Palermi, Amleto
Regista, sceneggiatore e soggettista cinematografico, nato a Roma l'11 luglio 1889 e morto ivi il 20 aprile 1941. Autore eclettico, spaziò dalla commedia al melodramma, dal film storico al dramma psicologico, precisando nei film degli anni Trenta e Quaranta una cifra stilistica caratterizzata da una vena popolaresca e da accenti e umori veristi.
Da bambino fu portato in Sicilia dai genitori, che ne erano originari. A diciassette anni iniziò a lavorare come giornalista; proseguì tale attività nella capitale, dove ritornò all'età di vent'anni. Scrisse anche alcune commedie, in dialetto siciliano ('U lupu, 1908; Amuri foddi, 1912; La vela grande, 1913) e in italiano (Il primo amore, 1919), che, seppure di modesto valore, furono rappresentate sui palcoscenici di diverse città.
Nel 1914 venne scritturato come regista dalla Film Artistica Gloria di Torino e debuttò con Colei che tutto soffre. Lavorò in seguito per la Augusta Film e la Cosmopolis; ma fu a Roma, con la Cines e poi con la Rinascimento Film (di cui fu uno dei fondatori), che girò i suoi film migliori: Carnevalesca (1918), Il romanzo di un giovane povero (1920), da O. Feuillet, L'età critica (1921), La seconda moglie (1922), La biondina (1923), lavorando con le maggiori dive dell'epoca (Pina Menichelli, Leda Gys, Lyda Borelli, Soava Gallone).
Nel 1924 iniziò la lavorazione di Gli ultimi giorni di Pompei, terza trasposizione italiana (dopo quelle del 1908 e del 1913) del romanzo The last days of Pompei di E.G. Bulwer-Lytton: un film storico dalle dimensioni colossali e dal respiro spettacolare, in linea con la grande tradizione cinematografica italiana di quegli anni; ma l'insufficienza dei capitali disponibili costrinse nel 1925 P. a cercare altri finanziamenti in Germania, e quindi a rifare con attori tedeschi e ungheresi molte scene già girate. Il film, portato a termine nel 1926 da Carmine Gallone, fu l'ultima grande produzione del cinema muto italiano; il suo insuccesso causò la temporanea fine della carriera di P. in patria.In Germania P. realizzò Die Flucht in die Nacht (1926; Enrico IV), dal dramma di L. Pirandello, nonché diverse commedie e alcune versioni italiane di film tedeschi; vi assimilò anche alcune lezioni dell'Espressionismo, com'è evidente in Le confessioni di una donna (1928), unico film da lui girato in quegli anni in Italia. Lavorò poi in Francia, negli studi allestiti a Joinville dalla statunitense Paramount Famous Lasky Corporation per produrre le versioni europee dei propri film: vi diede il suo addio al cinema muto con La straniera (1929) e vi debuttò nel sonoro con Perché no? (1930) e La donna di una notte (1931), diretto insieme a Guido Brignone e interpretato da Francesca Bertini.
Nel 1932, nel clima di generale fermento scatenatosi nel cinema italiano, riprese anche la carriera di P. in patria, con La vecchia signora e La fortuna di Zanze, interpretati da Emma Gramatica e prodotti dalla Caesar Film. Nei dieci anni successivi P. diresse una trentina di film, tra i quali ebbero grande successo tre di ambientazione siciliana con l'attore dialettale Angelo Musco (Paraninfo e L'eredità dello zio… buonanima, entrambi del 1934; "Fiat voluntas Dei", 1935) e altri tre di ambientazione napoletana (Napoli d'altri tempi, 1937, e Partire, 1938, entrambi con Vittorio De Sica; Napoli che non muore, 1939, con Fosco Giachetti). Ma i capolavori di P. sono considerati Cavalleria rusticana, del 1939, La peccatrice e San Giovanni decollato, del 1940. Cavalleria rusticana fu eletto miglior film del decennio dai lettori della rivista "Cinema": tratto dal dramma di G. Verga, appare diviso tra una parte naturalistica, ambientata tra le rocce bianche e roventi della Sicilia, e una che si svolge in palcoscenico, tra scenografie di cartapesta e riflettori accesi, nel rispetto della tradizione del teatro lirico italiano. Grazie a La peccatrice e San Giovanni decollato P. vinse un altro referendum indetto nel 1940 da "Cinema" tra i suoi lettori, quello per il miglior regista italiano. Il primo film, prodotto dal Centro sperimentale di cinematografia e sceneggiato, su soggetto di P., oltre che dallo stesso P., da Luigi Chiarini, Umberto Barbaro e Francesco Pasinetti, vede Paola Barbara impegnata nel classico ruolo della 'sedotta e abbandonata'; nel film gli elementi melodrammatici virano verso un verismo psicologico connotandolo come una delle opere che in quegli anni aprirono la strada al futuro Neorealismo. Nel secondo, tratto dalla commedia omonima scritta da N. Martoglio per il repertorio di A. Musco, Totò, nel ruolo di un indimenticabile ciabattino, ha toni più realistici e meno surreali che nelle sue primissime prove cinematografiche. Nel 1941, con il filmopera L'elisir d'amore, P. ritornò, attraverso G. Donizetti e F. Romani, alle atmosfere popolaresche e melodrammatiche che gli erano congeniali.
Scrisse i soggetti o le sceneggiature di molti suoi film, ma anche di quelli di altri registi, tra cui L'imprevisto (1920) di Mario Caserini, Amore (1935) di Carlo Ludovico Bragaglia, Vivere! (1936) di Guido Brignone, Il signor Max (1937) di Mario Camerini, Turbine (1941) di Camillo Mastrocinque.