GUASTI, Amerigo
Nacque a Montespertoli in Val d'Elsa il 3 marzo 1872 da Alessandro e da Antonietta Baroncelli, in una famiglia borghese.
I genitori, per permettergli una migliore educazione scolastica, si trasferirono nella vicina Firenze; poiché il G. si dimostrava svogliato e poco incline a un curriculum regolare di studi, essi lo iscrissero a 10 anni alla R. Scuola di recitazione di Firenze, diretta da L. Rasi. L'intento non era quello di fargli intraprendere la carriera di attore, ma piuttosto di fornirlo di una sciolta dizione e di una appropriata capacità di apparire in pubblico.
Rasi svolse una funzione importante nella vita del G. che nel suo volume di memorie Dal buco del sipario (Milano 1927, prefaz. di R. Simoni) gli dedicò un capitolo: Il maestro.
Dopo un biennio circa di frequentazione della scuola e forse proprio perché i genitori volevano scongiurare la sua eccessiva propensione al palcoscenico, il G., a 12 anni, fu imbarcato come mozzo su una nave su cui viaggiò fino ai 14 anni agli ordini del comandante M. Greco, cui è intitolato il secondo capitolo del suo volume autobiografico. Al rientro si iscrisse nuovamente alla scuola del Rasi. Nel 1890, al saggio finale, G. Emanuel ebbe l'opportunità di notarlo e lo scritturò per la successiva stagione nella propria compagnia che aveva in repertorio tra l'altro Otello, Amleto e Re Lear di W. Shakespeare, La morte civile di P. Giacometti e alcune tragedie di V. Alfieri.
Le prime esperienze nel teatro si svolsero, dunque, all'insegna della drammaturgia classica e di una concezione estetica improntata al naturalismo, di cui Emanuel era uno dei principali promotori in ambito italiano; nei tre anni trascorsi con il celebre attore e capocomico il G. viaggiò molto e fu anche in Brasile e in Cile.
Proprio a Santiago del Cile ebbe uno dei primi applausi a scena aperta, durante la rappresentazione dei Due sergenti nella riduzione italiana di C. Roti; di questo come di altri episodi inerenti agli anni trascorsi con Emanuel, il G. riferisce nella già ricordata autobiografia, dove si sofferma sulle vicende interne alla vita della compagnia durante la traversata transoceanica, fornendo gustosi "cammei" dei vari componenti. La vena comica del G., dimensione privilegiata della sua carriera d'attore sebbene non l'unica, emerge anche nella scrittura, costellata di episodi divertenti, tratteggiati con fine e bonaria ironia. Ed è forse proprio la definizione di signorile bonarietà che meglio definisce il G. nelle sue molteplici attività di attore, poi di direttore e capocomico, di drammaturgo e di autore di scritti giornalistici e autobiografici.
Nel 1893, seguendo il consiglio di Emanuel che gli suggeriva di assecondare il suo temperamento, il G. si scritturò nella compagnia di E. Novelli e C. Leigheb, imperniata su di un repertorio più leggero; qui - con qualche interruzione durante le quali si legò per brevi periodi a compagini teatrali diverse - rimase per un triennio.
Una delle migliori interpretazioni del G. nella nuova compagnia fu la parte di Serafino nello Stratagemma di Serafino di M. Desvallières e A. Mars; inoltre, in questa fase mise a frutto sul palcoscenico il talento musicale che aveva sempre coltivato (suonava egregiamente la chitarra e più tardi studiò anche il violino).
Quando Leigheb lasciò la ditta con Novelli e formò una nuova compagnia con Virginia Reiter e F. Andò, portò con sé anche il G., nel ruolo di secondo brillante. Un ruolo adatto alle sue corde, come si venne ulteriormente chiarendo quando infine egli formò una propria compagnia insieme con G. Sichel, A. Falconi e F. Russo e, ancor più, quando, a partire dal 1905, fece ditta con Sichel, S. Ciarli e I. Bracci, cui si aggiunse, dall'anno seguente, la celebre comica Dina Galli. Nel 1909 Sichel lasciò, seguito, nel 1914, da Ciarli. Dal 1914 la ditta fu Guasti-Galli-Bracci, finché nel 1921 anche quest'ultimo si ritirò dalle scene.
Il sodalizio ventennale con la Galli, che aveva doti di attrice istintiva e spontanea quanto il G. era attore meditato e controllato negli effetti, proseguì sino alla morte del G. e fu centrale per la sua affermazione: in lei egli trovò la migliore interprete di quei personaggi un po' provinciali, amanti del lusso e della mondanità, di cui la coppia per due decadi fu emblema, non solo sulle scene ma anche nella società italiana. Dalla capacità di trarre il meglio dalla collaborazione con la Galli, si evince anche il notevole talento del G. come direttore, capace di dare uno specifico "tono" alle compagnie, riassumibile, stando alle testimonianze coeve, in un ritmo vertiginoso della recitazione.
Il G. era solito truccarsi pochissimo o non truccarsi affatto, caratteristica singolare in quanto riferita a un ruolo nella norma definito fino allora da un trucco molto evidenziato e da costumi piuttosto eccentrici; in ciò egli subì l'influenza sia di Novelli sia di Leigheb, quest'ultimo noto per il tratto elegante. In effetti il G. modificò il tradizionale ruolo del brillante nel senso di una maggiore moderazione nei modi, nel portamento e nel costume; il suo nome divenne sinonimo di ricercata eleganza, mai affettata, costituendo in tal senso un esempio del passaggio epocale (che il G. in parte anticipò in termini cronologici) fra l'attore-creatore ancora pienamente autonomo e quello che Meldolesi definisce l'"attore funzionale", vale a dire parte di un sistema estetico borghese, attestato su toni mediani in termini sia stilistici sia ideologici (cfr. C. Meldolesi, L'epoca delle sovvenzioni e dell'attore funzionale, in Scene e figure del teatro italiano, Reggio Emilia 1981). Di fatto la metamorfosi del ruolo promossa dal G. (ma non ascrivibile a lui solo) si orientava verso i toni patetico-sentimentali, con risvolti spesso comici, tipici di certa drammaturgia francese che all'epoca andava per la maggiore in Italia.
Il G., oltre che all'attività di attore e direttore di compagnia, si dedicò particolarmente all'ampliamento del repertorio con la lettura di nuovi copioni e curando la traduzione e l'adattamento di testi del teatro francese.
Molti i titoli che gli vengono ascritti in qualità di traduttore-adattatore, fra cui si ricordano: Il piccolo caffè e Il pollaio di T. Bernard, La pace in famiglia di G. Courteline, Il re e l'asino di Buridano di R. de Flers e G.-A. de Caillavet; fra i titoli italiani che portò al successo vanno menzionati Pupattolina di A. De Angelis, Le campane di San Lucio di G. Forzano, Scampolo e La maestrina di D. Niccodemi.
Tentativi di travalicare e di elevarsi da una drammaturgia "leggera", e adatta al facile consumo da parte di un pubblico desideroso di pura evasione, possono essere considerati sia l'ipotesi non realizzata di mettere in scena L'avventuriero di A. Capus, sia la rappresentazione di Un letto di rose di G. Adami, sia, soprattutto, de La morte degli amanti di L. Chiarelli. Quest'ultimo è infatti considerato dalla critica come uno dei primi drammi del grottesco, di cui evidentemente il G. avvertiva la vena innovativa nei contenuti pur nell'apparente contiguità delle situazioni e dei personaggi con la pochade.
Al riguardo, va sottolineato che pur ottenendo egli grande successo di pubblico nonché il sostegno di una parte della critica, molti furono coloro che si sarebbero aspettati da parte sua un maggior coraggio nelle scelte di repertorio e un più incisivo impegno sul piano sociale, visto il suo notevole talento come traduttore-adattatore, direttore e anima di compagnie di prim'ordine. Giudizio seccamente negativo sul G. espresse P. Gobetti, che nel volume La frusta teatrale (Milano 1923, p. 82) gli dedica il paragrafo Il parvenu: "Le pochades non gli sono piaciute per certe vivacità e finezze ma perché gli rappresentavano la divulgazione di un mondo internazionale, spiritoso e volgare, parigino e vuoto, ove si possono muovere e pavoneggiare i più insulsi bellimbusti del parassitismo convenzionale. In questa imitazione e volgarizzazione A. Guasti rappresentava i sentimenti e le aspirazioni caratteristiche di una categoria borghese che venti anni fa in Italia era bambina ma ora si è diffusa e affermata".
Il G., nel 1914 interprete anche dei due film L'ammiraglia e La monella, fu autore di numerosi monologhi non pubblicati e derivati sostanzialmente dall'estensione di sue "macchiette" e imitazioni in cui eccelleva; ha lasciato anche due testi drammaturgici: 120 HP (Milano 1906) e Tre atti (in Comoedia, 25 nov. 1920, n. 22).
Dal primo (prima rappresentazione a Torino, teatro Carignano, 23 ott. 1906), che si svolge nel mondo esclusivo delle corse automobilistiche, fu tratto nel 1914 l'omonimo film per la regia di O. Gherardini; nel secondo (prima rappresentazione a Roma, teatro Valle, 4 dic. 1917) si racconta un ambiente mondano animato da ambizioni letterarie. Entrambe le commedie sono costruite su toni di garbata leggerezza, con una notevole sapienza tecnica nelle "trovate" sceniche e situazioni e personaggi fortemente "tipici".
Il G. morì a Busto Arsizio il 15 marzo 1926.
Fonti e Bibl.: A. Frattini, A. G., Milano 1919; A. De Angelis, Dina Galli ed A. G.: vent'anni di vita teatrale italiana, Milano 1919; Id., A., Dina e A., A. attore, direttore e autore, in La vita comica ed eroica di Dina Galli, Milano 1938, pp. 91-111, 113-134, 161-175; L. Ridenti, Il teatro italiano ricorda i suoi attori migliori. Trent'anni dalla morte di A. G., in Dramma, XXXII (1956), 236, pp. 64-71; A. Camilleri, G. A., in Enc. dello spettacolo, VI, coll. 9 s.