Amina
A seno nudo contro l’intolleranza
Balzata dall’anonimato alla notorietà planetaria per essere apparsa a seno nudo su una pagina di Facebook, la diciannovenne studentessa tunisina, dopo le minacce di morte e la prigione, lascia il gruppo femminista di Femen, accusato di islamofobia.
Amina ‘Tyler’ Sboui è uscita dal carcere – restando in libertà condizionata – e allo stesso tempo è uscita anche dal gruppo Femen. Appena liberata, la prima attivista ‘a seno nudo’ del mondo arabo ha dichiarato di aver lasciato il collettivo femminista ucraino che ne ha ispirato le azioni dimostrative scandite da slogan come «il mio corpo mi appartiene», scritti sulla pelle nella lingua globale di Shakespeare e in quella del Profeta.
Con questa retromarcia della studentessa tunisina, siamo di fronte all’ennesimo colpo di testa dovuto alla forte fragilità psicologica di cui l’accusa la famiglia stessa? Oppure all’effetto delle pressioni delle autorità e alla paura di restare dietro alle sbarre? Difficile entrare nella testa di una 19enne che si chiama come la mamma di Maometto ed è balzata dall’anonimato al tam tam mediatico planetario, grazie allo strip-tease militante esibito su Facebook, in aperta sfida alle convenzioni islamiche. «Le Femen sbagliano perché non capiscono che le donne musulmane hanno le loro pratiche rivendicative che non passano necessariamente per lo spogliarsi», ha scritto sulla rivista The Atlantic Uzma Kolsy, attivista e giornalista musulmana che vive in California. In altre parole: combattere il velo a colpi di topless è decisamente troppo ardito. «Una rivoluzione va fatta a rate», come dice Leopold Bloom nell’Ulisse di Joyce? In Arabia Saudita le donne hanno protestato contro l’esclusiva maschile della patente automobilistica. Tuttavia senza andare oltre un riferimento alla storia islamica, secondo la quale le mogli del Profeta, in fondo, guidavano il cammello.
Oltre ad Amina sono state liberate la francese Pauline Hillier, le tedesche Marguerite Stern e Josephine Markmann: le 3 attiviste Femen arrestate per aver protestato contro l’incarcerazione della compagna di lotta. Proprio le frasi blasfeme da loro pronunciate sarebbero alla base del ripensamento di Amina: «Femen akbar» hanno scandito, sempre a seno nudo, a Tunisi, in una parodia ardita della celebre invocazione islamica «Allah akbar», e cioè ‘Dio è grande’. Per i denti della provocazione stile Femen non mancherà mai il pane nel mondo arabo. Anche nei paesi della fascia del Maghreb, dove la ‘rivoluzione dei gelsomini’ ha tolto di mezzo sovrani corrotti e mummificati al potere da molti anni aprendo la strada ai movimenti fondamentalisti, tenuti per anni ai margini della vita politica dai dittatori laici.
Quanto al movimento Femen, fondato nel 2002 a Kiev per contrastare il turismo sessuale in Ucraina, va detto che i dubbi sui finanziamenti e gli ispiratori occulti non vengono solo da Amina ma circolano ampiamente, seppure non nella sgradevole ma prevedibile sfumatura antisemita. Sul gruppo un documentario è stato girato da una regista australiana di madre ucraina, Kitty Green, che si è finta attivista e ha vissuto un anno con le ragazze. Il film, intitolato Ukraine is not a brothel (‘L’Ucraina non è un bordello’) e presentato alla Mostra del cinema di Venezia il 14 settembre, ha rivelato che è un uomo a tenere le fila del movimento, nonché il vero fondatore.
Certo: in Ucraina l’eredità sovietica – e se vogliamo anche slavo-pagana – ha messo la donna in una condizione di indipendenza e libertà se non di parità, mentre in Tunisia le donne si possono tutt’al più concedere qualche libertà in privato, senza rivendicazioni alla luce del sole. Ed è proprio questa ipocrisia il bersaglio di Amina. Almeno fino all’incarcerazione e al ripensamento. Per lei il predicatore Adel Almi ha chiesto la quarantena, le frustate e infine la lapidazione, ed è stata emessa una fatwa. In questa vicenda clamorosa, che rotola da un sito all’altro come una valanga virtuale, i confini tra coscienza politica e incoscienza, opportunità e vanità, sono molto labili e difficili da decifrare. Il terreno su cui si muove l’Amina vagante è già abbastanza problematico ed esplosivo anche senza aggiungere il carico dell’attivismo Femen.
Le date
7 dicembre 1994 Nasce in Tunisia.
1° marzo 2013 Pubblica una sua foto a seno nudo su Facebook.
19 maggio 2013 Viene arrestata a Kairouan, dove intendeva mostrarsi a seno nudo in occasione del congresso del movimento salafita Ansar al-Sharia.
1° agosto 2013 Ottiene la libertà condizionata in attesa del processo.
20 agosto 2013 Annuncia di lasciare il gruppo Femen.