America Settentrionale e Centrale
Amèrica Settentrionale e Centrale. – Se si prescinde dalle vicende di ordine storico-politico e da quelle strettamente economico-finanziarie, l’America Settentrionale e Centrale di inizio secolo non sembra aver modificato i propri assetti tradizionali. Come per il passato, essa appare segnata soprattutto dalla prorompente presenza degli USA; il Canada continua a perseguire, con successo, il progetto di conservare una propria identità distinta e di consolidare la sua struttura economica, anche in contrasto con l’ingombrante vicino, come dimostra il duro contenzioso sul Passaggio a nord-ovest fra le isole artiche canadesi, in acque che il Canada considera di sua pertinenza territoriale; il Messico fronteggia da tempo una rilevante crisi di coesione socio-politica e territoriale, ma insieme manifesta capacità notevoli di crescita produttiva, attestandosi subito dopo l’Italia nella graduatoria mondiale per PIL complessivo; gli stati istmici e insulari mostrano la tendenza a maggiore stabilità politica e minore sperequazione sociale, con la conseguenza di una riduzione della turbolenza interna. In questo contesto, le durevoli conseguenze della crisi finanziaria mondiale, incubata e poi esplosa proprio negli USA nel 2007, marcano in maniera evidente il panorama dell’area. La ripresa produttiva incerta e insufficiente degli USA, il debito pubblico esorbitante (quasi il 9% del PIL nel 2010, ulteriormente cresciuto nel 2011, tanto da richiedere un ritocco del limite legale all’indebitamento dello stato), l’alto tasso di disoccupazione, la caduta del potere d’acquisto della fascia medio-bassa della popolazione, il fortissimo disavanzo della bilancia commerciale, l’aumento delle spese militari, e insieme anche la sconfitta democratica alle elezioni di mezzo termine, se non hanno intaccato realmente la potenza produttiva e finanziaria del Paese, hanno però provocato un calo di fiducia, all’interno e all’estero, ben simboleggiato dal declassamento dei titoli del debito pubblico statunitense da parte delle agenzie di valutazione finanziaria. L’economia reale degli USA (a prescindere da comparti in profonda crisi, come l’edilizia, dalla cui sopravvalutazione è partita la tempesta finanziaria) mantiene tuttavia saldamente il suo primato mondiale. Il fatto che la quota di ricchezza mondiale prodotta dagli USA sia scesa, dal 2009, sotto il 20% (dopo essere stata attorno al 25% ancora sul finire degli anni Ottanta del 20° sec.) indica solo che la quota prodotta da altri paesi, e in particolare quelli emergenti, è aumentata; più significativo è il fatto che il PIL statunitense è sempre ben più del triplo di quello giapponese, anche se da anni è alquanto inferiore a quello complessivo dell’Unione Europea. Nel loro insieme, questi tre grandi paesi producono circa il 24% della ricchezza mondiale e procedono sostanzialmente di pari passo, anche grazie alla liberalizzazione degli scambi (nell’ambito del NAFTA, North American free trade agreement), che ha accresciuto la loro integrazione economica. Seguendo una dinamica ormai di lungo periodo, uno degli elementi più evidenti di questa integrazione è rappresentato dalla mobilità della manodopera, e in particolare dall’immigrazione proveniente dal Messico e da svariati altri paesi dell’America Latina, verso gli Stati Uniti e (in misura ovviamente molto minore) il Canada. Nei soli USA e nel solo primo decennio del sec. 21° è stato calcolato l’arrivo di circa 14 milioni di nuovi immigrati legali; a questi occorre aggiungere gli immigrati clandestini, sui quali le valutazioni oscillano fra i 7 e i 20 milioni di presenti (2008), che per tre quarti provengono da altri paesi della stessa America Sttentrionale e Centrale, e in primo luogo dal Messico. La realizzazione del ‘muro’ di divisione (circa 3200 km di lunghezza) non sembra avere realmente ridotto gli ingressi clandestini via terra, mentre ha reso molto più pericoloso il passaggio e ha costretto un numero crescente di clandestini ad affidarsi a organizzazioni criminali. L’immigrazione latino-americana ha ovviamente comportato un ulteriore incremento dei parlanti spagnolo sia negli USA sia in Canada.