Amida
(gr. ῎Αμιδα; turco Kara Amid; od. Diyarbakır)
Identificata con la stazione Ad Tygrem della Tabula Peutingeriana, A., oggi Diyarbakır, capoluogo della prov. del Diyār Bakr nella Turchia sudorientale, si trova su un altopiano basaltico (m. 660) lungo la riva destra del Tigri (che da questo punto diviene navigabile) e domina il fondovalle da un dislivello di m. 100 ca., che le assicura, verso E e S-E, una possente difesa naturale.
di A. Iacobini
A. venne fortificata da Costanzo II tra il 324 e il 327, conquistata da Shāpūr II nel 359 e ripresa da Giuliano l'Apostata nel 363. Ricaduta in mano ai Persiani con l'assedio di Kawādh del 502, ritornò bizantina due anni più tardi grazie alla tregua caldeggiata da Anastasio. Presa da Cosroe II nel 602 e liberata da Eraclio nel 628, fu definitivamente occupata dagli Arabi nel 639 e vani furono i tentativi di riconquista greca nel 9° e 10° secolo.
La città preesistente a Costanzo, che Ammiano Marcellino definisce di dimensioni modestissime (Historiae, XVIII, 9, 1), doveva coincidere, con tutta probabilità, con l'odierna area della cittadella. I lavori del 324-327 la estesero forse fino alla linea dell'attuale rettifilo N-S: in questa fase la porta meridionale - oggi murata - poteva fungere da accesso sul cardo (Gabriel, 1940). Nel 363 l'arrivo dei profughi da Nisibi, ceduta dai Romani ai Persiani, comportò l'installarsi di un vero e proprio sobborgo nella piana a O della città (Giovanni Malala, Chronographia, PG, XCVII, coll. 501-502C; Chronicon Paschale, PG, XCII, coll. 751-752B; Chronicon pseudo-dionysianum, I). Come attestano le fonti, Gioviano dispose subito di inglobare questa nuova area nella cinta urbana; ma i lavori furono condotti a termine dai suoi successori Valentiniano, Valente e Graziano tra il 367 e il 375, se si presta fede a un'iscrizione reimpiegata nella porta di Harput, che parla di "civitas [...] a fundamentis fabricata". In coincidenza con questo ampliamento, che raddoppiò la superficie di A. fino a farle raggiungere la dimensione attuale, furono certamente aperti anche gli assi viari principali, in direzione N, S, O (verso le porte di Harput, di Mardin, di Urfa), il cui tracciato non coinvolse però la metà preesistente dell'abitato con la porta sul Tigri (Yeni Kapı o Porta Nuova).
Il grandioso circuito delle mura, a struttura tripartita (murale, antemurale, fossato), si sviluppa per una lunghezza di km. 5,5 ca., includendo nell'angolo nordorientale la cittadella, e si apre all'esterno con quattro porte maggiori. Dell'antemurale rimangono tracce abbastanza chiare solo nel tratto meridionale, mentre la cinta principale, mantenuta e restaurata per tutto il periodo islamico (Amida, 1910; Gabriel, 1940), è giunta quasi nella sua interezza, a eccezione di due lacune a N e a E, la prima delle quali è il risultato di una demolizione del 1931. Tanto la cinta principale quanto l'antemurale sono realizzati in conglomerato di malta e pietrisco, con paramento esterno e interno a conci squadrati di basalto, il cui colore ha valso alla città l'appellativo turco di Kara Amid, 'A. la nera'. Le variazioni strutturali e tipologiche presenti nei diversi settori (solo in parte spiegabili come un adeguamento alla natura del terreno) inducono a escludere che i lavori siano stati condotti in un'unica campagna, come aveva ipotizzato van Berchem (1954), il quale in base a Procopio (De Aed., II, 3, 27), supponeva un'integrale ricostruzione di età giustinianea. Infatti, l'originario impianto della fine del sec. 4°, già seriamente danneggiato durante l'assedio di Kawādh (502), dovette essere totalmente rifatto nei settori nord e ovest dopo il 504, per iniziativa dell'imperatore Anastasio (Zaccaria di Mitilene, Cronaca, VII, 5; Evagrio Scolastico, Hist. Eccl., III, 37); mentre il successivo intervento giustinianeo avrebbe comportato solo sporadici consolidamenti, specie nel settore sudorientale, quello più antico, compromesso forse dal terremoto del 528 (de' Maffei, 1985; 1986).
Numerosi sono i monumenti dell'A. bizantina noti oggi esclusivamente dalle testimonianze documentarie: il ponte sul Tigri, costruito dal vescovo Giovanni tra il 479 e il 484, probabilmente nella stessa ubicazione di quello attuale, finito nel 1065; uno xenodochéion, forse del sec. 5°, presso la porta di Harput; varie chiese (Mar Ze'ora; Quaranta Martiri) e cinque monasteri esistenti nei secc. 5° e 6° (Mundell Mango, 1982; de' Maffei, 1985). L'edificio religioso di cui restano le tracce più cospicue è la chiesa della Vergine (al-'Adhra), databile in base alle sculture della zona est (l'unica superstite) entro la prima metà del 6° secolo. Secondo i rilievi di Guyer (1920), essa doveva presentare un impianto a tetraconco con profondo coro rettangolare absidato, una tipologia che rientra nel ben noto gruppo di analoghi edifici di Bosra (Ss. Sergio, Bacco e Leonzio), Ruṣāfa (chiesa episcopale), Apamea e Seleucia Pieira (c.d. martýrion), tutti collocabili tra fine 5° e prima metà del 6° secolo. In assenza di conferme di scavo resta però ipotetica la scansione dello spazio interno, per il quale la soluzione più coerente sembrerebbe comunque quella del trifoglio o quadrifoglio colonnato, documentata a Ruṣāfa e, in un contesto particolarmente simile alla chiesa di A., nel martýrion di Seleucia. Come nei casi affini, risulta invece difficile poter pensare a una copertura a cupola per il nucleo centrale (Kleinbauer, 1973). Una sorte non certo migliore ha avuto la chiesa di Mar Kosmo, rilevata e fotografata al principio del Novecento (Bell, 1910), ma oggi integralmente scomparsa (Leroy, 1968). A giudicare dalle modanature e dai capitelli del settore orientale (che trovano confronti in al-'Adhra e nella Ulu Cami di A., nonché in altri monumenti mesopotamici), l'edificio doveva risalire alla prima metà del 6° secolo. Ma restauri documentati nei secc. 13° e 17° (Mundell Mango, 1982) ne avevano già sostanzialmente alterato la struttura, tanto da rendere impossibile un'esatta ricostruzione della sua planimetria primitiva (centralizzata secondo Bell, 1910; basilicale secondo Guyer, 1912). Ma il monumento certamente più problematico, anche per l'A. cristiana, è la Ulu Cami o Grande moschea. Sorta forse sul luogo di un edificio preesistente (la grande chiesa per Guyer, 1916; un palazzo per Berliner, 1922), essa ingloba nella sua struttura, in massima parte del sec. 12°, una grande quantità di elementi scultorei e architettonici più antichi. Nella corte, il fianco nord e, soprattutto, le facciate est e ovest costituiscono dei veri e propri palinsesti di controversa lettura. Le colonne, i capitelli e gli architravi di reimpiego - datati al sec. 4° (Gabriel, 1940), ai secc. 5°-7° (Amida, 1910; Mundell Mango, 1982) e, più di recente, all'età giustinianea (de' Maffei, 1988) - risultano infatti ricomposti, assieme a pezzi islamici che a essi si ispirano, in un contesto architettonico di epoca artuqide improntato a un gusto fortemente classicistico (Rogers, 1971).
La probabile esistenza di un'ulteriore fondazione ecclesiastica paleobizantina è testimoniata, infine, dai fusti di colonna e dai capitelli erratici presso la chiesa armena (oggi in parte scomparsi), che Strzygowski (1930) ha supposto pertinenti a un battistero. Cronologicamente discusso, ma probabilmente tutto di età islamica e di destinazione profana (Mundell Mango, 1982; de' Maffei, 1985), è l'edificio a due corpi cupolati nell'angolo nordorientale della cittadella, il cui settore più antico, quello a E, era stato considerato una chiesa nestoriana (Strzygowski, 1915).La Zinciriye Medrese, presso la Ulu Cami, ospita un piccolo museo archeologico con materiale scultoreo bizantino. La chiesa di Mar Ya'kub e la Coll. Touma Huri Bachramlar conservano, rispettivamente, un tetravangelo siriaco illustrato, forse del sec. 6°-7°, e un frammento di evangeliario, sempre siriaco, ascritto al sec. 12°-13° (Leroy, 1964).
Bibliografia
Fonti:
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Procopio di Cesarea, Buildings (De Aedificiis), a cura di H.B. Dewing, G. Downey (The Loeb Classical Library, 343), London-Cambridge (MA) 1940.
Evagrio Scolastico, Historia Ecclesiastica, in PG, LXXXVI, coll. 2515-2886.
Giovanni Malala, Chronographia, in PG, XCVII, coll. 65-717.
Zaccaria di Mitilene The Syriac Chronicle know as that of Zacharias of Mytilene (Cronaca) a cura di F. Hamilton, E.W. Brooks, London 1899.
Chronicon Paschale, in PG, XCII, coll. 70-1160.
Incerti auctoris Chronicon pseudo-dionysianum vulgo dictum, a cura di J.B. Chabot, in CSCO. SS. Syri, LXVI, 1949, p. 134.
Letteratura critica:
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S. Guyer, Surp Hagop (Djinndeirmene), einer Klosterruine der Kommagene, RKw 35, 1912, pp. 483-508.
G.L. Bell, Churches and Monasteries of the Tur 'Abdin and Neighbouring Districts, ZGA 9, 1913, pp. 61-112.
C. Karalewsky, F. Tournebize, s.v. Amid, in DHGE, II, 1914, coll. 1237-1249.
J. Strzygowski, Die sasanidische Kirche und ihre Ausstattung, Monatshefte für Kunstwissenschaft 8, 1915, pp. 349-365.
S. Guyer, Amida, RKw 38, 1916, pp. 193-237.
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R. Berliner, Die Grosse Moschee von Diyārbakr, Monatshefte für Kunstwissenschaft 15, 1922, pp. 161-172.
J. Strzygowski, Les vestiges d'art chrétien primitif près de l'église arménienne de Diarbékir et leur décoration irano-nordique, in Mélanges Charles Diehl, Paris 1930, II, pp. 197-205.
A. Gabriel, Voyages archéologiques dans la Turquie orientale, Paris 1940.
D. van Berchem, Recherches sur la chronologie des enceintes de Syrie et de Mésopotamie, Syria 31, 1954, pp. 254-270.
M. Restle, s.v. Amida, in RbK, I, 1963, coll. 133-137.
J. Leroy, Les manuscrits syriaques à peintures, Paris 1964, pp. 207, 414.
Id., L'état présent des monuments chrétiens du sud-est de la Turquie (Tur 'Abdin et environs), CRAI, 1968, pp. 478-493.
J.M. Rogers, A Reinassance of Classical Antiquity in North Syria (11th-12th centuries), Annales archéologiques arabes-syriennes 21, 1971, pp. 347-356.
W.E. Kleinbauer, The Origins and Functions of the Aisled Tetraconch Churches in Syria and Northern Mesopotamia, DOP 27, 1973, pp. 89-114.
M. Mundell Mango, Catalogue of Sites and Monuments, in G.L. Bell, The Churches and Monasteries of the Tur 'Abdin, London 1982, pp. 97-173.
Id., The Continuity of the Classical Tradition in the Art and Architecture of Northern Mesopotamia, in East of Byzantium. Syria and Armenia in the formative Period, Washington 1982, pp. 115-134.
F. de' Maffei, Le fortificazioni sul limes orientale ai tempi di Giustiniano, Corsi di Cultura sull'Arte Ravennate e Bizantina 32, 1985, pp. 109-150.
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di Y. Demiriz
Conquistata nel 640 dagli invasori musulmani, A. fece parte per un breve periodo dei domini della piccola dinastia shaybanide per poi cadere nelle mani del califfato abbaside durante il regno di al-Mu'taḍid. Presa poi dai Buwahidi (978), la città fu oggetto di numerosi attacchi bizantini durante il regno di Giovanni Zimisce (972, 973, 974). Il regno locale dei Marwanidi (990-1085) precedette l'invasione selgiuqide che iniziò di fatto il periodo di dominazione turca sull'intera regione e che vide il succedersi dei regni artuqide (1183-1232), ayyubide (1232-1240) e dei Selgiuqidi di Rūm (i Selgiuqidi di Anatolia), il cui governo della regione terminò all'indomani della conquista mongola della città da parte di Hulagu, nel 13° secolo.
Le porte delle mura cittadine furono danneggiate da al-Mu'taḍid e restaurate sotto al-Muqtadir, come è testimoniato dall'iscrizione commemorativa del 909 sulla porta di Mardin. I Marwanidi, i Selgiuqidi e gli Artuqidi operarono anch'essi rifacimenti parziali della cortina e delle torri sul fronte occidentale, ma l'impianto delle mura rimase sostanzialmente quello bizantino. Il sovrano artuqide Malik Ṣaḥīḥ Maḥmūd eresse nel 1232 i due bastioni circolari (burj) Ulu Beden e Yedi Kardeş, che inglobano integralmente, nel loro sistema di casematte e gallerie, opere precedenti. I bastioni sono opera degli architetti Yahyā b. Ibrāhīm e Ibrāhīm b. Ja'far (Gabriel, 1940; Altun, 1978).
A questo periodo deve essere attribuito anche il palazzo, detto appunto artuqide, rinvenuto all'interno della cittadella grazie agli scavi di Aslanapa del 1961-1962. I resti sono costituiti da una vasca circondata da una struttura a pianta cruciforme con quattro īvān. Di particolare interesse è la fontana decorata con un mosaico di pietre, vetro e mattonelle. Non si hanno iscrizioni che permettano un'attribuzione all'inizio del sec. 13°, con riferimento a Nasir al-Dīn Ṣāliḥ (Aslanapa, 1962).L'Ulu Cami, una delle più antiche moschee anatoliche, fu iniziata per ordine di Malikshāh (1091-1092), come risulta da un'iscrizione in cufico (Sözen, 1971), sul sito in cui si trovava in precedenza una chiesa o un palazzo; quest'ultimo edificio subì probabilmente un rimaneggiamento durante il regno del califfo omayyade al-Walīd (705-715). La moschea attuale è opera dell'architetto Hibatallāh Gurgānī e ha una pianta simile a quella della moschea omayyade di Damasco. Notevole è il riutilizzo di elementi databili a periodi precedenti quello islamico. Al sec. 12° risale anche il minareto quadrato.La kale (cittadella) ha al suo interno una moschea (detta Hazreti Süleyman o anche Nasiriyye Cami), la cui costruzione fu ordinata a Abu'l-Qāsim 'Alī. Un'iscrizione sul minareto reca la data del 1160. La moschea di 'Umar Shaddād presso la porta di Mardin fu eretta nel 1150-1151 (Sözen, 1971).A. conserva due madrase artuqidi: la Masudiye, annessa all'Ulu Cami, a due piani con una corte aperta e due īvān, che fu commissionata da Abū Muẓaffar Sökmen II ed è datata da un'iscrizione al 595 a.E./1198-1199, anche se fu completata nel 1223. La madrasa Zinciriye è opera dell'architetto Abū Dirham e ha iscrizioni non datate (Sözen, 1970; Altun, 1978). Il mausoleo di Sulṭān Suça, la cui costruzione è attribuibile agli inizi del sec. 13°, è a pianta quadrata ed è sormontato da una cupola ricoperta da un tetto piramidale (Sözen, 1971). Una corte centrale è circondata da arcate di forme diverse. Il museo archeologico della madrasa Zinciriye è importante per le arti minori artuqidi e bizantine (Önder, 1977).Il documento iconografico più antico, relativo al periodo islamico di A., è costituito dalla miniatura rappresentante Kara Amid, contenuta in un manoscritto del sec. 16°, opera di Matrakçi Naṣūḥ, conservato a Istanbul, Üniv. Kütüphanesi (T. 5964, c. 102r; Yurdaydın, 1976).
Bibliografia
A. Gabriel, Voyages archéologiques dans la Turquie orientale, Paris 1940.
O. Aslanapa, Erster Bericht über die Ausgrabung des Palastes von Diyarbakır, MDAIIst 12, 1962, pp. 115-118.
M. Sözen, Anadolu Medreseleri, I, Istanbul 1970.
Id., Diyarbakır'da Türk mimarisi [Architettura turca a Diyarbakır], Istanbul 1971.
H. G. Yurdaydın, Naṣūhü's-silāḥīi (Maṭrāḳçī), Beyān-i menāzil-i sefer-i 'Irakeyn-i Sultān Süleymān Hān [Descrizione delle fasi della campagna del sultano Solimano nei due Iraq], Ankara 1976.
M. Önder, Museums of Turkey, Ankara 1977.
A. Altun, Anadolu'da Artuklu devri Türk mimarisinin gelişmesi [Sviluppo della architettura turca artuqide in Anatolia], Istanbul 1978.