys con l'unica specie, M. Temminckii, è esclusivo del Texas, della Florida e del Missouri.
Mancano gli Anfibî apodi; ma tanto gli Urodeli che gli Anuri sono numerosi e interessanti. Esclusivi dell'America Settentrionale e localizzati a SE., soprattutto nel bacino del Mississippi, sono i Sirenidae, con due specie, Siren lacertina e Pseudobranchus striatus. I Proteidae, loro affini, sono ampiamente diffusi negli Stati Uniti orientali, con Necturus maculatus, mentre un'altra specie, Proteus anguinus, vive nella Carniola e nella Dalmazia. Negli Stati Uniti, donde si avanzano alquanto nel Canadà e nel Messico, vivono numerosi Amblystomatidae, famiglia presente anche in Asia, fra cui ricordiamo non meno di 25 specie del genere Amblystoma (Axolotl). Gli Amphiumidae, fra cui l'Amphiuma menas della Florida, che raggiunge circa 1 m. di lunghezza, sono localizzati ad E. degli Stati Uniti e si ritrovano ancora in Cina e nel Giappone. I Plethodontidae, rappresentati in italia dallo Splelerpes fuscus, posseggono nell'America Settentrionale una quarantina di specie. Ricordiamo ancora fra gli Urodeli i Desmognathidae, proprî dell'America Settentrionale e Centrale, con 6 delle 8 specie, confinati ad E. degli Stati Uniti. Alle famiglie ricordate si aggiungono alcune salamandre.
Gli Anuri presentano minore interesse. I Ranidae, gli Hylidae, i Bufonidae, i Pelobatidae sono assai diffusi; la caratteristica Rana mugiens (o catesbiana) supera spesso i 20 cm. di lunghezza. Gli Engystomatidae sono limitati al SE.; i Cystignathidae alla Florida e al Messico e i Discoglossidae, molto diffusi nell'Eurasia, posseggono un rappresentante americano ristretto allo stato di Washington, nel NO. degli Stati Uniti, l'Ascaphus Truei.
Nell'America del Nord sono rappresentate le quattro famiglie di ganoidi oggi viventi: gli olostei, esclusivamente americani, posseggono i Lepidosteidae, presenti anche a Cuba e nell'America Centrale, e rappresentati da Lepidosteus osseus negli Stati Uniti centrali e orientali, e gli Amiidae con l'unica specie Amia calva propria dell'est degli Stati Uniti; i condrostei, diffusi anche nell'Eurasia, sono presenti in tutti i fiumi atlantici e pacifici degli Stati Uniti con varî storioni, tra cui lo Scaphirrhyncus proprio del Mississippi, mentre i Polyodontidae, presenti anche in Cina, hanno una specie Polyodon folium, localizzata nel Mississippi e nei suoi tributarî.
Fra le famiglie di teleostei che popolano le acque dolci, citiamo i Cottidae, gli Scienidae, i Percidae, i Serranidae, i Centrarchidae, i Gastrosteidae, i Cyprinodontidae, gli Esocidae, gli Anguillidae, i Symbranchidae, i Cyprinidae, i Siluridae, i Salmonidae; caratteristici ed esclusivi dell'America del Nord sono gli Hyodontidae, i Percopsidae, gli Amblyopsidae e, qualora vogliano considerarsi come famiglia, gli Aphredoderidae. I Percopsidae posseggono due specie: l'una, Percopsis guttata, abbonda soprattutto nei Grandi Laghi e nei loro tributarî; l'altra, Columbia transmontana, è propria del Columbia, a NO. degli Stati Uniti. Gli Amblyopsidae, dagli occhi rudimentali, sono proprî di acque sotterranee e la più nota delle sei specie, Amblyopsis spelaea, abita nel Kentucky e in altre grotte ad E. del Mississippi. La Columbia possiede anche un salmonide particolare, il Thaleichthys. Siluridi esclusivamente nord-americani sono i Noturus e gli Hypodelus.
Gli insetti presentano le medesime caratteristiche generali di quelli della fauna dell'Eurasia. I Lucanidae sono di tipo europeo, i Carabidae presentano una mescolanza di forme eurasiatiche e sudamericane; similmente i longicorni. Fra i lepidotteri si nota un piccolo gruppo del genere Papilio (P. turnus e P. troilus), speciale del continente nord-americano. Una particolare menzione meritano la Doryphora decemlineata, originaria del Colorado, che danneggia le patate, e la fillossera (Phylloxera vastatrix), che dall'America Settentrionale fu importata in Europa.
I molluschi terrestri, con quasi un centinaio di specie di Helix, rassomigliano a quelli europei; notiamo sei specie di Patula, esclusive delle Montagne Rocciose da dove risalgono fino all'Alasca. I Molluschi d' acqua dolce sono assai abbondanti, in relazione con la ricchezza di corsi d'acqua e di grandi laghi, ma tutti appartengono a gruppi cosmopoliti. Gli Unionidae, di cui si contano non meno di 800 forme, sono notevoli per la loro grandezza, per la varietà delle loro conchiglie e per il loro robusto strato madreperlaceo. I Melanidae, i Paludinidae, i Cycladidae sono pure riccamente rappresentati.
I crostacei d'acqua dolce sono poco notevoli. Gli Astacus (o Potamobius), proprî a tutto l'emisfero settentrionale, vivono nel versante occidentale delle Montagne Rocciose; nel versante atlantico essi sono sostituiti da numerose specie del genere Cambarus, che si estende dai Grandi Laghi fino al Guatemala.
Colonizzazione. - Sebbene l'afflusso di popolazione europea nell'America Settentrionale abbia tenuto dietro alla sua scoperta, tra questa e l'inizio di una vera e propria colonizzazione corre più di un secolo. Come per l'America Meridionale, l'attività degli Spagnuoli ebbe di mira soprattutto la conquista di paesi ricchi di metalli preziosi, e la conversione alla fede cattolica di nuovi proseliti, senza però che all'azione degli audaci e degli zelanti seguisse un attivo movimento migratorio. Le imprese militari, iniziate da Cortés con la presa di Messico (1529), permisero di affermare un'effettiva egemonia solo sopra ristrette fasce costiere, e limitatamente alle regioni del Sud. D'altra parte, col decadere della potenza spagnuola in Europa, rallentò, e finì presto col cessare del tutto, l'immigrazione nei possessi d'oltre oceano, dove gl'incroci con gl'indigeni (meticci) non tardarono a formare la parte preponderante della popolazione.
L'attività esploratrice dei Francesi, che il Cartier (1534) aveva diretto sul S. Lorenzo, fu seguita da un regolare movimento migratorio solo dopo riusciti i tentativi dello Champlain (fondazione di Quebec: 1608), ma la penetrazione che di lì mosse, per i Grandi Laghi, al Mississippi non intese da principio al popolamento della regione. Lo scopo fu, e rimase per lungo tempo, il commercio delle pelli, per il quale si rese necessaria la creazione di numerosi punti d'appoggio e di fattorie, sperdute nella vastità di regioni, sulle quali sarebbe stato impossibile altrimenti esercitare un diretto controllo. Mancò a questa penetrazione il materiale umano necessario per dar vita a insediamenti a carattere permanente, in un periodo in cui nemmeno le finanze della madre patria e la politica coloniale dei dirigenti furono pari al bisogno. Nel 1660 in tutto il Canadà si contavano appena 3400 Bianchi.
Su tutt'altra base procedette la colonizzazione inglese, che, a prescindere da tentativi isolati, si può dire iniziata con la fondazione di Jamestown alla foce del James, nella Virginia (1607), più che quarant'anni dopo sorta la più antica città europea sul continente (St. Augustine, nella Florida: 1565). Sebbene in principio l'attività delle Compagnie di Londra e di Plymouth si volgesse più che altro alla pesca, i nuovi coloni iniziarono ben presto lo sfruttamento agricolo della pianura costiera, dove gl'insediamenti crebbero e si moltiplicarono con grande rapidità, grazie all'afflusso di nuove correnti migratorie, determinate anche dalle condizioni politiche religiose della madre patria (puritani). Correnti cui se ne aggiungono altre da altre regioni (Olandesi e Danesi alla foce del Hudson e sulle rive del New Jersey), che vengono però rapidamente assorbite dal più forte nucleo inglese (1667). Intorno alla metà del secolo XVII, tutta la costa atlantica fra il 34° e il 44° N. si copre di fiorenti colonie, la cui popolazione balza, nel periodo 1642-1688, da 14 ad oltre 200 mila Bianchi. Nelle regioni più meridionali, fino dai primi del secolo, ha luogo la tratta dei Negri (abolita solo nel 1815), meglio adatti alle speciali condizioni di clima e di lavoro (coltivazioni tropicali), e s'introduce così un nuovo elemento importantissimo nella vita politica e sociale del continente.
Francesi ed Inglesi non tardano a venire in conflitto, per ragioni di concorrenza, così nelle regioni peschereccie di Terranova e dell'Acadia (1713), come nel Canadà, e, più tardi, nella regione dei Grandi Laghi, alla quale i coloni occidentali erano giunti attraverso le vie naturali di penetrazione degli Allegani (Hudson, Connecticut). La vittoria degli Inglesi, che con la pace di Parigi (1763) escludono la Francia dall'America Settentrionale, e soprattutto la proclamazione d'indipendenza delle Colonie Unite, che a questa tien dietro di pochi anni (1776), segnano l'inizio di un più rapido ritmo nello sviluppo delle risorse naturali del continente, ed anche un momento decisivo nella storia della colonizzazione, che punta arditamente oltre i ristretti confini occidentali, libera ormai di portare tutto il proprio sforzo contro l'ostilità delle popolazioni indigene, che ne avevano ostacolato l'espansione da quella parte. Ai primi del sec. XIX, tutto il territorio fra il Mississippi e le colonie atlantiche può dirsi aperto a questa espansione, e la giovane repubblica americana, che in meno di cinquant'anni (1776-1819) vede più che quintuplicato il proprio dominio (da 1,1 a 6 milioni di kmq.), si affaccia al Pacifico, e raggiunge, a mezzo il secolo, gli odierni confini. In pari tempo la colonizzazione agricola oltrepassa il Mississippi e si sposta ancor più verso occidente, dove la scoperta di campi auriferi (Sierra Nevada occidentale) richiama dopo il 1848 un intenso, febbrile movimento immigratorio, che però si esaurisce col rapido esaurirsi di quelli. Le praterie, che, fino alla metà dell'Ottocento, eran servite in sostanza come territorio di transito verso le regioni del Pacifico, eccitano l'iniziativa e lo spirito d'avventura dei nuovi coloni, alla cui espansione porta un efficacissimo aiuto l'apertura delle grandi ferrovie transcontinentali (1869-1898). D'altra parte, lo sviluppo delle ferrovie accelera il razionale sfruttamento delle risorse naturali del continente, e favorisce così il sorgere della grande industria (e del capitalismo che la condiziona), come l'affermarsi di relazioni via via più intense fra le varie parti del continente stesso, e con l'estero, specialmente con l'Europa. Dal 1821 al 1925 si calcola che oltre 45 milioni di emigranti si siano diretti all'America Settentrionale. Di questi più che 36 (80%) al territorio degli Stati Uniti; 8 (18%) al Canadà; il resto al Messico; nell'enorme maggioranza provenienti dai varî paesi dell'Europa (Cinesi e Giapponesi dopo il 1880 e in proporzioni senza confronto minori). L'afflusso maggiore si ebbe nel periodo 1881-1920 (62% del totale), il decennio più notevole essendo quello che precede immediatamente lo scoppio della guerra mondiale (24,0% del totale). A questa immigrazione gl'Italiani partecipano con cifre cospicue: oltre 4½ milioni di individui nel periodo 1821-1925 (il 10% circa dell'immigrazione complessiva), diretti anch'essi nella quasi totalità agli Stati Uniti (87%), nella cui popolazione occupano, per questo riguardo, il terzo posto, subito dopo gl'immigrati germanici e gl'irlandesi, più numerosi degli stessi coloni provenienti dalla Gran Bretagna. Specialmente intenso è stato questo movimento fra il 1890 e il 1913; quest'ultimo anno ha segnato anzi la cifra più alta (oltre 380 mila immigrati), e la media del quadriennio 1910-13 ha toccato i 275 mila individui.
Con l'accrescimento numerico dovuto all'afflusso di queste correnti, che dopo il 1905 hanno oltrepassato ogni anno, fino allo scoppio della guerra, il milione, è andato di pari passo, negli Stati Uniti (non nel Messico, e non, con pari ritmo, nel Canadà), l'aumento naturale della popolazione, che nel periodo 1821-1925 s) calcola essersi accresciuta di oltre 95 milioni di individui.
Popolazione. - Da 10 milioni di abitanti, quanti si stima ne avesse al principio del sec. XIX, l'America Settentrionale è passata nel 1850 a 33, e nel 1900 ad oltre 95 milioni di abitanti, per toccare i 129 nel 1920, secondo i censimenti ufficiali, ed i 143 (in cifra tonda), secondo i calcoli, nel 1927. La densità media (7 abit. per kmq.) risulta però da estremi piuttosto lontani, non tanto da stato a stato (Canadà: 0,9; Messico: 7,3; Stati Uniti: 13,5), quanto da regione a regione, non raggiungendosi però mai le alte cifre dell'Europa o dell'Asia, neppure nelle zone più fittamente popolate. In queste è infatti eccezionale oltrepassare i 100 abit. per kmq. (stati meridionali del New England: appena i 0,5% della superficie del continente), mentre solo il Messico e le regioni atlantiche ad E. del 98° O. toccano densità medie fra 10 e 50 abit. per kmq. (15,5% del continente). Ad O. di questo meridiano i valori scendono di regola a 1-10 abit. per kmq. (19,5% del continente), e si riducono a meno di 1 abit. per kmq. in ampie zone desertiche, abbraccianti il 33,5% della superficie degli Stati Uniti. La stessa densità presentano poi l'intera Alasca, il 92% del territorio canadiano, il 16% di quello del Messico: in complesso, quindi, la maggior parte (63%) del continente.
Dei 143 milioni di abitanti, calcolati per l'America Settentrionale nel 1927, 115 milioni sono Bianchi (80%), poco più di 12 (8,6%) Negri, 9 Meticci (6,5%), 4½ Indiani (3,5%), gli altri appartengono a razze diverse (0,2% alla gialla). I primi formano nel Canadà il 97,2% della popolazione, l'89,7% negli Stati Uniti, mentre rappresentano appena il 9,8% nel Messico; i secondi vivono quasi tutti nelle regioni SE. degli Stati Uniti (9,9% della popolazione totale). I Meticci sono numericamente prevalenti nel Messico (59,3%), dove anche gl'Indiani tengono un posto notevole (29,1%), mentre sono ridotti a poche migliaia (244 mila sopra 143 mila kmq.) negli Stati Uniti (0,2%) e nel Canadà (1,3%); Cinesi e Giapponesi sono abbastanza diffusi nelle regioni occidentali, sia nel Canadà (39 mila, 0,5% della popolazione), sia negli Stati Uniti (172 mila, 0,2%) e nel Messico (15 mila).
Prevalente è, fra le lingue, l'inglese. Nel Messico è parlato lo spagnuolo. Il francese si conserva ancora nel Canadà, dove è parlato da circa 2½ milioni di persone. Gli immigrati europei conservano in gran parte la lingua di origine, e così può valutarsi ad oltre 3 milioni il numero dei parlanti italiano.
Sotto l'aspetto religioso, le diverse confessioni protestanti raggruppano il 52% della popolazione dell'America del Nord; il 43% sono cattolici, il resto soprattutto greco-ortodossi ed ebrei; questi ultimi per la più parte nelle città orientali (New York).
Le statistiche ufficiali non permettono di farsi sempre un'idea precisa del rapporto fra la popolazione rurale e l'urbana, perché in questa vengono compresi, fino dal 1880 (Stati Uniti), tutti i centri con più di 2500 abitanti, dei quali solo una parte possono essere definiti città nel senso abituale del termine. Solo tenendo conto di questo, è permesso riferire le cifre dei censimenti del 1920-21, che dànno agli Stati Uniti il 54,8%, al Canadà il 49,5% di popolazione urbana. Limitandosi ai soli centri con più di 25.000 abitanti, si ha la seguente distribuzione:
Calcolando, su questa base, la proporzione della popolazione urbana è per gli Stati Uniti di circa 1/3 del totale, di poco più che 1/4 per il Canadà, senza confronto più bassa (1/8) per il Messico.
Quanto ai centri con più di 50 mila abitanti, le proporzioni sono, rispettivamente, del 5,2%, 15% e 26%. Di quest'ultima cifra il 6,2% è rappresentato da città con meno di 250 mila ab., il 10,02% da quelle con meno di 1 milione di ab., e il 9,6% dai 5 centri che oltrepassano il milione.
Dei 76 centri con più di 100 mila ab., 54 sorgono nella metà orientale del continente, e di questi 13 sono porti sull'Atlantico, 8 si addensano in una ristretta fascia costiera. Nella zona delle praterie e dei Grandi Piani si contano solo 7 grandi città degli Stati Uniti ed una del Canadà (Winnipeg); 4 se ne contano nelle regioni degli altipiani intermontani, delle quali 2 nel Messico; 7 nell'estremo occidente, di cui 5 porti sul Pacifico, compresa l'unica canadiana (Vancouver). Delle interne, 10 si sono sviluppate sulle rive dei Grandi Laghi, e le altre la più parte lungo il corso dei fiumi meglio utilizzati come vie d'acqua (Mississippi, Hudson, Ohio, Ottawa R., ecc.). Alcune di quesie città, sebbene amministrativamente separate, si raggruppano in unità poleografiche: New York, che da sola conta 5.620.000 ab. (1920), forma con Newark e Jersey City, che la continuano ad O., un agglomerato di 6.657.000 abitanti; Philadelphia (1.824.000) con Camden uno di 1.952.000; Boston (748.000) con Cambridge uno di 1.072.000, ecc.; Chicago è per popolazione la seconda città del continente con 2.702.000 ab. (1920). Molte di queste città - negli Stati Uniti soprattutto - hanno avuto uno sviluppo rapidissimo e seguitano a presentare un incremento non meno rapido: così, per es., Chicago, che nel 1830 non oltrepassava i 100 e nel 1840 i 5000 ab., ne aveva 110.000 nel 1860, 306.000 dieci anni dopo, 503.000 nel 1880, superava il milione nel 1890, 1.500.000 nel 1900. Detroit ha veduto quasi decuplicata la sua popolazione in poco più di quaranta anni; Los Angeles è passata dagli 11.000 ab. del 1880 ai 700.000 che ora ha raggiunti.
L'origine della più parte di queste città è relativamente recente, salvo che per quelle del Messico: con ciò stanno in rapporto i principali caratteri che le differenziano dai vecchi centri europei: vie rettilinee, grande estensione del caseggiato, per lo spazio occupato dalle aree arborate e dai viali, immensi ed alti edifici (i cosiddetti grattacieli), netta separazione fra la city - la parte destinata agli uffici e agli affari - e il suburbio, e, per contro, mancanza di chiari limiti fra questo e l'abitato, ricchezza di mezzi di comunicazione, fra cui frequenti i sotterranei, ecc.
Nel Messico più d'un milione di abitanti si addensa in sedi che sorgono ad oltre 2000 m. di altezza, di queste Matehuala (2750 m.) è la più elevata.
Agricoltura ed allevamento. - Nonostante l'intenso sviluppo che ebbe la colonizzazione agricola nell'ultimo secolo, debole è ancora la proporzione della superficie coltivata (circa 2.500.000 kmq.) su quella dell'intero continente (10,5%); mentre si ammette che la cifra stessa possa agevolmente più che raddoppiarsi (22,5%). La proporzione, che negli Stati Uniti è del 26% (per i 4/5 dovuta alle regioni orientali), scende nel Messico al 2,2% e nel Canadà a poco più del 2%. In questi due ultimi stati si calcola che il rapporto possa rispettivamente salire al 10% ed al 15%; negli Stati Uniti, con bonifiche ed irrigazioni, superare fors'anco il 40%. Oltre 4.750.000. kmq., ossia il 24,3% dell'intera America Settentrionale, sono rivestiti di foreste, costituenti una fascia boschiva dal Pacifico all'Atlantico, inferiore per estensione solo a quella della Siberia; più della metà del continente (65,2%) è occupata da steppe e deserti, solo in piccola parte suscettibili di redenzione.
L'America Settentrionale, che fra l'altro diede al vecchio mondo il mais, il tabacco e il pomodoro, ha finito con l'accogliere quasi tutte le piante coltivate di quello, che vi hanno ottimamente prosperato, sì da consentire, per talune di esse, una produzione superiore agli stessi paesi di vecchio popolamento. Così, per es., per il frumento, il quantitativo americano (359.820.000 tonn. nel 1927) rappresenta quasi un terzo del prodotto mondiale (32%), cui gli Stati Uniti partecipano ormai in proporzione (20%) superiore a quella della Russia, mentre il Canadà, dove l'area coltivata a grano si è più che raddoppiata in quindici anni (1910-25), provvede da solo oltre il 10% del prodotto stesso. Importanza non minore ha la coltura del granturco, diffusa anzi assai più di quella del grano (450.000 kmq.), che permette un raccolto pari al 60% di quello mondiale, nell'enorme maggioranza dovuto agli Stati Uniti, nei quali la coltura stessa occupa all'ingrosso la metà orientale (soprattutto Illinois, Missouri, Nebraska, Iowa) e in piccola parte anche al Messico (zone meridionali dell'altipiano). Notevoli sono anche la coltivazione dell'avena (25% del prodotto mondiale), cui partecipa in misura cospicua anche il Canadà (68 dei 178 milioni di tonn. del 1927), e dell'orzo, largamente diffuso negli Stati Uniti e nel Canadà; pressoché trascurabile quella della segale (2% del prodotto mondiale), ricavata anch'essa quasi tutta dagli Stati Uniti.
L'America Settentrionale ha il primato nella produzione del cotone; fino al 1900 anzi questa rappresentava l'80% del quantitativo mondiale. L'estendersi delle colture cotoniere anche in altri paesi (India, Turkestān, Egitto) ha abbassato notevolmente la percentuale (51% nel 1923-4), ma gli ultimi anni hanno segnato una ripresa, sì che ancor oggi (1926-7) oltre il 65% del cotone di tutta la terra viene dal nuovo mondo, per la quasi totalità dagli Stati Uniti (39.000.000 di quintali). All'esportazione va poi più della metà del prodotto stesso. L'America Settentrionale ha una assoluta preminenza nella coltivazione del tabacco, giacché fornisce oltre un quarto del quantitativo mondiale che è di 5.800.000 quintali; di questi, 5.500.000 sono prodotti dagli Stati Uniti, che ne esportano 2.500.000.
Alla produzione dello zucchero il continente contribuisce così con la barbabietola, diffusa, oltre che negli Stati del Colorado, California e Utah, anche nel Canadà (complessivamente il 20% del quantitativo mondiale), come con la canna, coltivata da tempo nella Luinisiana. In notevole regresso è invece la coltura del cacao, che si pratica nelle tierras calientes del Messico, una volta rappresentante il 25% della produzione mondiale, contro i 200.000 quint. o poco più del 1924 (non si hanno dati molto attendibili); meno che modesto il quantitativo di caffè (circa 400.000 quint., quasi tutto prodotto dallo stato di Veracruz nel Messico), che corrisponde a meno del 3% del prodotto mondiale.
Grande sviluppo ha preso negli ultimi anni la frutticoltura, diffusa nella regione dei Grandi Laghi, nel Far West (California, Oregon, Colorado) e nel Texas. Il raccolto delle mele oltrepassa i 50 milioni di quintali annui, di cui più che 5 spettano al Canadà (Ontario), quello delle pesche i 10-12 milioni di quintali (California). Né meno notevole è la produzione degli agrumi, per la quasi totalità concentrata nella California, ed ormai più che doppia della nostra. Limitate quelle dell'olivo e della vite, che nell'occidente degli Stati Uniti furono introdotte e rese prospere soprattutto per merito dei nostri connazionali. Una certa importanza ha nel Messico la produzione dell'agave sisa, coltivata per la sua fibra (hennequen; tonn. 115.000 nel 1922); importanza molto minore quella delle piante fibrose da cui si estrae il pulque; in forte regresso è la produzione della vainiglia, che dava una volta il 35% del quantitativo mondiale, dell'indigo, del cactonopale, ecc.; molto modesta quella del caucciù (Veracruz).
Il grande e rapido sviluppo che ebbe l'agricoltura nell'America Settentrionale in genere e negli Stati Uniti in specie non sarebbe stato possibile senza l'introduzione di sistemi razionali e moderni di coltura (tipico il dry farming delle regioni aride occidentali) e senza l'impiego di immensi capitali; tuttavia non è da dimenticare che, in complesso, lo sfruttamento agricolo assume solo per non vaste zone un carattere intensivo in qualche modo paragonabile a quello dei paesi europei, e che anche il rendimento medio per ettaro tocca solo eccezionalmente le alte cifre raggiunte in alcuni di questi, con tendenza, anzi, a ridursi, man mano che si allargano le superficie conquistate alle colture.
Assai intenso e rapido è stato nell'America Settentrionale, in rapporto con l'intensità e la rapidità della sua colonizzazione agricola, il diboscamento, sì che ormai quasi solo le regioni settentrionali (Canadà) e occidentali (Cordigliere) costituiscono vere riserve forestali. L'estensione di queste è calcolata in circa 2.600.000 kmq. nel Canadà (1/4 della superficie), 1.900.000 negli Stati Uniti (20%) e meno che 250.000 nel Messico (12%). Dato l'enorme consumo interno, solo il Canadà è, fra i tre stati, esportatore. Considerevoli quantitativi sono prodotti anche dalle regioni occidentali degli Stati Uniti, nelle quali è concentrato ormai il 73% del patrimonio forestale dell'Unione, ma lo sfruttamento tende a farsi sempre più lento e razionale, mediante il rimboschimento e la protezione di riserve (parchi nazionali). I centri maggiori di produzione e di smercio si trovano oggi nella Columbia Britannica, nel Washington, nell'Oregon, nella regione dei Grandi Laghi, e soprattutto nel Canadà sud-orientale (Ontario, Quebec), dove ha potuto svilupparsi in breve e fiorire l'industria della carta.
Ricco è nell'America Settentrionale il patrimonio zootecnico, concentrando il continente il 36% dei suini, il 18% degli equini, il 15% dei bovini, l'8,2% degli ovini di tutto il mondo, per la maggior parte nel territorio degli Stati Uniti. Dei 78 milioni di bovini oltre 9½ spettano al Canadà (Ontario, Quebec), 3 al Messico, il resto agli Stati Uniti, che vengono così, per numero, subito dopo l'India Britannica. Con 59 milioni di capi (30% del totale mondiale), l'Unione occupa il primo posto nell'allevamento dei suini (praticato nelle regioni centrali coltivate a mais, che perciò viene in gran parte consumato sul luogo), mentre è al secondo, dopo la Russia, per gli equini (14.500.000 capi) e al terzo, dopo l'Australia e la Russia, per gli ovini. Asini e muli sono diffusi nelle regioni meridionali e nel Messico, dove gli ultimi servono come bestie da tiro; una certa importanza sotto questo riguardo hanno a N. il cane (Eschimesi) e la renna (Alasca). Anche l'allevamento, come l'agricoltura, è caratterizzato - specie negli Stati Uniti - da una larga e accuratissima organizzazione industriale, sì che la più gran parte dei prodotti viene lavorata sul posto, e ne hanno vita industrie rigogliose, come quella delle carni conservate, dei latticinî, della lana, ecc.
Prodotto considerevole dà anche la pesca, largamente praticata così sull'Atlantico (merluzzi e sardine sui banchi di Terranova, ostriche sul S. Lorenzo e lungo la costa degli Stati Uniti), come sul Pacifico (salmoni); tutt'altro che trascurabile è la caccia agli animali da pelliccia, cui attendono i trappers canadiani, nella zona delle foreste che si estendono ai due lati della Baia di Hudson.
Ricchezze minerarie. - Immense sono le risorse minerarie dell'America Settentrionale: quelle attualmente sfruttate contribuiscono al quantitativo mondiale in misura di regola superiore a tutti gli altri continenti, massime per quanto riguarda i minerali di maggior importanza. Così l'America Settentrionale produce l'82,1% del petrolio del mondo, il 49,4% del ferro, il 43,3% del carbone, il 62% del rame, il 62,9% del piombo, il 49,2% dello zinco, il 90% del nichelio, il 72,1% dell'argento, il 25,7% dell'oro, l'85% dell'amianto, il 44,1% dell'alluminio, il 28% del sale, i 3/4 del radio, quasi la metà del manganese, dei fosfati naturali, ecc.
Come per la più parte di questi prodotti, così pel petrolio di gran lunga predominante è la posizione degli Stati Uniti. L'estrazione vi fu iniziata nel 1859 (in Pennsylvania), il quantitativo crebbe di oltre 30 volte dal 1880 al 1925. I giacimenti più ricchi si trovano sulla destra del Mississippi, dal Kansas al Golfo del Messico, e nella California meridionale, che contribuisce col 20% al prodotto complessivo dell'Unione, rappresentante da solo il 70% di quello mondiale. Di questo, l'11% è dato dal Messico (zona del golfo), dove l'estrazione, praticata anche in tempi precolombiani, è attualmente quasi quintupla di quella del 1913.
Una buona metà del carbone americano proviene dai giacimenti appalachiani, che dalla Pennsylvania all'Alabama si stendono (150.000 kmq.) sul versante interno del sistema. Ricchi sono anche i bacini centrale (Illinois, Indiana, Ohio, Kentucky; 120.000 mq.) ed occidentale (dallo Iowa al Texas; 200.000 kmq.) degli Stati Uniti, come quello dell'Alberta, nel Canadà, per estensione forse a tutti superiore, ma ancora quasi vergine. Dagli altri distretti carboniferi (Ontario, Nuova Scozia, Capo Bretone) il Canadà trae appena 8½ tonn. di carbone (0,7% della produzione mondiale), dieci volte meno il Messico dai suoi (massimi nello stato di Coahuila), sì che gli Stati Uniti esercitano anche qui un assoluto controllo (1925: 44,5% della produzione mondiale; 820.000 kmq. di campi carboniferi), favorito dalla ottima qualità del minerale, dalla facilità di estrazione (i depositi sono spesso affioranti), e dal trovarsi questo, dove i giacimenti sono più produttivi, accompagnato da minerali di ferro. Non va poi dimenticato che, delle riserve carbonifere calcolate per la terra tutta, quasi il 70% spetta alla sola America Settentrionale.
Il ferro si estrae per la maggior parte dalla zona prossima ai Grandi Laghi (Wisconsin, Michigan), ma specialmente dal Minnesota (dalle Vermilion e Mesabi Iron Ranges). Col 48,6% della produzione mondiale di ferro greggio, e il 51,7% dell'acciaio (1923), gli Stati Uniti, che tengono incontrastato il primo posto fra gli stati della terra, si lasciano assai addietro sia il Canadà, sia il Messico, il cui apporto può dirsi insignificante.
Il rame si concentra soprattutto nei depositi dell'Arizona (Jerome, Globe, Morenci, Bisbee, ecc.), in misura minore in quelli della penisola di Keweenaw sul L. Michigan, e degli stati di Montana, Nevada, Utah, California, ecc., debole essendo anche in questo caso la produzione (1925) del Messico (53.600 tonn.) e del Canadà (51.000 tonn.), in confronto di quella dell'Unione (833.000 tonn. pari al 59% della mondiale); questa è al primo posto fra gli stati della terra anche per la produzione del piombo (45,9% della mondiale, nel 1924), ricavato essenzialmente dalle miniere del Colorado (Leadville) e in parte anche dagli stati di Nevada, Idaho, Utah, Montana, dove si presenta spesso associato ad altri metalli. Il Messico (Hidalgo, Nuevo León) contribuisce col 10,8% alla produzione mondiale; più debole è il quantitativo (76.400 tonn.) dato dal Canadà (6,2%), che detiene invece il monopolio, si può dire, per il nichelio, con 31.500 tonn. annue (1924), pari al 90% del quantitativo mondiale (Sudbury, Lago Superiore). Discreta è la produzione di antimonio (3,5% della mondiale, 1924) e di arsenico (7,9%, nel 1924) del Messico; né trascurabile quella di mercurio (S. Luis Potosí, Guerrero, Guanajuato, Michoacán), nella quale però il quantitativo massimo spetta ancora agli Stati Uniti (Texas, California, 8,2% della produzione mondiale). Questi occupano il primo posto nel mondo così per lo zinco (469.100 tonn. nel 1924; 46,7% del totale mondiale), estratto in varî luoghi del loro territorio (Appalachi, New Jersey, Pennsylvania, Indiana, Missouri, Kansas, Montana, Colorado, Utah), come per l'alluminio (39,2% nel 1924), produzioni ambedue nelle quali è abbastanza notevole, specie per la seconda (2,5% nel 1925), anche l'apporto del Canadà.
I metalli preziosi erano conosciuti e lavorati all'epoca degli Aztechi; leggendaria la ricchezza d'argento del Messico, che mantiene ancor oggi (1925), col 38,4% della produzione mondiale, il primo posto fra gli stati della terra, seguito da presso dagli Stati Uniti (25,4%). I distretti più ricchi si trovano lungo la Sierra Madre Occidentale (Sonora, Chihuahua, Durango, Sinaloa), dove il minerale è associato a varî altri metalli; negli Stati Uniti, ad Helena, Butte, Montana e in California. Meglio che per l'argento, è da ricordare il Canadà per l'oro, nella produzione del quale occupa il terzo posto (1925) nel mondo (9,2%), subito dopo gli Stati Uniti (12,5%), i quali lo estraggono, oltre che dall'Alasca (distretti di Klondike e di Fairbanks), da varî depositi nell'occidente (Cripple Creek, Colorado; Hellgate River, Montana e California). Il Messico tiene per questo riguardo il quinto posto, con una produzione che rappresenta poco meno di 1/3 di quella degli Stati Uniti. È interessante notare come questi ultimi abbiano conquistato il controllo mondiale anche nella produzione dello zolfo (Texas e Luisiana), di cui estraggono un quantitativo otto volte superiore al nostro (da 1500 tonn. nel 1889 a 1.685.000 tonn. nel 1925), e in quella dei fosfati naturali (Florida occidentale), per la quale si lasciano addietro di non poco la Tunisia, pareggiando quasi, da soli, la produzione dell'intera Africa settentrionale. Uguale predominio spetta all'Unione per il manganese, per il radio, e soprattutto per il sale, di cui nel 1925 furono estratte oltre 6.750.000 tonnellate (New Jersey, Michigan, Ohio, Kansas, Utah, Texas e California), cioè più che la metà del quantitativo prodotto dall'intera Europa.
D'altra parte, mentre nessuno, si può dire, degli altri minerali manca al continente (così p. es., per la bauxite gli Stati Uniti sono al secondo posto nel mondo, al terzo il Canadà per il platino, e via dicendo), la potente organizzazione commerciale ed industriale di cui dispongono i suoi stati e le speciali vicende della moderna colonizzazione nell'America Settentrionale, vi han creato condizioni quanto mai favorevoli così per l'estrazione come per l'utilizzazione dei minerali stessi, di cui un quantitativo sempre più considerevole tende a rimanere sul posto, per esservi trattato industrialmente.
Industrie. - Per il loro sviluppo industriale, i tre stati dell'America Settentrionale presentano condizioni piuttosto diverse, sebbene siano generali l'abbondanza delle materie prime, la relativa facilità di metterle in valore, la ricchezza delle energie idriche e il crescente bisogno del consumo interno.
L'industria del Messico, che pure in epoca precolombiana dava vita a prodotti notevoli non meno per senso d'arte che per abbondanza e diffusione (vetrerie, cordami, tessuti, ecc.), rimane ancora entro limiti piuttosto modesti, massime in rapporto alle possibilità del paese, e deve la sua recente ripresa, più a condizioni artificiali (privilegi, capitale americano, protezionismo), che non ad un armonico sviluppo dell'economia interna. Il ramo meglio appariscente è il cotonificio, che conta oltre 120 grandi fabbriche, concentrate in vicinanza dei centri maggiori e nei due finitimi stati di Puebla e di Veracruz: esso lavora circa 40 milioni di kg. di cotone di produzione nazionale. La produzione nazionale alimenta anche l'industria laniera, molto meno florida, mentre gli iutifici son costretti ad importare materie prime, pur potendo fare assegnamento sopra diverse piante fibrose del paese. Non mancano zuccherifici (per la produzione dello zucchero di canna), distillerie (mezcal, tequila), fabbriche di birra, di mobili, di ceramiche, di prodotti chimici e manifatture di tabacchi.
Quanto alle industrie metallurgiche, sebbene gli stabilimenti siano abbastanza numerosi, non hanno assunto importanza paragonabile a quella che occupano negli altri due stati. Il recente impulso dato all'estrazione del carbone ha determinato a Monterey il sorgere di grandi acciaierie. In complesso la produzione non copre il fabbisogno nazionale.
Nel Canadà lo sviluppo delle industrie va messo in rapporto soprattutto col protezionismo, iniziato nel 1879 come difesa contro la concorrenza degli Stati Uniti; esso è stato tuttavia rapidissimo, il che è dovuto in parte considerevole all'utilizzazione delle risorse idriche, con le quali si è riparato alla relativa povertà di carbone dei distretti economicamente meglio sviluppati (Ontario, Quebec). In questi si concentra l'80% della produzione industriale del Dominion, alimentata per oltre 1/3 (35% circa) da energia elettrica. Dei 32 milioni di HP, sui quali si calcola di poter contare, 4½ sono già utilizzati. Attualmente (1928) si hanno nel Canadà 23.000 stabilimenti industriali in cifra tonda, che trattano merce per un valore di oltre 65 miliardi di lire oro, e dànno lavoro a circa ½ milione di operai. Le industrie meglio sviluppate sono naturalmente quelle del legno e della carta, che cedono solo, e di non molto, a quelle degli Stati Uniti, e che trovano una delle fonti della loro floridezza nel forte consumo interno: vengon poi le tessili, in prima linea quella del cotone, che ha quasi raddoppiato d'importanza dal 1913 al 1925 (da 855 a 1167 mila telai), sebbene non bastino al fabbisogno interno, e che si concentrano anch'esse nelle provincie di Ontario e di Quebec. Ottima è la posizione delle industrie cui dà vita l'allevamento del bestiame, specialmente bovino, come quelle del latte, del burro, dei formaggi (per 5/6 esportati), della concia delle pelli, del calzaturificio, delle carni conservate (anche pesce), ecc. Le industrie siderurgiche e le meccaniche, che scaglionano i loro cantieri dai Grandi Laghi al S. Lorenzo, sono già passate all'esportazione: notevoli soprattutto quelle delle macchine agricole, del materiale ferroviario, e degli autoveicoli.
Senza confronto più rapido e importante è stato lo sviluppo delle industrie nell'Unione, che negli ultimi anni sotto questo riguardo s'è messa alla testa di tutti gli stati del mondo. Alle ragioni generali comuni a tutto il continente, cui abbiamo accennato, si sono aggiunti qui singolare spirito di iniziativa, grandiosa organizzazione finanziaria, introduzione di sistemi via via più moderni e redditizî (macchinarî, standardizzazione) e soprattutto, nelle più recenti fasi del fenomeno, contingenze storiche (crisi europea della guerra) quanto mai favorevoli ad intensificare una produzione che già di per sé tendeva ad oltrepassare largamente il fabbisogno interno. L'utilizzazione delle immense risorse idroelettriche del paese (calcolate in più di 35 milioni di HP) ha aiutato potentemente questo sviluppo; tuttavia appena il 6% dell'energia consumata dalle industrie è elettrica, il 12% venendo fornita dal petrolio, oltre i 3/4 dal carbone. Il numero delle fabbriche, in cui lavorano oltre 10 milioni di operai, supera le 200.000; il valore delle merci prodotte i 320 miliardi di lire oro. Caratteristica è anche la proporzione che l'industria occupa nella vita del paese: nel 1920, dei maggiori di 10 anni atti al lavoro, meno di 1/3 (26,3%) era rappresentato da agricoltori, meno di un altro terzo da addetti al commercio ed ai traffici (26,6%), del rimanente il 34,4% trovava il suo impiego nelle industrie.
Queste, benché siano svariatissime, ed investano ormai tutti i campi della produzione moderna, si distribuiscono in certo modo in gruppi regionali, a seconda del prevalere di alcuni rami sugli altri, in armonia coi complessi fattori, naturali, storici, economici, che ne determinarono e ne diressero lo sviluppo. I vecchi stati atlantici nord-orientali di più denso popolamento sono i più progrediti industrialmente, ed anche i più varî sotto questo aspetto (il valore della loro produzione eguaglia quello delle rimanenti provincie dell'Unione prese insieme); nondimeno posson dirsi caratterizzati essenzialmente dalle industrie tessili, che furono le prime a fiorire (sec. XVIII), prevalendo a N. la lana e la seta, a S. il cotone, ed essendovi quasi dovunque associate una folla d'industrie diverse: principali quelle della carta, del cuoio, la manifattura dei tabacchi, ecc., ma soprattutto la metallurgia e la siderurgia. Il regno di queste ultime è però oltre gli Appalachi, nella cosiddetta zona nera (ferro, carbone), dalla quale le industrie stesse mandano i loro tentacoli, così all'Atlantico, come verso occidente, dove, a S. dei Grandi Laghi, si passa a poco a poco nella regione del corn belt, caratterizzata dallo sviluppo delle industrie alimentari. Il centro di queste, dal distretto facente capo a Chicago, tende a spostarsi sempre più verso i grandi piani (Omaha, Kansas). Le risorse minerarie delle Montagne Rocciose e delle Cordigliere vi hanno creato condizioni favorevoli al sorgere della metallurgia, mentre ancora più ad occidente tornano a svilupparsi (zona del Pacifico) le industrie della molitura del legno, della carta (a N.), delle conserve alimentari, del cuoio, del tabacco e dello zucchero (a S.).
Quanto alle proporzioni delle industrie negli Stati Uniti, basti ricordare, a mo' d'esempio, come quella cotoniera abbia già superato più del doppio quella inglese, provvedendo da sola al 27,5% del consumo mondiale, mentre le macchine lavorate nell'Unione rappresentano ormai il 57% della produzione di tutti gli stati della terra.
Commercio. Comunicazioni. - Dopo quanto s'è accennato, appar chiaro perché le principali correnti del traffico seguano nell'America Settentrionale piuttosto la direzione E.-O. che non quella S.-N., come sembrerebbe indicare la disposizione del rilievo e delle acque continentali, e perché, di fronte al grandioso e rapido sviluppo della navigazione interna, delle ferrovie e dell'aeronautica, la rete delle carrozzabili non sia qui neppure paragonabile a quelle dei paesi europei di più denso popolamento. Anche a prescindere dal Messico, ove le comunicazioni si seguitano a compiere, per buona parte, come nell'America Meridionale, mediante bestie da soma o portatori, e dalle disabitate regioni settentrionali, l'importanza delle strade è tuttora piuttosto secondaria di fronte a quella dei più agevoli e moderni mezzi di comunicazione, con cui, fino dagli ultimi anni del sec. XVIII, fu iniziata e spinta innanzi la marcia verso occidente, in seguito alla quale vennero alfine a congiungersi le diverse zone, ora economicamente interdipendenti, che costituiscono la larga massa continentale. Fiumi navigabili e canali servirono ad allacciare e allacciano ancora oggi le regioni più evolute dell'E. alla grande pianura interna, dalla quale fu possibile raggiungere in tempo relativamente breve il Pacifico, grazie all'impulso che hanno avuto le costruzioni ferroviarie. Queste sorsero quasi tutte, non solo libere da preoccupazioni politiche e strategiche, e spesso senza rispondere ad un piano prestabilito o ad un reale bisogno del commercio (concorrenza), ma anche senza oneri finanziarî, essendo le costruzioni stesse garentite di regola dai vantaggi che ne ricavavano le zone lungo le quali le nuove ferrovie venivano a correre. Lo sviluppo della colonizzazione agricola nell'occidente del Canadà e degli Stati Uniti è legato intimamente all'avanzarsi di queste, come mostra il fatto che lungo le ferrovie sono le zone messe a più intensa coltura.
Così si spiega l'enorme aumento della rete ferroviaria nell'America Settentrionale (il primo tronco, da Baltimora a Susquehanna, risale al 1827), passata dai 15.000 km. del 1850 ai 356.000 del 1900, e che oggi supera largamente quella dell'intera Europa, avvicinandosi ai 490.000 km., di cui oltre 400.000 negli Stati Uniti. La densità della rete è naturalmente assai diversa da zona a zona: massima nel New England, negli Appalachi mediani (13,5 km. su ogni 100 kmq.), nel bacino dell'Ohio, diminuisce assai lungo il Pacifico (3,4), per ridursi a cifre modestissime nel Canadà (da 0,6 a 1,7) e nella Columbia Britannica. Nel Messico, in complesso, è di 1,2 km. su ogni 100 kmq. Il congiungimento delle opposte sponde atlantica e pacifica, per via terrestre, iniziato nel 1869 dagli Stati Uniti con la linea New York-Omaha-Cheyenne-Salt Lake City-S. Francisco e con la Montreal-Winnipeg-Calgary-Vancouver (Canadian Pacific Railway) nel 1886 dal Canadà, si compie oggi a varie latitudini, mentre la rete tende a infittirsi via via anche nelle regioni montuose ed impervie delle alte terre occidentali.
Quanto alle vie d'acqua, basti qui ricordare che esse legano, per mezzo di canali, laghi e fiumi così fra di loro come alla costa atlantica del Canadà (S. Lorenzo), a quella ad E. degli Allegani (Hudson, Cumberland, Delaware, Susquehanna) e al Golfo del Messico (Mississippi coi suoi affluenti Illinois, Missouri, Ohio, Kentucky, Wabash, Arkansas: 14.000 km.), sì da costituire una rete che non ha riscontro in nessun'altra parte del mondo. In complesso il Canadà dispone di 5790 km. di vie navigabili, di cui 1630 rappresentate da canali; gli Stati Uniti di 41.800 km., dei quali poco meno della metà canali, e di questi circa un terzo (2300 km.) giudicati ormai insufficienti alle proporzioni del traffico e al sempre crescente tonnellaggio dei natanti. Sebbene ridotta dal lungo gelo invernale, la navigazione sui grandi laghi segna un tonnellaggio annuo oltre cinque volte maggiore di quello del canale di Suez.
Non meno imponenti sono le proporzioni del commercio marittimo, che si compie, per oltre tre quarti del complessivo traffico nordamericano, sull'Atlantico e si concentra qui in tre gruppi di porti: i canadiani (Montreal, Halifax, Quebec, St. Johns) a N.; quelli orientali dell'Unione (Boston, New York, Filadelfia, Baltimore, Charleston, Savannah) al centro; e a S. i porti del Golfo del Messico (New Orleans, Galveston, Mobile). Sul Pacifico le linee metton capo a S. Francisco e al gruppo dei porti della Columbia Britannica (Vancouver, Victoria) e del Pouget Sound (Seattle, Tacoma e Portland). Senza confronto dominante è la partecipazione degli Stati Uniti al traffico marittimo dell'America Settentrimale; in questo, New York segna da sola poco meno della metà dell'intcro tonnellaggio, superando così gli altri porti del continente, anzi di tutto il mondo (21 milioni di tonn. nel 1927); seguono, a distanza, New Orleans, Philadelphia, Baltimora, Boston, S. Francisco, Galveston, ecc., ossia tutti centri marittimi dell'Unione, molto minori essendo le cifre relative ai porti del Canadà e del Messico. Di fronte alla flotta mercantile degli Stati Uniti, che occupa oggi il secondo posto nel mondo dopo l'inglese (26.367 navi con 17.400.000 tonn. di stazza complessiva nel 1928), insignificanti sono quelle degli altri due stati. Nel commercio estero dell'Unione il 64,3% del tonnellaggio si concentra nei porti atlantici, il 19,2% in quelli del Pacifico, il 16,5% in quelli del S. Lorenzo.
L'America Settentrionale è congiunta alle altre parti del mondo da cavi telegrafici sottomarini (con 161.095 km. di cavi, gli Stati Uniti sono al secondo posto fra le nazioni del mondo, subito dopo l'Inghilterra), specialmente numerosi nell'Atlantico settentrionale, mentre, così su questo come sul Pacifico, sorgono parecchie stazioni radiotelegrafiche ultrapotenti.
Non si contano le linee regolari di navigazione d'ogni nazionalità che legano l'Europa e le altre parti del mondo all'America Settentrionale (è stato detto a ragione che la densità di abitanti dell'Atlantico settentrionale supera quella di non poche regioni terrestri); quelle italiane toccano tutti i porti più importanti dell'Atlantico, da Montreal a Veracruz, e del Pacifico, da S. Francisco a Vancouver (via Panamá).
Divisione politica. - Fino alla seconda metà del sec. XVIII l'America Settentrionale fu dominata politicamente dalle potenze europee; dell'impero coloniale di queste quasi niente si è conservato oltre il Canadà, che ha tuttavia forma federativa, con larghe autonomie. Dal Dominion canadiano, costituitosi nel 1867, sono amministrativamente distinti quello di Terranova (1855), comprendente anche la costa orientale del Labrador, i cui limiti col territorio di NO. del Canadà sono stati finalmente fissati nel 1927, le Bahama e le Bermude, che formano colonie della Corona (1864). L'Alasca fu acquistata dagli Stati Uniti nel 1867 dalla Russia; la Groenlandia è possesso danese dacché la Danimarca fu staccata dalla Norvegia (1814); Saint-Pierre e Miquelon sono oggi l'unico avanzo dell'immenso impero coloniale francese che fu distrutto dalla pace di Parigi (1763).
Bibl.: La letteratura, pur in stretto senso geografico, che concerne l'America Settentrionale, è oltremodo ricca. Data la grande estensione territoriale delle principali sue unità politiche, non poche delle opere destinate all'una o all'altra di queste unità hanno spesso importanza fondamentale anche per quanto riguarda in genere tutto il continente. Queste opere tuttavia saranno ricordate al loro posto, riserbando il breve elenco che segue - salvo pochissime eccezioni - a quelle che trattano del continente come unità, e fra le molte, alle più moderne ed attendibili, disponendole nell'ordine seguito nel testo.
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Buone indicazioni sopra la cartografia delle varie regioni dell'America Settentrionale sono nel cit. vol. del Machatschek, pp. 4-7; un'idea dello stato presente di questa è data dalla fig. 6. Come carte generali del continente si possono citare quella a scala di 1 : 5 mil. dell'U. S. Geological Survey, Washington 1913 e la General Map of N. A., ad 1 : 10 mil. del Bartholomew, Edimburgo 1920.
4. Geografia dell'America Centrale e delle Antille.
Generalità. - L'America Settentrionale e l'America Meridionale si riattaccano l'una all'altra, da una parte con l'America Centrale, dall'altra, meno saldamente, mediante l'arco insulare delle Indie Occidentali o Antille (A. T., 153-154). Tra le due grandi masse continentali s'incuneano le due fosse del Golfo del Messico e del Mar delle Antille. La regione, nel complesso, presenta notevoli analogie con quella del Mediterraneo: soprattutto nello spezzettamento delle terre e nella loro instabilità.
Quale limite NO. dell'America Centrale si considera, di solito, l'Istmo di Tehuantepec, dove la massa continentale si restringe a poco più di 200 km. Limite convenzionale, poiché le catene montuose del Messico meridionale (Oaxaca) continuano nel Chiapas, al di là dell'istmo, e le condizioni climatiche non cambiano notevolmente che un po' più a SE.
Da questa parte, essendo stata già fatta la trattazione del Chiapas e dello Yucatán insieme col resto del Messico (v. america settentrionale), sarà preso come limite il confine politico tra il Messico stesso, il Guatemala e l'Honduras Britannico. Verso l'America Meridionale, da alcuni il limite è fatto passare per la parte più stretta dell'Istmo di Panamá, dove il Mar delle Antille e il Pacifico distano soltanto una cinquantina di km.; ma, poiché la stretta terra ad oriente di questo istmo fino al Golfo del Darien conserva i caratteri geografici dell'America Centrale, è da preferire come limite lo spartiacque fra l'Atrato e il Tuira, sul quale, d'altra parte, corre press'a poco il confine politico fra il Panamá e la Colombia. Entro questi limiti (Istmo di Tehuantepec-spartiacque Atrato-Tuira) si calcola che l'America Centrale occupi una superficie di circa 748.000 kmq. Escludendo le regioni messicane a oriente dell'Istmo di Tehuantepec, restano 498.000 kmq.
Le Indie Occidentali cominciano a mezzodì della Florida e, chiudendo ad arco il Mare Caraibico o delle Antille, vanno fino alla costa N. dell'America Meridionale. Comprendono i tre gruppi delle isole Bahama (11.405 kmq.), delle Grandi Antille (Cuba, 114.000 kmq.; Haiti, 77.000 kmq.; Giamaica, 12.000 kmq.; Portorico, 9.000 kmq.) e delle Piccole Antille. Le più meridionali di queste, che fronteggiano le coste del Venezuela (Tobago, Trinidad e le isole Sottovento), vengono per lo più considerate come parte dell'America Meridionale (v.).
Nel complesso, le Antille occupano una superficie di circa 230.000 kmq., dei quali 212.000 costituiti soltanto dalle quattro Grandi Antille.
Storia delle esplorazioni. - Per quanto si riferisce ai viaggi di Colombo nelle Antille ed alla prima esplorazione della costa atlantica dell'America Centrale, come pure per i viaggi dei contemporanei di Colombo e degli esploratori immediatamente posteriori, vedi p. 839 segg. Come è noto, Cristoforo Colombo nel suo quarto viaggio (1502-4) riconobbe tutta la costa tra il Capo Gracias á Dios (Nicaragua) e Puerto Ballo (Panamá). Nel 1508 Juan Diaz de Solís e Vicente Yáñez Pinzón scoprivano la costa orientale dell'Honduras, e compievano anche il periplo dell'isola di Cuba (che altri però attribuiscono a Sebastiano de Ocampo). Nel 1513 Vasco Núñez de Balboa, attraversato l'istmo di Panamá, scopriva nel golfo di San Miguel l'opposta sponda dell'America Centrale bagnata dal Mare del Sud (Oceano Pacifico).
Negli anni successivi, e specialmente dopoché Pedrarias de Ávila, inviato dalla Spagna, ebbe assunto quivi il governo della Castiglia Aurifera (Castilla de Oro) ponendo la sua residenza a Panamá (1518), varie spedizioni furono dirette ad esplorare, sia le coste occidentali dell'America Centrale, sia la costa atlantica fino alla penisola dello Yucatán e l'interno del territorio. Principali quella di Hernández de Córdoba e Antonio de Alaminos, che nel 1517 scoprono la penisola dello Yucatán e ne iniziano la esplorazione dal Capo Catoche alla baia di Campeggio; quella di Solano Juan e Álvaro de Acuña, che nel 1520 penetrano nell'interno del pianalto della Costarica e vi stabiliscono i due centri di S. José e di Cartago; quella di Gil González de Ávila e Andres Niño, che nel 1523 percorrono tutta la regione occidentale dal Panamá fino alla baia di Fonseca, sulla costa pacifica del Nicaragua. E intanto nello Yucatán, nel Guatemala e nell'Honduras si svolgeva l'opera di esplorazione e di conquista dei compagni del Cortés, che già nel 1519 aveva occupato il centro del Messico (Pedro Alvarado nel Guatemala, 1523; F. Cortés stesso nell'interno dell'Honduras, 1524-26).
Ma, come le ricchezze favolose del regno degli Aztechi a N., così la fama delle doviziose terre dell'impero degli Incas a S., fecero passare in seconda linea le regioni dell'America Centrale che per lunghi decennî vennero quasi completamente trascurate. Si può dire che durante tutto il periodo coloniale il Panamá e le altre regioni dell'America Centrale abbiano servito solo a garantire le comunicazioni tra l'Oceano Atlantico e l'Oceano Pacifico: infatti, tanto le spedizioni quanto i singoli avventurieri giunti dall'Europa s'affrettavano ad attraversare l'istmo per imbarcarsi verso il Perù o per risalire al Messico. Certo la questione del passaggio fra i due oceani preoccupò gli Spagnuoli fin dai primi tempi della scoperta e, dopo accertata la continuità delle terre dell'America Centrale, già nel 1551 si parlava della costruzione di un canale fra i due oceani. Il problema delle comunicazioni tra l'Atlantico e il Pacifico attraverso gl'istmi dell'America Centrale presiede del resto anche alle esplorazioni scientifiche compiute nel secolo scorso. Così, per l'interessamento di Alessandro di Humboldt e per ordine del Bolívar, nel 1828-29 veniva compiuta la prima livellazione dell'istmo di Panamá, e poco più tardi l'Ammiragliato inglese, dopo l'effimera occupazione inglese della costa dei Mosquito, fece eseguire il rilevamento delle coste atlantiche. La costruzione poi della ferrovia di Panamá (1850-1853) richiamò l'attenzione degli studiosi europei e americani su tutta la regione, mentre uscivano le prime carte attendibili, come quella disegnata da Agostino Codazzi di Lugo, allora al servizio della Colombia (1858).
In generale i numerosi esploratori rivolgono la loro attività o allo studio dei vulcani della zona occidentale, o alla ricerca delle tracce dell'antica civiltà azteca, nella zona più settentrionale; la conoscenza del paese, comunque, se ne avvantaggiò grandemente. Tra i molti studiosi che percorsero le regioni dell'America Centrale, basti ricordare: Maurizio Wagner, che con Carlo Scherzer visitò la Costarica occidentale e l'istmo di Panamá (1853-54); la grande spedizione francese di Dollfus e Montserrat (1866-1867), che studiò particolarmente i vulcani del Salvador e del Guatemala; il vescovo della Costarica A. Thiel, che compì ricerche notevoli tra gl'indigeni Guatuso e Chirripó; l'ingegnere Menocal, che dal 1885 compì studî sul lago di Nicaragua e sul Rio S. Juan; il Charles nell'Honduras e il Fowler nell'Honduras Britannico. Per una decina d'anni il Pittier esplorò a fondo la Costarica e salì sui principali vulcani di essa. Infine il più recente studioso di quei paesi, Carlo Sapper, a partire dal 1888 per oltre dodici anni esplorò sotto ogni aspetto tutta l'America Centrale, della quale egli è oggi il più competente conoscitore.
Geologia e morfologia. - L'America Centrale, con le Indie Occidentali, è una delle zone più instabili del globo. La sua storia geologica è fra le più complesse, ed anche fra le più incerte, a causa soprattutto delle vaste plaghe che il mare ha sottratte alla nostra indagine. È certo che la conformazione delle sue terre si è andata cambiando frequentemente e rapidamente nel corso dei millennî.
Nel Mesozoico, e più precisamente nel Cretacico, quel mare che occupava l'odierno Messico si estendeva anche su parte notevole delle Grandi Antille, le quali poi, nel Cenozoico medio e superiore, furono unite ora allo Yucatán e all'Honduras, ora all'America Meridionale. L'Oceano Atlantico e il Pacifico sembra siano stati in comunicazione per lo meno fino all'Oligocene; prima che la massa continentale dell'America del Nord fosse collegata a quella del Sud mediante l'America Centrale, fu collegata ad essa attraverso le Piccole Antille.
Secondo il Suess, l'arco delle Piccole Antille si collega, verso S., alla Cordigliera del Venezuela (v. america meridionale) e verso N., attraverso le catene di Haiti e la Sierra Maestra di Cuba, alle montagne del Guatemala. Si viene ad avere, così, un ovale, che chiude nel suo mezzo la fossa del Mar delle Antille: un qualche cosa di analogo a quello che si verifica nel nostro Mediterraneo occidentale. Le idee del Suess negano quindi un raccordo strutturale tra l'America Settentrionale e quella Meridionale; ma, alla loro volta, altri geologi non ammettono il raccordo delle Piccole Antille con le cordigliere sud-americane, appoggiandosi anche all'andamento generale dei rilievi di Costarica e Panamá. Alcuni fatti sono però certi, o quasi: alla fine del Paleozoico già si avevano nel Messico meridionale, nel Guatemala e nell'Honduras rilievi con direzione O.-E., direzione che all'ingrosso hanno tuttora. Essi continuavano nelle Grandi Antille, separando così nettamente il Golfo del Messico dal Mar Caraibico. Nel Cenozoico, poi, il rilievo fu ringiovanito da nuovi piegamenti, che, pur avendo prevalente direzione equatoriale, tendevano a volgere verso NE. nell'America Centrale, verso SE. e S. nelle Antille. Alcune grandi fratture, avvenute nel Pliocene, spezzarono queste catene, e il Mediterraneo americano raggiunse, nelle grandi linee, la configurazione presente (per la storia geologica e la conformazione del Mediterraneo americano, v. atlantico oceano).
Una catena a pieghe, con varie faglie longitudinali, attraversa da O. a E. il Guatemala, catena che è limitata a S. da terreni dell'Archeano mediante il solco percorso dal Motagua e che mostra sul versante settentrionale una successione di terreni del Paleozoico, del Mesozoico e del Cenozoico. Nell'Antracolitico un rilievo s'innalzava là dove troviamo ora terreni dell'Archeano, collegato da una parte alla Sierra Madre Occidentale (Messico), dall'altra a una serie di rilievi pure archeani dell'Honduras. Tutto intorno era il mare. Sembra che le stesse condizioni si siano ripetute nel Cretacico. A N. di questa catena a pieghe troviamo la regione pianeggiante del Petén, prosecuzione dello Yucatán, costituita di sedimentazioni cenozoiche e neozoiche. Non più alta di 500 m., questa regione presenta nel complesso le caratteristiche di un paese a morfologia carsica, con doline a fondo piatto e con sprofondamenti (siguanes) che sono in rapporto con corsi d'acqua sotterranei. Qua e là, nelle depressioni rese impermeabili dall'argilla, si formano stagni ora permanenti, ora temporanei.
A S. del Motagua, come è stato già detto, si eleva un massiccio con l'asse diretto da NO. a SE., al quale vengono a congiungersi varî rilievi diretti da ONO. a ESE. Tale massiccio ha un substrato di graniti, che affiorano nelle parti più elevate, ricoperto da un ampio e spesso mantello di rocce eruttive, e scende a ripiani verso la depressione di Guatemala e a quella del Rio Lempa (Salvador). È sormontato da una serie di coni vulcanici, alcuni dei quali sorpassano i 3000 m. di altezza assoluta (Acatenango, 3960 m.). Le catene che si saldano a questo massiccio sono di età cenozoica, hanno talvolta morfologia tabulare (Altos Cuchumatanes, 3500 m.) e presentano di frequente notevoli fratture, come quella del Grijalva, scendono dolcemente verso il Petén, fino a confondersi con la superficie pianeggiante o appena ondulata di questo. Ampie valli longitudinali si aprono tra l'una e l'altra di queste catene, delle quali alcune sono percorse da fiumi che inviano le loro acque al Golfo del Messico (varî affluenti del Grijalva e dell'Usumacinta), altre da fiumi che vanno a sboccare nel Mar delle Antille (Cobán, Motagua).
La parte settentrionale della regione, che costituisce l'Honduras Britannico, presenta la stessa costituzione geologica e la stessa morfologia del Petén e dello Yucatán: è un territorio pianeggiante o lievemente ondulato, costituito di terreni cenozoici. La parte meridionale, invece, si eleva a 1130 m. nel massiccio dei Monti Cockscomb, che costituisce un'unità strutturale della quale non si sono ancora ben chiariti i rapporti con le catene a pieghe che si stendono a S. di esso e delle quali è certamente più antico.
Nell'Honduras e nel Nicaragua settentrionale l'imbasamento è formato, come nel Guatemala e nel Salvador, da graniti, gneiss, soisti cristallini, sui quali poggia una spessa coltre di sedimentazioni mesozoiche: calcari cretacei nell'Honduras settentrionale e centrale, terreni triasici nell'Honduras di SE. e nel Nicaragua di NO. Gli strati sono diretti da O. a E. Degna di nota. nella struttura dell'Honduras, è la depressione che va dalla foce del Santiago al Golfo di Fonseca, percorsa dall'Humuya e dal Guascorán. ll Sapper non la ritiene una semplice fossa d'erosione, ma crede che sia in parte d'origine tettonica e in parte, a S., in relazione con l'attività vulcanica recente. A O. di questa depressione sorgono le montagne più elevate dell'Honduras, che sorpassano i 2800 m. Vi si distinguono tre catene, la più settentrionale delle quali, dopo essere scomparsa sotto la piana alluvionale di Sula, ricompare in alcune isolette del Golfo di Honduras (Islas de la Bahía). Oltre a queste tre catene, nell'Honduras occidentale l'erosione, incidendo fortemente la coltre vulcanica, ha dato origine a una serie di massicci e di sierre, che prendono varî nomi. L'Honduras orientale ha catene montuose separate da ampie vallate; non raggiungono i 2500 m. (Sierra de Pija, 2450 m.), e sono disposte molto regolarmente. Nel Nicaragua troviamo minore regolarità. La parte centrale di questa regione è costituita da un altipiano vulcanico, limitato a S. dalla grande fossa occupata in massima parte dai laghi di Managua e di Nicaragua e in parte percorsa dall'emissario di questo ultimo, il S. Juan: fossa che è di una grandissima importanza geografica e che ha avuto tanta influenza nella storia recente dell'America. Al principio del Cenozoico, la regione che essa occupa formava in gran parte un golfo marino; mentre a NE. di questo si aveva una notevole attività vulcanica, nella regione depressa si venivano depositando marne, argille, conglomerati e arenarie. In seguito la regione fu sottoposta a un primo sollevamento, ma fu poi ridotta dall'erosione allo stadio di penepiano; quindi si ebbe un secondo sollevamento, con conseguente ringiovanimento dell'ormai vecchia morfologia. Seguì un movimento di sommersione e un nuovo periodo di attività vulcanica, questa volta però a SO. della depressione, presso il Pacifico. E i vulcani con i loro prodotti isolarono la depressione, che fu poi divisa in due bacini.
L'altipiano vulcanico del Nicaragua centrale, alto più di 1000 m., va a mano a mano abbassandosi verso oriente. I fiumi Coco, Prinzapolca, Grande, Siquia, lo hanno inciso con le loro ampie vallate, suddividendolo in una serie di rilievi orientati da O. a E., che presso il litorale atlantico finiscono in una regione collinosa, cui fa seguito una cimosa litoranea costruita dai fiumi suddetti e larga in media una sessantina di chilometri. La costa atlantica del Nicaragua è fronteggiata da un grande bassofondo (banco dei Mosquitos) cosparso di scogli corallini, dove il mare, in alcuni punti, a 150 km. dalla costa non tocca i 20 m. di profondità, e che, come è stato già detto, in epoche geologiche non lontane ha unito l'Honduras e il Nicaragua con le Grandi Antille. Tutta la costa presenta i caratteri di una costa di sommersione. La serie vulcanica del Nicaragua comincia a SE. della baia di Fonseca col tristamente celebre Coseguina, che la domina da un'altezza di 1158 m. Seguono vulcani minori, poi El Viejno, il più elevato (1780 m.), da lungo tempo in quiete, quindi, fra gli altri, il Momotombo (1258 m.), il Masaya (660 m.) e l'Ometepe (1700 m.) che, col Madera, forma una grossa isola nel lago di Nicaragua.
A S. della fossa del Nicaragua una fascia di bassipiani va dal S. Juan alla foce del Sicsaola, con un'ampiezza dai 40 ai 50 km., e una lunghezza di circa 150 km. La parte settentrionale è un penepiano non più alto di 100 m., formato da un imbasamento di depositi dell'Oligocene, ricoperto di terreni vulcanici e di argille. Alle spalle di questa regione bassa si eleva una regione montuosa, costituita di varie catene. La più occidentale di esse, chiamata Cordigliera del Guanacaste, coperta tuttora in gran parte di folte foreste, non raggiunge i 1600 m. (Vulc. Orosi, 1571), mentre la catena orientale, detta Cordigliera Centrale, culmina nell'Irazu (3452 m.) e nel Turrialba (3342 m.). La catena meridionale (Cordigliera di Talamanca) è separata dalla Cordigliera Centrale da un'importantissima fascia di alte terre, il cui asse mediano coincide, sembra, con una linea di frattura, sulla quale passano le comunicazioni tra l'Atlantico e il Pacifico. Tale fascia di alte terre è costituita superficialmente soprattutto di basalti, ricoperti in gran parte di ceneri vulcaniche. Sotto questa coltre è stata sepolta la parte più meridionale della Cordigliera Centrale: infatti in alcuni punti più elevati affiorano calcari e sedimentazioni oligoceniche. Una parte di queste alte terre manda le sue acque all'Atlantico per mezzo del Reventazón, l'altra parte al Pacifico per mezzo del Rio Grande de Tarcolas. La Cordigliera di Talamanca è priva di vulcani, ed è costituita essenzialmente di graniti. La sua altitudine media è elevata, poiché la linea delle vette non scende mai sotto i 2000 m. e nel Chirripó Grande raggiunge i 3800 m. Verso il Pacifico, tra la Cordigliera del Guanacaste e i monti della penisola di Nicoya (questi superanti di poco i 1000 m. e ancora insufficientemente conosciuti), si stende il bassopiano alluvionale percorso dal Tempisque e dai suoi affluenti: regione larga dai 35 ai 40 km., tuttora in gran parte acquitrinosa.
Il Panamá è una stretta regione montuosa costituita prevalentemente di sedimentazioni del Cenozoico inferiore, piegate nel Cenozoico medio, le quali ricoprono un imbasamento di graniti, che qua e là affiorano. Vi si distinguono due allineamenti orografici: la Cordigliera di Veragua (2600 m.) e la Cordigliera di San Blas o del Darien. A occidente della Cordigliera di Veragua il vulcano Chiriqui s'innalza fino a 3430 m. Nel complesso, i rilievi panamegni presentano forme mature, così che abbiamo passaggi comodi tra il versante dell'Atlantico e quello del Pacifico: il Passo di Culebra, attraversato ora dal canale interoceanico, scende a 87 m. s. m. Il territorio del Panamá deve considerarsi come il resto di una più ampia regione, ora in gran parte sommersa dal mare, come dimostra la morfologia della fascia costiera. Nel golfo di Panamá, ad es., sono tuttora ben distinguibili alcune vallate subacquee.
Diamo ora un rapido sguardo alla costituzione geologica e alla morfologia delle Indie Occidentali, cominciando dalle Bahama. Questo gruppo insulare, detto anche delle Lucaie, sorge su una serie di bassifondi a SE. della Florida, il più vasto dei quali ha il nome di Gran Banco delle Bahama. Le isole meridionali del gruppo (Crooked, Acklin, Mariguana. Caicos, Turks, Grande Inagua) sono separate l'una dall'altra da canali profondi. Le Bahama sono isole basse, percorse tutt'al più da collinette di poche decine di metri di altezza, modellate in parte dall'erosione eolica: isole costituite di calcari cenozoici solubilissimi, ricche pertanto di forme carsiche, come pozzi e caverne, ma prive di acque correnti.
Cuba, la più vasta delle Antille, che dal Capo Maysi al Capo S. Antonio ha una lunghezza di 1275 km. e che nella parte occidentale si restringe a soli 49 km. di larghezza, sorge su una piattaforma pochissimo profonda (qualche decina di metri) sulla quale poggiano pure le isole di Camaguey e l'Isola dei Pini. Cuba ha montagne elevate soltanto nella sua estrema parte SE., dove sorge la Sierra Maestra, catena lunga circa 240 km., alta in media dai 1300 ai 1500 m. e culminante a 2560 m. È costituita di un imbasamento di dioriti, scisti e graniti, ricoperto da una coltre di calcari. Anche nel resto dell'isola, sopra uno zoccolo di rocce antichissime (dioriti, serpentine, rocce verdi e talvoha, ma di rado, graniti) riposano sedimentazioni del Giurassico medio e superiore e del Cretacico inferiore: formazioni che furono piegate e dislocate, quindi modellate e in parte consumate dall'erosione, poi ricoperte dalle acque marine. Dall'Eocene in poi vi si sovrapposero in discordanza strati di calcare, che subirono un piegamento alla fine del Cenozoico, e furono sottoposte a molteplici sollevamenti, intercalati con periodi di denudazione. Lungo le coste si formò, di conseguenza, una serie di terrazze, che si trovano attualmente a 5, 15, 55 e 115 m. sul livello marino nella parte SE. dell'isola. Dopo questi sollevamenti, si ebbe una sommersione. L'erosione nella maggior parte dell'isola ha asportato la coltre cenozoica, lasciando per lo più allo scoperto rocce cretaciche e giurassiche. All'infuori della Sierra Maestra, di cui si è già parlato, e di qualche altro rilievo di mediocre altezza nel centro e all'estremo O. dell'isola, troviamo dappertutto una regione pianeggiante o tutt'al più percorsa da piccole colline, risultato di un'evoluzione carsica avanzatissima.
Haiti è percorsa nel centro da una grande catena, che a O. sembra debba ricollegarsi con la Sierra Maestra di Cuba, e ad E. con le montagne di Portorico. Vi affiorano rocce antichissime (dioriti, andesiti, basalti, scisti cristallini) su cui poggiano calcari compatti e calcari argillosi mesozoici. Le forme di questa catena sono mature; le ampie vallate sono dominate da numerose vette superiori ai 2000 m.; il Loma Tina, anzi, sorpassa i 3000 (3140 m.). A N. della Cordigliera Centrale, e separata da questa dall'ampia depressione longitudinale percorsa dal Río Yaque del Norte e dal Río Yuna, si eleva la Cordigliera Settentrionale o Sierra Monte Cristi, non più alta di 1400 m., limitata a S. da una grande faglia. A mezzodì, poi, della Cordigliera Centrale, abbiamo una serie di pieghe cenozoiche, che costituiscono la calcarea Sierra di Neiba e, in territorio haitiano, la Montagne Noire (2400 m.) e la Chaîne des Mateux, separate, queste ultime, da una fossa percorsa dall'Artibonite. A N. e a S. di queste catene cenozoiche si stendono due altre depressioni longitudinali, percorse l'una dall'alto corso dell'Artibonite e del Yaque del Sur, l'altra occupata in gran parte da stagni e laghi anche di notevoli dimensioni (lago Enriquillo). Strutturalmente quasi del tutto distinta dalle catene precedenti è la serie di rilievi che percorrono la stretta penisola SO. di Haiti e l'aggetto triangolare formato dalla penisola di Bahoruco. Sono rilievi costituiti in gran parte di rocce eruttive antiche, con molte cime superiori ai 2000 m. di altezza (Montagnes de la Hotte, 2255 m.; Mont. de la Selle, 2680 m.; Sierra de Bahoruco, 2075 m.). Nel complesso, vediamo nella struttura di Haiti quattro grandi aree anticlinali, con faglie sui margini. I piegamenti cominciarono probabilmente nell'Eocene, e raggiunsero il loro massimo d'intensità nel Miocene superiore e nel Pliocene.
Giamaica fu soggetta a un vulcanismo intenso nel Mesozoico, e poi, nell'Eocene, a una denudazione e a una sommersione quasi completa. S'iniziarono quindi i piegamenti e nell'Oligocene Giamaica occupava un'area molto più ampia dell'attuale. L'antico massiccio affiora soltanto nelle Blue Mountains (2240 m.) della parte orientale dell'isola, e poi, in piccole zone, al centro e nella estrema parte occidentale. Per il resto è coperto da una potente coltre di calcari cenozoici, che formano dei vasti altipiani, ove sviluppatissimo è il fenomeno carsico.
Portorico ha una struttura molto semplice. Limitata a N. e a S. da due profonde fosse marine, quest'isola costituisce un horst di calcari, scisti argillosi e conglomerati cretacei, alternati con rocce eruttive, dislocati da pieghe e faglie. Su queste rocce cretaciche riposano in discordanza argille, calcari e marne cenozoiche. Il rilievo, che non giunge ai 1200 m. (Yunque, 1139 m.), presenta nel complesso una morfologia matura.
Nelle Piccole Antille distinguiamo una serie interna (Saba, Guadalupa occidentale, Dominica, Martinica, S. Lucia, S. Vincenzo, Grenada) dove si trovano i rilievi vulcanici più recenti, con forme più ardite e vette più elevate (la Grande Soufrière, 1484 m.; Pelée, 1350 m., ecc.); e una serie esterna, dove le rocce eruttive antiche sono sormontate da pile di calcari cenozoici (Anguilla, S. Martino, S. Bartolomeo, Antigua, Guadalupa orientale). Sono assai più basse delle isole della serie interna, e hanno forme più dolci. La Barbuda e Barbados non sono vulcaniche, ma costituite l'una da sabbie e da calcari fossiliferi, l'altra da argille e marne del Cenozoico inferiore, coperte in parte notevole da formazioni coralline. Barbuda raggiunge appena i 62 m. di altezza, Barbados i 336 metri.
Si è visto quanta parte prendano nella costituzione dell'America Centrale e delle Indie Occidentali le rocce vulcaniche. E si è visto pure come l'attività vulcanica, se non comparabile con quella del Cenozoico, sia tuttora grandiosa. Basti ricordare le grandi eruzioni del Coseguina (1835), che secondo Reclus e Radau vomitò materiali per 50 kmc., e del Pelée (1902). Medesima origine dell'attività vulcanica - instabilità della crosta terrestre - hanno i terremoti, frequenti e formidabili, come quelli di Port au Prince (1760), Quezaltenango (1902), Giamaica (1907), Colima (1911), Guatemala (1917). Le più vaste zone sismiche si trovano in prossimità delle più profonde fosse oceaniche. Così quella delle Piccole Antille, ad es., coincide con una piattaforma che sorge da profondità superiori ai 5000 m.
Coste. - Per una gran parte dell'America Centrale e delle Antille si tratta di regioni che hanno subito in tempi geologicamente recenti movimenti di sommersione. Abbiamo quindi, in prevalenza, coste molto articolate, frastagliate, spesso profondamente incise, con buoni porti naturali. La piattaforma continentale è stretta lungo tutta la costa del Pacifico, dove a 150-200 km. dalla costa stessa troviamo profondità superiori ai 3000 m. Davanti alla costa continentale dell'Atlantico, la piattaforma è invece molto ampia nel tratto che va dal Capo Cameron, nell'Honduras, alla foce del S. Juan (banco dei Mosquitos). Ampia è pure intorno alle Bahama e di fronte alla costa sud-occidentale di Cuba, la quale isola, invece, di fronte alla sua costa di SE. ha una fossa di oltre 5000 m., che, in direzione ENE.-OSO., sprofondandosi a oltre 6200 m. presso Grand Cayman, s'incunea tra lo Yucatán e l'Honduras nel golfo omonimo. Profondità notevolissime limitano pure Haiti, Portorico e, dal lato esterno. le Piccole Antille. A N. di Portorico, anzi, abbiamo una fossa dove l'Atlantico scende alla sua massima profondità: 8525 metri.
Nell'America Centrale le regioni montuose sono sempre vicine alla costa, orlate da una stretta cimosa litoranea, costruita in gran parte dalle alluvioni fluviali, con cordoni litoranei e lagune salmastre. La costa guatemalteca e salvadoregna corre piuttosto uniforme, compatta, fino al vasto e profondo Golfo di Fonseca, dominato da terribili vulcani, che dà ricetto a buoni porti (La Unión, La Brea, Amapala). Anche la costa del Nicaragua è piuttosto uniforme. Non così quelle della Costarica e del Panamȧ, articolata da penisole (di Nicoya, di Osa, di Azuero), con vasti golfi (di Nicoya, Dulce, di Panamá), fronteggiata da isole (Coiba, Arcipelago delle Perle) e con buoni porti (Punta Arenas, Panamá).
La cimosa litoranea sull'Atlantico è un po' più ampia soltanto nel Nicaragua. È orlata da una serie di vaste lagune, che i fiumi vengono a poco a poco colmando con le loro alluvioni. Puerto Barrios, Trujillo, Bluefields, Puerto Limón, Colón, sono i porti migliori.
Le Bahama hanno coste basse e orlate di scogliere coralline, mentre nel resto delle Antille prevalgono le coste alte, incise, con buoni porti (l'Avana, Guantánamo, Port au Prince, S. Domingo, Sanchez, Kingston, S. Juan, ecc).
Clima. - Le condizioni climatiche dell'America centrale e delle Antille dipendono essenzialmente dalla posizione geografica di queste regioni, dalla vicinanza dei due oceani, Pacifico e Atlantico, dallo svariato rilievo. Secondo il De Martonne, a prescindere dalle parti più elevate, dove si ha un clima di tipo messicano, clima caldo di montagna, con due massimi di piogge equinoziali, intercalati con due minimi, di cui uno rappresenta un vero periodo secco, con temperature medie annue inferiori ai 20° e con escursione termica notevole (5°-6°); a prescindere, ripetiamo, da queste parti più elevate, nel resto dell'America Centrale si ha clima equatoriale (forte umidità e nebulosità in tutto l'anno, forte numero di giorni piovosi, precipitazioni abbondantissime, temperature medie sempre superiori ai 25°, escursioni termiche minime). La temperatura decresce, com'è noto con l'altitudine: e già i primi europei giunti nell'America Centrale vi distinsero tre zone climatiche: tierras calientes (terre calde), fino a 600 m. di altezza, con temperature medie annue da 26° a 23°; tierras templadas (terre temperate), da 600 a 1800 m., con temperature medie annue da 23° a 17°; tierras frias (terre fredde), oltre i 1800 m., con temperature medie annue inferiori ai 17°.
Le precipitazioni, come si è detto, sono molto abbondanti, e quasi dapperttutto superiori ai 1500 mm. annui: il massimo di piogge si ha sulla costa orientale del Nicaragua, che ne riceve oltre 6000 mm. annui. La vegetazione naturale è rappresentata prevalentemente dalla foresta equatoriale, e in qualche tratto meno umido, dalla savana. Nelle zone a clima temperato succedono, nelle regioni più elevate, boschi di querce, di ontani, poi boschi di aghifoglie, infine pascoli.
Diverso è il clima delle Antille, in gran parte subequatoriale oceanico, con temperature medie meno elevate di quelle che si riscontrano nell'America Centrale, con escursioni termiche più notevoli, con umidità elevatissima e piogge sempre molto abbondanti.
Anche nelle Antille la vegetazione naturale è data prevalentemente dalla foresta equatoriale, ricca di liane e di epifite, cui seguono nelle parti elevate boschi di tipo temperato.
L'America Centrale e le Antille sono nel dominio degli Alisei di NE., che hanno una grande importanza nel clima di queste regioni, influendo sia sulle temperature che sule precipitrazioni. Si verifica dappertutto che i versanti esposti a E. o a NE. sono i più ricchi di piogge: a Giamaica, ad esempio, mentre a Port S. Antonio, slla costa di NE., si hanno precipitazioni di 3550 mm. in media, a Kingston, sulla costa meridionale, esse sono soltanto di 964 mm. Questo contrasto si riflette, come ben s'intende, sulla vegetazione.
Benché non si abbiano, in queste regioni, quelle grandi depressioni ciclonali spostantisi continuamente, caratteristiche della zona temperata, vi si formano tuttavia dei terribili cicloni locali, tanto più violenti quanto più sono limitati: i ben noti uragani (hurricanes), che di frequente portano la desolazione su quelle incantevoli terre e che si verificano per lo più (88%) nei mesi di agosto, settembre e ottobre.
Acque continentali. - Date le dimensioni e la forma dell'America Centrale e delle Antille, non troviamo in esse nessun sistema fluviale molto sviluppato. Ad eccezione del Choluteca, tutti gli altri corsi d'acqua che sboccano nel Pacifico sono di corso assai breve e precipitoso. Nell'Atlantico i più notevoli sono: il Motagua, il fiume più importante del Guatemala, lungo 415 km., con portate che oscillano fortemente, quindi malamente navigabile; il Santiago. l'Aguán, il Rio Negro e il Patuca (520 km)., che rigano l'Honduras; il Coco o Segovia (750 km.), che serve di confine fra l'Honduras stesso e il Nicaragua, ricco di acque, e navigabile dopo le rapide di Balaná; il Prinzapolca, il Río Grande, il Siquia, molto ricchi di acque, attraversando una delle regioni più piovose dell'America Centrale. Ben più importante di essi è il S. Juan (v.), emissario del lago di Nicaragua, il cui corso è stato bene studiato nei suoi particolari in vista del progettato canale transoceanico del Nicaragua. Ben noto è pure il Chagres, nel Panama, il cui corso è stato parzialmente modificato in seguito alla costruzione del canale di Panamȧ.
Brevi, di corso rapido, sono i fiumi delle Grandi Antille.
L'America Centrale ha diversi laghi, alcuni dei quali assai vasti: così il Lago di Managua (1450 kmq.) e il lago di Nicaragua (9500 kmq.). In Haiti è notevole il lago Enriquillo.
Flora. - La vegetazione dell'America Centrale dovrebbe, a termine di logica, venire descritta con quella della porzione tropicale dell'America Meridionale, perché ad essa collegata da numerose e strettissime affinità. Tuttavia la particolarità di uno dei suoi distretti, quello delle steppe sub-tropicali del Messico, e l'uso invalso, suggeriscono di tenerne separata la trattazione, distinguendovi, oltre a quello sopra nominato, due altri distretti, rispettivamente per la vegetazione tropicale e sub-tropicale del Nicaragua e della Costarica e per quella delle Antille, Bahama e Florida meridionale.
Analogie col paesaggio caratteristico del primo distretto, si trovano in quello delle steppe e chaparrales dell'America boreale. Anche qui si tratta di una vegetazione xerofila di altipiano, dalla quale si trapassa gradualmente alle savane tropicali, quando venga raggiunta una zona altimetrica con precipitazioni rare e stagione secca estesa alla maggior parte dell'anno. Le steppe sub-tropicali del Messico sono caratterizzate da Cactee, Asclepiadacee, Leguminose arborescenti (Acacia), Papaveracee (Argemone), Composite caratteristiche, Monocotiledoni xerofile (Agave, Dasyilrion, Fourcroya) e si estendono da 1300 a 3000 m. s. m. Indipendentemente da questa formazione caratteristica, la vegetazione del Messico meridionale si distribuisce, rispettivamente sui versanti del Pacifico e del Golfo del Messico, in zone regolarmente succedentisi col crescere dell'altimetria. Una prima zona tropicale, estendentesi sino a 1000 m., possiede una vegetazione xerofila che, assai magra lungo la costa, va arricchendosi man mano che il paese s'innalza; di più le valli fluviali, e soprattutto gli estuarî e le basse lagune, sono circondati da una lussureggiante vegetazione tropicale (Palme, - Sabal, Oreodoxa - Lauracee, Terebintacee, Bombacee, ricche savane). La ricchezza della flora aumenta sempre col crescere della precipitazione e dell'altezza e raggiunge il massimo rigoglio nella successiva zona subtropicale - fra 1000 e 2000 m. - con felci arboree, quercie sempreverdi, abbondanti orchidee, epifite, ma regresso delle palme, ridotte a specie arbustacee del genere Cha- maedorea. Procedendo poi ancora verso l'alto, si incontrano successivamente: la zona delle alte montagne (2000-2900 m. s. m.), ricca di foreste di querce e di caratteristiche conifere (Pinus Teocote, P. Montezumae), ed una zona fredda, nella quale il genere Quercus raggiunge il suo limite superiore a 3400 m. s. m., mentre le conifere si estendono sino a 3900 m. s. m. Sul versante occidentale i limiti si abbassano sensibilmente.
Il distretto del Nicaragua e della Costarica presenta un carattere di transizione tra la flora xerofila tropicale del Messico meridionale e quella, spiccatamente forestale ed equatoriale, della Colombia. Lo schema generale della vegetazione è ancora quello del Messico: foresta tropicale sino a 1000 m. s. m. sui pendii costieri, specialmente impenetrabile sul versante orientale, con ricca partecipazione di felci arborescenti e di Palme (Bactris, Geonoma, Iriartea) e di Scitaminee; un altipiano centrale, verso i 1000 m., rivestito di savane o, in qualche punto (verso il 10° di latitudine N.), invaso da rade foreste tropicali perdenti l'indumento fogliare nella stagione secca, fino a 1600 m.; e al di sopra, boschi di conifere (Pinus occidentalis), di querce sempre verdi e di Alnus Mirbelii.
Le quote altimetriche relativamente elevate raggiunte in qualcuna delle Antille (Cuba, Haiti, Giamaica), che sono in genere montuose, fa sì che, nella distribuzione altitudinale della vegetazione dell'arcipelago, si possano riconoscere alcune zone ben distinte.
Il paesaggio vegetale della zona litorale, oltre a una notevole estensione della vegetazione a mangrove lungo le coste, presenta alcuni caratteri comuni con quello del Messico e del Perù. Il suolo sabbioso e roccioso vi è discontinuamente rivestito da specie arbustiformi; caratteristiche ne sono alcune Cactee, parecchie specie del genere Croton e l'Haematoxylon campechianum, pianta industrialmente nota come "legno di campeggio". Segue, verso l'interno, una zona tropicale, suddivisa a sua volta in due sottozone; la prima di queste, inferiore a 600 m. s. m., è occupata da savane, con specie arboree caducifoglie appartenenti a famiglie assai diverse (Eriodendron anfractuosum, bombacee; Cedrela odorata; Swietenia Mahogonii, il comune mogano, meliacee; Bursera gummifera, burseracee; Gujacum officinale sapindacee). La sottozona superiore, fra 600 e 1900 metri, è invece fittamente rivestita da foreste di lauracee (Phoebe montana, Nectandra sanguinea) frammiste a specie dei generi Clethra, Juglans, ecc. ed anche a conifere (Podocarpus, Juniperus) e a qualche palma (Oreodoxa regia, Acrocomia lasiospatha, Sabal umbraculifera, Thrinax specie varie).
A partire da 1200-1300 m. s. m., la foresta assume il tipo montano ed è in modo caratteristico ricca di felci, alcune specie delle quali possiedono, nella porzione inferiore della zona, portamento arborescente e sono accompagnate da Ericacee, Mirtacee, ecc.; da qualche palma del genere Euterpe; inoltre da una conifera di affinità boreali, ma caratteristica delle Antille, Pinus occidentalis, la quale favorita da particolari condizioni di terreno, può scendere anche in mezzo alla sottostante vegetazione tropicale ed anzi a Cuba, addirittura presso la costa, o innalzarsi, come a S. Domingo e con esemplari rachitici, sino a 2600 m. Finalmente in alcune isole (Cuba, Haiti, Giamaica) esiste, come si è detto, una zona montana superiore, compresa fra 2300-2900 m., rivestita da una vegetazione caratterizzata da Ericacee dei generi Chimaphyla e Lyonia e da numerose piante erbacee vivaci, appartenenti a generi sia europei sia americani (Eriocaulon, Carex, Ranunculus, Alchemilla, Hieracium, ecc.), nonché dalla Garrya Fadyenii, tipo della famiglia delle Garriacee, caratteristica dell'America Centrale.
Floristicamente si deve anzitutto notare che le Antille presentano maggiori affinità con l'America Meridionale che non con la Centrale; le differenze che esistono tuttavia anche con la flora della prima, dimostrano la precoce separazione dal continente. Le Antille possiedono infatti più di 100 generi endemici, e le grandi isole, quali Cuba, Haiti e Giamaica, contano nella loro flora molti di questi generi caratteristici dell'Arcipelago. L'endemismo così spiccato è tuttavia quasi esclusivamente limitato alle Antille vere e proprie; ridottissimo nelle Bahama, dove si attenua anche il carattere tropicale, manca affatto nelle Bermude, isole che vengono botanicamente trattate con le Antille in quanto debbono loro, per la via della Corrente del Golfo, il rivestimento vegetale. Infatti due specie antillane, il Juniperus barbadensis e la Lantana odorata vi formano vaste boscaglie, le quali, alternandosi con boschi di conifere ed erba di Stenophrum americanum, costituiscono il coperto vegetale di questo gruppo isolato.
Bibl.: Grisebach-Tchihatcheff, La végétation du Globe, II, Parigi 1876; O. Drude (tradotto da G. Poirault), Manuel de géographie botanique, Parigi 1897; Korschelt, Link, Oltmanns, Geographie der Pflanzen (Florenreiche), ecc., in Handwörterbuch der Naturwissenschaften, IV, Iena 1913; C. Hayek, Allgemeine Pflanzengeographie, Berlino 1926.
Fauna. - La fauna dell'America Centrale presenta una grande ricchezza e varietà. Essa è molto affine alla fauna dell'America del Sud; ma molte forme nord-americane sono pure rappresentate, in addizione o in sostituzione di elementi meridionali. Non mancano famiglie esclusivamente confinate nell'America Centrale, né famiglie che, diffuse più o meno in altri continenti, presentano solo quivi i loro rappresentanti americani.
In continuazione della fauna sud-americana, vivono nell'America Centrale scimmie appartenenti alla famiglia dei Cebidae: qualche specie, come Ateles paniscus, si rinviene anche nell'America del Sud fino all'Uruguay. Dei Callitrichidae solo una specie si avanza dall'America del Sud fino a Panamá.
Comuni con l'America Meridionale, con le Antille e con la Bassa California, sono i Phyllostomatidae e nell'America Centrale vive anche il vampiro (Desmodus rufus). I Noctylionidae e i Vespertilionidae, pipistrelli quasi cosmopoliti, sono pure ben rappresentati.
Gli insettivori scarseggiano straordinariamente; e non si conoscono di questa regione che qualche Sorex e qualche Blarina.
Le sole famiglie di carnivori rappresentate nell'America Centrale sono quelle dei Procyonidae, dei Mustelidae, dei Canidae e dei Felidae. Tra questi ultimi il Puma e il Giaguaro sono i più notevoli; i lupi mancano, ma le volpi sono rappresentate. I Procionidi sono numerosi; e degni di menzione sono il Nasua nasica, che abita il Messico e l'America Centrale, varî Procyon e le due specie del genere Bassaris.
I roditori sono rappresentati da Leporidae, Dasyproctidae, Erethizontidae, Octodontidae, Geomyidae, Heteromyidae, Muridae, Sciuridae: i Dasyproctidae e gli Octodontidae sono una continuazione della fauna sud-americana; i Geomyidae e, in certo qual modo. anche gli Heteromyidae di quella nord-americana.
Scarseggiano gli ungulati, rappresentati solo dai Tapiridae, dai Cervidae e dai Dicotylidae. Però proprie dell'America Centrale sono due specie di tapiri: Tapirus Bairdi e T. Dowi.
Tre famiglie di sdentati, Dasypodidae, Myrmercophagidae e Bradipodidae, di cui la prima raggiunge l'America del Nord e l'ultima si ferma al Nicaragua, e una famiglia di marsupiali, i Didelphidae, chiudono la lista dei mammiferi di questa regione, ove notiamo anche la presenza del Choloepus didactylus, del piccolo formichiere (Cycloturus didactylus) e del Chironectes minima.
Per quanto riguarda gli uccelli, la grande ricchezza dell'America Centrale dipende dal fatto che essa, oltre a possedere quasi tutte le famiglie sud-americane, possiede anche la maggior parte di quelle che, presenti nell'America del Nord, mancano nell'America Meridionale, nonché quelle diffuse largamente dal N. al S.
Famiglie in comune col Nord-America e col Sud-America sono: gli Icteridae, i Tanagridae, i Fringillidae, gli Emberizidae, i Motacillidae, i Mniotiltidae, i Vireonidae, i Turdidae, i Mimidae, i Cinclidae, i Troglodytidae, i Muscicapidae, gli Hirundinidae, i Tyrannidae, i Picidae, i Cuculidae, gli Alcedinidae, i Caprimulgidae, Cypselidae, i Trochilidae, i Psittacidae, i Bubonidae, gli Strigidae, i Falconidae, i Pandionidae, i Cathartidae, i Plotidae, i Pelecanidae, gli Anatidae, gli Ibididae, i Plataleidae, i Ciconidae, gli Ardeidae, i Chionididae, i Podicipedidae, i Rallidae, i Columbidae, i Peristeridae, gli Odontophoridae.
Fanno parte della fauna dell'America Centrale, in continuazione di quella nord-americana, gli Alaudidae, che giungono all'Istmo di Tehuantepec; i Certhidae, che arrivano al Guatemala; Sittidae, che si estendono fino all'Istmo di Tehuantepec; i Regulidae, che giungono al Guatemala; i Paridae, che si spingono fino a toccare l'Honduras, ma mancano nello Yucatán; i Lanidiae, che arrivano all'Istmo di Tehuantepec; gli Ampelidae, che giungono a Panamá; i Gruidae, che raggiungono Acapulco; i Meleagridae, che giungono all'Istmo di Tehuantepec.
Un proseguimento dell'avifauna sud-americana costituiscono invece i Cerebidae, che raggiungono il 20° lat. N.; i Cotingidae, che si estendono fino a tutto il Messico; i Papridae, che si fermano ad Acapulco; gli Oxyramphidae, localizzati a Panamá e Costarica (anche nell'America del Sud sono circoscritti in brevi aree); i Dendrocolaptidae, che si avanzano fino a 22° lat. N.; i Formicariidae, estesi fino a 20° lat. N.; i Galbulidae, pure ugualmente estesi; i Bucconidae, che arrivano al Guatemala; i Rhamphastidae, che giungono a Messico; i Trogonidae, che si estendono per tutto il Messico; i Momotidae, che giungono a Río Grande del Norte; gli Aramidae, che si spingono fino ad Acapulco; gli Eurypygidae, che raggiungono il Guatemala; i Parridae, che ad E. si spingono fino a New Orleans; gli Oedicnemidae, limitati in America alla zona fra l'equatore e 20° lat. N.; gli Heliornithidae, che giungono all'Istmo di Tehuantepec; i Cracidae, che oltrepassano alquanto Río Grande del Norte e i Tinamidae, che lo raggiungono appena.
Caratteristica e molto interessante è la fauna dei rettili della America Centrale. Di questa regione sono esclusivi i Xenosauridae, rappresentati unicamente dallo Xenosaurus grandis, sorta di lucertola confinata all'Istmo di Tehuantepec, ed i Dermatemydidae, che comprendono quattro specie di testuggini, di cui la più nota è Dermatemys Mawi, confinate tra il Messico meridionale e il Salvador. Inoltre si trovano nell'America Centrale gli unici rappresentanti americani di famiglie diffuse nel Vecchio Mondo: così gli Achrocordidae, sparsi in India, Indocina e Malesia, posseggono nell'Istmo di Panama il genere Nothopsis con una specie; i Pythonidae, estesissimi in Africa, Asia Meridionale, Australia, hanno una specìe, Loxocemus bicolor, propria del Messico meridionale (escluso lo Yucatán), del Guatemala e di S. Salvador; gli Anelytropidae, assai sparsi in Africa e nel Madagascar, posseggono nel Messico meridionale il caratteristico Anelytropsis papillosus. Gli Eubiepharidae, sorta di gechi ben rappresentati in Africa e nell'Asia Meridionale posseggono in America, oltre al genere Lepidoblepharis, limitato a S. di Quito nell'Ecuador, il genere Coleonyx, con una sola specie estesa dal Messico settentrionale a Panamá.
Altre famiglie di rettili presenti nell'America Centrale sono quelle dei Crotalidae, degli Amblycephalidae, degli Elapidae, dei Dipsadomorphidae, dei Colubridae, dei Boidae, dei Glauconiidae, dei Typhlopidae, degli Amphisbaenidae, degli Scincidae, degli Helodermatidae, dei Xantusiidae, dei Tejidae, degli Anguidae, degli Iguanidae, dei Geckonidae, dei Crocodilidae, degli Alligatoridae, dei Chelydidae (che dall'America del Sud risalgono il Panamá), dei Trionychidae (che dall'America del Nord si avanzano fino al Messico centrale), dei Testudinidae, dei Platysternidae, dei Cinosternidae. Come si vede, in nessuna regione del mondo vi è tanta varietà di rettili come nell'America Centrale.
Gli Anfibî posseggono anuri, urodeli ed apodi. Questi ultimi dall'America del Sud si estendono fino al Messico meridionale. Tra gli urodeli, i Salamandridae e i Sirenidae non discendono a S. del Tropico; ma gli Amblystomatidae dall'America del Nord giungono fino all'Istmo di Tehuantepec; i Plethodontidae giungono fino all'America del Sud, comprendendo l'America Centrale; i Desmognathidae, pure nord-americani, posseggono una specie caratteristica nell'Istmo di Tehuantepec (Thorius) e un'altra a Costarica (Haptoglossa). Fra gli anuri i Ranidae, gli Engystomatidae, i Cystignathidae, gli Hylidae, i Butfonidae popolano tutta l'America Centrale; mentre i Dendrobatidae dall'America del Sud risalgono fino al Nicaragua, e i Pelobatidae dall'America del Nord si estendono fino all'Istmo di Tehuantepec.
I pesci d'acqua dolce non presentano speciali caratteristiche. Vediamo pertanto rappresentati i Gobiidae, i Cichlidae, i Cyprinodontidae, i Symbranchidae, i Siluridae, i Cyprinidae, i Gymnotidae, i Characinidae, i Lepidosteidae.
L'America Centrale è la regione ove maggiormente son diffusi i molluschi polmonati della famiglia degli Urocoptidae, che vivono anche nelle Antille, nella vecchia California, oltrepassando il Tropico, fino allo sbocco del Mississippi, e si rinvengono ancora nel Venezuela e nell'Ecuador. Tra i prosobranchi sono invece notevoli i Proserpinidae, che si incontrano ancora a Cuba, nel Venezuela, nell'Ecuador e a N. del Perù.
La fauna delle Antille, per quanto presenti delle affinità con quelle dell'America Centrale e Meridionale, pure, nonostante la sua scarsezza, è così caratteristica che merita d'essere considerata a parte. Inoltre fra le varie isole, e notevolmente fra Cuba e Haiti, intercedono differenze faunistiche assai interessanti.
Dei mammiferi nelle Antille sono soltanto rappresentati: i pipistrelli, con le famiglie dei Phyllostomatidae, Noctylionidae e Vespertilionidae, la prima americana, le altre cosmopolite; gli insettivori, con la famiglia dei Solenodontidae, esclusiva di Cuba ed Haiti; i rosicanti, con le famiglie degli Octodontidae e dei Muridae e quella dei Dasyproctidae, limitata alle Piccole Antille; i sireni marini costieri, con la famiglia dei Manatidae; e i marsupiali, limitati alle più meridionali fra le Piccole Antille, con la famiglia dei Didelphydae, e rappresentati dal Didelphys marsupialis, che vive pure nel continente.
I Solenodontidae non presentano altri affini che i Centetidae del Madagascar, e posseggono due specie: l'Almichi di Cuba (Solenodon cubanus) e l'Almichi di Haiti (S. paradoxum); Dasyprocta antilliensis vive solo nelle isole di Tobago, S. Vincenzo e S. Lucia. I Capromys sono octodontidi esclusivi delle Antille e precisamente di Cuba, Giamaica e delle Bahama; il genere Plagiodontia ha una sola specie che è propria di Haiti (P. aedium). I pochi topi (Muridae) appartengono tutti al gruppo americano dei Sigmodontinae; il più grosso di essi (Megalomys pilorides), grande quanto una lepre, vive nella Martinica.
I carnivori possono considerarsi come assenti: solo nelle Bahama vive un Procyon e a Trinidad un mustelide (Galera barbara). Solo una foca (Monachus tropicalis), affine a quella del Mediterraneo, frequenta le coste delle isole.
Varî generi di pipistrelli sono proprî delle Antille, come Lonchorrhina, Phyllonycteris, Monophyllus, Brachyphylla.
Gli uccelli presentano uno spiccato carattere messicano e specialmente sud-americano, benché gran numero di famiglie diffusissime nell'America Centrale e Meridionale vi facciano difetto così i Phytotomidae, i Pipridae, i Dendrocolaptidae, i Formicariidae, i Galbulidae, i Bucconidae, i Rhamphastidae, i Momotidae, i Crasidae, i Tinamidae. I Cotingidae si trovano solo a Giamaica, i Muscicapidae solo a Cuba, i Trogonidae solo a Cuba e Haiti, i Cathartidae solo a Cuba, gli Oedicnemidae a Giamaica, Portorico, Haiti, ecc., ma non a Cuba; gli Odontophoridae a Cuba. Il genere Todus, con cinque specie, costituisce la famiglia dei Todidae, coraciiformi caratteristici ed esclusivi delle Antille: due specie vivono a Giamaica e le altre tre rispettivamente a Cuba, Portorico e Haiti.
Non mancano generi di uccelli particolari delle Antille, come Mimocycla, Cinclocerthia, Phaenicomanes, Glossiptila, Dulus, Melanopyrrha, ecc., fra i passeriformi; Eulampis, Aithurus, Mellisuga, fra i Trochilidi; Starnaenas, fra i colombi; Gymnoglaux e Pseudoscops, fra i rapaci notturni.
I rettili abbondano, pur mancando talune famiglie diffuse nel vicino continente, come quelle degli Amblycephalidae, degli Enblepharidae, dei Cynosternidae e dei Chelydridae. Gli Elapidae si trovano solo nelle Piccole Antille; così pure i caimani. Ma vi sono ovunque dei coccodrilli; fra le lucertole, gli Scincidae contano generi esclusivi delle Antille, come Celestus, Camilia, Panoplas, Embriopas. Iguane comuni al continente sono le Anolis, le Iguana, le Cyclura; similmente un genere di gechi (Cubina). Tra i serpenti, notiamo i grossi Colubridae dei generi Arrhyton, Cryptodacus, Coloragia e i pitoni dei generi Epicrates, Corallus, Chilabothrus, Ungalia; ma il più pericoloso per il suo veleno è il Bothrops lanceolatus, o Crotalo lancia di ferro, che uccide alla Martinica circa cinquanta persone all'anno.
Notevole è la presenza, a Cuba, di una specie appartenente alla famiglia dei Xantusiidae, sauri limitati alla Bassa California e in poche località dell'America Centrale.
Mancano nelle Antille gli Anfibî apodi, e, gli urodeli sono rappresentati solo a Haiti da una specie di Pletodontide (Spelerpes infuscatus). Tra gli anuri solo a Haiti si trova un Dendrobates; il genere Trachycephalus, con 7 specie, contro una sola del continente, rappresenta gli Hylidae; l'Hylodes martiniciensis è un cistignatide caratteristico per la riduzione della metamorfosi ed è proprio della Martinica, mentre altre specie di Cystignathidae sono presenti nelle altre isole; esistono rane e rospi; ma mancano gli Engystomatidae, diffusissimi nelle Americhe.
Fra i pesci d'acqua dolce vi sono Cichlidae a Cuba, Cyprinodontidae in tutte le isole, di cui un genere (Lebistes) vi è esclusivo: Lepidosteidae solo a Cuba.
I coleotteri contano nelle Antille una quantità relativamente scarsa di Carabidi. I Buprestidi vi posseggono 15 generi, di cui uno solo è esclusivo. I Longicorni, meglio rappresentati, hanno nelle Antille 49 generi, di cui 15 particolari; i Prionidae contano i generi caratteristici Stenodontes, Dendroblaptus, Solenoptera, ecc.; i Cerambycidae i generi Merostenus, Pentomacrus, Bromiades, Poeciloderma, ecc.; i Lamiidae i generi Proccha e Phidola. Altri generi si ritrovano in Africa, in Australia e perfino nella Nuova Zelanda. I Lepidotteri sono meno notevoli, e il genere Licinia, fra i Nymphalidae, è il solo esclusivo delle Antille.
La Mygale avicularia, grosso ragno predatore di uccelli mosca, comune nel Brasile, si ritrova a Cuba. I Peripatidi posseggono il genere Peripatus.
I gamberi d'acqua dolce (Potamobiidae) vivono solo a Cuba; ma tutte le isole posseggono granchî fluviali del gruppo dei Pseudotelphusinae.
I molluschi terrestri sono abbondanti: solo a Giamaica se ne contano 30 generi e 500 specie. Undici generi sono proprî delle Antille (Geomelania, Jamaicea, Licina, ecc.). I Melaniidae, gli Ampullariidae, i Proserpinidae s'incontrano solo a Cuba e a Giamaica; i Paludinidae e gli Unionidae solo a Cuba; i Valvatidae solo a Giamaica; il genere asiatico Diplonumatina possiede una specie a Trinidad; il genere Eunea si ritrova solo a Grenada e a S. Tommaso, e il genere Bulimus, così sviluppato sul continente, non ha rappresentanti che a S. Lucia. I Vaginulidi sono presenti in tutte le isole.
Colonizzazione. - Come per l'America Meridionale, primo movente della colonizzazione europea dell'America Centrale fu la ricerca dei metalli preziosi, che, dopo la conquista, fu anche causa di frequenti conflitti tra i governatori spagnoli delle cinque provincie formanti la Capitaneria generale del Guatemala. Gl'indigeni che gli Spagnoli trovarono su queste terre avevano raggiunto varî gradi di civiltà, ma questo non ha certo avuto grande influenza: sono piuttosto le condizioni naturali che spiegano il formarsi di nuclei staccati di colonizzazione. Gli Europei furono attirati dalla costa del Pacifico, assai meno umida di quella atlantica, e soprattutto dalle alte terre dell'interno, del Guatemala, del Salvador e massime della Costarica. Gli altipiani dell'Honduras furono colonizzati più tardi, forse perché le vallate che loro dànno accesso si aprono verso le pianure dell'Atlantico, limitate da una costa inospitale, coperte di foreste impenetrabili. Nell'America Centrale, insomma, i vari centri di colonizzazione costiuivano, e si può dire che costituiscano tuttora - sebbene in misura di gran lunga minore - delle isole, separate da territori coperti dalla lussureggiante foresta equatoriale, dal clima non favorevole agli Europei e molto scarsmente abitati da miserabili tribù indigene. L'isolamento di questi centri di colonizzazione - che si possono ridurre a quattro principali: il guatemalteco-salvadoregno, l'honduregno, il nicaraguense e il costarichegno -, che ha fatto sì che i vari aggruppamenti umani prendessero a mano a mano una fisionomia particolare. Su ciò ha influito anche, come ben s'intende, l'origine dei coloni, venuti da tutte le regioni della Spagna, nonché il grado di incrocio con gli indigeni. Non è possibile a questo riguardo sapere, neppure approssimativamente, come sia costiutita la popolazione dei vari stati. È certo tuttavia che nel Guatemala è assai elevato il numero degl'Indiani puri, mentre nella Costarica si ha un gruppo cospicuo di Bianchi puri. Ma, nel complesso, nell'America Centrale dominano, per numero, i meticci. Numerosi sono pure i negri, soprattutto nelle regioni basse più umide, anch'essi incrociati più o meno con gl'Indiani.
L'immigrazione europea nell'America Centrale non è forte, perché limitate sono le plaghe climaticamente favorevoli al bianco. Numerosi sono tuttavia gli Spagnoli, i Francesi, gl'Inglesi e i Tedeschi. Gl'italiani, al 31 dicembre 1924, erano in complesso poco più di 3000, dei quali 1000 nel Guatemala e 950 nella Costarica.
L'isolamento dei vari centri di colonizzazione ha causato lo spezzettamento politico dell'America Centrale, dove si hanno presentemente, su una superficie di neppure 500.000 kmq., come s'è visto, ben otto unità politiche: le repubbliche del Guatemala, del Salvador, dell'Honduras, del Nicaragua, della Costarica e del Panamá, il possedimento britannico dell'Honduras e la Canal-Zone, degli Stati Uniti dell'America del Nord. Più volte, e anche recentemente, si sono fatti tentativi per confederare i vari stati in un'unica grande repubblica centro-americana. Anche quando lo scopo è stato raggiunto, l'armonia è durata pochi mesi. Le differenze etniche, gl'interessi economici spesso contrastanti, le rivalità politiche, hanno fatto sì che si ritornasse ogni volta al frazionamento politico.
Mentre l'America Centrale fu colonizzata esclusivamente da Spagnoli fino agl'inizi del sec. XIX, dal principio del sec. XVII subentrarono ad essi, in alcune parti delle Antille, Inglesi, Francesi Olandesi e Danesi, e, molto più tardi, Nord-americani. La colonizzazione di queste isole, dunque, si presenta sotto gli aspetti più svariati, determinati dalle differenze di temperamento dei vari popoli. La storia delle Antille, sia quella politica sia quella economica, è stata molto movimentata. Anche qui, il primo scopo della colonizzazione fu la ricerca dei metalli preziosi; ma ben presto la fertilità eccezionale di queste terre, il loro clima debilitante sì, ma incantevole, attrasse un gran numero di coloni agricoli; i quali mostrarono di reagire a tale clima in misura differente. Contrariamente agli immigrati inglesi e danesi, i francesi e gli spagnoli si adattarono abbastanza bene ad esso. Quando l'elemento indigeno, oppresso da un lavoro superiore alle sue forze, impostogli dai conquistatori, cominciò a scarseggiare, gli Spagnoli, e in seguito gli altri popoli europei, iniziarono l'importazione dei Negri africani, che, provenienti da regioni spesso a clima ben differente da quello delle Antille, come gli Europei, furono decimati in un primo momento dalle malattie, ma poi, a poco a poco, si acclimatraono; ora costituiscono, più o meno puri, gran parte della popolazione delle Antille. Essi, anzi, sono l'elemento anche politicamente dominante nella repubblica di Haiti.
L'immigrazione bianca nelle Antille, se non imponente come quella che si verifica verso altre regioni dell'America, è tuttavia notevole, e costituita soprattutto da Spagnoli, Inglesi, Nordamericani, Italiani e Francesi. Gl'Italiani alla fine del 1924 erano 3260, dei quali 2258 soltanto a Cuba, e 500 a S. Domingo. Dal punto di vista politico, presentemente nelle Antille al predominio europeo è subentrato quello nordamericano. Gli Stati Uniti, infatti, oltre a possedere Portorico e alcune delle Piccole Antille, acquistate dalla Danimarca, controllano sia politicamente sia economicamente le repubbliche di Cuba, di Haiti e di S. Domingo. Le Bahama e Giamaica sono possedimenti britannici, mentre le Piccole Antille sono divise tra la Gran Bretagna, la Francia l'Olanda, e, come si è detto sopra, gli Stati Uniti.
Popolazione. - Si può calcolare che presentemente l'America Centrale sia abitata da circa 6.620.000 ab. (densità media, 13,2 ab. per kmq.) e le Antille da circa 10.280.000 ab. (densità, 44,6 ab. per kmq.). Sono dati molto approssimativi, soprattutto per gli stati dell'America Centrale. In questi prevalgono, nel complesso, i Meticci (30% nel Guatemala, 70% nell'Honduras, 69% nel Nicaragua, 57% nel Panamá, 85% nel Salvador). Gl'Indiani puri sono numerosi soprattutto nel Guatemala (60%), nell'Honduras (20%) e nel Salvador (10%), i Negri nell'Honduras (5%), nel Nicaragua (9,5%) e nel Panamá (15%). La popolazione bianca costituisce soltanto il 10% della popolazione del Guatemala, il 5% di quella dell'Honduras, il 16,8% di quella del Nicaragua, il 13% della popolazione del Panamá, il 3% di quella del Salvador, e ben il 90,5% della popolazione di Costarica.
Nelle Antille i Bianchi predominano a Cuba (68%) e a Portorico (73%), mentre alla Giamaica, nelle Piccole Antille, e soprattutto nella repubblica di Haiti, predominano i Neri e i Mulatti. Anzi in quest'ultima si può dire che costituiscano la totalità della popolazione (99,9%).
Ad eccezione della repubblica di Haiti, dove si parla il francese, delle Piccole Antille, di Giamaica e delle Bahama, dove prevalgono le lingue dei rispettivi dominatori (inglese e francese), in tutto il resto delle Indie occidentali e nell'America Centrale la lingua senza confronti più diffusa è la spagnola.
Quanto a religioni, il protestantesimo è diffuso soltanto nelle colonie britanniche, e in tutto il resto prevale il cattolicesimo. Animisti sono ancora in gran parte gl'Indiani che vivono nelle terre più inospitali dell'America Centrale.
Distribuzione della popolazione. Centri. - Le cifre della densità media della popolazione nell'America Centrale (13,2 ab. per kmq.) e nelle Antille (44,6) significano ben poco, perché tale popolazione è distribuita in modo molto disuguale. Già le cifre di densità dei singoli stati mostrano notevoli differenze: Guatemala 18 ab. per kmq., Salvador 75, Honduras 7,7, Nicaragua 6, Costarica 10, Panamá 6. Se si confrontano poi le densità delle varie divisioni amministrative dei singoli stati, le differenze appaiono ancora più rilevanti: nel Guatemala, accanto ai dipartimenti di Guatemala, Sacatepéquez e Totonicapán, con densità superiori ai 100 ab. per kmq., abbiamo il dipartimento del Petén con 1 ab. ogni 10 kmq., e il dipartimento di Izabal con 1 ab. per kmq.
Nel Nicaragua, mentre il dipartimento di Masaya ha 72 ab per kmq., e quelli di Granada e di Carazo hanno rispettivamente 30 e 34 ab., il dipartimento di Bluefields e le comarche di Cabo Gracias á Dios e di S. Juan del Norte hanno meno di 1 ab. per kmq. Nella Costarica, la provincia di S. José ha una densità di 94 ab. per kmq., quella di Herédia di 76, quella di Puntarenas di 2 ab. Nel Panamȧ si hanno estremi di 23 ab. (prov. di Coclé) e di 3 ab. per kmq. (prov. di Bocas del Toro). Nel complesso, le parti più densamente popolate sono quelle alte verso il Pacifico; le più spopolate, il Petén, l'Honduras britannico, l'Honduras di NE., il Nicaragua orientale e quasi tutto il Panamá interno.
Nelle Antille la densità è abbastanza forte dappertutto: fortissima in alcune delle Piccole Antille (Martinica, 250 ab. per kmq., Guadalupa, 134; S. Tommaso, 118, ecc.) e a Portorico (160 ab. per kmq.). Tra le isole maggiori, Cuba ha 31 ab. per kmq., Haiti 42, Giamaica 71. Ma anche in queste isole la popolazione è distribuita in modo tutt'altro che uniforme: così, ad es., mentre in Haiti la repubblica omonima, che ne occupa la parte occidentale, ha 88 abitanti per kmq., la Repubblica Dominicana ne ha 20, e, in questa ultima, accanto a provincie con più di 50 ab. per kmq. (Moca), se ne hanno alcune con meno di 10 (Barahona, El Seibo, Samaná). In Cuba, la provincia dell'Avana ha 125 ab. per kmq.. quella di Camaguey ne ha 10. Le condizioni di suolo e di clima, queste ultime in modo speciale, hanno avuto la maggiore influenza nel determinare il diverso popolamento di queste regioni.
Una parte notevole della popolazione, tanto dell'America Centrale quanto delle Antille, è accentrata nelle città. Complessivamente si contano tre città con più di 100.000 ab. (L'Avana, 565.000 ab.; Port au Prince, 120.000; Guatemala la Nueva, 120.000), otto città con popolazione tra i 50.000 e i 100.000 ab. (Santiago de Cuba, 70.000; Matánzas, 65.000; Kingston, 62.700; S. Juan, 70.000; Panamá, 60.000; S. José, 51.000; S. Salvador, 87.000; Santa Ana, 75.000) e poi 23 città con 20-50.000 ab., e altre 44 con 10-20.000 ab. Nella cartina a pag. 873, si vede subito come nelle Antille la maggior parte dei centri principali sia situata sul mare, mentre nell'America Centrale in prevalenza nell'interno, e qualcuna anche a notevole altezza: è chiara anche per questo l'influenza del fattore climatico.
L'origine della maggior parte delle città rimonta all'epoca coloniale. Il loro sviluppo, salvo qualche eccezione (L'Avana, Colón), non è stato molto rapido.
Agricoltura e allevamento. - Grandi sono le risorse naturali dell'America Centrale e delle Antille, ma, soprattutto per la prima, il loro sfruttamento è ben lungi dall'esser completo. I prodotti agricoli più importanti offerti da queste regioni sono il caffè, lo zucchero, il cacao, il tabacco, le banane. Il caffè rappresenta la prima risorsa di varî stati dell'America Centrale: Guatemala (350.000-400.000 q. annui), Salvador (intorno ai 450.000 q. annui), Nicaragua, Costarica (circa 150.000 q. annui). È coltivato specialmente nelle tierras templadas, e viene esportato in quantità notevolissima. A Cuba la coltivazione del caffè è stata molto ridotta a vantaggio di colture più redditizie. Il caffè è invece coltivato su ampia scala alla Giamaica, in alcune delle Piccole Antille, e soprattutto a Portorico (dai 120.000 ai 200.000 q. all'anno) e ad Haiti (dai 480.000 ai 540.000 q. annui), che ne producono qualità molto rinomate.
La canna da zucchero, le cui piantagioni si trovano nelle tierras calientes, ha trovato in Cuba condizioni favorevolissime di suolo e di clima ed ora è la coltivazione senza confronti più importante di quell'isola (20% della produzione mondiale dello zucchero): basti dire che il 75% del valore delle sue esportazioni è dato dallo zucchero. È coltivata pure intensivamente nelle altre Antille (Giamaica soprattutto) e nelle parti basse dell'America Centrale (Honduras Britannico, Guatemala di SE., Salvador, Honduras meridionale, intorno ai laghi di Managua e di Nicaragua, e sulla costa costarichegna del Pacifico).
Il cacao è coltivato specialmente nel Guatemala (pendici montuose verso il Pacifico), nel Nicaragua, nella Costarica, nella Repubblica Dominicana: alla Giamaica, e in alcune delle Piccole Antille. La Repubblica Dominicana ne produce dai 200.000 ai 235.000 q. annui, la Granada dai 35.000 ai 45.000 q. L'esportazione verso l'Europa è molto attiva.
Per il tabacco, coltivato un po' dappertutto, hanno il primato Cuba (la parte occidentale dell'isola ne fornisce quasi i 2/3 del totale) e Portorico. Cuba, che è un importante centro per la fabbricazione di sigari e sigarette rinomatissimi, viene però riducendo di anno in anno le sue piantagioni di tabacco, sostituite da quelle della canna da zucchero.
Le banane, monopolizzate dalla potente United Fruit Company, sono la risorsa principale dell'Honduras Britannico e dell'Honduras (piantagioni vastissime intorno a Trujillo); ma son prodotte pure in quantità ingenti dal Nicaragua (costa dei Mosquitos) e dalla Costarica (regione atlantica, specialmente intorno a Puerto Limón). Consumate in parte localmente, se ne esportano in grandi quantità, a mezzo di veloci piroscafi all'uopo attrezzati, negli Stati Uniti e in Europa.
In tutta l'America Centrale e a Cuba, molto coltivati sono il granturco e il riso, che peraltro servono solo alle necessità locali. La palma del cocco ha vaste piantagioni nell'Honduras Britannico, nell'Honduras (intorno a Truiillo), nella costa atlantica nicaraguense, nel Panamá e alla Giamaica. Il cotone è coltivato in zone non molto ampie di Cuba, Haiti e del Guatemala: il quale ultimo produce pure indaco, che si ricava altresì nel Nicaragua. Un prodotto caratteristico del Salvador è il cosiddetto balsamo del Perù.
Nel Guatemala e nelle Bahama viene coltivata, per le sue fibre tessili, l'agave (v.). Le Bahama producono anche ananas, esportate soprattutto negli Stati Uniti. Le immense foreste, che tuttora ricoprono gran parte dell'America Centrale e di Haiti, sfruttate ancora solo in piccola parte, dànno grandi quantità di legni preziosi soprattutto mogano e cedro.
L'allevamento del bestiame è notevole nelle regioni montuose dell'America Centrale: il Guatemala, l'Honduras, il Nicaragua e la Costarica hanno numerosi bovini: circa mezzo milione di capi i primi due stati, più di un milione di capi il Nicaragua, 400.000 la Costarica. A Cuba, al principio della colonizzazione, la principale occupazione degli abitanti era, per l'appunto, l'allevamento, tuttora di grande importanza. L'isola possiede oltre 5 milioni di bovini. Anche Haiti ha numeroso bestiame, soprattutto bovino (700.000 capi) e suino (i milione di capi). Come si vede, prevalgono quasi dappertutto i bovini. Equini, suini e ovini sono, di solito, in numero assai minore.
La pesca è poco sviluppata e d'importanza soltanto locale. Va ricordato, tuttavia, che le Bahama hanno una fiorente pesca delle spugne, e che nel golfo di Panamá si pescano perle.
Ricchezze minerarie. Industrie. Commercio. - Giacimenti di carbone di una certa importanza sono stati scoperti soltanto nel Guatemala, sul versante dell'Atlantico. Dei metalli preziosi, l'oro si trova nel Guatemala di NE., nel Salvador, nel Nicaragua atlantico, nella Costarica (Guanacaste); l'argento è estratto soprattutto nell'Honduras; il rame, nel Guatemala, nel Salvador, nell'Honduras, a S. Domingo; il piombo, in questi stessi stati e, in più, nel Nicaragua e a Cuba (Sierra Maestra). L'America Centrale e le Antille sono ben lungi dal possedere le ricchezze minerarie dell'America Settentrionale e dell'America Meridionale: anzi si può dire che nell'insieme i minerali scarseggino. È da tener presente, tuttavia, che l'esplorazione mineraria di vaste regioni deve essere ancora compiuta.
Quanto alle industrie, a prescindere da quelle che producono oggetti casalinghi di prima necessità (fabbriche di saponi, di candele, di calzature, di paste alimentari, di liquori, di conserve; molini, caseifici, ecc.), e che sono diffuse un po' dappertutto nei centri principali, grandi industrie si trovano soltanto nelle Grandi Antille, e sono di due specie: l'industria dello zucchero e quella del tabacco. Grandi importazioni, dunque, debbono esser fatte dagli Stati Uniti e dall'Europa per manufatti d'ogni genere. Si calcola che l'America Centrale possa disporre di 5 milioni di HP. di energia idrica (Guatemala, 1,5 milioni; Honduras, 1 milione; Salvador, 200.000; Nicaragua, 800.000; Costarica, 1 milione; Panamá, 500.000 HP.), e le Antille di circa 200.000 HP. soltanto. Tale energia è, peraltro, ancora poco sfruttata.
Il commercio, fiorente nelle Antille, paesi più progrediti e dove più facili sono le comunicazioni, è assai meno intenso nell'America Centrale. Esso vien fatto nella massima parte con gli Stati Uniti (50% del commercio guatemalteco, 90% di quello honduregno, 60% di quello salvadoregno, 90% di quello cubano, ecc.), poi anche con la Gran Bretagna, la Germania e la Francia. Molto scarso è il commercio con l'Italia. Si esportano soprattutto caffè, zucchero, tabacco, cacao, banane e legni preziosi, e s' importano specialmente cotonami, macchine e, in genere, articoli di ferro e d'acciaio, prodotti chimici, farine, grano e altri prodotti alimentari.
Comunicazioni. - Sono scarse e difficili nell'America Centrale, più facili e più numerose, per la natura del terreno, nelle Antille. In vaste zone dell'America Centrale e in Haiti il traffico viene fatto tuttora mediante bestie da soma. Non si può parlare di una vera rete ferroviaria che per Cuba (10.300 km. di ferrovie, delle quali 4500 nelle piantagioni). Anche la Giamaica e Portorico hanno linee ferroviarie che collegano tutti i centri più importanti. In Haiti e nell'America Centrale si hanno invece tronchi staccati, più o meno lunghi. Grande importanza, tuttavia, hanno le ferrovie che collegano l'Atlantico al Pacifico, che attualmente sono tre: la guatemalteca (Puerto Barrios-S. José), la costarichegna (Puerto Limón-Punta Arenas) e la panamegna (Colón-Panamá). Complessivamente, l'America Centrale ha circa 3700 km. di ferrovie, e le Antille ne hanno circa 12.700 km.
Brevi sono i tratti di fiumi navigabili con imbarcazioni a motore: l'Hondo, il Motagua, il Patuca, il Segovia, il Rio Grande, il Siquia, il S. Juan, sono più o meno facilmente rimontabili per un tratto del loro corso inferiore. I porti marittimi di traffico maggiore sono l'Avana e Santiago de Cuba (Cuba), Port au Prince (Haiti), S. Domingo (Rep. Dominicana), S. Juan (Portorico), Kingston (Giamaica), Fort de France (Martinica), Bridgetown (Barbados), Panamá e Colón (Panamá), Limón e Punta Arenas (Costarica), La Libertad e Acaiutla (Salvador), Puerto Barrios e S. José (Guatemala). Vi è una linea di navigazione aerea tra l'Avana e Santiago de Cuba, un'altra fra Cuba e Key West (Florida) e una terza, infine, fra Tela (costa atlantica dell'Honduras) e Tegucigalpa. Numerosi cavi telegrafici sottomarini collegano l'America Centrale, e soprattutto le Antille, con l'America del Nord e del Sud. A Colón e a Mayaguez vi sono stazioni radiotelegrafiche ultrapotenti.
Linee regolari di navigazione nordamericane, inglesi, francesi, tedesche e italiane fanno scalo nei porti principali.
Divisione politica. - L'America Centrale e le Antille comprendono nove stati indipendenti (repubbliche) e poi possedimenti britannici, nordamericani, francesi e olandesi.
Le cifre di superficie per gli stati dell'America Centrale e per Haiti e S. Domingo sono approssimative, a causa della mancanza di buon materiale cartografico e della incertezza dei confini. Varie sono le zone contestate, così che spesso i dati ufficiali superano notevolmente quelli comunemente accettati.
Bibl.: J. Haefkens, Centraal America, Dordrecht 1832; H. H. Bancroft, The native races of the Pacific States, voll. 5, New York 1875; K. Sapper, Mittelamerikanische Reisen und Studien aus den a Jahren 1888 bis 1900, Brunswick 1902; id., Die Bevölkerung Mittelanerikas, Brunswick 1902; id., In den Vulkangebieten Mittelamerikas und Westindiens, Stoccarda 1904; D. Bellet, Les Grandes Antilles, Parigi 1909; K. Sapper, Die Mittelamerikanische Vulkane, in Pet. Mitt., Ergänzungsheft 178, Gotha 1913; W. Sievers, Süd- und Mittelamerika, 3ª ed., Lipsia 1914; Th. W. Vaughan, Geologic history of Central America and the West Indies during Cenozoic times, in Bull. Geol. Soc. of America, XXIX (1918), pp. 615-630; W. Drascher, Das Vordringen der Vereinigten Staaten im westindischen Mittelmeergebiet, Amburgo 1918; D. G. Munro, The five Republics of Central America, New York 1918; Th. W. Vaughan, Fossil corals from Central America, Cuba and Porto Rico, with an account of the American tertiary Pleistocene and recent coral reefs, in Bull. Smiths. Inst., U. S. National Museum, 1919, pp. 189-524; St. Taber, The great fault troughs of the Antilles, in Journ. of Geol., XXX (1922), pp. 89-114; K. Sapper, Los volcanes de la América central, Halle 1925; W. M. Davis, The Lesser Antilles, 1926; L. E. Elliot, Mittelamerika, Lipsia 1926; F. Termer, Mittelamerika, in Gerbing, Das Erdbild der Gegenwart, Lipsia 1927, II, 929-773; K. Sapper, Mittelamerika, 2ª edizz. Halle 1927; M. Sorre, Mexique, Amérique Centrale, Parigi 1928, in Géographie universelle, pubblicata sotto la direzione di P. Vidal de la Blache e di L. Gallois, XIV; P. Chemin Dupontès, Les Petites Antilles, Parigi 1909; M. de Périgny, Les cinq républiques de l'Amérique Centrale, Parigi s. a.
Per opere di carattere particolare, si veda sotto le voci dei varî stati o possedimenti. Quanto alla parte cartografica, si ricorderà che l'American Geographical Society di New York sta preparando, tanto per l'America Centrale quanto per le Antille, la carta alla scala 1 : 1.000.000; alcuni fogli sono stati già pubblicati.
5. Geografia dell'America Meridionale. -
Generalità. L'America Meridionale (A. T., 149-150 e 151-152), vasta 17.800.000 hmq., si stende tra l'Oceano Pacifico e l'Oceano Atlantico, dalla lat. N. di 12° 30′ (C. Gallinas, nella penisola Goajira) alla lat. S. di 56° (C. Horn) per una lunghezza di 7500 km., e da 81° (Punta Pariña) a 34° 48′ di long. O. (C. Branco), per 5100 km. di larghezza massima. L'estremo punto settentrionale e quello meridionale si trovano press'a poco alla stessa longitudine. Essa presenta, a prima vista, qualche affinità con l'America Settentrionale nelle dimensioni nella forma esteriore, nella struttura; ma presenta anche dei contrasti ben più profondi di tali affinità. Fra l'altro, mentre l'America Meridionale è essenzialmente un continente tropicale, poiché appena un quarto della sua superficie è compreso nella zona temperata australe, l'America Settentrionale si stende quasi tutta nella zona temperata boreale e in quella artica. Così, mentre nell'America Settentrionale la zona pianeggiante centrale è stata facilmente colonizzata ed ha servito di unione tra la regione montuosa occidentale e quella orientale, i bassopiani che occupano gran parte dell'America Meridionale, proprio là dov'essa presenta la maggior larghezza, essendo situati sotto l'Equatore, sono adatti solo in piccola misura alla colonizzazione, che deve combattere col clima e con la foresta; essi, perciò, hanno più diviso che unito le regioni alte che li contornano, dove per l'appunto vive la maggior parte della popolazione.
L'America Meridionale è compresa nell'emisfero settentrionale, come si è visto, soltanto per 12° 5′ di latitudine; la sua massa, in confronto con quella dell'America Settentrionale, è spostata verso oriente, di modo che la sua estrema punta occidentale viene a trovarsi alla longitudine della Florida, e la sua estrema punta orientale press'a poco alla longitudine delle Azzorre, distando così appena 3000 km. dalle coste dell'Africa.
Questo fatto ha influito notevolmente, fra l'altro, sul suo popolamento, favorendo la tratta dei Negri. Si noti poi che la direzione dei venti facilita i viaggi dei velieri dalle coste del continente antico a quelle sud americane, e viceversa. Se l'Europa continua ancor oggi a possedere una supremazia nei commerci dell'America Meridionale, malgrado lo sviluppo economico raggiunto dagli Stati Uniti, lo deve in gran parte a questo spostamento verso oriente dell'America Meridionale stessa: infatti la distanza tra i suoi maggiori porti e i porti dell'Europa non è superiore a quella con i porti degli Stati Uniti.
La situazione più orientale dell'America Meridionale rispetto a quella Settentrionale ebbe pure una grande importanza storica: quando Spagnoli e Portoghesi si accordarono col trattato di Tordesillas (1494), stabilendo che i loro dominî futuri dovessero essere divisi dal meridiano che passa a 370 leghe a O. delle Isole del Capo Verde, credettero che tale meridiano segnasse l'asse dell'Atlantico. Come conseguenza di questa ipotesi errata, una parte dell'America Meridionale, il Brasile, fu potuta colonizzare dai Portoghesi, i quali, nei primi tempi, s'interessarono della regione, scoperta nel '500, soltanto come scalo per la via delle Indie. Ancor oggi i velieri diretti all'Africa australe puntano dapprima verso la costa del Brasile.
L'America Meridionale ha nel complesso la forma di un triangolo rettangolo, i cui vertici sono il C. Gallinas, il C. Horn e il C. Branco. Nella forma ricorda molto l'Africa, e come questa è tozza e povera di articolazioni e, verso il S., termina a punta. Della sua superficie, che è di 6 milioni di kmq. inferiore a quella dell'America Settentrionale, di 12 milioni a quella dell'Africa, di 26 milioni a quella dell'Asia, ed è il doppio della superficie dell'Australia e superiore di 4/5 a quella dell'Europa, appena 50.000 kmq. appartengono alle penisole e 150.000 kmq. alle isole: nel complesso solo l'1, 1% della superficie totale (Africa 2, 1%). Le coste più articolate si trovano a S. e a SO. Questa compattezza, superiore a quella dell'Africa, ha una grande influenza, ben s'intende, sull'idrografia, perché ha permesso il formarsi di sistemi fluviali tra i più grandi del mondo, e sul clima.
La superficie dell'America Meridionale corrisponde al 12% di quella delle terre emerse, mentre la sua popolazione (76 milioni di ab.) costituisce appena il 3,5% della popolazione della terra.
Storia delle esplorazioni. - Circa la scoperta dell'America Meridionale dovuta a Colombo (5 agosto 1498), circa le gloriose navigazioni del Vespucci (1499-1502), che rivelarono il disegno del continente dalla Penisola di Goajira fino al 50° di lat. S. (?), e circa i viaggi successivi che completarono il giro del continente a S. e la più tardiva scoperta dei paesi costieri occidentali, v. sopra, p. 837 segg. L'interno del continente veniva riconosciuto soltanto a larghissime linee attraverso l'esplorazione dei fiumi. Così lo spagnuolo Francisco Orellana, partito da Quito al seguito d'una spedizione armata del governatore Gonzalo Pizarro, discese con pochi compagni il Napo raggiungendo il massimo fiume dell'America del Sud, sul quale egli navigò fino alla foce lasciandogli il nome di Rio delle Amazzoni (1540-41); l'esplorazione fluviale del Rio della Plata fu pure iniziata dagli Spagnuoli, mediante una spedizione comandata da Sebastiano Caboto che, esplorato per un piccolo tratto l'Uruguay, risalì poi il Paraná e da questo il Paraguay fino alla foce del Pilcomayo, dal Caboto chiamato Río de la Traición. Successivamente, nel 1536 Juan Ayolas, partito da Buenos Aires, conquistava il Paraguay, fondava Asunción e lungo la valle del Pilcomayo raggiungeva i confini del Perù, rimanendo poi ucciso in un combattimento con gli indigeni; nel 1548 Domingo de Irala, e nel 1565 Francisco Ortiz de Vergara, percorrevano a loro volta le regioni interne meridionali e raggiungevano il Perù partendo dalla costa dell'Atlantico. Intanto i conquistadores spagnuoli occupavano tutta la regione andina occidentale, dal Panamá al Chile (Lima fu fondata nel 1535 da Francisco Pizarro, e Santiago nel 1540 da Pedro de Valdivia), e penetravano anche, per opera del Benalcazar e di Gonzalo e Fernando Quesada, nel bacino del Río Magdalena e in quello dell'Orinoco occupando la Colombia ed il Venezuela; nel Brasile invece i Portoghesi, interamente rivolti al commercio delle Indie Orientali, si limitavano all'occupazione di pochi punti della costa atlantica, spettanti a loro grazie alla partizione sancita dal trattato di Tordesillas.
Nel periodo coloniale successivo, dal 1550 al 1800, scarsissimi furono i progressi delle conoscenze geografiche, soprattutto berché i governi spagnolo e portoghese, mentre non pensavano a organizzare per loro conto esplorazioni geografiche, impedivano anche agli studiosi stranieri l'accesso nelle loro colonie. Solo i Gesuiti e gli altri missionarî, nella loro opera di evangelizzazione degli indigeni, raccolsero anche notizie molteplici sull'interno. Verso la metà del sec. XVIII poi, la spedizione francese del Bouguer e del La Condamine, inviata nell'odierno Ecuador per la misurazione di un arco di meridiano, indirettamente fece progredire la conoscenza del continente, apportando dati precisi al disegno delle carte e alla misura delle latitudini e longitudini.
Importantissima fu anche l'opera dello spagnuolo Felice d'Azara, che, nominato nel 1781 commissario incaricato della delimitazione dei confini spagnolo-portoghesi nel bacino platense, viaggiò per due decennî nelle varie regioni dell'interno, studiandone la storia naturale e la geografia, disegnandone carte topografiche particolari e riuscendo, attraverso a difficoltà grandissime, a raccogliere un ricco materiale che fu pubblicato a Parigi nel 1809 in 4 volumi (Voyage dans l'Amérique meridionale depuis 1781 Jusqu' en 1801). Sono di quest'epoca anche le esplorazioni scientifiche della spedizione spagnola comandata dall'italiano Alessandro Malaspina di Mulazzo, che negli anni 1789-1790 compì il periplo del continente, da Montevideo a Panamá, facendo rilievi di grande valore sia nell'estuario del Plata che sulle coste del Chile, nell'isola Chiloé, nelle Galápagos e nell'istmo di Panamá, dove venne studiata la possibilità di congiungere con un canale i due oceani.
Al principio del sec. XIX s'iniziò l'esplorazione scientifica del continente, con l'opera fondamentale di Alessandro di Humboldt, che, insieme col botanico francese Aimé Bompland, percorse dal 1799 al 1804 il Venezuela, l'Orinoco, la Colombia, l'Ecuador, il Messico e l'America Centrale. I numerosi studî pubblicati a Parigi dopo il suo ritorno in Europa, e particolarmente il celebre Voyage aux régions équinoxiales du Nouveau Continent, ebbero una importanza eccezionale, non soltanto per il loro valore intrinseco, ma anche perché richiamarono l'attenzione degli studiosi europei su quel continente e diedero la spinta a numerose missioni scientifiche europee e americane. Non è possibile ricordare i nomi di tutti i viaggiatori che durante il sec. XIX esplorarono in tutti i sensi quel vastissimo territorio; ma si può dire che, se i governi delle repubbliche succedute alle colonie ispano-portoghesi non seppero o non poterono, per condizioni politiche interne, costituire degli uffici governativi d'esplorazione e ricerche analoghi a quelli dell'America del Nord, l'opera dei varî studiosi europei e americani valse a dare un quadro pressoché completo della geografia sud-americana. Rimandando per notizie più ampie agli articoli dedicati alle singole regioni dell'America del Sud, tra i numerosi viaggiatori ed esploratori europei ci limitiamo a ricordare: i tedeschi Gian Battista Spix e Filippo Martius, che in un viaggio compiuto sull'altipiano del Brasile e nell'Amazzonia, negli anni 1817-1820, visitarono con intenti scientifici il bacino del San Francisco, le regioni del NE. brasiliano e buona parte del bacino amazzonico, lasciando un'opera che ebbe grandissima importanza per la conoscenza di quelle regioni; il francese Francesco de Castelnau, che dal 1843 al 1847 attraversò il continente da Rio de Janeiro a Lima, seguendo lo spartiacque tra l'Amazzoni e il Plata, e ritornò quindi sull'Atlantico discendendo l'Ucayali e il Rio delle Amazzoni; l'inglese William Chandless, che risalì tutti i principali affluenti di destra dell'Amazzoni, dal Madeira al Juruá; il tedesco Ermanno Burmeister, che dopo aver visitato il Brasile meridionale e gli stati del Plata, risiedette lungamente in Argentina e vi compì numerose esplorazioni, e Giovanni Steffen, pure tedesco, che, professore a Santiago, studiò minutamente la cordigliera andina e il confine tra il Chile e l'Argentina nella regione patagonica. Aggiungasi una schiera d'italiani: G. A. Codazzi di Lugo, entrato come ufficiale al servizio del Venezuela, eseguì la triangolazione di quel paese e quindi disegnò e pubblicò un Atlas físico y político de la República de Venezuela (Caracas 1840), che è anche adesso la base delle carte di quella regione; passato poi al servizio della Colombia, preparò un lavoro analogo che fu pubblicato per opera di Felipe Perez (Bogotá 1862-63) dopo la di lui morte; Niccolò de Scalzi, tra il 1821 e il 1833 esplorò, per conto del governo argentino il Río Bermejo, affluente del Paraguay, e il Río Negro, al confine della Patagonia; Gaetano Osculati, dal 1846 al 1848, ripeté il viaggio dell'Orellana lungo il Napo e il Rio delle Amazzoni; il milanese Antonio Raimondi, dal 1851 al 1890, visse nel Perù e lo esplorò in tutte le regioni, studiandolo sotto gli aspetti naturalistici e geografici: egli diresse anche la costruzione di una grande carta di quel paese alla scala di 1:500.000 (Mapa del Perú) e compose una Geografía fisica del Perú, nonché un'opera pubblicata dalla società geografica di Lima (El Perú Estudio mineralógico y geológico); infine il pittore Guido Boggiani esplorò il Paraguay e il Gran Chaco, dove incontrò la morte per mano dei selvaggi, nel 1902; e il capitano Giacomo Bove la Patagonia e la Terra del Fuoco, nella quali regioni si svolse negli ultimi tempi l'opera di evangelizzazione dei salesiani. Alcuni di essi anzi, e particolarmente il missionario Alberto De Agostini, portarono valido contributo alla conoscenza scientifica di quelle terre.
Bibl.: S. Ruge, Storia dell'Epoca delle scoperte, Milano 1886; C. Errera, L'Epoca delle grandi scoperte geografiche, 3ª ed., Milano 1924; A. Magnaghi, Americo Vespucci, Roma 1926; W. Sievers, Süd-und Mittelamerika, Lipsia 1914, (I, Die Erforschungsgeschichte, pp. 4-46).
Geologia. - Durante l'ultimo cinquantennio, soprattutto per merito dello Steinmann e d'alcuni suoi discepoli, si sono realizzati tali progressi nello studio geologico dell'America Meridionale, che siamo ora in grado di offrire un quadro abbastanza completo, per quanto schematico, delle sue condizioni geognostico-strutturali e della cronologia dei suoi terreni, insieme con altri particolari di minor conto.
Nello specificare le più importanti caratteristiche delle principali unità morfogenetiche di cui si compone questo continente australe, procederemo con criterio sistematico, utilizzando in parte la terminologia dei geologi nordamericani (Schuchert, ecc.).
1. Elementi positivi. - a) Cominceremo dal suo "nucleo protepirico" (massiccio, o "scudo" al quale riserbiamo il nome di "Brasilia" Esso è costituito dalle regioni elevate del Brasile e deve considerarsi come residuo d'un più esteso massiccio primordiale (continente sudatlantico o "brasiletiopico"). Rocce cristalline, soprattutto gneissiche, ne costituiscono il basamento; coperture di sedimenti precambrici più o meno piegati e metamorfosati (serie di Minas), sormontate alla loro volta da terreni postcaledonici pressoché orizzontali (serie di Bambuhy, ecc.), mostrano che durante il Paleozoico, soprattutto nel Devonico inferiore, si sono avute fasi talassocratiche con l'immersione quasi totale della Brasilia. A cominciare dall'Antracolitico superiore (in parte produttivo), e durante il Mesozoico, sedimenti continentali in gran parte arenacei con intercalazioni grandiose di espandimenti melafirici si accumularono in due estese depressioni (attuali bacini idrografici del San Francisco e del Paraná). Tracce della glaciazione permica si sarebbero osservate nel Rio Grande do Sul.
b) Intorno al nucleo protepirico brasiliano, e a certa distanza dal medesimo, emergono alcuni rilievi positivi secondarî, anch'essi d'età molto antica e nei quali il sottosuolo arcaico cristallino affiora alla scoperta con estensioni ancor più notevoli che nella stessa Brasilia. Fra l'Orinoco e l'Amazzoni abbiamo l'"Arciguiana" e l'"Orinochia". Queste due unità sono comprese generalmente in una sola denominazione, ma in effetto si tratta di due rilievi indipendenti, granito-gneissici, separati da una depressione strutturale in gran parte riempita da arenarie continentali e materiali eruttivi, forse permo-mesozoici, che occultano un sottosuolo scistoso fortemente piegato. Oltre l'estesa depressione del Gran Chaco e delle Pampas, a SO. della Brasilia, si elevano alcune catene montuose (Sierra de Tandil, nella prov. di Buenos Aires; Sierra de Córdoba, Sierra de San Luis, Sierra de Aconquija, ecc.: tutte nella Repubblica Argentina) le quali possono considerarsi come soprelevazioni d'un unico elemento positivo secondario che abbiamo già designato con il nome di "Tandilia". Esse costituiscono il cosiddetto sistema orografico pampeano, formato in prevalenza da rocce arcaiche granito-gneissiche e qualche isolato affioramento di scisti precambrici (algonchici) con conglomerati alla base, in gran parte metamorfosati (micascisti conglomeratici). Nella Sierra de Tandil un complesso sedimentario cambro-silurico con Arthrophycus e Cruziana riposa in discordanza, e tuttora in situazione pressoché orizzontale, sopra graniti arcaici, in parte gneissici, in parte milonitizzati. Negli altri rilievi: materiali vulcanici e sedimenti continentali permo-meso-cenozoici formano coperture più o meno estese, che circuiscono e spesso rimontano le ossature antiche attraversate da numerose intrusioni di magmi granitici e dioritici di differenti età. Un prolungamento della Tandilia verso N., fino ai dintorni di Potosí in Bolivia, si ha nella "Protopuna"; in questa per altro la base cristallina affiora per brevissimi tratti sotto una copertura quasi continua di scisti precambrici fortemente piegati e sormontati in discordanza da formazioni cambro-siluriche, posthuroniche e precaledoniche, alla lor volta in parte coperte (nelle depressioni tettoniche) da sedimenti marini e continentali, meso-cenozoici. In Patagonia, sotto una coltre di sedimenti cretacico-terziarî pressoché orizzontali, parte marini, parte terrestri con ricchissime faune di mammiferi che non hanno rivali in tutto il resto del mondo, affiorano scarsi lembi di rocce antiche granito-gneissiche o porfidi quarziferi che accompagnano sedimenti retici con Estheriae. Le isole Falkland, pure presentando in superficie sedimenti preretici (devonici e lafoniani) con tracce della glaciaziona permica, debbono considerarsi come un frammento isolato di quest'area continentale patagonica. Altro elemento positivo secondario è rappresentato dalle Ande marittime, o Cordigliera della Costa, lungo il litorale pacifico chileno-peruviano. È formato da rocce antiche diorito-granitiche, in parte cristallino-scistose con qualche affioramento isolato di radiolariti e sedimenti ingressivi meso-cenozoici (questi ultimi, in parte lignitiferi. del Cenozoico medio).
c) Alcuni contorni degli antichi rilievi positivi e dello stesso nucleo protepirico offrono sicuri vestigi di piegamenti postumi di carattere orogenetico, alcuni dei quali sono evidentemente riflessi laterali di processi diastrofici cui furono soggette aree contigue. Lungo il litorale atlantico della Brasilia la serie arcaica cristallina (Serra do Mar, ecc.) è intensamente piegata con direzione prevalente delle sue pieghe parallela allo stesso litorale. Si tratta dei "Brasilidi" (Keidel), già da tempo ritenuti contemporanei dei "Caledonidi" (Orville Derby). La Montaña (o Andes Conomamas), sulla riva destra dell'Ucayali (alta Amazzonia), e una zona di forte piegamento nel Matto Grosso con un certo sviluppo in direzione di Chiquitos, mostrano come anche nel suo orlo occidentale la Brasilia abbia sofferto azioni diastrofiche plicative e disgiuntive, durante l'orogenesi del contiguo sistema andino. Per la medesima causa la Protopuna ed i rilievi orografici del sistema pampeano più vicini alle Ande presentano andamenti tettonici e complicazioni di struttura che interessano anche le loro coperture di depositi terziarî. In Patagonia i "Patagonidi" (Keidel) corrono lungo l'orlo occidentale di quell'antica area continentale. Quanto alle Ande Marittime, già interpretate come orlo orientale di un antico massiccio sud-pacifico (Burckhardt), le condizioni assai complicate della loro struttura sono dovute evidentemente al fatto di essere state sospinte verso oriente dalle medesime forze orogenetiche alle quali si deve il diastrofismo andino propriamente detto.
2. Elementi negativi. - Lungo l'orlo settentrionale della Brasilia corre la depressione amazzonica che durante il Paleozoico (Suprasilurico, Devonico, Antracolitico) è stata riempita da sedimenti marini fossiliferi, cui fanno seguito, in discordanza, arenarie grossolane del Cretacico (con filliti, mosasauri e chelonî) e, con maggiore estensione, molasse variegate oligoceniche con faune salmastre nella bassa Amazzonia. Sedimenti analoghi (e forse anche coevi) dell'alta Amazzonia conterrebbero invece faune marine. Il bacino idrografico del Paraguay-Paraná inferiore forma un'altra depressione (aire d'ennoyage) a SO. del nucleo protepirico brasiliano. È un ambiente d'accumulazione fin dal Paleozoico. Ingressioni marine, durante periodi talassocratici (Devonico, Giura-Liassico), vi penetrarono dal NO. (Mar Chaquense) avendosi con ciò, nell'America del Sud, un equivalente del "Mare di Logan" (America del Nord). Nella depressione strutturale, fra Arciguiana ed Orinochia, alla quale si è già accennato, si elevano gl'imponenti tavolieri del Roraima e del Kukenam (Sierras Pacaraima e Parima) lungo il divortium aquarum fra Orinoco ed Amazzoni. A settentrione e ponente dell'Orinochia corre la depressione dei llanos, fra quel massiccio granitico e le catene andine del Venezuela e della Colombia. Una strettissima depressione strutturale s'interpone fra le Ande marittime e il sistema andino propriamente detto. È chiamata "Valle longitudinal de Chile" dai geologi sudamericani. Abbiamo infine il "Golfo patagonico meridionale", fra il sistema orografico andino e l'orlo occidentale del continente patagonico. In questo golfo la serie cretacico-terziaria è formata esclusivamente da depositi marini fino all'Oligocene inferiore (Patagonico incluso), mentre nell'area continentale che lo delimita a levante prevalgono sedimenti d'origine continentale.
3. Elementi sub-positivi. - D'Orbigny è stato il primo a parlare d'un sistema uruguayano nell'Uruguay meridionale. Esso è formato da un paesaggio ormai maturo che mostra più o meno allo scoperto le radici d'un intenso piegamento caledonico, del quale partecipano rocce cristalline e sedimenti scistoso-argillosi, nonché grauvacche, quarziti e calcari più o meno stratificati. Intrusioni di magmi diversi attraversano in vario senso questo complesso, le cui linee tettoniche dominanti corrono secondo i paralleli con un piccolo arco rivolto a N. nella loro estremità orientale. La Precordigliera di San Juan e Mendoza, nell'interno della Repubblica Argentina, presenta le seguenti caratteristiche: un sottosuolo sedimentario paleozoico, senza discordanze fra Silurico e Devonico, sottoposto invece ad intenso piegamento durante la prima fase del diastrofismo ercinico, vi è ricoperto da una serie continentale (con intercalazioni di espandimenti melafirici, ecc.) la quale va dall'Antracolitico al Terziario e nella quale i fossili più importanti degli orizzonti inferiori sono filliti riferibili alle flore caratteristiche del continente Gondwana. Questi sedimenti fillitiferi si estendono oltre i limiti della Precordigliera; molti se ne conoscono nel sistema orografico pampeano; altri se ne attendono nel continente patagonico, oltre alla flora lafoniana delle Falkland. Nella sua estremità settentrionale questa unità strutturale termina a cuneo fra il sistema pampeano e il piegamento andino; in direzione verso S. e SE. gli studiosi sono d'accordo nell'ammettere che la medesima unità, volgendo verso l'Atlantico, s'interponga fra la Tandilia e l'antico continente patagonico e sia presentemente rappresentata da isolati gruppi orografici (Sierra Pintada, Sierra Pichi Mahuida, Sierra Ventana, ecc.), emergenti da una estesa coltre di accumulazioni terrestri, terziarie e quaternarie. Tracce della glaciazione permica sono state segnalate in varî punti di questa unità. Il sistema andino principale costituisce la più complessa unità strutturale sudamericana, anche per il fatto di essere la sede esclusiva del suo vulcanismo attivo, caratterizzato da una decisa prevalenza di prodotti trachiandesitici, mentre lungo il suo limite interno, fra Mendoza e Magellano, s'è effettuata la fuoruscita di imponenti colate basaltiche. Le Ande prendono inizio, a N., da un duplice fascio di pieghe: il fascio interno è quello che dall'isola Trinidad passa nel continente attraversando prima il Venezuela, quindi la Colombia e l'Ecuador, d0ve è conosciuto con la denominazione di Cordigliera orientale; il fascio esterno è quello del grande arco delle Antille il quale forma un primo rilievo orografico nella penisola Goajira, passa quindi sulla sinistra del Rio Cauca e, dopo avere attraversato Colombia ed Ecuador (Cordigliera occidentale), all'altezza del Golfo di Guayaquil, esce dal continente dirigendosi ad O. sotto le Galápagos. Nel Perù s'inizia una biforcazione del fascio interno e in Bolivia abbiamo di nuovo due Cordigliere ben distinte: l'interna, o Cordigliera Reale, che viene a morire all'altezza di Cochabamba, dopo aver formato le ardite vette dell'Illimani; la esterna, o Cordigliera principale, che si prolunga fino all'estremità S. del continente (Isola degli Stati). Abbastanza uniforme, per quanto complessa, è l'intima struttura del sistema andino. Nei fiordi australi delle regioni magellaniche sono allo scoperto estese masse granodioritiche formanti il suo nocciolo profondo e visibili un po' dappertutto, per finestre e solchi d'erosione, nel resto del sistema. Sono le tipiche Andengesteine dello Steinmann. Nessun dubbio, a nostro avviso, che a queste masse, allo stato di magma batolitico, sia stata riservata un'importante funzione attiva nell'orogenesi andina. Limitati e scarsi lembi di terreni paleozoici, in parte rispettati dal riassorbimento batolitico, esistono in qualche tratto andino. Porfidi triasici in parte scistosi (porfiruidi) e porfiriti giurassiche sottentrano in parte (specialmente nelle Ande meridionali) e in parte s'intercalano a sedimenti mesozoici, più o meno abbondantemente fossiliferi e in prevalenza marini. Una serie andesitica infraterziaria (Groeber) raggiunge grandi altezze nel tratto andino mediano. Centinaia di vulcani attivi e spenti hanno riversato i loro prodotti su quelle pendici e su quei dossi montuosi, incessantemente tormentati da convulsioni sismiche. L'ultimo elemento subpositivo di cui dobbiamo ora occuparci è il nostro sistema orografico subandino. Lo compone un fascio di pieghe molto allungate formate da una serie sedimentaria che va dal Devonico inferiore al Terziario superiore, originatesi per le medesime attività diastrofiche, le quali durante il Terziario superiore portarono il sistema andino principale al suo assetto definitivo; queste pieghe, in parte rovesciate o lacerate da fratture longitudinali, si addossano alla Protopuna ed alla Cordigliera Reale, fra 10° e 27° di lat. S.
4. Coperture detritiche nelle conche intermontano e nelle grandi pianure. - Alluvioni psefopsammitiche e lateriti alluviali (prodotto di sfacelo delle eluviali) riempiono in gran parte le grandi valli che intersecano l'ilea brasiloguianense. Imponenti accumulazioni conglomeratiche, in parte terziarie, passanti in superficie ad arene più o meno mobili, riempiono le grandi valli nel tratto mediano dell'edificio andino soggetto a clima secco. Un vero loess pleistocenico ("bonaerense"), talvolta arenoso (soprattutto in vicinanza delle Ande), si stende ampiamente nel Chaco e nelle Pampas argentine sopra depositi pliocenici "araucaniani" ("chapadmalensi" ed "hermosensi") formati da limo eolo-alluviale o da sabbie sciolte, con sottosuolo miocenico argilloso-sabbioso in parte marino ("rionegrense" ed "entrerriano"). Depositi ciottolosi terrazzati (rodados patagónicos), prodotti dallo sfacelo d'un'antica copertura pliocenica (dei rodados tehuelches), si distendono in tutta la Patagonia. Lungo il rilievo andino, con maggiore rappresentazione a mano a mano che si scende verso S., depositi morenici terminali di ben quattro glaciazioni han dato origine ai grandi laghi australi.
Rilievo. - Il rilievo dell'America Meridionale è relativamente semplice, e cioè costituito: a occidente dal gigantesco sistema di pieghe che per 7500 km., col nome di Cordigliera delle Ande, si eleva, come un formidabile bastione, lungo la costa del Pacifico; dall'Altipiano della Guiana e da quello più vasto del Brasile, a oriente; nel mezzo si stendono i tre grandi bassopiani dell'Orinoco, dell'Amazzoni e del Paraná-Paraguay, il quale ultimo prosegue verso S. nelle Pampas e nei piani della Patagonia, che a mezzodì del Rio de la Plata si aprono direttamente sull'Oceano Atlantico.
La Cordigliera delle Ande (v.) è una serie di elevate catene, che s'innalzano parallele alla costa e tra di loro, separate l'una dall'altra da lunghe valli longitudinali, o da alti bacini, non tanto vasti, peraltro, quanto quelli delle Montagne Rocciose, alle quali le Ande si connettono da un lato, mentre dall'altro si ricollegano forse con le montagne dell'Antartide attraverso la Georgia Australe (v.). Il collegamento col rilievo dell'America Settentrionale non avviene soltanto attraverso l'America Centrale, bensì anche mediante gli archi insulari delle Piccole Antille. Le Ande cominciano a divergere a N. del Nodo di Pasto: e il rilievo della Colombia e del Venezuela già prelude a quello delle isole: è formato, cioè, da catene staccate. A S. del Nodo di Pasto le catene andine vanno elevandosi ed addossandosi l'una all'altra: però fino alla Patagonia continuano ad essere molteplici. Già in alcune parti dell'Ecuador, ove sono soltanto due e dove tutto il sistema in qualche punto non è più largo di 150 km., le catene lasciano posto tra di loro a elevati altipiani, che si fanno sempre più numerosi e vasti procedendo verso il S., nel Perù e soprattutto nella Bolivia. Alcuni di questi altipiani sono chiusi e in parte occupati da laghi: tale è, ad esempio, quello che accoglie le acque del Titicaca (v.), il quale ha per emissario il Desaguadero, che si scarica nel lago Poopó (v.).
Alcuni di questi altipiani sud-americani hanno una superficie uniforme e sono cinti da due catene di montagne, una interna e l'altra esterna, che talvolta è la più elevata; altri invece sono ondulati o addirittura percorsi e suddivisi da una serie di catene. Come nell'America Settentrionale, così in quella Meridionale si nota che la catena principale è fronteggiata, verso la costa, da una serie di rilievi relativamente poco elevati. Questi rilievi assumono particolare importanza nel Chile, e chiudono, dalla parte del mare, una depressione longitudinale, compresa appunto tra essi e la Cordigliera Andina: depressione che nel Chile meridionale è sommersa. Il versante orientale del sistema è fronteggiato da alcune catene isolate - degne di attenzione specialmente nell'Argentina - le quali costituiscono le cosiddette Precordigliere.
Le Ande sono un sistema giovane, come le nostre Alpi: ma, a differenza di queste, vi ha un grande sviluppo il vulcanismo. È da notarsi che i vulcani sud-americani hanno un elevato imbasamento di rocce cristalline o sedimentarie: quindi non sono così grandi come potrebbe far pensare la loro altezza, molto spesso superiore ai 6000 metri. La vetta più elevata, l'Aconcagua, che s'innalza a 6900 m. nelle Ande Chileno-argentine, non è però un vulcano.
Generalmente si distinguono nelle Ande tre sezioni, che presentano notevoli caratteri differenziali. Le Ande Settentrionali, a N. del Nodo di Pasto, constano, com'è stato già detto, di tre catene, che vanno sempre più divergendo verso settentrione e che sono separate l'una dall'altra dalle valli dei grandi fiumi Cauca e Magdalena, verso cui scendono piuttosto precipiti. Questa sezione, in cui il limite delle nevi permanenti varia dai 4600 ai 4800 m., culmina a 5700 m. nel Nevado de Huila, a N. del quale si eleva poi a 5620 m. il vulcano Tolima.
Tra l'ampia valle del Magdalena e il lago di Maracaibo, s'innalza a ben 5887 m. la Sierra Nevada de Santa Marta, prosecuzione della Cordigliera Centrale. Al sistema andino si ricollegano anche le catene del Venezuela: Cordigliera di Mérida e Cordigliera Costiera, che trova il suo naturale proseguimento nei monti della Penisola di Paria, dell'isola Trinidad e delle Piccole Antille.
Le Ande Centrali, dal Nodo di Pasto al Nodo di S. Francisco, sono quelle che racchiudono i più vasti altipiani, tra i quali quello di Bolivia, che sotto il 18° di lat. S. raggiunge 800 km. di larghezza. L'altipiano boliviano è alto dai 4000 ai 4500 m., e in parte chiuso. Non così quello del Perù, più stretto e solcato da alcuni importantissimi tributarî del Rio delle Amazzoni. Il limite delle nevi permanenti è molto elevato, sia per la latitudine, sia per la secchezza del clima, in ispecial modo nel Perù e nella Bolivia: dai 5000 ai 5500 m. I passi sono ptichi e molto alti, quindi assai difficili le comunicazioni tra le vallate e gli altipiani interni e la costa. Ora, tuttavia, alcune arditissime ferrovie sono riuscite a penetrare nella impervia montagna. Le vette più elevate sono il Cayambé (5840 m.), il Cotopaxi (5943 m.) e il Chimborazo (6310 m.) nell'Ecuador, l'Huascarán (6763 m.) e il Misti (5840 m.) nel Perù, l'Illampu (6450 m.), l'Illimani (6550 m.) e il Sajama (6500 m.) in Bolivia lo Llullaillaco (6750 m.) nel Chile. Molte di queste vette sono vulcaniche.
Le Ande Meridionali, a S. del Nodo di S. Francisco, vanno abbassandosi gradatamente verso mezzodì: ma nella loro parte più settentrionale contengono la vetta più elevata di tutto il sistema, l'Aconcagua (7000 m.). La catena principale è unica e ricca di vulcani, modellata in gran parte dai ghiacciai, con forme assai tormentate. Grandi ghiacciai scendono tuttora dai fianchi della parte più meridionale di questa sezione, talvolta fino al mare, che bagna qui una costa a fiordi profondamente incisa e frastagliata, e fronteggiata da uno sciame di isole. Il limite delle nevi permanenti varia dai 900-1000 m. (nella Terra del Fuoco), ai 2900 m. (a 30° di lat. S.). Le Ande Meridionali sono molto impervie, con passi rari e difficili, tra i quali il più notevole è quello de la Cumbre (3730 m.), per cui passa la ferrovia Santiago-Mendoza.
Gli altipiani che formano la parte più orientale dell'America del Sud (altipiani della Guiana e del Brasile) sono in gran parte dei tavolati di arenane mesozoiche sostenute da un imbasamento di rocce cristalline antichissime. Strutturalmente e morfologicamente sono in gran parte simili agli altipiani africani: Mancano vere e proprie catene, e anche quelle elevazioni cui vien dato il nome di sierre o serre, non sono che cigli rialzati degli altipiani stessi. In complesso, l'attuale rilievo del Brasile e della Guiana sembra sia dovuto quasi esclusivamente a un movimento di sollevamento delle terre, che fu più cospicuo nella parte SE. del Brasile, dove infatti si riscontrano le maggiori altezze (M. Itatiaia, 2804 m.). Le zone più elevate hanno forme dolci e quasi tabulari nelle quali i fiumi hanno inciso le loro valli profonde e selvagge. Che il sollevamento cui si deve l'attuale rilievo non possa essere geologicamente molto antico, stanno a dimostrarlo, fra l'altro, le numerose cascate e le frequentissime rapide di questi fiumi.
I tavolati della Guiana (che coprono un'area di circa 900.000 kmq.), separati da quelli del Brasile dal bassopiano dell'Amazzoni, sono ancora poco conosciuti; li incidono varî affluenti dell'Orinoco e culminano nell'importante nodo del Roraima (2665 m.). I tavolati del Brasile, che comprendono una superficie di circa 3 milioni di kmq., sono anch'essi poco conosciuti nelle zone più interne. Si calcola che la loro altezza media varii dai 300 agli 800 m. La parte centrale prende il nome di Matto Grosso, altipiano elevato dai 600 ai 700 m., che serve da spartiacque tra i bacini dell'Amazzoni e del Paraguay. I tavolati del Brasile sono percorsi in valli profondamente incassate, con direzione prevalente S.-N., da molti importanti affluenti dell'Amazzoni e dal S. Francisco.
I tre grandi bassopiani (dell'Orinoco, dell'Amazzoni e del Paraná-Paraguay) che separano la zona montuosa occidentale dai tavolati dell'oriente, si presentano, rispetto all'Atlantico, come enormi golfi che, penetrando profondamente nel continente, vanno a finire ai piedi delle nevose vette andine. Ma non si deve credere che siano senz'altro antichi golfi riempiti dalle alluvioni dei fiumi: solo la parte inferiore è di origine alluvionale; nel bassopiano dell'Orinoco e in quello dell'Amazzoni si trovano grandi depositi marini del Terziario, in cui spesso i fiumi hanno scavato più profondamente il loro letto. Il delta dell'Orinoco è alluvionale: intorno all'estuario amazzonico, invece, oltre a zone veramente alluvionali si hanno zone coperte da alluvioni ma con imbasamento roccioso che talvolta affiora, come nella grande isola di Marajó. Anche la parte meridionale del bassopiano del Paraná-Paraguay (le Pampas) non è alluvionale, bensì è formata da uno zoccolo spianato di rocce cristalline ricoperte da formazioni continentali (tra cui il loess).
Il bassopiano dell'Orinoco è il più piccolo dei tre, e costituisce i cosiddetti llanos, cioè piani, inondati in parte notevole durante le piene del fiume, coperti poi, dopo il ritiro delle acque, da erbe folte e assai alte, che nell'estate seccano. Il bassopiano dell'Amazzoni è ricoperto quasi dappertutto da immense esuberanti foreste tropicali (selvas), in mezzo alle quali uniche vie di comunicazione sono i fiumi. Il bassopiano del Paraná-Paraguay, separato da quello amazzonico da una bassa soglia, comprende a N. il Chaco e a S. le Pampas, vaste pianure alte in media 200 m., occupate solo nella parte più settentrionale e presso i fiumi da foreste, e nel resto da praterie o da steppe. A mezzodì delle Pampas si hanno i ripiani ondulati della Patagonia, che si affiancano alle Ande e scendono a gradini verso l'Atlantico. Sono incisi da fiumi di secondaria importanza, che sboccano direttamente al mare.
Coste. - Il rilievo dell'America del Sud, cui si è accennato per sommi capi (rimandando il lettore che desideri maggiori particolari alle voci dei varî stati e alla voce ande) si riflette, ben s'intende, sulle coste. Quella del Pacifico, alla quale sono assai vicine le Ande che scendono ad essa piuttosto ripidamente, è compatta fino al 40° di lat. S. e di solito alta; degni di nota sono soltanto il profondo Golfo di Guayaquil e il piatto Golfo di Arica. A S. del 40° parallelo meridionale la costa, come è stato già accennato, è frastagliatissima e fronteggiata da isole e da scogli (Chiloé, 8570 kmq., Wellington, Hannover, Santa Inés, ecc.): Il tortuoso stretto di Magellano, lungo 500 km., separa dal continente la grande isola della Terra del Fuoco (48.114 kmq.). L'isobata di 200 m. è vicinissima alla costa: si riscontra qui in modo evidentissimo quella che il De Lapparent chiamò dissimmetria del rilievo terrestre. Infatti, dalle vette delle Ande alte 5000 e 6000 m. si scende, a brevissima distanza dalla costa, fino a 6000 e 7000 metri e più di profondità. L'isobata di 2000 m. non dista, in media, dalla costa più di 100-150 km. Di fronte a Taltal, dominata dalla vetta dello Llullaillaco (6750 m.), a 120 km. dalla costa si toccano i 7635 m. di profondità.
All'infuori degli arcipelaghi meridionali, poche sono le isole che si elevano di fronte alla costa sud-americana del Pacifico, e queste di solito assai lontane dal continente (Malpelo e Cocos dinanzi alla costa della Colombia, l'arcipelago delle Galápagos o di Colón, che hanno 7643 kmq. di superficie, sotto l'Equatore, di fronte alla costa ecuadoriana, S. Felice e S. Ambrogio e il gruppo di Juan Fernández, al largo della costa chilena, ecc.). Isole costiere sono invece Puna, nel Golfo di Guayaquil, e le isole Lobos e Chincha presso la costa peruviana, celebri per gli enormi depositi di guano. I porti più notevoli della costa del Pacifico, che si sviluppa per 13.000 km., sono quelli di Buenaventura, di Guayaquil, del Callao, di Antofagasta, di La Serena, di Valparaiso, della Concepción.
La costa dell'Atlantico ha uno sviluppo di 18.500 km., e si presenta assai varia. Dallo stretto di Magellano all'estuario del Río de la Plata è di solito bassa e articolata da ampî golfi falcati (Bahía Grande, G. di S. Giorgio, di S. Matteo, Bahía Blanca) separati l'uno dall'altro da tozzi aggetti triangolari o da penisole (Pen. di Valdés). A N. del Río de la Plata, sul cui estuario sono i porti di Buenos Aires e di Montevideo, la costa è pure bassa, ma orlata da ampie lagune (Mangueira, Mirim, dos Patos). All'imbocco della Lagoa dos Patos c'è il porto di Rio Grande, e, nella parte settentrionale della stessa laguna, Porto Alegre. Dopo la costa si fa prevalentemente erta e incisa, con ottimi porti, tra i quali quelli di Santos, di Rio de Janeiro, di Bahia; passato il capo S. Rocco, si presenta uniforme, ed è interrotta soltanto dall'ampio estuario del Rio delle Amazzoni e da quelli dei fiumi guianesi.
L'isobata di 200 m., che limita la piattaforma continentale, fino al C. de S. Thomé, si mantiene piuttosto lontana dalla costa (dai 250 ai 400 km.), e abbraccia pure il gruppo delle Falkland. A N. del C.S. Thomé corre assai vicina alla costa, per allontanarsene nuovamente dopo il C S. Rocco, soprattutto dinanzi all'estuario dell'Amazzoni e al delta dell'Orinoco.
Anche di fronte alla costa atlantica si riscontra povertà di isole: oltre alle Falkland (16.000 kmq.) e alle isole numerose che ingombrano l'estuario dell'Amazzoni (Marajó, 42.000 kmq., Caviana, Mexiana, Gurupá, ecc.), c'è qualche altra piccola isola di fronte alle coste del Brasile (S. Caterina, S. Sebastiano e, al largo, Fernando de Noronha e S. Paolo) e infine, a N. del delta dell'Orinoco, le isole Trinidad (4544 kmq.) e Tobago (295 kmq.).
La costa del Mar Caraibico, una dipendenza dell'Oceano Atlantico, è prevalentemente alta e incisa, articolata dalle penisole di Paria, di Araya, Paraguana e Goajira. Tra queste due ultime è compreso il golfo di Maracaibo, in fondo al quale si apre poi la vasta laguna di Maracaibo; e, tra la costa colombiana e quella panamegna, s'insinua, a forma d'imbuto, il G. del Darien, la parte più interna del quale ha il nome di G. di Urabá. L'isobata di 200 m. corre non molto lungi dalla costa, che è fronteggiata dalle Isole Sottovento (Margarita, Buenayre, Curaçao, Aruba ed altre minori).
Clima. - La posizione geografica e la varietà del rilievo fanno sì che tra una parte e l'altra dell'America Meridionale si riscontrino grandi differenze nel clima, sul quale influiscono essenzialmente: la latitudine (quasi due terzi del continente sono compresi fra i tropici); l'esistenza della grande zona montuosa andina, che determina contrasti assai forti tra lo stretto versante pacifico e il larghissimo versante atlantico, soprattutto per quel che concerne la piovosità; il regime dei venti e delle correnti marine.
Il bassopiano amazzonico e le zone costiere della Guiana e della Colombia sono soggette a quello che il De Martonne chiama clima equatoriale guineese, caratterizzato da fortissima umidità durante tutto l'anno, da forte nebulosità, dal forte numero dei giorni piovosi (245 a Pará) e conseguente grande quantità di precipitazioni (2127 mm. a Manáos, 2204 mm. a Pará), da piccolissime variazioni nelle medie mensili della temperatura (a Pará, temperatura media del mese più caldo, novembre, 26°,5; del mese più freddo, luglio, 25°,6; a Manáos, novembre 27°, luglio 25°,5). Sembra che siano sconosciuti, in queste regioni sud-americane a clima equatoriale, i due massimi di piogge equatoriali che si avvertono invece in alcune plaghe africane. Non si può parlare poi di una stagione secca: solo in tre o quattro mesi dell'anno le piogge sono meno abbondanti. È questo il periodo che i portoghesi chiamano verano. Il diminuire della piovosità, non ancora spiegato, avviene da agosto a novembre a Manáos e da luglio a ottobre a Pará.
A N. e a S. di queste zone a clima equatoriale abbiamo delle regioni (altipiano della Guiana, Colombia orientale, parte settentrionale dell'altipiano del Brasile, Gran Chaco boliviano, zona costiera del Brasile, press'a poco dalla foce del Parnahyba a Rio de Janeiro) a clima subequatoriale, in cui si avverte nettamente una stagione secca, la durata della quale aumenta a mano a mano che si procede verso la parte più interna degli altipiani. Le selvas che ricoprono la maggior parte delle regioni a clima equatoriale vanno diradandosi, e si entra nella zona dei campos cerrados e delle catingas. I primi sono praterie di graminacee, con alberi di piccole dimensioni, a scorze spesse e radici molto sviluppate, talvolta molto raggruppati, tal altra invece assai radi. La catinga è una foresta rada e assai irregolare, costituita soprattutto di mimose, che è molto verdeggiante nel periodo delle piogge, e che perde le sue piante erbacee annuali durante la stagione secca.
La temperatura di queste zone a clima subequatoriale è sempre elevata, ma specialmente nel periodo secco; l'escursione annua e diurna della temperatura aumenta a mano a mano che si avanza verso l'interno del continente. Nella parte più interna dell'altipiano del Brasile e in gran parte del bacino dell'Orinoco i contrasti si fanno sempre più forti; la quantità annuale delle piogge è tuttavia elevata (non inferiore ai 1000 mm.), ma la stagione secca si fa gradatamente più lunga e accentuata. Anche le temperature medie sono elevate, ma l'escursione annua e diurna presenta oscillazioni già molto sensibili. Il clima subequatoriale si cambia in clima tropicale.
Il Brasile meridionale (stato di Rio Grande), l'Uruguay, il Paraguay meridionale e l'Argentina settentrionale hanno un clima subtropicale a influenza monsonica: nessun mese dell'anno può dirsi secco, ma le piogge cadono prevalentemente nella stagione estiva. La temperatura media annua è superiore ai 15°, le estati sono molto calde, gl'inverni non rigidi, ma con ondate improvvise di freddo. A Buenos Aires il pampero in due ore ha fatto abbassare la temperatura, talvolta, di ben 10°. Le regioni che hanno questo clima sono coperte da praterie, ora in gran parte messe a colture cerealifere, e costituiscono nel complesso una delle parti dell'America Meridionale più favorevoli all'uomo. Queste praterie procedendo verso il S. e verso l'O. (Argentina centrale) si tramutano a poco a poco in una boscaglia xerofila. Si entra in regioni a clima temperato continentale, con inverni piuttosto rigorosi, precipitazioni non superiori ai 500 mm., che vanno diminuendo a mano a mano che si procede verso l'occidente, e che cadono prevalentemente d'estate (da novembre a marzo).
Nella Patagonia prevale un aspro clima desertico freddo, a carattere oceanico, ancora poco conosciuto. Venti fortissimi, che seccano il suolo, contribuiscono a renderlo ancora più aspro. A Santa Cruz (50° 2′ di lat. S.) si ha una temperatura media del gennaio di 15°, 9, del luglio di 0°,6, con soli 153 mm. di piogge, che sembra possano cadere in qualsiasi epoca dell'anno, comunque assai irregolarmente.
Già si è detto che la zona costiera colombiana del Pacifico ha un clima equatoriale. Così pure la zona costiera dell'Ecuador. Le isole Colón e la fascia costiera a mezzodì del Golfo di Guayaquil fino a 25° di lat. S., press'a poco, e fino a 1500 m. d'altezza, in media, hanno invece un clima desertico oceanico, dove le piogge sono veramente un'eccezione e avvengono ogni due o tre anni (a Lima si ha una media annuale di 46 mm.), mentre l'umidità relativa dell'aria è molto forte (a Mollendo, l'81% in inverno, il 78% in estate; a Joya, a 1200 m. d'altezza, ancora il 42,5% e il 57% rispettivamente). Le temperature sono relativamente basse e uniformi (Lima, 12° S., 158 m. s. m., ha una media di 15°, 9 in agosto, il mese più freddo, e di 23° in febbraio, il mese più caldo). Sul clima di questa fascia costiera del Pacifico influisce grandemente la corrente fredda del Perù, che abbassa la temperatura delle acque del Grande Oceano fin sotto l'Equatore. Procedendo verso il S., tra la valle del Coquimbo e quella dell'Aconcagua si ha una zona di transizione ancora poco innaffiata da piogge (mm. 40 a La Serena, a 30° S.) che cadono, prevalentemente, sotto forma di violenti acquazzoni nel periodo giugno-luglio. Si entra quindi in una zona (il Chile centrale, tra 30° e 40° S.) a clima mediterraneo oceanico, con piogge che vanno aumentando rapidamente procedendo verso mezzodì (320 mm. a Santiago, a 33° 27′ S.; 530 mm. a Talca, 36°; 2700 mm. a Valdivia, 40°), e che, apportate dai venti del N., cadono esclusivamente nel periodo invernale (aprile-ottobre) nella parte settentrionale e in parte anche nel periodo estivo in quella meridionale (a Valdivia, in dicembre-febbraio cade circa 1/10 della quantità annuale). L'escursione annua della temperatura, non forte, aumenta dalla costa verso l'interno: è, ad esempio, di 6° a Valparaiso, di 7° a Constitución, di 12°, 4 a Santiago e di 14° a Talca. La temperatura media annua decresce lentamente verso il S.: si hanno 13°, 6 a Santiago, 11°, 6 a Valdivia.
Il Chile meridionale ha clima temperato oceanico: le precipitazioni sono dappertutto molto abbondanti (2300 mm. a Puerto Montt, 2800 mm. alle isole Evangelistas, 1500 mm. al Capo Horn). La temperatura media estiva si abbassa rapidamente verso il S.: in gennaio, a Puerto Montt, 14°, 5; alle isole Evangelistas, 8°, 9. La temperatura media invernale, invece, si mantiene relativamente dolce: in luglio, a Puerto Montt, 7°, 3; alle Evangelistas, 3°, 5. La maggior parte del Chile meridionale è coperta da grandiose foreste, in alcune zone così folte, da riuscire di grave ostacolo alle comunicazioni.
La Terra del Fuoco e le parti più elevate delle Ande Meridionali hanno un clima assai rude, con temperature medie basse, precipitazioni non molto abbondanti, che cadono prevalentemente nel periodo estivo (a Ushuaia, a 55° S., temperatura media annua 4°,4, 500 mm. di piogge, che cadono da settembre a marzo). È questo, nel complesso, un clima freddo oceanico.
Un tipico clima caldo di montagna hanno le zone delle Ande Centrali e Settentrionali al di sopra dei 2000 m., quello che il De Martonne chiama per l'appunto clima colombiano. Il regime delle piogge è conforme alle condizioni generali determinate dalla latitudine; in Colombia e nell'Ecuador si verificano due massimi di piogge equinoziali, con due minimi poco accentuati all'epoca dei solstizi, ma senza una vera stagione secca. Le temperature, però, non sono quelle dei paesi tropicali, e la media annua è dappertutto inferiore ai 20° (Bogotá, 14°, 4). L'escursione annua è più piccola ancora di quella delle plaghe tropicali meno elevate (Bogotá, 1°; Quito, 0°, 4), ma le temperature minime medie sono basse, i geli frequenti, e sopra i 2500-3000 m. ogni anno non manca di cadere la neve. In alcune parti delle Ande peruviane e boliviane si verifica un periodo secco, nel regime delle piogge, e una maggiore escursione annua delle temperature. Si ha in esse quel tipo di clima che il De Martonne chiama messicano.
Acque continentali. - La compattezza dell'America Meridionale e l'asimmetria del suo rilievo hanno permesso il formarsi, come già si è detto, di sistemi fluviali tra i più grandi del mondo. Ben s'intende come l'asimmetria del rilievo abbia determinato anche uno sviluppo ineguale della rete idrografica: così che, mentre nell'Atlantico si versano fiumi colossali - per lunghezza e per portata come l'Orinoco (2200 km.), il Rio delle Amazzoni (6180 km., Amazzoni-Ucayali), il Río de la Plata (4700 km., Plata-Paraná), nel Pacifico sboccano soltanto fiumi relativamente brevi di corso, che talvolta, anzi, hanno carattere torrentizio. Alcuni di essi, tuttavia, sono navigabili nel tratto inferiore (ad es., il Guayas); altri hanno importanza per l'irrigazione o come fornitori di energia (Copiapó, Huasco, Bio-Bio. ecc.). Anche nel versante del Mar Caraibico - dipendenza dell'Atlantico - la vicinanza dei monti alla costa non ha permesso che si formassero fiumi di grandi dimensioni, ad eccezione del Magdalena (1476 km.). Questo e l'Atrato (656 km.) sono però ambedue fiumi ricchi di acque e ben navigabili per lungo tratto; il Magdalena, anzi, e il suo affluente Cauca (1128 km.) costituiscono le più importanti vie di comunicazione della Colombia.
L'Orinoco, che ha un bacino imbrifero di 960.000 kmq. e una portata media, alla foce, di 14.000 mc. al minuto secondo (minima, 7000 mc.; massima, 25.000), nasce sull'orlo SO. dell'altipiano della Guiana, ed ha il corso superiore e medio interrotto da rapide e da cascate. È ingrossato da importanti affluemi, soprattutto di sinistra (Guaviare, Meta, Arauca, Apure), e diviene maestoso e ampiamente navigabile anche a navigli di grosso tonnellaggio. Versa le sue acque in mare con dodici bocche, dopo aver formato un delta vasto quanto la Sicilia (25.000 kmq.). La maggiore sua piena avviene nel periodo aprile-agosto, e allora inonda su largo tratto i llanos che, quando le acque si ritirano, si ricoprono di folte e alte erbe, bruciate poi dai calori estivi. Una piena secondaria avviene in novembre.
Dall'altipiano della Guiana, oltre all'Orinoco, scendono, fra gli altri, l'Essequibo, il Correntyne, il Surinam, il Maronì, l'Oyapock e alcuni affluenti del Rio delle Amazzoni. Meno questi, tutti gli altri sopra nominati sono relativamente brevi di corso, ma ricchi di acque e in parte navigabili, sebbene interrotti frequentemente da rapide e da cascate.
Il Rio delle Amazzoni è il fiume più grande della Terra, non per la sua lunghezza (lo superano il Nilo e il Mississippi-Missouri), ma per l'ampiezza del suo bacino (7 milioni di kmq., insieme col bacino del Tocantins) e per la portata (alla foce, in media, 100.000 metri cubi di acqua al secondo: minimo, 20.000 mc.; massimo, 200.000). Formatosi dall'unione del Marañon (che nasce a 3650 m. nelle Ande del Perù, a soli 150 km. dal Pacifico) e dell'Ucayali, già a Iquitos si trova a soli 105 m. s. m. ed è navigabile a grosse navi. Riceve un numero enorme di affluenti, fra i quali alcuni grandissimi, superiori ai maggiori fiumi europei. Tali sono lo Yapurá e il Río Negro a sinistra (quest'ultimo raggiunto dal Casiquiare, una biforcazione dell'orinoco), lo Juruá, Il Purús, il Madeira (3520 km., il maggiore), il Tapajoz, lo Xingú. Versa le sue acque in mare con un imponente estuario, largo oltre 200 km., ingombro però di isole, tra le quali Marajó, che divide l'estuario dell'Amazzoni propriamente detto da quello del Tocantins. Il suo regime è piuttosto regolare, con due periodi di piena, l'uno da marzo a luglio, causato dagli affluenti di destra, l'altro, meno forte, da novembre a gennaio, provocato da quelli di sinistra. Fino a Santarem è risalito dalla marea, la cui onda, a contrasto con la forte corrente fluviale, provoca una barra enorme chiamata paroroca dagli indigeni rivieraschi.
Il Rio delle Amazzoni, insieme con i suoi affluenti, offre all'uomo una rete di vie navigabili di oltre 50.000 km., le uniche vie, anzi che possegga l'immensa regione amazzonica, coperta in massima parte da intransitabili foreste.
I fiumi che si versano nell'Atlantico tra la foce dell'Amazzoni e il Río de la Plata sono fiumi d'altipiano, e, benché alcuni di essi siano assai lunghi (2600 km. il Tocantins, 1100 km. il Parnahyba, 3000 km. il S. Francisco) e assai ricchi di acque, sono relativamente poco navigabili, perché interrotti da rapide e da cascate. Il Río de la Plata è formato dall'unione dei Paraná e dell'Uruguay. Il primo (3700 km.) si forma sull'atipiano brasiliano, dove scorre incassato e interrotto da rapide; solo dopo il Salto das Sete Quedas diviene ampiamente navigabile. Ricevuto il Paraguay (2200 km.), che sotto qualche aspetto è ancor più importante del Paraná, questo si fa imponente. L'Uruguay (1580 km.) è anch'esso per lungo tratto fiume d'altipiano, ed ha una portata media che è 1/5 di quella del Paraná. Il regime di questi fiumi è diverso. Il Paraná si trova in piena nel periodo marzo-giugno; ma i suoi affluenti, in parte alimentati dalle nevi andine, in parte dalle piogge tropicali dell'altipiano del Brasile, presentano differenze l'uno dall'altro e anche, talvolta, nelle diverse parti del loro corso. La portata media del Río de la Plata è di 40.000 mc. al secondo (minima 12.000 mc; massima 60.000). Nel complesso, questo sistema fluviale, il cui bacino è di 3.100.000 kmq., costituisce una grandiosa via di penetrazione nel cuore dell'America meridionale.
I fiumi della Patagonia (Colorado, Río Negro, Chubut, Descado ecc.) nascono tutti dalle Ande; i maggiori hanno acqua abbondante e sono navigabili per tratti notevoli (500 km. il Colorado, 250 il Río Negro); alcuni dei minori, invece, non riescono a raggiungere il mare, poiché si disseccano. Di solito hanno due periodi di piena: da ottobre a dicembre per la fusione delle navi andine, e da giugno ad agosto per le piogge invernali.
L'America Meridionale è il continente più povero di laghi. Solo le Ande della Patagonia ne hanno un numero notevole, spesso di origine glaciale. Tra i più vasti, ricorderemo il Lago Argentino, il Viedma, il Buenos Aires e il Nahuel Huapi. Ai piedi orientali delle Ande Chilene abbiamo una regione senza sfogo al mare, dove i fiumi, spesso con acque un po' salate (da cui i nomi come salado, Saladillo), si perdono nella steppa, e dove si trovano anche laghi salsi (Salinas Grandes, Mar Chiquita). Un'altra regione con bacini interni si trova, come è stato già accennato, sugli atipiani boliviani, dove si stendono il Lago Titicaca (kmq. 8330) e il Lago Poopó (kmq. 3690), uniti dal Desaguadero.
Lagune costiere, anche di grandi dimensioni, si trovano lunghesso la costa brasiliana meridionale (Lagoa Mirim, Lagoa dos Patos).
Flora. - La distribuzione della vegetazione nell'America Meridionale, che presenta, procedendo dal Golfo del Messico sino a Capo Horn, tutti i tipi ecologici, dall'equatoriale all'antartico, è caratterizzata da due limiti bene stabiliti, che vi individuano tre distinte regioni. Il primo, che segna il confine inferiore, molto obliquo da N. a S. e da O. ad E., della regione tropicale, partendo dalla baia di Guayaquil, attraversa le Ande, segue il versante orientale della catena, presso a poco sino alla provincia di Tucumán in Argentina, poi, lasciando al N. tutta l'estensione delle foreste tropiali e sub-tropicali, si dirige verso il Paraná e, attraversata la provincia di Entre Rios ed il N. dell'Uruguay, raggiunge la costa brasiliana verso Porto Alegre. Al SO. di questa linea succede la regione andino-pampeana, separata a sua volta verso sud dalla regione antartica da una linea corrispondente presso a poco al 44° di lat. S.
Caratteristiche della regione tropicale sono le famiglie delle Ciclantacee (affini alle palme) e delle bromeliacee; e le tribù delle Cocoinee (Palme) e delle Cinchonee (Rubiacee); particolarmente diffuse le Leguminose, le Mirtacee, le Melastomacee, le Malpighiacee, le Euforbiacee ecc. le Cactee, così abbondanti nell'America Settentrionale tropicale, vi sono pressoché limitate al versante pacifico ed assai meno varie; delle famiglie paleotropicali, mancano alla vegetazione neotropicale le Pandanacee e le Dipterocarpacee, mentre l'importantissimo genere Ficus è rappresentato dal genere Urostigma. Quanto alla suddivisione della regione, possono esservi distinti i distretti seguenti: 1. Distretto forestale tropicale della Colombia, con formazioni tropicali di bassa montagna elevantisi sino a circa 1300 m., superanti in varietà di specie le stesse foreste dell'America Centrale (Palme dei generi Phytelephas, Cocos, Iriartea, Attalea ecc.; Mirtacee del genere Couroapita ecc.). 2. Distretto forestale sub-tropicale andino, che succede ai precedenti in senso altitudinale conservando parimenti un carattere molto lussureggiante sino a 3400 m. s. m. e suddividendosi a sua volta in parecchie zone altimetriche ben distinte (v. ande). La flora è parimenti assai ricca, ma le Palme (Ceroxylon) vi sono rappresentate con varietà assai minore che nel distretto precedente. 3. Distretto delle savane dell'Orinoco (Venezuela e Guiana). Malgrado siano soggette ad una stagione secca, queste formazioni erbacee alberate sono assai meno aride di quelle africane; la vegetazione fondamentale vi è costituita da Graminacee delle tribù delle Cloridee e Festucee, da Ciperacee e da svariate specie di altre famiglie, mentre i frequenti macchioni di Palme (Mauritia), Scitaminee e Felci conferiscono al paesaggio un aspetto di parco. 4. Distretto forestale dell'hylaea (regione delle Naiadi e Driadi di Martius) esteso a tutta la regione dell'Orinoco e dell'Amazzoni, il più vasto complesso di foreste del globo e la più eccezionale raccolta di vegetali, nella quale tutti i complessi ed interessantissimi fenomeni della vegetazione pluviale equatoriale trovano il loro esempio, e l'industria umana incontra una vera miniera di materie prime, importanti pei più diversi capitoli della nostra economia (cfr. brasile). 5. Distretto forestale del Brasile orientale. Ripete, su di una stretta e lunga striscia di montagne costiere (12° di lat.), parecchi tipi forestali amazzonici e vi aggiunge alcune forme proprie (Lecythis ollaria, Caesalpinia echinata). 6. Distretto della catinga, situato immediatamente all'interno della costa orientale ed a S. della Hylaea (regione delle Amadriadi di Martius), con disposizione zonale, e formato da boscaglie xerofile di alberi nani, spinosi e con fogliame coriaceo, caduco nella stagione asciutta. 7. Distretto dei campos, succedente alle catingas verso il centro del continente e rappresentato da savane, che, nelle aree più aride, assumono anche il carattere di steppa disalberata (regione delle Oreadi di Martius). 8. Distretto forestale sub-tropicale delle Araucarie, diffuso nel Paraná, Santa Catharina, Rio Grande do Sul, Paraguay, Entre Rios e Uruguay settentrionale, con formazioni di Araucaria brasiliensis intercalate da folti cespugli di Palme (Cocos, Trithrinax), Ilex paraguariensis e praterie sparse di macchioni xerofili (Carrascos). 9. Distretto montano argentino, con una zona inferiore conservante una vegetazione assai varia di carattere sub-tropicale (Machaerium, Nectandra, Juglans, Cedrela ecc.), ed una superiore temperata (Podocarpus, Alnus, ecc.), naturalmente più uniforme. 10. Distretto del . Gran Chaco, compreso fra i due precedenti, con paesaggio di praterie intercalate di cespugli e di boschetti di Palme (Copernicia). Caratteristico arbusto di quest'area è la Bougainvillaea praecox.
La regione andino-pampeana è naturalmente distinta dal decorso delle Cordigliere in tre zone longitudinali irregolarmente parallele: una zona pacifica, una zona d'altipiano ed una zona atlantica.
Sul versante pacifico si succedono da N. a S. tre distretti:1. Distretto steppico costiero peruviano, nel quale il Ball ha distinto tre zone altimetriche: l'inferiore [fino a 2400 m. s. m.), ha carattere xerofilo tropicale (Cereus, Prosopis, Acacia); l'intermedia (2400-3900 m. s. m.) è temperato-calda, pure conservando l'impronta xerofila e con maggiore varietà di specie; la superiore (4000-5000 m. s. m.) ha paesaggio di pascolo secco d'alta montagna. 2. Distretto desertico d'Atacama, meno caldo, ma ancora più secco del precedente, tanto da rappresentare un limite invarcabile per molte specie tropicali, ma non privo di vegetazione arborea specializzata (Prosopis). 3. Distretto chileno, ancora xerofilo, ma già con piogge regolari invernali e quindi con partecipazione normale di specie arboree alla costituzione delle formazioni: Mimosee, Ramnee spinose (Colletia), Cactee (Quisco), Bromeliacee (Puyo).
La zona d'altipiano costituisce il cosiddetto distretto della Puna, comprendente tutti gli altipiani coperti di steppe dei due versanti delle Cordigliere e continuantesi a N., ma specialmente a S., con formazioni analoghe di alta montagna (v. ande).
La zona atlantica presenta infine due distretti:1. Distretto degli espinales argentini, che si stende fra le Pampas e le Ande, ed è caratterizzato da una vegetazione di boscaglia a piante legnose basse, spinose. Predominante vi è la Gourliaea decorticans (Chanar), accompagnata da Mimosee arborescenti a fogliame minutamente diviso, e i consorzî della quale sono intercalati sporadicamente da associazioni assai varie di alofite. 2. Distretto delle Pampas, con un paesaggio steppico, soggetto a scarse precipitazioni e caratterizzato essenzialmente da formazioni di graminacee (Stipa, Neslea, Aristida, Pappophorum).
Nella regione antartica le condizioni climatiche dei due versanti dell'America del Sud si invertono, per rispetto a quelle delle due regioni precedenti, il più secco essendo il versante atlantico ed il più umido il pacifico. I distretti distinguibili sono quattro:1. Distretto delle pianure a ciottoli rotolati, della Patagonia, iniziantesi presso a poco alla foce del Chubut (43° 30′), con precipitazioni scarse, estati fredde, temperatura molto variabile. La vegetazione è povera: quella legnosa rappresentata da bassi arbusti, l'erbacea con scarse graminacee. Si possono citarvi specie dei generi Chuquiraga, Plantago, Verbena, Acaena, Adesmia, Maryrocarpus. 2. Distretto delle foreste di conifere di Valdivia, con selve molto dense e varie, composte essenzialmente da conifere (Araucaria, Libocedrus, Fitzroya, Dacridium, Saxegothaea, Podocarpus), ma anche da specie appartenenti ad altre famiglie (Lauracee, Monimiacee, Magnoliacee, Rosacee, ecc.). 3. Distretto dei boschi magellanici, specialmente nella Terra del Fuoco, noto per la predominanza che vi assumono specie della tribù australe del genere Fagus (Nothofagus), accompagnate da qualche conifera (Libocedrus); esso è limitato alla zona compresa fra 0 e 550 m. s. m. 4. Distretto delle alte montagne della regione antartica, rappresentato da pascoli presentanti una caratteristica mescolanza di generi boreali (Ranunculus, Alsine, ecc.) e generi australi (Azorella, Acaena, Pernethya). Compresa fra 550 e 1000 metri, nella Terra del Fuoco, questa formazione si spinge verso il nord lungo il crinale delle Ande, prima continuatamente, poi costituendo colonie disgiunte e tanto più elevate, quanto più sono avanzate verso nord (sull'Aconcagua sino a 4000 m.).
Bibl.: Grisebach-Tchihatcheff, La végétation du Globe, II, Parigi 1876; O. Drude (trad. G. Poirault), Manuel de géographie botanique, Parigi 1897; Korschelt, Link, Oltmanns, ecc., Geographie der Pflanzen. Florenreiche, in Handwörterbuch der Naturwissenschaften, IV, Jena 1913; C. Hayek, Allgemeine Pflanzengeographie, Berlino 1926; K. Rühle, Die Vegetationsformen Südamerikas in ihrer klimatischen Bedingtheit, in Peterm. Mitt., LXXIV (1925), fasc. 1/2, 3/4.
Fauna. - Ricca e assai caratteristica è la fauna dell'America Meridionale: più di 150 famiglie di vertebrati vi sono rappresentate e non meno di 36 di esse vi sono particolari.
L'America Meridionale fa parte di una grande regione zoogeografica, la neotropicale, che comprende anche l'America Centrale, spingendosi nel Messico meridionale fino a circa 25° lat. N., le Antille, le Bahama e le Galápagos; tutte queste terre infatti hanno delle grandi rassomiglianze faunistiche reciproche, e differiscono per gli animali che le popolano, dall'America del Nord. Noi qui ci occupiamo però soltanto della fauna sud-americana, che è la più notevole della regione neotropicale, rimandando alle rispettive voci per la fauna dell'America Centrale, delle Antille e delle Galapagos.
Le scimmie presenti in questo continente sono tutte platirrine, con coda prensile, narici divergenti e in generale con 36 denti, a differenza delle scimmie del vecchio mondo che sono tutte catarrine. Esse appartengono alle due famiglie dei Cebidae e dei Callithrichidae: i primi si estendono a nord fino al Messico, i secondi non si avanzano oltre l'Istmo di Panamá; entrambe le famiglie mancano nel Chile e nella Patagonia. Notevoli sono: il Cebo cappuccino (Cebus capucinus), che si estende dal Brasile alla Colombia; il Barrigudo (Lagothrix Humboldti), che raggiunge 76 cm. di lunghezza; gli Ateles dalla lunghissima coda; i Pithecia con barba; i Callithrix della regione delle Amazzoni; i Mycetes, fra cui la scimmia urlatrice, che vive nell'alto bacino delle Amazzoni e in Bolivia.
Oltre ai pipistrelli delle famiglie quasi cosmopolite dei Noctilionidae e dei Vespertilionidae, che però hanno generi sud-americani caratteristici, come Thyroptera e Natalus, esiste una famiglia di chirotteri, quella dei Phyllostomatidae, diffusa in tutta l'America Meridionale, salvo la Patagonia, nell'America Centrale, nel Messico, nella Bassa California, nella Florida e nelle Antille. A questa famiglia appartengono i famosi vampiri, di cui alcuni rappresentanti succhiano, o meglio leccano, il sangue dei vertebrati. mentre la maggior parte sono frugivori. Mangiatori di sangue sono il Desmodus rufus, i Diphylla e occasionalmente varie specie del genere Phyllostoma. I Vampirus sono frugivori; ricordiamo V. spectrum, che ha un'apertura di ali di circa 70 cm.
Gl'insettivori, tanto sparsi nel Vecchio Mondo e nell'America Settentrionale e Centrale, mancano quasi completamente nell'America del Sud: solo due o tre specie di toporagni (Sorex e Blarina) abitano la Colombia, il Venezuela e le Guiane; nel resto del continente sono stati sostituiti, per quanto riguarda le abitudini, da varî sdentati e marsupiali.
I grandi carnivori dell'America del Sud sono il Giaguaro (Felis onca), che manca nel Chile e nella Patagonia e a nord si estende a tutto il Messico e alla Bassa California, e il Puma (Felis concolor), che abita tutto il Nuovo Mondo. Varî gatti, tutti di specie diverse da quelle del Mondo Antico, sono diffusi ovunque: tra questi Felis tigrina, F. eyra, F. yagnarundi, F. colocollo. I cani sono rappresentati da specie più simili ai lupi che alle volpi (Canis jubatus, Canis culpaeus o magellanicus, ecc.). L'Icticyon venaticus, unico rappresentante di un caratteristico genere brasiliano, è un cane di piccola mole e dalle gambe corte. Mancano le iene; e gli orsi, rappresentati da una sola specie alta quasi un metro, l'orso dagli occhiali (Tremarctos ornatus), si trovano lungo le Ande, dall'Ecuador al Chile. I Mustelidae sono rappresentati dai generi americani Mephitis, Conepalus, Galictis, Lyncodon; tre specie di lontre e una di Mustela (M. brasiliensis) appartengono a generi dell'Eurasia. Sia nell'America Settentrionale sia in quella Meridionale vivono i Procyonidae, che sono confinati nel Nuovo Mondo, con l'eccezione dell'Ailurus fulgens e dell'Ailuropus melanoleucus, rispettivamente del Himālaya orientale e del Tibet orientale. I procionidi sudamericani formano i generi Nasua, Procyon, Cercoleptes, Bassaris, Bassaricyon.
Nessuna regione della terra abbonda di rosicanti quanto l'America Meridionale: tre famiglie (Chinchillidae, Cavüdae, Dinomyidae) sono strettamente limitate ad essa, mentre i Dasyproctidae si estendono anche all'America Centrale. Le cavie o porcellini d'India non si trovano nella Colombia e nel Venezuela, né lungo le coste del Chile, ma popolano con una ventina di specie le foreste tropicali del Brasile e raggiungono l'estremità meridionale della Patagonia. Fra di esse notiamo il cosiddetto maiale d'acqua (Hydrochoerus capibara), che raggiunge m. 1,20 di lunghezza ed è il più grosso dei rosicanti conosciuti, e la cavia peruviana (Cavia Cutleri), che pare sia il capostipite dei porcellini d'India tenuti da noi in domesticità. I Chinchillidae o topi-lepre vivono lungo le Ande Peruviane e Chilene e nell'Argentina; il Lagostomus tricodactylus, lungo 60 cm., abita le pampas. I Dinomyidae, con l'unica specie del gruppo, il raro Dinomys Branickii, sono accantonati in una breve area del Perù. Ai Dasyproctidae appartengono gli aguti, come il Dasyprocta aguti della regione brasiliana, l'Agouti paca, che si estende dal Messico al Paraguay, e un'altra quindicina di specie. Istrici proprî delle Americhe sono gli Erethizontidae, che nel N. e nel NE. dell'America del Sud posseggono il genere Coendu. Gli Octodontidae, africanì e sud-americani, si estendono anche all'America Centrale e alle Antille e raggiungono la Terra del Fuoco: ricordiamo l'Octodon degus del Perù e del Chile e il Myocastor coypu, che frequenta le acque dei laghi e dei fiumi. Gli Heteromyidae, diffusissimi nell'America del Nord, si avanzano fino alla Colombia e al Venezuela. Dei Muridae, i veri topi (Murinae) sono confinati nel Mondo Antico, mentre nell'America del Sud vivono numerosissime specie di Sygmodontinae, fra cui i Peromyscus e gli Oryzomys.
All'epoca attuale il più grande ungulato sud-americano è il tapiro, tipo che vive anche nell'Indocina e a Sumatra. La specie più nota è Tapirus antericanus del Brasile. I cervi sono di piccola mole e con corna poco sviluppate: ricordiamo le due specie del genere Pusna, localizzate nel Chile e nell'Ecuador, i Mazama e gli Odocoileus. I Llama sono camelidi confinati al Perù e al Chile: la specie più diffusa è il Guanaco (Aucheria guanacus), che si estende dal Perù alla Patagonia, ed è addomesticabile, mentre la Vigogna (A. vicunia) appartiene al Perù e alla Bolivia occidentale. I cinghiali sono sostituiti, nell'America Meridionale nella Centrale nel Messico, dai Dicotylidae: mancano nel Chile. L'America Meridionale, oggidì così scarsa di ungulati, ne era un tempo assai ricca.
Un delfino, Sotalia, abitualmente marino, risale il Rio delle Amazzoni fino alle Ande. Altri delfini, proprî delle acque dolci e affini al Platanista del Gange, dell'Indo e del Bramaputra, vivono nei grandi fiumi sud-americani; e precisamente Inia Geoffroyensis, nel Río delle Amazzoni e nei suoi principali affluenti fin quasi alle origini, nell'Orinoco e nel Maroni, e Stenodelphis Blainvillei, nel Río de la Plata (Uruguay e Paraná). Tre specie di lamantini frequentano le coste intertropicali dell'Atlantico e il Manatus australis s'inoltra nei fiumi maggiori.
Gli sdentati, non numerosi come specie, sono però abbondanti e diffusi. I Dasypodidae o armadilli, salvo che nel Chile, si trovano ovunque e si inoltrano anche nel Messico; i Bradypodidae o poltroni e i Myrmecophagidae o formichieri mancano nel versante occidentale e nell'Argentina, ma si avanzano alquanto nell'America Centrale: ad ogni modo queste tre famiglie possono dirsi essenzialmente sud-americane, e quelle dei Manidae e degli Orycteropodidae del Vecchio Mondo ne differiscono assai. Tra gli armadilli, notiamo il Dasypus sexcinctus del Brasile, il D. villosus dell'Argentina, il Lysiurus unicinctus del Brasile e delle Guiane, il Priodon gigas dei medesimi luoghi, le Tatusia, notissime per i loro parti quadrigemini con prole unicoriale, estese dal Paraguay al Messico, e i caratteristici Clamydophorus. I Bradypodidae, dai movimenti lenti e dalla vita arboricola, contano sette specie, tra cui il Bradypus tridactylus brasiliano e il Choloepus didactylus dell'Ecuador. I formichieri non contano che sei specie distribuite in tre generi, di cui Myrmecophaga e Tamandua diffusi dall'America Centrale al Paraguay, e Cycloturus, con un'unica specie (C. didactylus), diffuso dal Guatemala al Brasile settentrionale e al Perù; notevoli sono Myrmecophaga tridactyla e Tamandua tetradactyla.
Esclusivamente americani, ma presenti anche nell'America del Nord, sono i Didelphydae; mentre i Coenolestidae sono accantonati nell'Ecuador e nella Colombia. Essi rappresentano nelle Americhe i marsupiali, rispettivamente Poliprotodonti e Diprotodonti, cioè quelle due medesime serie che abitano l'Australia. Ai Didelphydae appartengono le caratteristiche sarighe, le cui dimensioni variano da quelle di un gatto a quelle di un topo, con numerose specie di Didelphys ed una acquatica di Chironectes. Ai Coenolestidae, ultimi rappresentanti di una famiglia un tempo copiosa, appartengono solo Coenolestes fuliginosus e C. obscurus, con aspetto di topi.
L' avifauna sud-americana, anche prescindendo dagli uccelli dell'America del Nord che vengono a passare l'inverno nei climi più caldi, senza nidificarvi, è molto abbondante, varia e caratteristica.
Famiglie di passeriformi esclusivamente sud-americane sono quelle dei Phytotomidae, del Perù, Bolivia, Chile e Argentina, dei Conopophagidae, prevalentemente brasiliani, dei Pteroptochidae, estesi dal Venezuela alla Patagonia seguendo le Ande, e nel Matto Grosso. Sono prevalentemente sud-americani, ma estesi anche all'America Centrale, i Coerebidae, esclusi dal Chile e dall'Argentina; i Pipridae esclusi anch'essi dal Chile e dall'Argentina; i Dendrocolaptidae; gli Oxyrhamphidae, localizzati presso Rio de Janeiro, nelle Guiane e nell'istmo di Panamá, e i Formicariidae. Appartengono a gruppi esclusivamente americani, ma diffusi anche nell'America del Nord, i Tanagridae, gli Icteridae, i Mniotiltidae, i Vireonidae, i Mimidae, i Muscicapidae Polioptilinae, i Cotingidae e i Tyrannidae. Degni di particolare menzione sono fra questi i curiosi cotingidi, Cephalopterus ornatus dell'alto Amazzoni, e Chasmorhynchus delle foreste tropicali; e fra i Corvidae, i due generi esclusivi della regione, Cyanocorax e Xanthura, dai colori assai vivaci.
I Galbulidae e i Bucconidae, esclusi dal Chile e dall'Argentina, possono dirsi famiglie sud-americane di piciformi, benché si avanzino nell'America Centrale. Agli scansori appartengono i Capitonidae, presenti anche nel Vecchio Mondo, e rappresentati nella porzione settentrionale dell'America del Sud dal genere tipico Capito, e i curiosi tucani o Rhamphastidae, proprî della regione, esclusi dal Chile e dall'Argentina, ma presenti nell'America Centrale, con circa 60 specie, fra cui il tucano gigante (Rhantphastus magnirostris). Gli Steatornithidae, esclusivamente rappresentati da una specie (Steatornis caripensis) che si estende dalle Guiane al Perù, sono coraciformi. anch'essi proprî dell'America del Sud; e così i Momotidae, che sono esclusi dall'Argentina e dal Chile, ma si avanzano fino al Messico. Ma fra tutti i coraciformi, per il gran numero delle specie e la loro estrema varietà sono notevoli i Trochilidae o uccelli mosca: essi abbondano soprattutto nel Brasile, che ne possiede quasi cinquecento specie, mentre poche specie occorrono anche nell'America Settentrionale.
I pappagalli americani appartengono tutti alla famiglia dei Psittacidae, molto diffusa anche altrove; vi notiamo il genere Androglossa, con una quarantina di specie, denominate comunemente pappagalli dell'Amazzoni.
Agli accipitriformi sud-americani appartengono il condor delle Ande (Sarcoramphus gryphus), celebre per le altezze che raggiunge, il Gypagus papa, dai brillanti colori, e l'arpia (Trasaëtus harpya), che è il più grosso e il più forte rapace conosciuto.
Nel Chile e nell'Argentina vivono sei specie di anatre, appartenenti al gruppo delle Anatidae Chenonettinae, che hanno anche una specie in Abissinia ed una in Australia; mentre delle otto specie del gruppo delle Merganettinae, sei vivono lungo il litorale occidentale dell'America del Sud, una nella Nuova Guinea ed una nella Nuova Zelanda. I Palamedeidae, esclusivamente sud-americani, sono esclusi dalla costa occidentale e dalla Patagonia, e contano tre specie: Palamedea cornuta e due Chauna.
- Gli Psophidae e i Cariamidae sono famiglie esclusive dell'America del Sud, e abitano gli uni l'Amazonia, gli altri da Capo S. Rocco al Rio de la Plata; gli Aramidae e gli Eurypygidae, pure caratteristici, si inoltrano nell'America Centrale. Di tali gruiformi, i primi contano 7 specie del genere Psophia; i secondi posseggono due specie, di cui Cariama cristata occupa tutta l'area indicata e Churiga Burmehteri è localizzata nel Tucumán e a Catamarca; delle due specie di Aramidae, una sola vive nell'America del Sud, dal Venezuela e dalle Guiane a Buenos Aires, attraverso il Brasile, mentre l'altra appartiene all'America Centrale, alle Antille e alla Florida; gli Eurypygidae hanno due specie, una, Eurypyga helias, nel Venezuela, le Guiane, la Bolivia e il Brasile settentrionale, l'altra, E. maior, nella Colombia, nell'Ecuador, e nell'America Centrale.
I Thinocorythidae formano una famiglia confinata nell'America del Sud, e precisamente lungo le Ande e nell'Argentina: fra le cinque specie che la compongono, la più estesa è Thinocorps rumicivorus, mentre T. Orbignianus e Attagis Gayi vivono nel Perù, nel Chile e nella Bolivia, A. chimborazensis nell'Ecuador, A. malonina presso lo Stretto di Magellano e alle Falkland.
Delle cinque specie di Heliornithidae, quattro sono del Vecchio Mondo, ed una vive nelle regioni settentrionali dell'America del Sud e nell'America Centrale: essa è l'Heliornis fulica. Gli Opisthocomidae sono invece esclusivamente sud-americani e proprî dei bacini dell'Amazzoni e dell'Orinoco, ove vive l'unica specie di questa famiglia, Opisthocomus hoazin. I galli sono rappresentati dalle famiglie americane, ma non esclusive dell'America del Sud, dei Cracidae e degli Odontophoridae, ricche di numerose specie, che però mancano nell'Argentina e nel Chile.
Noteremo ancora, fra gli uccelli, numerosi Tinamidae, esclusivi dell'America Meridionale e Centrale, con coda ridotta ed aspetto di pernici, fra cui Tinamus tao, Crypturus tataupa, Rhynchotus rupescens. Infine, propria ed esclusiva della parte meridionale dell'America del Sud, è la famiglia dei Rheidae o struzzi americani, con tre grosse e interessanti specie.
Notiamo il fatto curioso che degli Alaudidae, passeriformi quasi cosmopoliti, ma esclusi dall'America Meridionale, una specie vive accantonata nell'interno della Colombia entro breve area.
I grossi rettili sono rappresentati da coccodrilli delle famiglie dei Crocodilidae e degli Alligatoridae, non esclusivamente americane. I primi si ritrovano in tutte le regioni intertropicali; gli Alligatoridae, fuori che nelle Americhe, si ritrovano solo in Cina; ma proprî dell'America Meridionale sono i caimani, di cui Caiman sclerops è il più diffuso.
Le lucertole (Lacertidae), così diffuse nel Vecchio Mondo, mancano nelle Americhe, dove sono sostituite da numerosi Iguanidae e Tejidae. Questi ultimi sono esclusivi del Nuovo Mondo; ma le iguane posseggono qualche rappresentante anche al Madagascar, alle Figi e alle Tonga. Nell'Ecuador vive un tipo di Eublepharidae, il Lepidoblepharis, unica specie in tutta l'America del Sud.
Ai serpenti appartengono alcuni Crotalidae velenosi: varî Amblicephalidae del genere Leptognathus; varî Elapidi del genere americano Elaps, a cui appartengono i velenosi serpenti corallini (E. corallinus); numerosi Dipsadomorphidae; dei serpenti boa, di cui i notissimi Boa constrictor e Eunectes murinus; varî Glauconidi congeneri di quelli africani. Gli Ilysiidae, che posseggono varie specie a Ceylon, nell'Indocina e nella Malesia, sono rappresentati in America, e precisamente nella zona equatoriale, da Ilysia scitale.
I Chelydidae, testuggini che vivono esclusivamente in Australia, nella Nuova Guinea e nell'America del Sud, sono qui rappresentati da cinque dei nove generi conosciuti: una delle specie più note è Chelys fimbriata, delle Guiane e del Brasile settentrionale. Dei tre generi di Pelomedusidae, uno (Podocnemys) può considerarsi come caratteristico dell'America del Sud, benché una sua specie viva nel Madagascar. I Cynosternidae e i Chelyaridae sono esclusivamente americani e prevalgono nell'America del Nord, raggiungendo solo la parte settentrionale dell'America del Sud: i secondi anzi sono quivi accantonati nell'Ecuador.
Riguardo ai Batraci, si nota nell'America del Sud il predominio degli anuri arciferi, mentre gli urodeli vi sono appena rappresentati. Gli Anfibî apodi, raggiungono quivi il limite più meridionale, vivendo ovunque salvo che nel Chile e nella Patagonia: citiamo i generi Caecilia e Gymnophis, prettamente americani.
Le poche specie di Anfibî urodeli (non più di cinque) appartengono ai Plethodontidae, assai diffusi nell'America Settentrionale e Centrale e rappresentati nel Mondo Antico dallo Spelerpes fuscus, che abita l'Italia settentrionale, la Sardegna e la Francia meridionale: nell'America Meridionale vivono nella Colombia (Spelerpes) e presso Buenos Aires (Plethodon). Tra gli anuri, segnaliamo: i Pipidae, presenti anche in Africa, col genere Pipa, rappresentato dalla sola Pipa americana, così caratteristica per i rapporti con la prole, e diffusa nelle Guiane e nel Brasile settentrionale; gli Hemiphractidae, esclusivi della zona equatoriale dell'America del Sud, coi tre generi Hemiphractus, diffuso dalla Colombia al Pará, Ceratohyla, dell'Ecuador e Amphodus, accantonato nei dintorni di Bahia; i Cystignathidae, presenti, oltre che nelle Americhe, anche nell'Australia e nella Nuova Zelanda, a cui appartengono la grossa Ceratophrys cornuta del Brasile e gli Pseudis, i cui girini sono più grossi dell'adulto; i Dendrophryniscidae, esclusivamente sud-americani, accantonati nel Perù e presso Rio de Janeiro e rappresentati, rispettivamente, da tre specie di Batrachophrynus e da una di Dendrophryniscus; i Dendrobatidae, rappresentati anche in Africa e nel Madagascar, col genere sud-americano Dendrobates della zona equatoriale. Le vere rane (Ranidae) nell'America del Sud occupano un'area che va dal Venezuela al Perù.
In nessuna parte del mondo vi è abbondanza di pesci d'acqua dolce come nella zona intertropieale dell'America Meridionale ove anche i laghetti, che nella stagione calda si prosciugano, albergano miriadi di individui, destinati spesso a morire per mancanza d'acqua. Nel Brasile, come in Africa e in Australia, vivono i Dipnoi, con l'unico e caratteristico rappresentante americano Lepidosiren paradoxa. Fra i teleostei d'acqua dolce, menzioneremo varie specie di Gobiidae; alcuni Pleuronectidae; numerosi Cichlidae; varî Sciaenidae; due generi brasiliani di Nandidae; varî Serranidae chileni e patagoni; numerose specie di Cyprinodontidae; i Galaxiidae, limitati al Chile, alla Patagonia e alle Falkland, e presenti altrove nel Sud-Africa, nell'Australia Meridionale e nella Nuova Zelanda; l'Haplochiton, dell'estremità meridionale del continente e delle Falkland, che rappresenta gli Haplochitonidae, di cui l'altro genere, Prototroctes, vive nell'Australia e nella Nuova Zelanda; alcune specie di Symbranchidae, numerose di Siluridae, di Characinidae; i Loricariidae, esclusivi dell'America del Sud, con circa 200 specie; i Gymnotidae, esclusivi dell'America Meridionale e Centrale, fra cui il notissimo Gymnoius electricus del Brasile e della Guiana; qualche clupeide; qualche osteoglosside, fra cui l'Aparaima gigas, che spesso supera i tre metri di lunghezza e che ha i suoi affini in Africa, a Borneo, Sumatra e in Australia. Nei grandi fiumi sud-americani vivono anche delle sorta di razze di piccola mole del genere Trygon.
Gli insetti sud-americani sono notevoli per la loro grande mole, per la singolarità della forma, per la ricchezza dei colori. Fra i coleotteri, si possono citare il gigante fra i longicorni (Macropus longimanus), le cetonie dei generi Inca e Dynastes, che comprendono i più grandi insetti (Dynastes hercules raggiunge nel maschio la lunghezza di 15 cm.), varî grandi Buprestidae, degli interessanti Elateridae, fra cui il fosforescente Pyrophorus noctilucus, i curculionidi del genere Rhynchophorus, di grandi dimensioni. Fra i rincoti, citeremo la Lanternaia del Surinam (Fulgora lanternaria); fra i lepidotteri, varî rappresentanti delle famiglie americane dei Brassohdae, degli Heliconidae e degli Euselasiidae, dei Lemoniidae.
Esclusivi del Brasile meridionale e dell'Argentina settentrionale, sono i gamberi della famiglia degli Aegleidae, mentre i Parastacidae si trovano nei medesimi luoghi, oltre che nel Madagascar, nell'Australia, nella Nuova Guinea e nella Nuova Zelanda. Mancano i veri gamberi (Potamobiidae) dell'emisfero settentrionale. Anche i granchi fluviali appartengono a gruppi esclusivi dell'America Meridionale e Centrale, come i Potamonidae Pseudothelphu sinae e Trichodactylinae.
Varie specie di Peripatidi, dei generi Peripatus, Oroperipatus e Opistoperipatus (quest'ultimo comune col Sud-Africa), vivono lungo le coste, rispettivamente dell'Atlantico intertropicale, del Pacifico intertropicale e del Chile.
Non mancano famiglie di molluschi terrestri o fluviali prettamente americane, come quelle degli Orthalicidae, degli Urocoptidae e dei Proserpinidae, che posseggono varie specie nella parte settentrionale dell'America del Sud, nell'America Centrale, ed anche più a nord. I bacini dell'Orinoco, del Rio delle Amazzoni, del Río della Plata posseggono degli Aetheridae, che sono presenti anche nell'Africa equatoriale. Scarseggiano le comuni chiocciole (Helicidae); mancano le vere limacee, ma abbondano i Vaginulidi.
È senza dubhio interessante rilevare la differenza della fauna che occupa la parte settentrionale dell'America del Sud, a est delle Ande, da quella che occupa l'area ad ovest di essa, e particolarmente la dissomiglianza della fauna chilena e della patagonica da quella brasiliana.
Colonizzazione. - Le regioni che esercitarono subito una grande attrattiva sui conquistadores furono quelle degli altipiani andini, ricche di metalli preziosi, la cui ricerca può dirsi sia stato il primo movente della colonizzazione europea. Sugli altipiani della Colombia, dell'Ecuador, del Perù e della Bolivia gli Spagnoli non dovettero far altro che proseguire, senza fatica, lo sfruttamento delle miniere d'oro e d'argento che gl'indigeni praticavano da lunghissimo tempo. Altrove, invece, si dové cominciare col procedere all'esplorazione mineraria, lentamente e a caso, e soltanto dall'inizio del sec. XVIII lo sfruttamento diede risultati notevoli, danneggiando talvolta, peraltro, la produzione agricola, che perdeva braccia e capitali.
Benché nei primi centri di colonizzazione sorgessero numerose città, essendo esse tutte lontane dal mare, col quale inoltre potevano comunicare solo difficilmente, gli Spagnoli ne fondarono delle nuove sul percorso delle strade che li mettevano per l'appunto in comunicazione col mare e quindi con la madre patria.
Lo sfruttamento dell'oro è stato sempre meno organizzato di quello dell'argento, il quale, insieme con quello del rame e dello stagno, a Potosí e a Cerro de Pasco permette tuttora l'esistenza di centri permanenti di colonizzazione, che smaltiscono parte della produzione delle plaghe agricole e pastorali circonvicine. Anche le colture tropicali attrassero ben presto la colonizzazione europea, soprattutto quella della canna da zucchero, e, un po' più tardi, quelle del cotone, dell'indaco, del cacao e del caffè. Le regioni che per le prime ricevettero una colonizzazione agricola furono il Brasile di NE., la Guiana e le parti più basse della Colombia, dell'Ecuador e del Venezuela.
Tutti questi centri di colonizzazione, mineraria o agricola, erano dispersi nell'immensità del continente. Di conseguenza, ben presto questo fu attraversato da un capo all'altro e, nelle sue grandi linee, fu subito ben conosciuto. Aiutarono meravigliosamente questa penetrazione le grandi arterie fluviali navigabili dell'Amazzoni, dell'Orinoco, del Paraná, del Paraguay, del Magdalena. Poiché, però, era assai difficile penetrare dal bacino di questi fiumi sugli altipiani andini, a causa delle fittissime, inestricabili foreste che ricoprivano e ricoprono tuttora i fianchi orientali delle Ande, si cercarono vie più agevoli: così a N. si utilizzarono le strade indigene che univano Quito e Lima a Popayán e al Magdalena; a S., nel sec. XVI, dal Perù si comunicava con l'Europa attraverso i piani del Chaco, il Paraná e il Paraguay, e, più tardi, attraverso i piani dell'Argentina settentrionale per Tucumán e Salta. Sulle strade più frequentate sorsero dei centri abitati notevoli, la cui esistenza dipendeva essenzialmente dal traffico. Tali erano per l'appunto Córdoba, Tucumán, Salta, Santa Fé.
Le condizioni politiche ebbero, per un certo tempo, un'influenza assai forte sullo stabilirsi di queste vie del traffico. Così, ad esempio, a lungo non si poté usufruire del Paraguay quale via di penetrazione nel Matto Grosso, portoghese, perché le foci di quel fiume erano in mano degli Spagnoli.
Il traffico fluviale era fatto con imbarcazioni a vela anche di notevole tonnellaggio (fino a 200 tonn.); era regolato dal regime dei venti, e diveniva più intenso nei periodi di piena, perché allora si rendeva più facile il passaggio dei tratti malagevoli. Nei punti più difficili o addirittura insuperabili erano sorti dei piccoli centri che fornivano la mano d'opera necessaria per trasbordare le merci o per superare le rapide.
Il traffico terrestre veniva compiuto, e in alcune regioni si compie tuttora, mediante carri o bestie da soma: il primo sistema nelle zone pianeggianti (nelle Pampas, nel Chaco, in alcune parti dell'altipiano del Brasile), il secondo nelle zone montuose o coperte da foreste. Sono ben noti i pesanti carri argentini, dalle ruote grandissime, tirati da sei buoi, che si univano in convogli perfino di cinquanta carri, guidati da carreros sotto gli ordini di un capataz. Questi convogli, di solito, compivano durante l'anno un viaggio di andata e uno di ritorno, da Buenos Aires alle provincie settentrionali dell'Argentina.
Il traffico con le bestie da soma, più lento e più costoso, formava e forma ancora oggi la principale risorsa di alcune regioni. Gli animali più comunemente impiegati sono il mulo, il lama e l'asino.
Oltre le regioni minerarie e agricole, alla colonizzazione del continente sud-americano, sebbene in misura senza confronto inferiore, contribuirono pure le regioni forestali. Basti ricordare lo sfruttamento del maté, nel Paraguay e nel Brasile meridionale; la raccolta della china-china, esercitata dai cascarilleros, che fu per lungo tempo la principale risorsa della Bolivia; la raccolta del caucciù, che in alcune parti del Brasile ha fatto sorgere anche dei villaggi permanenti; l'esportazione dei legni tintorî e preziosi.
Fin dai primi tempi della conquista si ebbe anche la colonizzazione pastorale, che andò estendendosi dappertutto, fuorché nelle zone forestali. L'allevamento del bestiame fu subito fiorente nel Brasile di NE., nel Matto Grosso, nelle Pampas: in regioni, dunque, che hanno condizioni fisiche notevolmente differenti, alle quali l'allevamento stesso si è dovuto adattare. In alcune zone, come nelle Pampas, le condizioni naturali sono tali che il bestiame non ha bisogno quasi di alcuna cura da parte dell'uomo. Il gaucho si limita a impedirne la dispersione e a radunarlo quando occorra catturarne una parte. Altrove, invece, nelle zone secche soprattutto, l'uomo è costretto a una più attiva sorveglianza, facendo sorgere le estancias là dove sia possibile trovare un pascolo durante la stagione secca e provvedersi facilmente di acqua per abbeverare le bestie. La transumanza è stata sempre limitata ad alcune zone (Ande meridionali, Argentina settentrionale, Perù costiero, llanos dell'Orinoco, bacino del basso Magdalena).
Le zone pastorali inviano il bestiame, prevalentemente bovino, verso i centri di consumazione, insieme con i prodotti di esso (pelli specialmente). Sono lunghe carovane, formate anche di varie centinaia di capi, dirette verso le città principali o verso quei luoghi ove si tengono fiere permanenti o temporanee di bestiame. Oltre al commercio dei bovini, notevolmente attivo è stato sempre quello dei muli nelle zone minerarie del Brasile e delle Ande. Le zone ad economia pastorale sono assai meno abitate di quelle ad economia mineraria o agricola; nelle prime la popolazione è molto dispersa, e vive isolata.
È noto come, subito dopo la conquista, si sia stabilita verso l'America Meridionale una corrente ininterrotta di immigranti spagnoli e portoghesi che in parte rimasero puri, e in parte, soprattutto quelli stabilitisi nell'interno, si mescolarono con le genti indigene. Ben presto cominciarono ad esser numerosi pure i Negri, specialmente nelle regioni a colture tropicali e, in generale, là dove la popolazione indigena era molto rada. Quando fu abolita la schiavitù, questi Negri si dispersero, con grave danno dell'economia di alcune regioni. Molti di essi, peraltro, tornarono ai lavori abbandonati; in alcune regioni, poi, furono sostituiti da Cinesi (costa del Perù), Hindù e Giavanesi (Guiana). A cominciare dal sec. XIX, poi, s'iniziarono forti correnti immigratorie che provenivano non più soltanto dalla Spagna e dal Portogallo, bensì pure dall'Italia (Brasile meridionale, Argentina, Uruguay), dalla Germania (Brasile meridionale) e più tardi dai paesi slavi.
La nostra immigrazione ha preso grande sviluppo nella seconda metà del secolo passato: tra il 1906 e il 1909 solo nell'Argentina si recavano ogni anno oltre 30.000 Italiani, che nel 1926 furono oltre 60.000; il forte aumento si spiega con la chiusura dell'immigrazione negli Stati Uniti. Si calcola che, alla metà del 1927, risiedessero nell'America Meridionale oltre 3,7 milioni di Italiani, dei quali 1.840.000 nel Brasile, 1.797.000 nell'Argentina, 65.000 nell'Uruguay, 23.000 nel Chile, 13.000 nel Perù, 7000 nel Venezuela, 5100 nel Paraguay, 1670 nell'Ecuador, 1500 in Bolivia, 760 in Colombia. Si tenga presente, nel considerare queste cifre, che in Argentina i figli di stranieri vengono considerati come indigeni. Poiché tra il 1857 e il 1920 sono immigrati in Argentina oltre 2.300.000 Italiani, poco meno della metà della popolazione di quella repubblica è italiana o nata da Italiani.
Popolazione, lingue, religioni. - Incerta è la cifra degli abitanti che attualmente popolano l'America Meridionale, soprattutto per la difficoltà di censire le popolazioni primitive delle regioni più interne. I censimenti, poi, risalgono, per i varî stati, ad epoche diversissime: così, mentre per il Brasile, il Chile, la Colombia e il Venezuela si hanno censimenti posteriori alla guerra mondiale, l'ultimo censimento peruviano risale al 1896. Per tutti gli stati si dispone però di valutazioni ufficiali o compiute da enti privati, che dànno la popolazione delle singole unità politiche per gli ultimi anni (quasi tutte rientrano nel periodo 1924-1927). Può calcolarsi che, in cifra tonda, la popolazione attuale dell'America Meridionale sia di 76 milioni di abitanti, ciò che darebbe una densità di 4,2 ab. per kmq. Questa cifra, peraltro, come si vedrà meglio in seguito, significa ben poco, perché la popolazione è assai inegualmente distribuita. Dei 76 milioni di abitanti che l'America Meridionale ospita, quasi la metà (32 milioni) sono Bianchi, 18 milioni e mezzo Meticci, cioè nati da Bianchi e Indiani, 10 milioni e mezzo Indiani più o meno puri, e 8 milioni e mezzo Negri e Mulatti. Fuorché nel Brasile, dove si parla il portoghese, in tutti gli altri stati si parla lo spagnolo. Nel Brasile, nell'Argentina e nell'Uruguay è parlato o compreso da molti anche l'italiano. Delle lingue indigene sono ancora largamente in uso il quechúa e l'aimará tra le popolazioni degli altipiani andini, e il guaraní nel Brasile interno.
Quanto a religioni, eccettuate le colonie inglesi e olandesi, dove predomina il protestantesimo, in tutte le altre parti dell'America del Sud la popolazione - compresi gl'indiani civilizzati - segue il cattolicismo. Gl'indiani selvaggi sono tuttora animisti, ma le missioni, cattoliche o evangeliche, sparse in gran numero in tutto il continente, li vanno convertendo al cristianesimo con relativa rapidità.
In alcune grandi città s'incontrano anche ebrei, ma in piccolissimo numero.
Distribuzione della popolazione. Centri. - Dopo l'Australia, l'America del Sud è la parte del mondo meno popolata. La sua popolazione, come si è già avvertito, risulta molto inegualmente distribuita: infatti da vastissime zone che contano assai meno di 1 ab. per kmq., come la Guiana, il bassopiano dell'Amazzoni, gran parte dell'altipiano del Brasile e del Gran Chaco, la Patagonia, si passa a zone, molto ristrette peraltro, dove si hanno più di 50 ab. per kmq. (intorno a Rio de Janeiro e a Buenos Aires e tra Valparaiso, Santiago e Concepción). Nel complesso, si può dire che quasi tutta la popolazione dell'America Meridionale vive sugli altipiani andini, nella zona costiera del Venezuela, nell'Argentina settentrionale, lungo la costa e nella parte più esterna degli altipiani del Brasile.
Da quanto è stato già detto riguardo al clima e alla colonizzazione si possono facilmente comprendere le cause, di ordine fisico e di ordine storico, che hanno determinato la varia distribuzione della popolazione.
Una forte percentuale della popolazione è accentrata nelle città. Così, ad esempio, il 20% della popolazione dell'Argentina vive a Buenos Aires; il 26% di quella dell'Uruguay risiede a Montevideo; il 27% della popolazione del Chile dimora nelle dieci città con più di 25.000 ab. (valutazione 1925); il 10% della popolazione del Brasile vive nelle dieci città che, secondo il censimento del 1910, avevano più di 100.000 abitanti.
L'America Meridionale conta presentemente 25 grandi città (cioè con più di 100.000 ab.), e, tra queste, due città con più di un milione di abitanti, Buenos Aires e Rio de Janeiro:
Di esse, 10 sono capitali; 13 sono poste sul mare o su grandi fiumi navigabili. È notevole il fatto che alcune di queste grandi città si trovino situate a forti altezze: così La Paz sorge a 3630 m. s. m., Quito a 2818 m. e Bogotá a 2640 m.
Altre 22 città sud-americane hanno poi una popolazione compresa tra i 50.000 e i 100.000 ab., e altre 70 una popolazione tra i 20.000 e i 50.000 ab. Complessivamente, la popolazione delle città con più di 20.000 ab. (117) può calcolarsi di 11.800.000 ab., che costituiscono dunque il 15,5% della popolazione totale dell'America Meridionale (l'11,2% vive nelle grandi città, che hanno in totale 8.507.000 ab., l'1,8% nelle città con 50-100.000 ab., che hanno in totale 1.390.000 ab., e il 2,5% nelle città con 20.000-50.000 ab., i cui abitanti sono complessivamente 1.903.000). L'origine della maggior parte delle città sud-americane risale all'epoca coloniale; ve ne sono alcune, peraltro, sorte di recente per cause soprattutto di ordine economico (scoperta di nuovi giacimenti minerarî, sfruttamento agricolo di regioni prima coperte dalla foresta o dalla savana, necessità di nuovi sbocchi al mare, ecc.).
Le città sud-americane non hanno avuto il meraviglioso sviluppo di talune di quelle dell'America del Nord: tuttavia anche la loro popolazione di solito si è andata accrescendo assai rapidamente, come può rilevarsi dai dati della tabella precedente.
Agricoltura e allevamento. - Sebbene le sue immense ricchezze naturali, che potrebbero dare alimento a una popolazione venti o trenta volte più densa dell'odierna, siano ben lungi dall'essere completamente sfruttate, grandissima è l'importanza dell'America Meridionale nell'economia mondiale. Si calcola che del suo suolo ben 8 milioni di kmq. siano occupati da boschi e da foreste, altri 6 da steppe e da deserti e che siano posti a coltura solo 3,8 milioni di kmq. Delle piante coltivate, alcune avevano una grande diffusione già nei tempi precolombiani: così la patata, il granturco, la manioca, la batata, l'albero del cacao, il banano, il cotone, la palma del cocco. Gli Europei vi importarono, fra l'altro, il tabacco, il caffè, la canna da zucchero, il grano. Lo sfruttamento agricolo va sempre più estendendosi e perfezionandosi. Il prodotto agricolo più importante è da tempo il caffè, importato dall'Africa nel 1717, di cui il Brasile produce i 9/10 del totale mondiale (nel 1925, 874.000 tonn.; inoltre, nello stesso anno, la Colombia ne produsse 108.000 tonn.). Segue il cacao, nella produzione del quale fino a pochi anni fa occupò il primo posto l'Ecuador, ora però sorpassato dalla colonia inglese della Costa d'Oro (Africa) e dal Brasile. Il cacao è coltivato pure, su vaste superficie, nelle isole Trinidad e Tobago e nel Venezuela. Nel 1924 l'America Meridionale produsse 1.325.000 quintali di cacao (di cui 582.000 q. provenivano dal Brasile e 334.000 q. dall'Ecuador che fornisce le qualità migliori), press'a poco il 27% della produzione mondiale.
Dànno ingenti prodotti anche il riso, coltivato soprattutto nelle parti più umide del Brasile (tra Manáos e la foce dell'Amazzoni e nella zona costiera, soprattutto intorno a Bahia e tra Victoria e Rio de Janeiro), della Colombia, dell'Ecuador, della Guiana, dell'Argentina, del Perù. Nel 1924 se ne produssero, nel complesso, oltre 8,7 milioni di quintali, solo l'i% della produzione mondiale. Di essi 7,3 milioni provenivano dal Brasile. Il tabacco è coltivato anch'esso specialmente nel Brasile (stati di Rio Grande do Sul, Espirito Santo, Bahia, ecc.), poi anche in Colombia, nell'Ecuador, nel Paraguay, nell'Argentina settentrionale (produzione del 1924, 921.000 quintali, di cui 591.000 dal Brasile). La canna da zucchero dà ingenti prodotti nel Brasile (zona costiera), nell'Argentina di NO., nel Perù costiero, nella Colombia, e così pure il cotone. Grandi quantità di cereali vengono prodotte ed esportate dall'Argentina (zona delle pampas) specialmente grano, granturco ed avena. Il grano e l'avena vengono coltivati pure, su piccole superficie, nel Brasile, nel Chile, nell'Uruguay e nel Perù, e così pure il granturco, che viene prodotto altresì dalla Colombia, dal Paraguay e dal Venezuela. Un po' d'orzo si raccoglie nel Chile centrale e meridionale, nell'Argentina settentrionale e sugli altipiani del Perù. La vite è coltivata su notevoli superficie, il più delle volte da coloni italiani, nell'Argentina (provincie di Mendoza e S. Juan) e nel Chile centrale, e dà vini stimati. Banani, ananas e altre piante da frutto tropicali sono coltivate nelle zone basse a nord del tropico del Capricorno; agrumi producono il Brasile, l'Argentina, il Paraguay e l'Uruguay.
Altre coltivazioni degne di nota sono quelle del lino, per i semi (l'Argentina ne produce circa la metà del prodotto mondiale), della manioca, dell'igname e delle patate dolci (zona tropicale costiera). Da varie essenze delle grandi foreste del bacino dell'Amazzoni e dell'alto Orinoco si ricava tuttora caucciù in quantità notevoli; nella produzione di esso, fino a non molti anni fa, il Brasile teneva il primato, ma ora è stato di gran lunga sorpassato dalla penisola di Malacca, dalle Indie Olandesi e da Ceylon, dove il caucciù si ricava da piante coltivate. Le foreste dell'Ecuador e della Colombia meridionale dànno molto avorio vegetale, che si ricava dai semi di una palma e serve per fare bottoni. Sempre le foreste della zona tropicale forniscono gomme, resine, droghe e spezie svariate, come pure ingenti quantità di legni da ebanisteria, tintorî, da costruzione, ecc.
L'allevamento del bestiame, soprattutto bovino, è una delle principali risorse degli stati del Sud-America temperato, quali l'Argentina e l'Uruguay. Prima della scoperta, di animali domestici l'America Meridionale non possedeva che il lama e l'alpaca, che vivevano però soltanto sugli altipiani andini. Dall'Europa vi furono importati gli equini, i bovini, gli ovini, i caprini, i suini, cani, gatti e gallinacei d'ogni genere. L'allevamento ha preso un enorme sviluppo nei paesi pianeggianti del Plata, perché quivi il bestiame ha trovato eccellenti condizioni climatiche e di vegetazione per il suo sviluppo. Si calcola che nel 1926 la sola Argentina possedesse oltre 9,4 milioni di equini, 623 mila asini, 37 milioni di bovini, 36,2 milioni di ovini, 1,4 milioni di suini. Nello stesso anno gli equini erano 5, 1 milioni nel Brasile e più di mezzo milione nell'Uruguay; i bovini erano 34,2 milioni nel Brasile, 9,4 milioni nella Colombia, 8,4 milioni nell'Uruguay, 5,5 milioni nel Paraguay, 2,3 milioni nel Venezuela, 2 milioni nel Chile; gli ovini, 14,5 milioni nell'Uruguay, 11,3 milioni nel Perù, 7,9 milioni nel Brasile, 4,5 milioni nel Chile; i suini, 16, 1 milioni nel Brasile. Tutto questo bestiame, oltre a servire per il consumo interno dei varî paesi, dà un forte contributo all'esportazione (animali vivi, pelli, carni, grassi, lana, estratti di carne). Solo di lana nel 1925 l'Argentina ha prodotto 1.247.000 q., e 498.000 q. ne ha prodotti l'Uruguay.
La pesca è poco importante, nel complesso; è esercitata in misura notevole solo lungo le coste del Chile meridionale, dell'Argentina, dell'Uruguay e del Brasile meridionale.
Ricchezze minerarie. - Il carbone è scarso, e proviene quasi tutto dalle miniere del Chile. Ne producono piccole quantità anche il Perù, il Brasile, la Colombia e il Venezuela. Molto abbondante, invece, è il petrolio, che dispone di riserve vastissime. Zone petrolifere importanti si estendono lungo la costa del Mar Caraibico, dal Golfo del Darien al delta dell'Orinoco, e nel Perù. Le rocce che lo contengono sono, di solito, arenarie porose del Cretacico e del Terziario; molto spesso il prezioso liquido ha una pesante base asfaltica. La produzione aumenta di giorno in giorno; nel complesso, nel 1925 l'America Meridionale produsse oltre 6 milioni di tonn. metriche di petrolio, cioè il 4, 1% della produzione mondiale (Venezuela, 3 milioni di tonn.; Perù, 1,4 milioni; Argentina, 732.000 tonn.; Trinidad, 668.000 tonn.; Colombia, 150.000 tonnellate).
Di ferro se ne estrae finora pochissimo; ma specialmente il Brasile, il Chile e il Venezuela posseggono vaste riserve di questo metallo. Il manganese si è trovato nel Brasile (ricchi giacimenti nel Minas Geraes), nel Chile settentrionale, nell'Argentina, nell'Ecuador e nel Perù. Nel distretto di Bomfim, a NO. di Bahia (Brasile), si estrae in buona quantità la cromite, minerale di cromo. Nell'Argentina, nel Perù e soprattutto nella Bolivia si estraggono in quantità notevoli alcuni minerali (wolframite e scheelite) contenenti tungsteno. Per il vanadio il Perù occupa il primo posto nella produzione mondiale; sono celebri le miniere di Minasragra, da cui qualche anno si è estratto il 70% della produzione mondiale di vanadio. Nel Perù, nel Chile e nella Bolivia si trova pure un po' di molibdeno. Il rame si trova in grande quantità nel Perù, nella Bolivia e soprattutto nel Chile, il quale, anzi, dopo gli Stati Uniti, ne possiede le più vaste riserve del mondo. Le miniere principali si trovano nel Chile centrale e settentrionale (Arica, Collahuasi, Chuquicamata, Copiapó, Ovalle, Putaendo, Braden). Di anno in anno la produzione chilena progredisce grandemente: dalle 115.000 tonn. di minerale prodotte nel 1918, si è giunti, nel 1924, alle 189.600 tonnellate. Anche le miniere del Perù (Cerro de Pasco, Morococha, Casapalca) dànno prodotti notevoli (38.500 tonn. nel 1924).
La Colombia è, presentemente, il primo stato del mondo per la produzione del platino (466 kg. nel 1913, 1928 kg. nel 1925), che viene estratto nel Chocó. Oro ed argento si trovano in quantità notevolissime in quasi tutti gli stati sud-americani. Il primo specialmente nella Colombia (valli del Cauca e del Magdalena), nel Brasile (Minas Geraes), nella Guiana Francese e nel Perù (alto bacino dell'Inambari). Per l'argento un tempo il Perù e la Bolivia stavano ai primissimi posti nella produzione mondiale, ma alcuni giacimenti sono stati esauriti. Tuttavia la produzione è ancora assai forte (410.000 kg. di argento, nel 1922, il Perù, e 199.000 kg. la Bolivia). Le più celebri e ricche miniere del Perù sono quelle di Cerro de Pasco, Morococha, Hualgayoc e Huarochiri; della Bolivia, quelle di Potosi, Oruro e Pulucayo. Notevoli quantità di argento producono anche il Chile (Talta, Cachinal), la Colombia, l'Ecuador, l'Argentina, il Brasile, l'Uruguay e il Venezuela.
Fra le pietre preziose, troviamo nell'America Meridionale sopra tutto diamanti (Brasile, Stato di Matto Grosso, Minas Geraes e Bahia), smeraldi (Colombia, dipartimento di Boyacȧ: al primo posto nella produzione mondiale), ametiste e topazî (Brasile, stato di Minas Geraes).
Notevoli e frequenti sono i depositi di zolfo (Ecuador, Venezuela, Chile), ancora, però, poco sfruttati. Per i fosfati, sono assai celebri da tempo le isole Chincha e Lobos, presso la costa peruviana, in cui si trova il guano, fosfato di natura sedimentare organogena; ora, peraltro, la quantità che se ne raccoglie annualmente è piccola, perché i depositi sono stati quasi completamente esauriti nel periodo 1840-1870. Rocce fosfatiche si trovano abbondanti nelle Isole Sottovento e in alcune isolette fronteggianti la costa della Guiana Francese.
Il 99% della produzione mondiale dei nitrati proviene dal Chile, da quella zona desertica compresa, precisamente, tra 19° 30′ e 26° sud (provincie di Tacna, Tarapacá e Antofagasta). I giacimenti sono situati tra il piede occidentale delle Ande e la bassa catena costiera e distano dal mare da 25 a 160 km. circa. Nel 1925 furono estratte 2.500.000 tonn. di nitrati, e di queste 2,2 milioni vennero esportate.
La Bolivia è al secondo posto nella produzione mondiale dello stagno, i cui giacimenti sono situati a grandi altezze (3500-5000 m.). Nel 1925 ne furono estratti 33,4 milioni di kilogrammi.
Altri minerali di cui l'America del Sud produce quantità notevoli sono: il mercurio (Perù, dipartimento di Huancavelica), l'antimonio (Bolivia, dipartimento di Potosí; Perù, dipartimenti di Puno, Ancachs, Cajamarca ecc.); l'alluminio, ricavato dalla bauxite (Guiana); la grafite (Brasile, Perù, Chile); la magnesite (isola Margarita, presso la costa venezolana), la mica (Brasile, Argentina); il salgemma (Colombia, Venezuela, Argentina, Brasile); il bismuto, per il quale la Bolivia sta al secondo posto nella produzione mondiale.
Industrie. - Le industrie, nel complesso, sono ancora poco importanti, ad eccezione delle industrie minerarie e di quelle più o meno direttamente dipendenti dall'agricoltura e dall'allevamento, quali le industrie molitorie nelle plaghe cerealifere della zona temperata, o quelle delle carni, degli estratti di carne e del cuoio nelle regioni di allevamento più intensivo (a Buenos Aires, Montevideo, Fray Bentos, Colón, Salto, Pelotas, ecc.). Importante è pure, nel Brasile settentrionale, lo zuccherificio.
Fabbriche di birra, ghiaccio, candele, saponi, fiammiferi, liquori, biscotti, cioccolata, olî, calzature, sigari e sigarette si trovano in quasi tutte le città principali, ma non riescono a soddisfare la richiesta. L'industria tessile in grande è esercitata soltanto in alcuni centri del Brasile (cotonificio, lanificio e iutificio), negli stati di S. Paolo, Bahia, Pernambuco, Rio Grande do Sul e nel Distretto Federale. Grandi stabilimenti per la tessitura della lana possiede pure Montevideo.
Industrie casalinghe caratteristiche di alcune parti dell'America Meridionale sono quelle dei cappelli detti di Panamá, fabbricati con le foglie della Ipaja toquilla nell'Ecuador (Jipiiapa, Cuenca) e quella della fabbricazione dei ponchos, diffusa in tutta la regione andina.
Le industrie sud-americane fanno grandi progressi di anno in anno specialmente nel Brasile, nell'Argentina, nel Chile e nell'Uruguay. Sono grandemente favorite anche dalla ricchezza di energia idrica, che si calcola possa disporre, complessivamente, di 54 milioni di HP. Di questi, circa la metà (25 milioni di HP) spetterebbe al Brasile, che può ottenerli dalle grandi e celebri cascate di Maribondo, sul Rio Grande, di Itapura e di Avanhandava, sul Rio Tieté, di Paulo Alfonso, sul Rio S. Francisco, e soprattutto dalle cateratte chiamate Sete Quedas, formate dal Paranȧ, che si calcola possano sviluppare, con i loro 115 m. di salto, una forza di oltre 20 milioni di HP.
Anche gli altri stati possono disporre di ingenti quantità di energia idrica: oltre 4 milioni di HP la Colombia, 3 milioni il Venezuela, 3,8 milioni le Guiane, 2 milioni il Paraguay, 5 milioni l'Argentina, 2,5 milioni il Chile e altrettanti la Bolivia, 4,5 milioni il Perù, 1 milione l'Ecuador. Finora, peraltro, tutta quest'energia è pochissimo sfruttata. Ma lo sfruttamento va aumentando con grande rapidità, soprattutto in quegli stati più progrediti, dove hanno preso piede le grandi industrie moderne e dove si sono sviluppati grossi centri urbani.
Commercio. Comunicazioni. - Come è stato detto precedentemente il commercio nelle zone montuose, sugli altipiani e anche in qualche zona di pianura è fatto ancora, in gran parte, mediante bestie da soma, specialmente muli, cavalli e, nel Perù e nella Bolivia, lama. Nel bacino dell'Amazzoni, invece, il traffico è compiuto o per via fluviale, o, attraverso le foreste, mediante portatori. In alcune parti dell'Argentina, del Brasile, dell'Uruguay e del Chile si usano spesso per i trasporti grossi carri tirati da buoi o da bufali.
Le ferrovie (la prima linea, Rio de Janeiro-Queimados, fu inaugurata nel 1858) si stanno sviluppando rapidamente (2000 km. di linee nel 1870, circa 92.000 km. nel 1926), ma non si può parlare di vere reti ferroviarie che per l'Argentina (38.000 km.), il Brasile (32.000 km.), il Chile (8.641 km.) e l'Uruguay (2671 km.). Gli altri stati hanno tronchi staccati, che per lo più o risalgono dalla costa verso le regioni montuose, o collegano queste con fiumi navigabili. Alcune linee sono arditissime, come quelle che salgono dal Pacifico agli altipiani andini e che sono le più alte della terra: tali la Lima-Oroya, che raggiunge i 4769 m., l'Arequipa-Puno (4580 m.), l'Arica-La Paz (4264 m.), ecc. Importantissima è la ferrovia transandina Valparaiso-Buenos Aires, che unisce il Pacifico all'Atlantico; e ancora più importante sarà, quando verrà ultimata, la ferrovia panamericana, che dovrà unire New York a Buenos Aires con un percorso di 16.700 km.
I fiumi navigabili costituiscono una rete di circa 70.000 km., dei quali ben 60.000 spettano al solo Brasile. L'Amazzoni, il Paraná, l'Orinoco, il Magdalena sono navigati regolarmente da piroscafi fin nel cuore del continente.
Il commercio con le altre parti del mondo si fa soprattutto attraverso i porti di Buenos Aires (movimento di navi entrate ed uscite nel 1926 per 12,2 milioni di tonn.), Montevideo (9,3 milioni), Rio de Janeiro, Santos, Bahia, Pernambuco, Pará, Valparaiso, Callao. I principali prodotti esportati sono il caffè, i cereali, la lana, le pelli, i nitrati, il cacao, le carni, il legname. Si importano invece, dagli Stati Uniti e dall'Europa, soprattutto prodotti industriali.
Soltanto il Brasile (600 navi con 433.000 tonn. di stazza complessiva), l'Argentina (541 navi con 323.000 tonn.), il Chile (120 navi con 92.000 tonn.) e il Perù (74 navi con 90.000 tonn.) posseggono una marina mercantile notevole.
La navigazione aerea conta già delle linee regolari in Colombia (Barranquilla-Buenaventura, Barranquilla-Honda-Jirardot-Neiva), in Bolivia (Lochabamba-Santa Cruz) e in Argentina, Uruguay e Brasile (Buenos Aires-Montevideo-Rocha, Rio Grande-Pelotas-Porto Alegre-Florianopolis). Parecchi cavi telegrafici sottomarini congiungono l'America Meridionale con quella Settentrionale, con l'Europa e con l'Africa. A Cartagena (Colombia), a Iquitos (Perù), a Buenos Aires e a Montevideo sorgono stazioni radiotelegrafiche ultrapotenti.
L'America Meridionale è congiunta alle altre parti del mondo da molte linee regolari di navigazione, italiane, inglesi, francesi, tedesche, nord-americane, spagnole e giapponesi. Le linee italiane toccano tutti i porti più importanti dell'Atlantico fino a Buenos Aires, e quelli del Pacifico, attraverso il canale di Panamá, fino a Valparaiso.
Divisione politica. - Politicamente, l'America Meridionale comprende dieci stati indipendenti (repubbliche) e alcuni possedimenti europei, come risulta dalla tabella che segue:
Nel complesso gli stati indipendenti occupano una superficie di 17.300.000 kmq. con 75 milioni di ab., mentre i possedimenti europei raggiungono soltanto i 467.000 kmq., e i 951.000 ab. Le cifre di superficie date per i vari stati sono molto approssimative, fra l'altro perché vaste regioni sono tuttora oggetto di contestazione e i confini, spesso, mal definiti. Per questo le cifre di superficie ufficiali sono talvolta superiori a quelle più comunemente accettate.
Dei dieci stati sud-americani, due sono privi di sbocco diretto al mare, la Bolivia e il Paraguay, e uno soltanto, la Colombia, ha coste sia sul Pacifico sia sull'Atlantico. Grandi differenze si rilevano nella superficie e nella popolazione delle varie repubbliche: dal Brasile, che ha un territorio di 8,5 milioni di kmq. e una popolazione di oltre 37 milioni di ab., si scende a stati come l'Urruguay e il Paraguay, con soli 186.926 e 253.100 kmq. e 1,6 e i milione di abitanti rispettivamente.
Le tre maggiori potenze sono il Brasile, l'Argentina e il Chile, provvisti di vasto territorio e d'immense ricchezze naturali, abitati da popolazioni in gran parte bianche, che permettono governi più stabili, muniti infine di eserciti e di marine da guerra di qualche entità. Quanto alla forma di governo, tre repubbliche sono federali (Brasile, Argentina e Venezuela), le altre unitarie. Il loro ordinamento sembra somigliare, spesso, a quello degli Stati Uniti dell'America del Nord, ma tale somiglianza è più apparente che reale, date le assai diverse condizioni etniche e sociali.
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Si veda inoltre quanto riguarda l'America Meridonale nelle opere seguenti: E. Suess, La face de la Terre (traduz. dal tedesco), I, Parigi 1912, e III, Parigi 1913; J. Hann, Handbuch der Klimatologie, 3. ed., Stoccarda 1910-1911; A. F. W. Schimper, Pflanzengeographie auf physiologischer Grundlage, Jena 1898; K. Andree, Geogra;phie des W elthandels, a cura di F. Heiderich e R. Sieger. R. Ri.
vedi anche AMERICA [Antropologia, Archeologia e preistoria, Etnologia, Lingue indigene, Arte e Musica, Storia]