AMLETO (ingl. Hamlet)
Protagonista d'una tragedia dello Shakespeare, che questa ha reso famoso, ma che aveva già prima di essa una sua storia letteraria.
Di questa esistono varie versioni scandinave, ma forti analogie coi romanzi inglesi di Havelock, Horn e Bevis of Hampton, e il fatto che il nome si trova in un documento irlandese (gli Annals of the Four Masters), possono far pensare a un'origine britannica. L'esistenza di una saga islandese di Amloði o Amleth verso la fine del sec. X pare attestata da un passo del poeta Snaebjorn nella seconda parte dell'Edda in prosa. Dalla perduta Skjöldunga saga si pensa che Saxo Grammaticus derivasse la storia che egli racconta nei libri terzo e quarto (capitoli 86-106) della sua Historia Danica (principio del Duecento), non senza, probabilmente, attingere anche, per alcune circostanze, alla leggenda classica di Lucio Giunio Bruto. Paralleli esistono pure tra altre leggende classiche, di Bellerofonte, di Ercole e di Servio Tollio, e la versione contenuta nella Ambales saga islandese (il cui primo testo è del Seicento); infine la storia di Amleto trova riscontro in quella di Kai Khusrū nel Libro dei re di Firdusi, al punto che alcuno (R. Zenker) ha potuto supporre che la saga nordica fosse basata su una versione più antica della leggenda narrata da Firdusi. Il parallelo con la storia di Oreste è stato sfruttato dal Freud a dimostrazione del complesso d'Edipo.
La versione di Saxo Grammaticus raggiunse lo Shakespeare attraverso le Histoires Tragiques di François de Belleforest e un dramma perduto, come si dirà. La versione di Saxo Grammaticus narra come, al tempo del re danese Rorik, Gervendill era governatore dello Jütland, ed ebbe a successori i figli Horvendill e Feng. Horvendill sposò Gerutha, figlia di Rorik: dall'unione nacque Amleth. Feng, geloso, uccise Horvendill e indusse Gerutha a divenir sua moglie; A., temendo la stessa sorte del padre, si finse folle, onde Feng lo sottopose a varie prove, sospettando la finzione. Ma A. seppe abilmente cavarsi d'impaccio, smascherò il tranello tesogli per mezzo di una ragazza, sua sorella di latte; uccise un cortigiano spione nascosto nella camera della regina; mandato in Inghilterra con due compagni apportatori di una lettera che chiedeva a quel re di metterlo a morte, riuscì ad alterarne il contenuto in modo che furono i suoi compagni a essere messi a morte, ed egli ottenne la mano della figlia del re. Arrivò in Danimarca in tempo per assistere a un banchetto funebre in commemorazione della sua supposta morte; ubriacò i cortigiani e li fece perire tra le fiamme; uccise Feng con la propria spada e fu proclamato re. Segue la narrazione delle sue gesta in Inghilterra, il cui re, suo suocero, aveva stretto con Feng un patto, per il quale chi dei due sopravvivesse doveva vendicare la morte dell'altro. Il re inglese mandò A. a chiedere per procura la mano della crudele regina scozzese Hermuthruda, che aveva ucciso tutti i suoi pretendenti; ma la regina s'innamorò di A. Venuto a sapere del tranello dalla prima moglie, rimastagli fedele, A. ricorse alle armi, e vinse rizzando con l'aiuto di pali i cadaveri caduti in battaglia il giorno prima, e atterrendo così l'avversario. Quindi tornò con le due mogli nello Jütland, dove il successore di Rorik, Wiglek, lo uccise in battaglia.
Il racconto del Belleforest contiene gli elementi essenziali del dramma shakespeariano: rappresenta A. come un principe defraudato del suo regno da uno zio assassino e da una madre incestuosa, mostra la sua pretesa pazzia come un espediente per salvare la propria vita e giungere alla vendetta, narra i varî tranelli tesi dal re per perdere A., provvede i prototipi di Polonius, Ophelia, Horatio, Rosencrantz e Guilderstern, fa che A. accusi la madre e che questa si penta e prometta di aiutarlo alla vendetta; mostra infine il compimento di questa nella distruzione del re e della sua corte. Questi elementi lo Shakespeare avrà potuto trovare anche nella misteriosa tragedia perduta, la cui comparsa sulle scene, che dovette aver luogo fin dal 1587 o 1589, è ricordata nell'indirizzo To the Gentlemen Students premesso da Thomas Nashe al Menaphon di Robert Greene. Ma vi sono alcune notevoli divergenze tra la narrazione del Belleforest e il dramma shakespeariano: nel Belleforest, A. sa fin dapprincipio del modo in cui è morto il padre, e perciò la sua finta pazzia è perfettamente giustificata; inoltre, non muore nel compiere la vendetta ed è un uomo di energica azione appena si presenta il momento buono. Si può immaginare che alcuni di questi nuovi elementi fossero introdotti nella tragedia preshakespeariana (designata col nome tedesco di Ur-Hamlet "Amleto primitivo"): tali la morte del protagonista, lo spettro del padre, la scena della recita e il duello finale con Laertes. Lo spettro era certamente nella vecchia tragedia (il Lodge, in Wit's Misery, del 1596, parla del fantasma che al teatro urlava lamentosamente "Amleto, vendetta"); questo, e gli altri elementi, ricordano la tecnica de Kyd, sicché a lui si è pensato come all'autore dell'originaria tragedia d'A. La questione è resa oltremodo complessa dalle varie redazioni in cui ci è pervenuto il testo del Hamlet shakespeariano: l'in-quarto del 1603 o "primo in-quarto", l'in-quarto del 1604 o "secondo in-quarto", e l'in-folio del 1623 (v. shakespeare); esiste poi una versione tedesca, Der bestrafte Brudermord, con notevoli varianti. La conclusione di E. K. Chambers (William Shakespeare, Oxford 1903, I, p. 412) è che il secondo in-quarto rappresenta sostanzialmente il testo originale del dramma, quale una volta per sempre fu scritto dallo Shakespeare, e che l'in-folio, il primo in-quarto, e Der bestrafte Brudermord sono tutti in maggiore o minore misura basati su derivazioni da quel testo. Ad analoga conclusione giunse G. Ramello (Studi sugli apocrifi shakespeariani, The Tragicall Historie of Hamlet Prince of Denmarke, Torino 1930, pp. 202-03). È probabile che nella tragedia preshakespeariana A. fosse un vendicatore aggressivo, non afflitto dalla melanconia che caratterizza il personaggio shakespeariano; questo umor melanconico, che venne di moda al principio del Seicento, fornì lo spunto allo Shakespeare nel riadattare alle scene la vecchia tragedia per la compagnia del Lord Chamberlain. Mentre nella versione del Belleforest un racconto di carattere epico culminava in una sola scena sensazionale, si può indurre da varie circostanze che il dramma preshakespeariano, con l'introduzione di nuovi elementi, come lo spettro, ecc., riuscisse crudamente melodrammatico e pieno d'incongruenze. Queste potevano essere rimosse mediante nuovi incidenti, o motivate col carattere del personaggio centrale, dando così unità alle divergenze: il principale elemento antidrammatico, il ritardo nella vendetta, che si trovava nella vecchia tragedia, poteva così venir giustificato senza togliere al protagonista la sua aureola eroica. Fare di A. un finto pazzo puro e semplice avrebbe facilmente dato alla tragedia una piega grottesca; altra cosa era rappresentare la finzione di A. come un abito di spirito bizzarro che creasse l'impressione di pazzia ove fosse messo a contrasto con la sciocchezza e l'ottusità degli altri: così la dignità del protagonista non ne veniva diminuita, e l'intelligenza degli spettatori ne era adulata. Un tale espediente offriva il destro a punte satiriche, quali erano nel gusto di un'età che apprezzava Persio, Marziale e Giovenale, e i loro moderni imitatori, Jonson, Marston e Chapman. Così il centro del dramma viene spostato dagli intrighi di Claudius alle reazioni nell'animo del "malinconico" pessimista A.
È naturale che un carattere così fatto dovesse fornire appiglio alla fantasia dei romantici, che vollero interpretare i conflitti nell'animo del principe danese al lume dei loro proprî. L'immagine di A. quale appare a noi moderni è sostanzialmente quella tramandataci dalla critica romantica. Primo, Henry Mackenzie (in The Mirror del 18 aprile 1780), disse su A. cose che il Goethe doveva ripetere, spesso con le stesse frasi. Per il Goethe (in Wilhelm Meister, 1796), A. è una natura pura e nobile e morale, ma impari alla terribile impresa che da lui si richiede; e a rendere icastico il contrasto, il poeta tedesco ricorre alla famosa immagine della quercia piantata in un vaso prezioso che non avrebbe dovuto ricevere che leggiadri fiori. Evidentemente l'interpretazione del Goethe è tutta basata sui monologhi, in cui il critico si è soverchiamente concentrato. A. W. Schlegel è il primo a fare della tragedia di A. una tragedia di debolezza di volontà: il pensiero rode e tronca le radici dell'azione, ma gli scrupoli di A. non sono che pretesti per nascondere la sua fondamentale irresolutezza. Per il Coleridge, invece, l'eccesso di pensiero diviene la causa diretta dell'incapacità di agire. Il maggior contributo, dopo quello del Coleridge, all'interpretazione di A. è portato da A. C. Bradley, col richiamare l'attenzione su due punti centrali, il primo monologo, precedente all'apparizione del fantasma, in cui lo stato d'animo d'A. è già tutto delineato, e la scena in cui A. risparmia la vita del re intento a pregare: A. è una natura balda e intrepida, uomo d'armi e di lettere tipico del Rinascimento, in cui si nascondono però alcuni germi, la tendenza malinconica, la squisita sensibilità morale, il genio intellettuale, che la rivelazione della colpa materna farà degenerare, provocando in lui un languore che è proprio il contrario dello stato d'animo che il suo dovere esigerebbe: il compito che gli sta innahzi diviene idea fissa, che egli consuma analizzando, senza procedere all'azione. L'aspetto intellettuale di A. è stato sottolineato in forma paradossale da un critico contemporaneo, G. Wilson Knight (The Wheel of Fire, Londra 1930), che, rappresentandosi l'intelletto come opaca forza disintegratrice, forza del male, vede nel personaggio di A. il male, il negativo, la morte, e in Claudius, il quale non chiederebbe di meglio che dimenticare il suo delitto e governare da buon re, il positivo, la vita. Interpretazione paradossale ma tipica dell'età nostra che si sforza di reagire contro i pericoli dell'intellettualismo.
Il personaggio di A. ha pure ispirato a Jules Laforgue, Hamlet ou les suites de la piété filiale (in Moralités légendaires, Parigi 1887), una fantasticheria umoristica che sembra preludere alle recenti rappresentazioni del Hamlet shakespeariano in modern dress.
Bibl.: Per Saxo Grammaticus e le varie versioni della leggenda, vedi la traduzione della Historia Danica, I-IX, di O. Elton, con introduz. di York Powell, Londra 1894 (Folklore Society, vol. 33). V. pure: O. L. Jiriczek, Die Amletsage auf Island, in Germanistische Abhandlungen, XII; id., Hamlet in Iran, in Zeitschrift des Vereins für Volksklunde, X (1900); R. Zenker, Boeve-Amlethus, Berlino e Lipsia 1904. Per lo Shakespeare, oltre alle opere citate sotto questa voce, vedi: R. Gericke e M. Moltke, Hamlet-Quellen, Lipsia 1881; E. E. Stoll, Hamlet: an historical and comparative study, Minneapolis 1919 (Research Publications of the University of Minnesota, VIII, n. 5); id., Shakespeare Studies, New York 1927, cap. 3°; e soprattutto H. R. Walley, Shakespeare's Conception of Hamlet, in Publications of the Modern Language Association of America, XLVIII (1933), n. 3. Per le interpretazioni del personaggio shakespeariano, v.: A. Ralli, A History of Shakespearian Criticism, Londra 1932; A. C. Bradley, Shakespearean Tragedy, Londra 1908, pp. 94-108; W. Diamond, Wilhelm Meister's Interpretation of Hamlet, in Modern Philology, agosto 1925; R. Piccoli, introduzione alla versione di Amleto, Firenze 1927 (Biblitoeca Sansoniana straniera). V. pure: G. Toffanin, La fine dell'Umanesimo, Torino 1920, c. 21; E. Jones, A psychoanalytic study of H., Londra 1922.