AMERICA (II, p. 837 e App. I, p. 108)
Geografia dell'America Settentrionale (II, p. 841). - Storia dell'esplorazione (II, p. 842): v. canada e groenlandia, in. questa App.
Popolazione (II, p. 858 e App. I, p. 108).. - Secondo le più recenti statistiche l'America Settentrionale avrebbe complessivamente circa 177.000.000 abitanti, così distribuiti tra i varî paesi:
Agricoltura e allevamento (II, p. 859). - Intorno al 1945, dell'intera superficie dell'America Settentrionale erano coltivati soltanto 175 milioni di ettari (7,3%). La proporzione è del 20% negli Stati Uniti, del 3,5% nel Messico, del 3% nel Canada. Le foreste occupano 605,6 milioni di ettari (25,6%: Canada, 33,1%; Alasca, 32,4; Stati Uniti, 26,1; Terranova e Labrador, 25,0; Messico, 14,5).
Nel 1945 la produzione nordamericana di frumento (433,6 milioni di q., dei quali 314,6 provenienti dagli Stati Uniti e 114,5 dal Canada) ha rappresentato il 34% di quella mondiale; nello stesso anno si sono prodotti 756 milioni di q. di granturco (68% del totale mondiale), dei quali ben 732 milioni provenienti dagli Stati Uniti; 282 milioni di q. di avena (42% del prodotto mondiale: Stati Uniti 223 milioni di q.); 93,6 milioni di q. d'orzo (Stati Uniti 58,1 milioni; Canada 34,3); 7,6 milioni di q. di segale. L'America Settentrionale continua ad avere il primato nella produzione del cotone, pur essendosi abbassata la percentuale rispetto alla produzione mondiale (80% fino al 1900,51% nel 1923-24, 46% nel 1945-46: 20,6 milioni di q. di fibra, dei quali 19,5 dagli Stati Uniti), per l'estendersi della coltivazione in altri paesi. Anche per la produzione del tabacco l'America Settentrionale continua ad avere il primato: 9,6 milioni di q. nel 1945 (dei quali 9 dagli Stati Uniti), che rappresentano il 33% del totale mondiale.
Sempre nel 1945, la produzione dello zucchero di canna fu di 8,3 milioni di q. (proveniente in parti uguali dagli Stati Uniti e dal Messico) e di 11,6 milioni di q. quella dello zucchero di bietola (Stati Uniti 10,8). Il Messico ha prodotto appena 16.000 q. di cacao (la coltura è in fortissimo regresso) e 533.000 q. di caffè.
Continua lo sviluppo della frutticoltura, specialmente nella California e nel Texas (Stati Uniti) e nell'Ontario e nella Columbia Britannica (Canada). Per la produzione degli agrumi gli Stati Uniti ormai sono il primo paese del mondo (36 milioni di q. di produzione annua).
Nella produzione di legname continua a tenere il primo posto nel m0ndo il Canada, che ne esporta per oltre 10 milioni di mc. all'anno. Notevole è pure l'esportazione dagli Stati Uniti (quasi 3 milioni di mc.).
Il patrimonio zootecnico dell'America Settentrionale nel 1945 era cosi costituito: 19,8 milioni di equini (dei quali 11,4 negli Stati Uniti), 102,2 di bovini (dei quali 79,8 negli Stati Uniti), 52,4 di ovini (Stati Uniti 44,2), 11,2 di caprini (Messico 6,9) e 73,5 di suini (Stati Uniti 62,3).
Il 17% del prodotto mondiale della pesca marittima nel 1942 è stato fornito dall'America Settentrionale (22 milioni di q., dei quali 13,5 provenienti dagli Stati Uniti, 5 dal Canada e 2,3 dall'Alasca).
Ricchezze minerarie (II, p. 861). - Nel 1946 l'America Settentrionale ha prodotto 242,2 milioni di t. di petrolio (62% della produzione mondiale; la percentuale è diminuita per l'intensificato sfruttamento specialmente dei giacimenti venezolani, colombiani, persiani e arabi; Stati Uniti: 234,2 milioni). Nello stesso anno l'America Settentrionale ha prodotto il 50% del carbone (553 milioni di t.), proveniente quasi tutto dagli Stati Uniti, il 56% del ferro (57,5 milioni di t.; Stati Uniti, 55,5), il 60% del rame (1,3 milioni di t., delle quali 980.000 provenienti dagli Stati Uniti e 270.000 dal Canada); la produzione del piombo fu di 812.700 t. nel 1939 (45%), oltre la metà delle quali data dagli Stati Uniti, che, come per il rame, sono i maggiori produttori mondiali; del nichelio continua invece a detenere quasi il monopolio il Canada (102.600 t. nel 1939 su un totale, per tutta l'America Settentrionale, di 103.000 t. che costituiscono il 73% della produzione mondiale). Gli ultimi dati che si posseggono sulla produzione di altri minerali sono i seguenti: argento, 4.569.000 kg. nel 1943 (65% del totale mondiale; Messico 1.900.000 kg.); oro, 179.868 kg. (24%; Canada: 113.568 kg.); vanadio, 1086 t. nel 1941, tutte fornite dagli Stati Uniti (37%); molibdeno, 26.492 t. nel 1942 (quasi la totalità della produzione mondiale; Stati Uniti: 25.828 t.); zinco, 1,2 milioni di t. nel 1943 (48%; Stati Uniti 675.000 t., Canada 277.000, Messico 207.000); mercurio, 2.557.000 kg. nel 1943 (circa la metà del prodotto mondiale; Stati Uniti 1.790.000 kg.); cadmio, 4700 t. nel 1941 (4/5 del totale mondiale; Stati Uniti, 3280 t.); antimonio, 13.697 t: nel 1942 (37%; Messico 11.130 t.); tungsteno, 5600 t. nel 1944 (16%; proviene quasi tutto dagli Stati Uniti); alluminio, 1,3 milioni di t. nel 1943 (65%; Stati Uniti 704.000, Canada 450.000).
Comunicazioni (II, p. 865 e App. I, p. 109). - Nel 1946 le ferrovie avevano uno sviluppo di 478.695 km. (dei quali 384.250 negli Stati Uniti, 67.800 nel Canada e 23.340 nel Messico); negli ultimi decennî si è verificata una contrazione (490.000 km. nel 1929), perché parecchie linee secondarie, specialmente negli Stati Uniti, sono state abbandonate e sostituite con servizî automobilistici.
Dal dicembre 1942 è aperta al traffico la strada dell'Alasca (v. alasca, in questa App.), lunga 2720 km., costruita essenzialmente per motivi strategici.
Basi navali ed aeree. - Durante la seconda Guerra mondiale, nel 1940, la Gran Bretagna ha concesso in affitto per 99 anni, agli di Stati Uniti, alcune basi navali ed aeree a Terranova (nella penisola Avalon) e nelle isole Bermude.
Geografia dell'America Centrale e delle Indie Occidentali (II, p. 866). - Popolazione (II, p. 874 e App. I, p. 108). - Intorno al 1945 l'America Centrale aveva circa 9.670.000 ab., e le Indie Occidentali avevano circa 15.000.000 ab., così distribuiti:
Agricoltura e allevamento (II, p. 876). - Mentre la coltura e la produzione del cacao può dirsi stazionaria (è sempre a uno dei primi posti nella produzione mondiale la Rep. Dominicana che ne ottenne 217.000 q. nel 1944-45, seguita a molta distanza dall'isola di Grenada), si sono notevolmente sviluppate le colture del caffè, della canna da zucchero, del tabacco e dei banani. La produzione complessiva del caffè nel 1944-45 si aggirò sui 2,6 milioni di q. (14% del totale mondiale), dei quali 688.000 furono dati dal Guatemala e 620.000 dal Salvador. Per lo zucchero di canna, Cuba continua ad essere il massimo produttore mondiale (37,3 milioni di q. nel 1945), seguita, a gran distanza, da Portorico e da S. Domingo; tutti insieme i paesi dell'America Centrale, con le Indie Occidentali nel 1945 produssero 55,1 milioni di q. di zucchero, corrispondenti al 36% del totale mondiale. Per lo stesso anno la produzione del tabacco fu di circa 700.000 q. (Cuba 322.000); la produzione media annua delle banane nel quinquennio 1934-38 fu di 13,5 milioni di q. (56% del prodotto mondiale: Giamaica 3,6 milioni di q.; Honduras 3,1; Guatemala 1,7; Cuba 1,2; Panamá 1,1, ecc.).
Molto incerti sono i dati relativi al patrimonio zootecnico, che sembra costituito, nell'insieme, da 2,7 milioni di equini (Haiti 1,i milione, dei quali 660.000 asini), 9 milioni di bovini (Cuba 3,9), 3,9 milioni di suini (S. Domingo 783.000, Cuba 669.000, ecc.). Gli ovini sono scarsi dappertutto; i caprini si trovano in numero considerevole nelle repubbliche di Haiti e S. Domingo.
Ricchezze minerarie (II, p. 876). - Unici minerali estratti in copia ragguardevole sono quelli di rame e soprattutto di cromo, che provengono da Cuba. Dei secondi, nel 1943, furono prodotte 101.000 t., che corrispondono al 14% della produzione mondiale.
Basi navali ed aeree. - Anche nelle Indie Occidentali la Gran Bretagna ml 1940 ha ceduto in affitto agli Stati Uniti, per 99 anni, alcune basi navali ed aeree: nelle Bahama (Abraham Bay, sulla costa meridionale dell'isola di Marignana), a Giamaica (Baia di Portland con Goat Island, Maypen e Port Royal), in Antigua (sulla costa settentrionale, nella zona di Parham) e in Santa Lucia (Great Islet Bay).
Geografia dell'America Meridionale (II, p. 877). - Storia dell'esplorazione (II, p. 880). - Nel 1938 J. Vellard ha esplorato alcune parti della Cordigliera Reale (Bolivia) e del Mato Grosso (Brasile), raccogliendo, fra l'altro, copioso materiale etnologico e antropologico. Una spedizione svizzera, diretta da A. Heim, nel dicembre 1939-gennaio 1940 ha esplorato per la prima volta la regione a occidente del lago Buenos Aires, nella Patagonia cilena. Nelle Ande patagoniche sono continuate le esplorazioni del p. Alberto M. De Agostini, che, fra l'altro, nel dicembre 1943 ha salito il monte S. Lorenzo. Vedi anche antartide, in questa App.
Popolazione (II, p. 898 e App. I, p. 108). - In base ai censimenti e alle valutazioni degli ultimi anni, si può ritenere che la popolazione dell'America Meridionale ammonti a circa 102.500.000 ab., così distribuiti tra i varî paesi:
Agricoltura e allevamento (II, p. 898). -Ancora una superficie minima dell'America Meridionale è valorizzata dall'agricoltura: basti dire che in parecchi paesi (e tra questi il Brasile) la percentuale di suolo coltivato è inferiore al 2%, e che i massimi sono rappresentati dall'Argentina e dal Chile, tispettivamente col 10% e con l'8%.
Nel 1946 la produzione di frumento fu di circa 70 milioni di q., dei quali 56,2 provenienti dall'Argentina che, a causa della scarsa popolazione, continua ad essere uno dei principali esportatori di frumento. Argentina e Brasile producono pure ingenti quantità di granturco (rispettivamente 78,9 e 58,7 milioni di q. quale media annua del quinquennio 1934-38). Tra gli altri cereali, tutti di importanza assai minore, si produce riso (1945: 31,8 milioni di q., dei quali 27,7 provenienti dal Brasile), orzo (10 milioni di q., dei quali 8,4 dall'Argentina) e avena (9,3 milioni di q., dei quali 8 dall'Argentina).
L'America del Sud nel 1945 ha prodotto il 68% del caffè che si raccolse in tutto il mondo (12,5 milioni di q., dei quali 8,6 dal Brasile, 3,3 dalla Colombia, 0,45 dal Venezuela). Di cacao (sempre nel 1945) si produssero 1,6 milioni di q. (Brasile, 1,1), equivalenti a circa 1/5 del prodotto mondiale; di zucchero di canna, 25,9 milioni di q. (per quasi la metà dati dal Brasile); di banane (media 1934-38), 3,5 milioni di q. (Colombia 1,6; Brasile 1,5); di cotone (1945), 4,6 milioni di q. (Brasile 3; Perù 0,7; Argentina 0,6); di semi di lino, 11 milionì di q. (poco meno di 1/3 del totale mondiale: Argentina 9,6, al primo posto fra tutti i paesi produttori); di tabacco, 1,5 milioni di q. (Brasile 1, Argentina 0,3).
Sempre maggiore importanza sta acquistando la coltura degli agrumi, specialmente nel Brasile, la cui produzione ormai è superata soltanto da quella degli Stati Uniti, e quella della vite, nell'Argentina e nel Chile.
Nonostante l'enorme superficie occupata dalle foreste (62,6% della superficie del Brasile, 50% di quella della Colombia, ecc.)., nessuno dei paesi sudamericani figura tra i grandi produttori ed esportatori di legname.
Il patrimonio zootecnico dell'America Meridionale intorno al 1945 era così costituito: 26 milioni di equini (Brasile 10,2; Argentina 8,5), 101 milioni di bovini (Brasile 41,5; Argentina 34; Colombia 12,3), 112 milioni di ovini (Argentina 53,4; Uruguay 20,3; Perù 14; Brasile 11), 15 milioni di caprini (Brasile 6,2; Argentina 2,8), 35 milioni di suini (Brasile 21,7; Argentina 8). I bovini e gli ovini sono circa1/7 di quelli esistenti su tutta la terra.
Parecchi paesi sudamericani figurano tra i maggiori produttori ed esportatori di lana: l'Argentina (al 3° posto nel mondo), l'Uruguay, il Chile, il Perù e il Brasile.
Ricchezze minerarie (II, p. 899). - Enormemente cresciuta è la produzione del petrolio, la quale, mentre nel 1925 rappresentava il 4,1% di quella mondiale, nel 1946 (64,6 miloni di t.) ne rappresentò il 16,5%. I 5/6 del prezioso idrocarburo sono dati dal Venezuela, la cui produzione è salita dai 26 milioni di t. nel 1943 ai 53,5 milioni nel 1946. Seguono la Colombia (1946:3,2 milioni di t.), l'Argentina (3), Trinidad (2,9), il Perù (1,7), ecc.
Il Brasile è ormai uno dei massimi produttori di manganese (nel 1943, 125.000 t.), e tali continuano ad essere la Bolivia per lo stagno (43.000 t. nel 1945), il Chile per il rame (nel 1943, 497.200 t.; la produzione totale dell'America del Sud fu di 541.800 t., 24% del totale mondiale) e per il molibdeno, la Guiana-Olandese e la Guiana Britannica per la bauxite, il Perù per il bismuto.
La Bolivia detiene il primato nella produzione dell'antimonio (50% del totale mondiale), e il Perù in quella del vanadio (40%). La produzione aurifera sudamericana nel 1943 fu di 43.000 kg. (6 oó del totale: Colombia 17.600 kg., Perù 6200, Chile 5400, Brasile 4950, ecc.), e quella argentifera di 830.000 kg. (12% del totale: Perù 456.000 kg., Bolivia 227.000, ecc.).
Comunicazioni (II, p. 902). - Nel 1946 la rete ferroviaria sudamericana aveva uno sviluppo di 104.390 km., dei quali all'Argentina spettava il 41% (42.800 km.), e al Brasile il 33% (35.000 km.).
Basi navali ed aeree. - Nell'America Meridionale, le basi concesse in affitto per 99 anni dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, nel 1940, sono: nell'isola di Trinidad (sul Golfo di Paria) e nella Guiana Britannica (alla foce dell'Essequibo, presso Demerara).
Variazioni nella divisione politica.- Interessano esclusivamente il Paraguay e la Bolivia, le cui superficie risultano ora rispettivamente di 404.400 e 1.085.000 kmq. (a seguito della guerra del Chaco), e l'Ecuador e il Perù, le cui superficie risultano ora di 256.000 e 1.421.900 kmq. rispettivamente (v. le voci relative in questa App.).
Bibl.: Si ricordano qui soltanto alcune delle più recenti opere geografiche generali sull'America, nelle quali si potranno poi trovare anche indicazioni bibliografiche sui singoli paesi: J. R. Smith e M. O. Phillips, North America, 2ª ediz., New York 1940; H. Hull Mc Carty, The Geographic Basis of American Economic Life, New York 1940; C. Langdon White e Edwin J. Foscue, Regional Geography of Anglo-America, New York 1943; Preston E. James, Latin America, New York 1941; R. S. Platt, Latin America. Countrysides and United Regions, New York e Londra 1942; A. Lorenzi, Natura e uomo nelle due Americhe, Udine 1947.
Storia (II, p. 934 e 945).
La distinzione delle due Americhe, anglosassone e latina, e quindi delle loro storie, ovvia e aderente a gran parte dei fatti, presenta nondimeno aporie e problemi, la cui considerazione, come la volontà di affermare l'unità della storia americana, si è fatta più intensa negli ultimi anni, sì da meritare una pur brevissima trattazione.
America anglosassone. - Le difficoltà che l'uso di questo termine solleva sono state brevemente segnalate. Ma una serie di forze - dalle condizioni ambientali e dall'influsso (d'importanza forse esagerata, ma non disconoscibile) della "frontiera" al crescente centralismo politico-amministrativo - ha agito in senso unitario, facilitando al tempo stesso la fusione dei diversi gruppi di emigrati e fortificando la coscienza nazionale. Il centralismo ebbe le sue radici nella determinazione di conservare intatta l'unità politica, ritenuta condizione indispensabile per mantenere fermi gl'ideali democratici in nome dei quali la nazione era sorta, e tanti caddero e furono commemorati a Gettysburg. Ma con la guerra civile cominciò l'impulso che portò all'enorme sviluppo della produzione economica, all'elevamento del tenore di vita fino a un livello di cui ogni Americano degli Stati Uniti è orgoglioso come di un successo conseguito dalla intera nazione. Esso, con le istituzioni democratiche, contribuisce a formare quel complesso di abitudini e idee, chiamato con non celata fierezza "the American way of life": il modo di vivere - e di concepire la vita - tipicamente americano: modo che, arricchito continuamente con i contributi degli emigrati, si è imposto loro, favorendone la fusione nel melting pot, il crogiuolo, cui gli Stati Uniti sono stati paragonati. Differenze tra i varî gruppi sono naturalmente rimaste; ma esse hanno un carattere che, con un termine più facilmente comprensibile da Europei e Italiani, potrebbe dirsi "regionale" e così potrebbero all'ingrosso qualificarsi quelle tra i varî stati o tra le "sezioni", costituite da gruppi di stati (e di cui la Nuova Inghilterra è la più saldamente formata) in cui, seguendo criterî oscillanti, viene diviso il paese specialmente con fini di rilevazione statistica. Oltre e al disopra di ogni differenza, si osserva l'unità, anzi l'uniformità nel modo di vivere e di pensare. Essa deriva in gran parte dallo stesso ideale democratico e di uguaglianza, non solo di fronte alla legge, ma alla società, di cui il singolo fa parte e alle cui norme di condotta si sottopone, spontaneamente o per assuefazione, sotto la pressione morale - assai più che giuridica o politica - la quale lo spinge a conformarsi alle regole accolte dalla maggioranza. Ed è d'altra parte questa "maniera di vivere americana" che, in quanto accettata da tutti, con eccezioni straordinariamente rare nell'interno del paese, viene considerata come ideale da proporre quale esempio all'umanità intera e da diffondere ovunque: nella qual cosa - come nella implicita condanna, o nel condiscendente compatimento, per altre forme e modi di vivere - appare un'autentica tendenza alla "missione" al proselitismo, che richiama le origini religiose delle prime colonie nordamericane.
D'altra parte, analogo processo di unificazione nazionale, pur mantenendosi le differenze etniche, linguistiche e religiose, si è svolto anche nel Canada, che ha acquistato esso pure una sua coscienza nazionale. A ciò hanno contribuito l'esempio degli Stati Uniti e il loro prestigio, con l'attrazione fortissima esercitata attraverso un confine facilissimo da varcare, non violato da più di 130 anni e sul quale non sorge fortificazione alcuna. L'imitazione degli Stati Uniti ha quindi prodotto una somiglianza, tra i due paesi, assai maggiore di quella esistente tra la Gran Bretagna ed essi. In particolar modo la diversità tra gli Stati Uniti e l'antica madrepatria è anzi cresciuta al punto da suscitare, in scrittori serî da una parte e dall'altra, il bisogno di dare e ricevere spiegazioni e "interpretazioni".
America latina. - Questa denominazione comprende l'insieme dei paesi che, negli Stati Uniti, si designano talvolta anche come "le repubbliche a sud del Rio Grande" (del Norte). Ma si devono includere in essa anche Cuba e Santo Domingo; dubbio è invece se, nell'accezione comune, essa comprenda anche Haiti, per non parlare di parte, almeno, del Canada. Dunque, l'America "latina" non coincide con quella in cui si parlano lingue "neolatine", o è religione predominante il cattolicesimo romano. Essa ne include però la maggior parte: cioè quelle regioni che, scoperte o conquistate da navigatori o soldati ai servizî delle corone di Spagna e Portogallo, furono bensì sottoposte al loro dominio e sfruttamento; ma da quei paesi ricevettero altresì scienze, lettere, leggi, arti, industrie e il Vangelo: e così, per loro tramite, tratte dalla preistoria alla storia, s'incorporarono alla civiltà occidentale e universale, e acquistarono poi coscienza di sé stesse. L'America "latina" è, dunque, l'America iberica (Hibero-América); non, però, l'America "spagnola" (Hispano-América), designazione che, non tenendo conto di numerose differenze (più cospicua quella linguistica), offende il sentimento nazionale dei Brasiliani.
Da qualche decennio, tuttavia, si è venuto diffondendo un altro termine: Indo-América: la parte cioè, del continente americano in cui vale l'elemento indigeno. Ma tale designazione - la quale tra l'altro riconosce che il dominio spagnolo e portoghese non distrusse le popolazioni indigene e favorì le unioni con i conquistatori ed emigrati - è adottata piuttosto da gruppi per i quali l'indigenismo ha significato e valore soprattutto economico-sociale: di rivendicazione dei diritti delle classi lavoratrici più umili, costituite appunto, in enorme maggioranza, da Indî e mestizos. Questo aspetto appare con maggior chiarezza ove si tenga conto dell'economia di quei paesi, la quale è tuttora, in genere, in uno stato "coloniale": essi sono cioè produttori ed esportatori di minerali, cotone, zucchero, caffè, petrolio, banane, bestiame, carni e pelli: materie prime, o derrate alimentari, poche delle quali (spesso solamente una o due) costituiscono il 70%, e anche più, delle esportazioni totali. Tali prodotti sono poi, in genere, forniti da miniere o da vastissimi possedimenti agricoli, in mano di uno scarso numero di proprietarî assenteisti o di compagnie straniere. Straniere sono, o sono state fino a poco tempo fa, le grandi compagnie per l'esercizio dei più importanti servizî pubblici; e in mano per lo più di immigrati gran parte del commercio, anche al minuto. Gli elevati profitti di queste attività economiche non hanno dunque giovato, se non in misura minima (per lo più, come salarî, tenuti in genere al più basso livello possibile) ai varî paesi; per contro, la classe dominante dei grandi proprietarî è riuscita, pur attraverso tutte le vicissitudini politiche, a conservare le proprie posizioni, e il capitale straniero è stato protetto dall'azione dei governi europei, o dagli Stati Uniti che, varie volte, per evitare interventi lesivi della "dottrina di Monroe", sono subentrati ai capitalisti o creditori non americani. Questa condizione di cose (esposta qui molto schematicamente) interpretata secondo i principî marxisti, ha provocato il risentimento verso il capitalismo: lo straniero, accusato di sfruttare economicamente i varî paesi e, specie se statunitense, di volerli asservire anche politicamente; e il nazionale, secondo la concezione della lotta di classe. I movimenti "indigenisti" hanno così contribuito a rafforzare, da un lato, il diffuso sentimento di avversione e antagonismo verso gli Stati Uniti, dall'altro, i varî nazionalismi. Conviene tener presente il complesso di cause economiche, politiche e morali, per cui le rivalità e i motivi di contrasto si sono moltiplicati, estendendosi anche al campo culturale, e favorendo il formarsi di nazionalità che sempre più vengono acquistando coscienza di sé e tendono a distinguersi, persino nella lingua, e a definirsi come peruanidad, mexicanidad, ecc.
Questo processo, col conseguente distacco dalla Spagna, non ha però potuto distruggere la fondamentale unità di cultura e far smarrire alle varie repubbliche la coscienza della comunione di origini, di tradizioni, di religione, e della solidarietà nella difesa di interessi politici, economici e culturali. Divisa in stati relativamente piccoli, gelosi l'uno dell'altro, sensibilissimi a ogni minaccia di turbamento dell'equilibrio, preoccupati dalla presenza di un potentissimo vicino di cui ricercano in genere l'amicizia e magari l'appoggio nelle contese fra loro, ma di cui temono l'ingerenza, concordi poi in tali sospetti e nella decisione di resistere a minacce esterne o a preponderanze interne; unita spiritualmente e moralmente dal cattolicismo, che si estrinseca in forme di pietà caratteristiche, da costumanze e da idee profondamente radicate nella tradizione e che si manifestano nella vita quotidiana (specie per quanto riguarda le relazioni sociali, la condizione sociale della donna, la vita di famiglia, ecc.), nonché da un'affinità di condizioni economico-sociali e di orientamenti politici, per cui anche le crisi politiche interne sembrano svolgersi secondo un ritmo comune a varî paesi (si è più d'una volta osservato un certo sincronismo, oltre a più profonde somiglianze, nei movimenti rivoluzionarî o nella formazione di dittature), l'America latina presenta uno spettacolo paragonabile in certo qual modo - e a patto di osservare le cautele indispensabili - a quello offerto dalla Grecia antica.
L'unità continentale. - Nei programmi scolastici americani, accanto alla "storia patria", che costituisce materia d'insegnamento per sé stante, e alla "storia universale", si trova la "storia d'America". L'opportunità pratica di tale insegnamento non cade qui in discussione, ma è degno di nota il fatto che esso è stato istituito, per lo più, di recente e in seguito a voti di congressi e riunioni. Vi si riflette dunque una tendenza contemporanea, che si è fatta sentire con particolare vigore durante la seconda Guerra mondiale: la volontà di affermare tale unione nel presente e di scorgerla nel passato: sia, per l'epoca precolombiana, in base a ricerche etnologiche, le quali dimostrerebbero secondo alcuni l'esistenza all'estremo Nord e all'estremo Sud del continente, di civiltà affini, con elementi comuni (come la coltura del granturco), interpretabili come resti di un'antichissima cultura unica; sia, per il periodo posteriore alla scoperta, in base al fatto che Inglesi, Francesi, Spagnoli, Portoghesi, erano pur sempre Europei; che ovunque, con la colonizzazione, sorsero società nuove, le quali dovettero affrontare problemi analoghi; che la continuità geografica si fece sentire, al punto che i cavalli sfuggiti ai conquistatori spagnoli si acclimarono nelle grandi pianure del Settentrione, dove contribuirono a modificare grandemente il modo di vivere degli indigeni; che, infine, dagli ultimi anni del sec. XVIII le relazioni si fanno più intense, gli influssi culturali più forti, e si osserva il sorgere di un modo di pensare e di sentire affine, e che tende sempre più a diventare comune.
Le prime manifestazioni di tale spirito appaiono nei numerosi scrittori che, in America, si proposero di confutare Buffon e soprattutto l'abate C. de Pauw, che impersonano, di fronte alle prime esaltazioni del Nuovo Mondo, la reazione "europeocentrica" e dipingono un'America irrimediabilmente debole e inferiore, incapace di superare l'infanzia, o piombata nella decrepitezza. Ma la discussione, ben presto, non si limitò ad aggirarsi intorno agli indigeni, di cui s'era tanto trattato fin dai primi tempi dopo la scoperta: ai detrattori dell'America, i quali accennano a una degenerazione, o imbarbarimento, del Bianco in America (per lo meno in certe regioni), Th. Jefferson, nelle Notes on Virginia, replica rivendicando la cultura e la civiltà del Nuovo Continente. Così aveva fatto, più di un secolo prima, Diego de León Pinelo, nel Perù; così nello stesso Settecento, il padre Feijóo esalta i nobili ingegni americani e J.J. de Eguiara y Eguren si propone di rendere noti al mondo gli scrittori del suo Messico. Ma è negli Stati Uniti dove, con il Jefferson, con Th. Paine, con John Adams si giunge all'esaltazione dell'America, come la terra della libertà e della uguaglianza, da cui sono escluse le odiose differenze e ingiustizie sociali e politiche. L'America diventa così il paese "giovine", non in quanto immaturo (e destinato forse a non svilupparsi giammai o, al più, con immenso ritardo), bensì in quanto dotato di una forza rigogliosa e proteso verso l'avvenire, che gli appartiene. Così del resto, in un momento di sfiducia per la "decadenza" dell'Europa, aveva parlato della trasmigrazione della civiltà in America, l'abate F. Galiani.
Queste idee si fecero strada anche nell'America latina. Possiamo soltanto accennare all'influsso che la conquista dell'indipendenza da parte degli Stati Uniti esercitò sulle colonie spagnole, le quali sul loro esempio dopo qualche esitazione, si ordinarono a repubbliche, adottando altresì la forma "presidenziale" e varî principî della costituzione statunitense rimasti, pur attraverso le numerose modificazioni, patrimono comune del diritto pubblico interno degli stati americani. Messico, Brasile, Venezuela, in certa misura l'Argentina e per qualche tempo la Colombia, adottarono anzi un regime federale.
L'eco di entusiasmo e di plauso suscitata negli Stati Uniti dall'emancipazione delle colonie spagnole (rafforzati forse da sentimento di avversione alla Spagna, ereditato dalla tradizione inglese) si ripercosse tra le repubbliche al Sud del Rio Grande, dove la celebre dichiarazione, che va sotto il nome di "dottrina di Monroe", rafforzò il sentimento della solidarietà d'interessi e dell'unione ideale tra le libere e pacifiche democrazie dell'America, in contrasto con l'azione degli stati europei ispirata (come diceva già G. Washington nel suo "discorso d'addio") da "ambizione, rivalità, interesse, umore o capriccio" di monarchie dispotiche. S. Bolivar s'illuse che il suo sogno potesse realizzarsi nel Congresso di Panamá, assemblea anfizionica continentale.
Sennonché, nella famosa dottrina conviene distinguere il motivo ideale, dell'avversione ai sistemi politici europei di allora, insieme con la coscienza della maturità civile e politica del continente americano, da considerare per conseguenza come definitivamente sottratto a tentativi di colonizzazione europea (gli Stati Uniti pensavano alla Russia, mirante alla California), dai fini e dalla motivazione d'ordine più strettamente politico e giuridico. In stretto diritto, la dottrina di Monroe poteva essere invocata dagli Stati Uniti soltanto in nome di un interesse fondamentale proprio, quale era quello della loro difesa. La quale esigeva, sì, la conservazione dell'equilibrio (donde la conseguenza della non trasferibilità dei possedimenti coloniali da una potenza europea ad altra), ma non rendeva necessaria, anzi sconsigliava, una politica attiva e intraprendente nell'America del Sud, a una distanza enorme, allora, specie per le scarse forze degli stati Uniti. Solo la spedizione francese nel Messico commosse alquanto l'opinione pubblica degli Stati Uniti: ma il procedimento proposto da W. H. S. Seward, che gli Stati Uniti garantissero cioè e si assumessero il debito pubblico del Messico in modo da evitare interferenze europee, solo 50 anni dopo sarebbe divenuto norma della politica statunitense. D'altro canto, anche le simpatie dell'America latina per la causa messicana rimasero platoniche, così come gli Stati Uniti (ma anche altre repubbliche vicine) non intervennero in favore del Perù e del Chile nel 1866: sia che dubitassero che la Spagna mirasse davvero a una riconquista, sia che, contando sulle distanze, si sentissero comunque al sicuro. E d'altra parte i paesi sudamericani guardavano di nuovo all'Europa: all'Inghilterra, che aveva dato prove di amicizia, stabiliva linee di navigazione, acquistava prodotti e investiva capitali; alla Francia, con cui pure era attivo il commercio e dalla quale veniva la moda del vestire, dell'arredamento, della letteratura, dell'arte, della filosofia e della scienza divulgative.
Due fatti specialmente contribuirono a modificare quella situazione: i progetti, quindi l'apertura, di un canale tra l'Atlantico e il Pacifico, e l'affermarsi della Germania come grande potenza marittima. Il primo spinge gli Stati Uniti sulla via dell'"azione preventiva": essi, per sottrarsi a situazioni imbarazzanti, devono agire in modo da evitare l'intervento europeo, o il formarsi di una situazione che lo provochi. Onde il cosiddetto "corollario di Roosevelt" (Teodoro) alla Dottrina di Monroe e la necessità per gli Stati Uniti di trovare e garantire una soluzione soddisfacente col sostituirsi ai creditori europei nelle repubbliche dell'America centrale e del mar Caribico. Ma l'esigenza di tener lontane da esse le potenze dell'Europa era, in primo luogo, di carattere strategico: si trattava di assicurare, contro ogni possibile minaccia, il libero passaggio della flotta americana per il Canalè, così come di porre questo sotto il proprio controllo.
Dall'altro lato, l'indebolimento relativo della potenza marittima inglese di fronte al sorgere di quella tedesca, toglieva agli Stati Uniti, ma anche alle altre repubbliche, la miglior garanzia effettiva contro interventi europei, di cui avessero fino allora goduto: la flotta britannica, dominatrice dei mari, al servizio di una politica di equilibrio.
Inoltre, la nuova posizione, tra di garanti e di protettori, assunta dagli Stati Uniti di fronte alle altre repubbliche, implicava la necessità di rimettere ordine nelle finanze e nell'amministrazione di queste, di assicurare in esse la stabilità dei governi, di proteggere i firmatarî degli accordi e se stessi (e i cittadini americani che investivano il proprio denaro) contro colpi di mano rivoluzionarî. Già le stesse premesse ideologiche della dottrina di Monroe presuppongono logicamente la solidarietà degli Stati americani per il mantenimento delle istituzioni democratiche in tutti e in ciascuno. Le frequenti rivoluzioni e il sorgere di dittature avevano aggravato il problema che, posto già alla conferenza di Città del Messico del 1896, pareva trovasse soluzione nell'accoglimento della "dottrina di Tobar" (C. Tobar y Borgoño, 1884-1923, ministro degli Esteri dell'Ecuador), secondo la quale uno stato ha il diritto di giudicare della legittimità del governo d'un altro stato, secondo il diritto costituzionale di questo, e accordargli o no il proprio riconoscimento. Così, in perfetta buona fede, il democratico W. Wilson, per salvare la democrazia opponendosi ai governi stabiliti con la forza e in contrasto con la costituzione e la volontà popolare (dichiarazione dell'11 marzo 1913), invase il Messico. Così gli Stati Uniti intervennero, per assicurare la regolarità delle elezioni a Santo Domingo, e diedero (1915) ad Haiti una nuova costituzione, redatta da F. D. Roosevelt. È il periodo noto come quello della politica del big stick - il "grosso bastone" del pedagogo - o della "diplomazia del dollaro", sottintendendosi che gli intervenuti, diretti o indiretti, armati o diplomatici, nella vita delle altre repubbliche fossero richiesti o imposti alla Casa Bianca dai finanzieri, per proteggere i loro investimenti fatti invece spesso su invito del governo, per ragioni politiche; e gl'interventi avvennero nella zona che gli Stati Uniti consideravano vitale per la propria difesa, lasciando invece tranquilli i più lontani stati dell'America Meridionale.
Con la fine della prima Guerra mondiale, si può dire incominci la "liquidazione" dell'"imperialismo yankee", che aveva sollevato nelle repubbliche latino-americane un vivo risentimento. Nel pensiero del Wilson, la Società delle Nazioni doveva essere l'estensione al mondo intero della dottrina di Monroe, o dei principî ideali che la ispiravano. Nonostante gli sforzi del Wilson per dimostrare la piena compatibilità del nuovo istituto con la loro politica tradizionale, e l'inclusione della dottrina di Monroe nel Patto, gli S. U. non aderirono alla Società delle nazioni. Ma essi, acquistato il senso della propria sicurezza, specie dopo la conferenza di Washington sul disarmo navale e sulle questioni del Pacifico e dell'Estremo Oriente, cercarono di riportare la tranquillità nell'America centrale, annunciando il graduale ritiro delle truppe (rinviato per le nuove rivoluzioni: ma ora, gli Stati Uniti intervennero nell'Honduras e nel Nicaragua non soli, ma in virtù di una specie di mandato internazionale) e avviavano trattative col Messico. Invece, le simpatie degli stati dell'America meridionale, specialmente, si rivolgevano alla Società delle nazioni, in cui ravvisavano l'istituto che avrebbe potuto proteggerli dall'"imperialismo yankee" di cui la dottrina di Monroe era, secondo essi, lo strumento principale, contro la cui inclusione nel patto protestavano.
Ma soprattutto l'azione delle repubbliche latino-americane mirò ad eliminare, nonché il diritto, la possibilità di interventi: in particolare, del cosiddetto "intervento indiretto" o "diplomatico" ammesso dalla dottrina di Tobar. Agivano in questo senso, non soltanto le sempre vive diffidenze verso gli Stati Uniti, ma quei principî dell'uguaglianza assoluta tra gli stati, tutti parimenti sovrani ("dottrina di C. Calvo"), e quello stesso sentimento di opposizione all'Europa e alla prassi politica e diplomatica degli stati europei, che aveva provocato il primo formarsi di una "coscienza americana". Onde i tentativi di arrivare a una definizione, anzi una codificazione (ai motivi illuministici tradizionali si aggiungevano quelli del positivismo,filosofia che a lungo imperò nell'America latina) del diritto internazionale pubblico americano. Tentativi che cominciarono nel 1902, furono incoraggiati dall'adesione del segretario del Fondo (Endowment) Carnegie, J. B. Scott, e, furono ripresi con rinnovata lena dopo la prima Guerra mondiale. Così si giunse ai trattati panamericani di arbitrato e di conciliazione, del 1929. Intato il Dipartimento di stato, in una serie di note identiche dirette agli stati dell'America latina, ripudiava il "corollario Roosevelt". Si preparava così a poco a poco il terreno anche per l'accettazione integrale del non intervento.
Non si può considerare dunque come una svolta brusca, nella politica degli Stati Uniti e per conseguenza nelle relazioni interamericane, l'azione, pur più consapevole, conseguente ed abile di F.D. Roosevelt. La frase del suo discorso inaugurale (4 marzo 1933, quando già le ultime truppe nordamericane avevano lasciato il Nicaragua) sulla "politica del buon vicino" (che vuol essere rispettato, perché rispetta gli obblighi proprî e la santità dei patti) riguardava tutte le nazioni del mondo. Tuttavia affrettò i preparativi per l'evacuazione di Haiti e l'abrogazione del cosiddetto "emendamento Platt" (v. cuba, App. I); e intanto propose un patto che vietasse ad ogni stato l'invio di forze azmate fuori dei proprî confini. Con esso, si tentava di far passare in seconda linea la proposta di un trattato generale di non aggressione e conciliazione tra le nazioni americane e del mondo intero, messa innanzi dal ministro degli affari esteri argentino, C. Saavedra Lamas, nel momento stesso in cui l'Argentina riprendeva a collaborare con la Società delle nazioni ottenendo un seggio nel Consiglio. Essa veniva così a contrapporsi agli Stati Uniti, per ragioni sia commerciali sia politiche e di prestigio. Queste ultime l'avevano indotta ad astenersi dal prestare una collaborazione effettiva alla politica panamericana e, desiderando affermarsi come la nazione più importante a Sud dell'Istmo, a rivaleggiare con gli Stati Uniti negli sforzi per giungere a una conciliazione nella guerra tra Bolivia e Paraguay. Gli interessi economici le facevano rivolgere gli sguardi all'Europa, attuando una politica "societaria" e assicurando in America il non-intervento assoluto. Gli Stati Uniti invece miravano a eliminare dal continente l'influenza europea, anche soltanto economica e culturale, che facilmente poteva trasformarsi in politica, e travolgerli in un conflitto: era cioè un motivo di politica isolazionistica quello che li spingeva a fomentare la concordia e la solidarietà americana, anche a costo di qualche sacrificio, purché fossero accolte da tutti gli stati del continente le disposizioni fondamentali della loro isolazionistica legge sulla neutralità. Ma, se gli Stati Uniti accettarono il non intervento assoluto (rimanendo possibile quello collettivo), l'Argentina riuscì inoltre a far ridurre a una semplice dichiarazione (ch'essa firmò e poi non ratificò) l'affermazione della solidarietà americana. Questa ribadisce l'assoluta uguaglianza giuridica e il rispetto della sovranità degli stati; l'esistenza di una comune democrazia; la procedura di consultazione, giustificata dal fatto che ogni atto che minacci la pace nel continente affetta tutte le repubbliche; la proscrizione di ogni conquista territoriale fatta con la forza (dottrina latino-americana, già accolta dagli Stati Uniti relativamente allo Estremo Oriente); la soluzione pacifica delle controversie tra stati americani; l'illegalità dell'uso della forza per la riscossione dei crediti. Il principio del non intervento poteva trovarsi in contrasto con la dottrina di Monroe, e riuscire pericoloso, qualora uno stato americano, in seguito a un cambio di governo o di regime, avesse spontaneamente (almeno nella forma) rinunciato in tutto o in parte alla propria sovranità. Intanto, mentre il trattato del 2 marzo 1936 aboliva il "protettorato" degli Stati Uniti e limitava gli altri loro diritti in Panamá, pur permettendo loro di agire in caso di emergenza (ma solo nel 1941 doveva cessare il "protettorato" nordamericano su Santo Domingo) sorgevano nuove questioni.
Gli Stati latino-americani - e tra essi l'Argentina - erano rimasti favorevoli, in genere, alla libertà di commercio. Ma la "depressione" negli Stati Uniti, la svalutazione delle principali monete, la politica economica delle "preferenze" adottata dall'Impero britannico dopo la conferenza di Ottawa, il fallimento della conferenza economica mondiale di Londra, l'adozione dei principî dell'economia programmatica, e gli sforzi per realizzare la più completa autarchia economica da parte della Germania e dell'Italia contribuirono a modificare profondamente la situazione. Il sistema dei contingentamenti e degli scambî compensati, cui l'Argentina aderì fin dal 1933, si opponeva al "commercio triangolare", considerato dal segretario di stato C. Hull garanzia per il mantenimento della pace. Ma quel sistema, adottato dai paesi totalitarî, e con particolare abilità dalla Germania, veniva esaltato dalla loro propaganda come parte integrante di un sistema di governo, proposto ad esempio. E i governanti dei paesi latino-americani, da paternalistici e semplici caudillos si sentivano invogliati a trasformarsi in "dittatori" secondo il nuovissimo modello europeo. Assistevano ai loro successi, e ricevevano missioni, da cui apprendevano a perfezionare i sistemi di polizia, a imitarne le misure e gli atteggiamenti - in specie i più demagogici - nonché i provvedimenti di carattere sociale, comunque richiesti dai tempi. Qualcuno tentò anche di adattare al proprio paese il corporativismo fascista. Altri credette che quei regimi totalitarî fossero in realtà conservatori all'antica, e profondamente cattolici. A ciò contribuirono i religiosi emigrati dalla Spagna, ché la persecuzione religiosa - come già quella del Messico - offendeva il sentimento cattolico delle popolazioni. Un'attiva propaganda, valendosi della influenza delle numerose "colonie" italiane e tedesche - soprattutto degl'immigrati di recente - tuonava contro le "demo-plutocrazie" e rinfocolava vecchi motivi di avversione. Ma ai governi latino-americani, bisognosi di nuovi prestiti e incapaci di assicurare il servizio dei vecchi, il denaro veniva dagli Stati Uniti, dispostí a sacrificare i loro contribuenti e risparmiatori (non più protetti dal big stick) a vantaggio della solidarietà continentale. E da "buoni vicini" gli Stati Uniti intensificavano anche gli aiuti di carattere scientifico-tecnico, la concessione di borse di studio e gli scambî culturali in ogni senso, nonché l'insegnamento delle lingue, il turismo e la pubblicazione di riviste e sussidî bibliografici. Un migliore apprezzamento reciproco veniva a sostituirsi, così, al disdegno insegnato da J.E. Rodò paragonando l'America latina e l'anglosassone rispettivamente ai shakespeariani Ariele e Calibano (rafforzando così la prevenzione contro il "materialismo", i modi bruschi e inurbani e la mancanza d'intelligenza rimproverati agli yankees), come all'altezzoso disinteresse mostrato per l'America latina negli S.U. Questa opera di avvicinamento culturale, favorita senza dubbio nell'America latina anche dal fatto che la stessa Europa mostrava in quegli anni di apprezzare la scienza e la letteratura, la musica e il teatro e il cinematografo dei Nordamericani, imitandoli in molti costumi, si paragonava all'azione, sempre più evidentemente ispirata da finalità politiche, del già nobilmente disinteressato Ibero-amerikanisches Institut di Berlino e di altre agenzie propagandistiche tedesche e fasciste: le quali ultime spesso con la loro goffaggine corrodevano anche le vive simpatie che gl'Italiani si erano acquistate.
Insomma, le repubbliche latino-americane si accorgevano del pericolo rappresentato dai piani di egemonia universale del nazionalsocialismo, vigilavano o frenavano la propaganda nazifascista e, quelle che ne ospitavano un numero rilevante, tenevano d'occhio gl'immigrati giapponesi. Né potevano più avere fiducia nella Società delle nazioni, da cui si ritiravano l'una dopo l'altra. Così la speranza della diplomazia dell'Asse, di poter sollevare l'intera America latina contro gli Stati Uniti e così incepparne l'azione internazionale, doveva rivelarsi illusoria, proprio in quella 8a Conferenza panamericana di Lima (dicembre 1938), che rappresenta un momento decisivo nella storia dei rapporti continentali. Se infatti, principalmente per l'opposizione dell'Argentina, vennero respinti i progetti più radicali e le formule più esplicite, che avrebbero potuto essere interpretate come una sfida ai paesi totalitarî, e s'inserirono in essa clausole che niravano a garantire ad ogni stato piena libertà e autonomia di decisioni, la "Dichiarazione di Lima" non era peraltro meno esplicita. Essa riaffermava l'unità spirituale raggiunta dai popoli americani, tra l'altro "grazie ai loro profondi sentimenti di umanità e di tolleranza e alla loro adesione assoluta ai principî del diritto internazionale" (specificando in una risoluzione complementare il non-intervento negli affari interni, l'esclusione dell'uso della forza e il rispetto e la fedele osservanza delle obbligazioni internazionali, non modificabili se non con l'accordo delle parti) "dell'uguaglianza nella sovranità tra gli stati e della libertà individuale senza pregiudizî religiosi o razziali". La consultazione reciproca venne ora resa effettiva mediante la creazione di un organo speciale - la conferenza dei ministri degli esteri delle 21 repubbliche - convocabile in qualsiasi momento e su iniziativa di uno qualsiasi di essi.
Non era passato un anno e il nuovo organo entrava in funzioni: a Panamá, il 3 ottobre 1939, veniva proclamata la "zona di neutralità" americana: a 300 miglia al largo dalle coste degli Stati Uniti e del Brasile, 100 da quelle dell'Argentina, 50 da quelle del Chile e del Perù, formando un arco per includere le isole Galápagos. Queste deliberazioni erano inspirate ancora allo stesso concetto isolazionistico della legge di neutralità degli Stati Uniti. Si voleva attuare una nuova delimitazione delle "acque territoriali" in relazione alla potenza delle armi moderne; e invitare i belligeranti ad astenersi da azioni militari che, ponendo in pericolo la navigazione tra gli stati americani e obbligandoli a reagire, potessero farli uscire dalla neutralità. Di fatto, questa e altre misure, tendevano a limitare l'azione dei sommergibili tedeschi nell'Atlantico.
Le vittorie tedesche sul continente europeo aumentarono ancora le diffidenze e i timori: si presentava finalmente, e con carattere d'urgenza il pericolo, da più di un secolo meramente ipotetico, per sventare il quale era stata proclamata la dottrina di Monroe. Con la conquista tedesca della Danimarca, della Norvegia, dell'Olanda e della Francia, l'intero continente americano poteva cadere sotto la minaccia di basi tedesche nella Groenlandia, nelle Piccole Antille e nelle Guiane; peggio ancora poi se la Gran Bretagna avesse ceduto, anche parzialmente. Perciò gli Stati Uniti corsero ai ripari: mentre si preparavano a rafforzare la flotta britannica e ad assumersi direttamente la difesa del Caribico e degli approcci del Canale di Panamá, notificarono ai governi tedesco e italiano la deliberazione del senato (18 giugno 1940), di non riconoscere trasferimenti di territorî americani da un paese a un altro. Alla fine di luglio, all'Avana, la conferenza dei ministri degli Esteri non solo ribadì in sostanza quella deliberazione, ma previde espressamente la possibilità di occupare i possedimenti europei in pericolo di essere trasferiti e di stabilirvi un'amministrazione provvisoria: insomma un mandato continentale agli Stati Uniti per l'applicazione della dottrina di Monroe: con l'esclusione però esplicita, da parte dell'Argentina e del Nicaragua, delle isole Malvine (Falkland) e del territorio di Belize (Honduras britannico) considerati come parti dei rispettivi territorî nazionali. E in base alla Convenzione dell'Avana gli S. U. procedettero a creare basi nella Groenlandia e nella Guiana olandese, nell'aprile e nel novembre 1941; ma misero a disposizione di tutti gli stati americani le basi concesse dalla Gran Bretagna nel settembre 1940 in cambio dei 50 cacciatorpediniere.
Per fomentare la cooperazione, gli Stati Uniti estesero il sistema degli "affitti e prestiti" ai varî stati americani; ne alleviarono le difficoltà economiche, acquistando le eccedenze esportabili, incoraggiando la produzione di materie prime - specie di "materiali strategici" - e prestando capitali e assistenza tecnica per opere pubbliche e sanitarie. Attività tutte suggerite evidentemente dall'interesse, come anche la intensa propaganda svolta mediante la stampa, la radio e il cinematografo; ma con non meno evidente buona volontà e spirito di cooperazione: tipica la simpatia per quei movimenti e partiti "indigenisti", quali l'Apra (v. in questa App.) nel Perù, che erano stati tra i più fieri e tenaci avversarî dell'imperialismo economico yankee". E così grande, soprattutto, era la forza dei principî di democrazia e di libertà, e il senso del pericolo per tutti qualora gl'imperialismi totalitarî e razzistici avessero trionfato, che, entro 5 giorni dall'attacco giapponese a Pearl Harbor dichiararono guerra all'"Asse", nove repubbliche latino-americane (tra cui quegli stessi paesi del Caribico che più avevano sofferto ai tempi della "diplomazia del dollaro" e degli sbarchi armati) e poco dopo, Messico, Colombia e Venezuela ruppero le relazioni diplomatiche. Nella conferenza di Rio de Janeiro (gennaio 1942 anche Perù, Uruguay, Bolivia, Paraguay, Ecuador e Brasile decisero la rottura delle relazioni; soltanto il Chile (v. in questa App.), vi si decise un anno dopo e l'Argentina (v. in questa App.) dichiarò guerra quando aderì all'"Atto di Chapultepec" (v. in questa App.), del marzo 1945. Giovarono a rafforzare la solidarietà anche i varî comitati interamericani, quali quelli per la difesa politica del continente (a Montevideo) per la difesa militare (a Washington) e altri, giuridici, economici e culturali.
Giovò altresì a eliminare malintesi l'azione dei gruppi antifascisti e di "Italia libera" i quali, specie dopo l'8 settembre 1943, portarono alla solidarietà continentale e alla guerra contro il nazifascismo l'adesione di sempre più vasti gruppi delle numerose e influenti colonie italiane, in uno sforzo di aiutare la patria nella guerra di liberazione; e che, dopo la "dichiarazione Berle" (giugno 1942) la quale escludeva, negli Stati Uniti, gli Italiani in quanto tali dalla classifica di "stranieri nemici", ottennero, allegando questo esempio, un trattamento liberale per gli Italiani, concesso generosamente dalla maggior parte dei paesi latino-americani. I quali tutti, in misura maggiore o minore, hanno manifestato le loro simpatie verso l'Italia, sia col tentare d'intervenire affinché fossero alleviate le clausole più dure del trattato di pace, sia protestando contro di esse, sia votando ripetutamente in favore dell'ammissione dell'Italia tra le Nazioni Unite, sia facilitando per quanto potevano l'invio di soccorsi e la ripresa di relazioni commerciali e diplomatiche normali.
La fine della guerra e gli avvenimenti connessi fecero rinviare la conferenza che doveva tenersi a Rio de Janeiro fin dal 1945 e si riunì invece a Petropolis nell'agosto 1947. Vi venne approvato il trattato di difesa mutua, già previsto dall'Atto di Chapultepec. Esso definisce una "zona di sicurezza dell'emisfero occidentale" la quale include il Canada, l'Alasca, le Aleutine e la Groenlandia (non l'Islanda e, a sud, le Falkland, le Orcadi meridionali e l'Antartide); prevede (a parte le deliberazioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite) le misure individuali o collettive (da decidersi dalla Conferenza dei ministri degli esteri a maggioranza di 2/3 e obbligatorie - eccetto l'uso della forza - per tutti) in caso di un attacco extracontinentale, o di minaccia a uno stato americano, nonché la consultazione, in vista del ristabilimento della pace in caso di un conflitto inter-americano. La firma dell'atto fu accompagnata da riserve dell'Argentina e del Chile, circa le Falkland, altre isole e in genere l'Antartide; del Guatemala e del Messico circa l'Honduras britannico, e degli Stati Uniti, nel senso che il trattato non implicava cambiamenti nello stato nazionale o internazionale di qualsiasi territorio dell'"emisfero occidentale". Ma l'Honduras dichiarò di considerare come definitivo il confine col Nicaragua demarcato nel 1901 e 1906. E infatti, nel nuovo clima di solidarietà, si sono risolte, in questi ultimi anni, le ultime controversie di confine (v. le voci sui singoli paesi, in questa App.).
Nella seduta finale il presidente degli Stati Uniti, H.S. Truman, sottolineò i principî basici della solidarietà americana, e invocò la cooperazione degli altri paesi nell'opera di ricostruzione, particolarmente dell'Europa. Si era notata infatti la tendenza di alcune delegazioni a discutere anche argomenti economici. La trattazione di questi venne rinviata alla Conferenza di Bogotá, che si riunì il 30 marzo 1948 e, sebbene disturbata dai disordini scoppiati in quella città (v. colombia, in questa App.), terminò con l'approvazione della "Carta dell'organizzazione degli stati americani" come organismo regionale nell'ambito delle Nazioni Unite, con principî e organi proprî (v. panamericanismo, in questa App.); di una convenzione economica, che prevede la cooperazione tecnica, finanziaria e per lo sviluppo industriale ed economico assicura un trattamento equo e non discriminatorio, col rispetto dei diritti acquisiti, ai capitali privati stranieri ed esclude l'impiego di mezzi non diplomatici ed amichevoli per la soluzione delle controversie di natura economica; di una dichiarazione che condanna l'esistenza di colonie europeee in America e auspica la cessazione pacifica del colonialismo; e di un'altra dichiarazione che, in nome dei priricipî democratici americani afferma urgente il prendere misure contro "le tattiche di egemonia totalitaria" e per impedire l'azione di "agenti al servizio del comunismo internazionale o di qualsiasi totalitarismo".
Così si è venuta costituendo, negli ultimi 20 anni, una solidarietà americana cosciente di sé. Con la rinuncia all'intervento e ad una egemonia fondata sulla minaccia, cui gli Stati Uniti sono stati condotti dall'azione della diplomazia latino-americana (lo stesso non riconoscimento da parte degli altri stati ha subìto un'interpretazione parecchio restrittiva nell'Atto di Bogotá) in nome di principî affermati da essi stessi, si è potuta creare quell'atmosfera di fiducia e rispetto reciproci, per cui anche i più deboli stati dell'America latina, hanno potuto trattare da pari a pari con "il potente vicino del Nord", che ne chiedeva l'appoggio nell'ora del pericolo. Di fronte a questo, sentito come comune, la solidarietà americana si è rivelata in complesso operante, benché sussistesse in qualche stato il timore di creare o rafforzare l'egemonia statunitense o il desiderio di sostituirsi ad essa in tutto o in parte. Esempî tipici di tale solidarietà, e dell'oblio di antiche offese e risentimenti, sono forniti dalla condotta del Messico, del Brasile, della Colombia durante tutta la seconda Guerra mondiale. Terminata questa, è naturale che, raffreddati certi entusiasmi, anzi subentrata piuttosto la delusione da parte di chi sperava in un migliore assetto del mondo intero, si sia avuta una certa reazione. Ma anche questa, chi ben guardi, è prodotta dalla coscienza americana di essere il "mondo nuovo", nel senso non più meramente geografico della recente scoperta, e magari geologico e biologico, ma spirituale: il mondo della speranza e del benessere, della libertà e della giustizia, banditore e difensore di esse per tutti i popoli della terra. Tale coscienza è però, fin dall'origine, di natura, in un certo senso, tale che diremo negativa: ispirata piuttosto dall'ansia di opporsi a quanto è con essa in contrasto (e che fino a ben avanzato il sec. XIX veniva identificato con l'Europa tradizionalista e feudale, monarchica e imperialistica), che da un chiaro programma costruttivo e dalla ferma e decisa volontà di attuarlo. Perciò i vincoli si allentano quando il pericolo si allontana; per restringersi di nuovo ogni qual volta si faccia urgente.
Un problema particolare è rappresentato dal Canada, che durante la seconda Guerra mondiale agì in stretta cooperazione, politica e militare, con gli Stati Uniti; ed ha intensificato le relazioni commerciali, e stabilito rapporti diplomatici, con gli stati americani. Si parlò pure di una sua adesione al Trattato di Petropolis, e della sua ammissione alla Unione panamericana, quindi nel sistema degli stati americani da cui, per la sua dipendenza dall'Impero britannico, era stato escluso. Si riconosce ora la sua posizione di stato sovrano (membro delle Nazioni Unite); ma tanto da parte di quel Dominion quanto da quella degli altri stati, non si è mostrata nessuna fretta di risolvere la questione del suo ingresso tra le repubbliche indipendenti dell'America.
Bibl.: Sulla formazione di una coscienza americana: Ch. A. e M. R. Beard, The Rise of American Civilization, IV: The American Spirit, New York 1942; A. Gerbi, Viejas polémicas sobre el Nuevo Mundo, 3a ed., Lima 1946 (entrambi con ricca bibl.); J. Basadre, Tienen las Américas una historia común?, in Peruanidad (Lima), agosto 1942; L.A. Sánchez, Existe América Latina?, Messico 1945; per le relazioni politiche: D. Perkins, Hands off. A History of the Monroe Doctrine, Boston 1941 (rist.); S. F. Bemis, The Latin-American Policy of the U.S., New York 1943; per gli avvenimenti correnti: Bulletin of the Pan-American Union (anche ediz. spagnola), Washington DC.; l'annuale Handbook of Latin-American Studies dell'università di California e la Revista de historia de América (Messico).