Abstract
Il procedimento di apertura dell’amministratore di sostegno, procedimento sulla cui natura si dibatte in dottrina e in giurisprudenza, si instaura con ricorso davanti al giudice tutelare del luogo dove il beneficiario ha la residenza o il domicilio. Dopo una fase preliminare in cui il p.m. può chiedere il rigetto nel merito dell’istanza, il giudizio prosegue con l’audizione del beneficiario e l’eventuale assunzione di altri mezzi istruttori, concludendosi con un provvedimento avente forma di decreto. Tale decreto è soggetto ai mezzi di impugnazione previsti dall’art. 720 bis c.p.c.: precisamente, tale provvedimento è reclamabile davanti alla corte d’appello ai sensi dell’art. 739 c.p.c.; il decreto con cui la corte d’appello decide sul reclamo è a sua volta ricorribile in Cassazione. Infine, l’art. 413 c.c. indica i presupposti sostanziali e la disciplina processuale della cessazione per revoca dell’amministrazione di sostegno, nonché della sostituzione dell’amministratore stesso.
1. Le fonti della disciplina processuale dell’amministrazione di sostegno
La disciplina processuale dell’amministrazione di sostegno è contenuta in parte nell’omonimo capo del c.c. (e dunque in alcuni degli articoli compresi tra il 404 e il 413), in parte nell’art. 720 bis c.p.c. Quest’ultima norma – oltre a regolare le impugnazioni contro i decreti assunti dal giudice tutelare nell’ambito del procedimento di amministrazione di sostegno – richiama al co. 1 varie disposizioni relative al giudizio di interdizione e inabilitazione (artt. 712, 713, 716, 719 e 720 c.p.c.), subordinandone però l’applicazione alla clausola di compatibilità (in argomento, e in particolare sulle diverse opinioni riguardo a quali, tra le disposizioni, richiamate siano concretamente applicabili al giudizio di nomina dell’amministrazione di sostegno v. da ultimo Vullo, E., Procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, I, Bologna, 2011, 546 ss.).
2. La natura del procedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno
Una questione dibattuta è se il procedimento di apertura dell’amministratore di sostegno sia da ascrivere alla giurisdizione volontaria o a quella contenziosa. Il problema, conviene sottolinearlo, riguarda esclusivamente questo specifico procedimento (ossia quello volto ad accertare i presupposti sostanziali richiesti dalla legge per costituire, in capo al beneficiario, lo stato di sottoposizione all’amministrazione di sostegno e, contestualmente, a nominare l’amministratore stesso), e non invece tutti gli altri procedimenti richiamati dalla legge che hanno lo scopo di controllare l’attività di gestione dell’amministratore e di risolvere eventuali contrasti tra il beneficiario e il proprio amministratore circa gli atti da compiere o per rimediare a scelte dannose o all’inerzia di quest’ultimo: tali ultimi procedimenti, infatti, sono senza dubbio caratterizzati dal fatto che il giudice svolge un’attività meramente gestoria o di cura giudiziaria degli interessi, e dunque riconducibili nell’ambito della giurisdizione volontaria.
Ciò premesso, chi opta per il carattere “volontario” (in questo senso spec. Chizzini, A., in Bonilini, G.-Chizzini, A., L’amministrazione di sostegno, II ed., Padova, 2007, 384 ss.; Vullo, E., op. cit., 535 ss.; in giurisprudenza, v., ad es., Trib. Oristano, decr. 2.2.2006, in Riv. giur. sar., 2007, 73, con nota di S. Masala; Trib. Roma, 19.2.2005, in Giur. it., 2005, 2077, con nota di G. Grasselli; in Riv. not., 2006, 578, con nota di G. Carlini), osserva come il procedimento in esame non sia funzionale alla pronuncia di un provvedimento idoneo al giudicato e ablativo di un diritto o di uno status. Infatti, il giudice adito per la nomina dell’amministratore di sostegno non interviene con l’obiettivo di accertare la mancanza di capacità d'agire del beneficiario, bensì per gestirne e proteggerne gli interessi, tramite la designazione di un soggetto, la cui nomina è strettamente funzionale al compimento di determinati atti, che possono riguardare sia la cura personae sia la cura patrimonii del beneficiario stesso (e ciò, in concreto, vuoi mediante un’attività di vera e propria amministrazione sostituiva, vuoi nelle forme, meno incisive, della semplice assistenza).
Diversamente, altri (importanti) studiosi (spec. Tommaseo, F., in Bonilini, G.-Tommaseo, F., Dell’amministrazione di sostegno, Milano, 2008, 123 ss.; conf., Campese, G., L’istituzione dell’amministrazione di sostegno e le modifiche in materia di interdizione e inabilitazione, in Fam. dir., 2004, 126 ss., spec. 133; in giurisprudenza, in motivazione, v. p. es. Trib. Padova, 21 maggio 2004, decr., in Fam. dir., 2004, 607, con nota di F. Tommaseo e, anche se forse meno nettamente, App. Milano, 9.1.2006, ivi, 2006, 280, con nota di E. Vullo) hanno asserito che il procedimento de quo non avrebbe natura volontaria, perché presenta, sotto vari e decisivi profili, identità di disciplina con il processo di interdizione; dunque con un giudizio dalla trama senz'altro contenziosa, riconducibile alla cd. giurisdizione oggettiva e che si può concludere con una sentenza idonea al giudicato (in realtà, anche la natura del processo di interdizione è tutt’altro che pacifica: per riferimenti v. Vullo, E., op. cit., 452 ss.). E comunque, si aggiunge, anche qualora si attribuisse maggiore importanza alle deviazioni «camerali» che si possono constatare nella disciplina processuale dell’istituto in esame (ad es., la forma di decreto del provvedimento conclusivo e la disciplina dei gravami: v. infra, §§ 5 ss.), si tratterebbe pur sempre di un procedimento cameral-contenzioso – che, quindi, rientrerebbe tra quelle ipotesi in cui il legislatore si è servito delle forme camerali per disciplinare processi su diritti o su status – come proverebbe inequivocabilmente l'esperibilità del ricorso per Cassazione nei confronti dei decreti pronunciati in sede di reclamo (a questo argomento si è peraltro replicato, affermando che, in tale contesto, il ricorso in Cassazione assolverebbe a una funzione esclusivamente nomofilattica: Chizzini, A., op. cit., 392 s.).
3. La legittimazione ad agire, il ricorso introduttivo e la dibattuta questione dell’onere del patrocinio
La legittimazione a proporre il ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno spetta, ex art. 406 c.c., allo stesso beneficiario, nonché ai soggetti indicati all’art. 417 c.c. in materia di interdizione e inabilitazione, e dunque al coniuge, alla persona stabilmente convivente, ai parenti entro il quarto grado, agli affini entro il secondo grado, al tutore o curatore e, infine, al pubblico ministero.
Competente per materia è il giudice tutelare del luogo dove il beneficiario ha la residenza o il domicilio (Cass., ord. 13.4.2010, n. 8779, in Fam. dir., 2011, 361, con nota di M. Abbamonte). Questi ultimi criteri individuano due fori alternativi (Cass., ord. 14.1.2008, n. 588) ed esclusivi, che concretano dunque un’ipotesi di competenza per territorio inderogabile ex art. 28 c.p.c., vuoi per la necessaria partecipazione al giudizio del p.m., vuoi per la struttura camerale del procedimento.
La domanda introduttiva del procedimento in esame ha forma di ricorso che deve contenere le indicazioni previste all’art. 407, co. 1, c.c., nonché altri requisiti che non sono previsti da quest’ultima norma, ma dall’art. 712 c.p.c. (che dispone per la domanda di interdizione o inabilitazione ed è applicabile all’amministrazione di sostegno per effetto del richiamo operato all’art. 720 bis c.p.c.: Tommaseo, F., op. cit., 184 s.), e soprattutto dall’art. 125 c.p.c. che contiene la disciplina generale degli atti processuali di parte (Tommaseo, F., op. loc. ultt. citt.). In particolare, in forza del combinato disposto di tali disposizioni, il ricorso deve menzionare il giudice adito, le generalità del ricorrente, le generalità del beneficiario (e la sua dimora abituale o il domicilio), le ragioni per cui si domanda la nomina dell’amministratore di sostegno (causa petendi), l’oggetto della domanda, nonché, qualora il ricorrente ne sia a conoscenza, il nominativo e il domicilio del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti e dei fratelli e dei conviventi del beneficiario, e ancora direi, se vi sono, del tutore o curatore di quest’ultimo.
Uno dei problemi più noti e controversi tra quelli sollevati dalla disciplina del procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, è se sia necessario che le parti stiano in giudizio col ministero di un difensore. Si tratta di una questione che ha dato origine a un vivace contrasto di opinioni, trasversale a dottrina e giurisprudenza di merito (per riferimenti, v. Vullo, E., La Corte Costituzionale si pronuncia in materia di amministrazione di sostegno e di difesa tecnica, in Fam. dir., 2007, 669 ss., e, più di recente, Vianello, A., in Commentario breve al diritto di famiglia, a cura di A. Zaccaria, II ed., Padova, 2011, 1087 ss.), determinando una situazione di grande incertezza, la quale continua a protrarsi, nonostante in tempi relativamente recenti la Cassazione sia intervenuta sul punto, con una pronuncia tanto attesa, quanto criticata. Al riguardo, conviene innanzitutto delimitare meglio il problema, ricordando che, pur nel silenzio della legge, la rappresentanza tecnica è da ritenere senz’altro necessaria nell'eventuale fase del giudizio di nomina dell'amministratore di sostegno che si svolge davanti alla Cassazione ai sensi dell'art. 720 bis c.p.c., mentre; al contrario, è altrettanto certo che essa non costituisca un onere «per i meri procedimenti autorizzativi, interni all'amministrazione, che sono regolati dalle norme generali sui procedimenti camerali» (Chizzini, A., op. cit., 429). Detto ciò, si è già ricordato che sulla questione si è pronunciata la suprema Corte, stabilendo la sostanziale impraticabilità di qualunque soluzione unitaria al problema de quo, e concludendo dunque che la sussistenza dell’onere del patrocinio non potrebbe essere affermata o negata indistintamente per tutte le ipotesi di richiesta di amministrazione di sostegno, ma imporrebbe una valutazione differenziata a seconda delle varie fattispecie con riferimento alle quali si propone la relativa domanda giudiziale. Così, per la Cassazione, il ministero del difensore non sarebbe necessario nelle ipotesi – che rappresenterebbero la regola, corrispondendo al modello legale tipico dell’istituto – in cui il provvedimento da assumere si limiti a individuare specificamente i singoli atti, o le categorie di atti, in relazione ai quali si chiede l’intervento dell’amministratore; di contro, la difesa tecnica cesserebbe di configurasi come mera facoltà per diventare un vero e proprio onere a carico delle parti, vale a dire lo stesso inabile o uno dei soggetti legittimati, «ogni qualvolta il decreto che il giudice ritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiesta dell’interessato, incida sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze, analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio» (Cass., 29.11.2006, n. 25366, in Fam. dir., 2007, 19, con nota di F. Tommaseo; ivi, 2007, 121, con nota di A. Chizzini; in Fam. pers. e succ., 2007, 15, con nota di A. Chizzini; in Corr. giur., 2007, 199, con nota di M.N. Bugetti; in Studium Iuris, 2007, 364, con osservazioni di A. Vianello; in Guida dir., 2006, fasc. 49, 36, con nota di M. Fiorini; in Riv. not., 2007, 486, con nota di A.M. Pedron; Giur. it., 2007, 2259, con nota di A.M. Socci; conf., successivamente, Cass., 11.7.2008, n. 19233, in Guida dir., 2008, fasc. 42, 78; sul punto si è anche pronunciata la Consulta, ma con una pronuncia di inammissibilità con la quale non ha sostanzialmente preso posizione sul merito della questione: C. cost., ord. 19.4.2007, n. 128, in Fam. dir., 2007, 667, con nota di E. Vullo; in Giur. cost., 2007, 1201, con nota di M. Ruotolo; Dir. fam., 2008, 9, con nota di A. Di Sapio).
4. La fase cd. preliminare
Il ricorso introduttivo va depositato nella cancelleria del giudice competente (Tommaseo, F., op. cit., 198); tale momento rappresenta «la data della presentazione della richiesta» dalla quale decorrono i sessanta giorni entro i quali il giudice tutelare deve provvedere alla nomina dell’amministratore di sostegno (art. 405, co. 1, c.c.): la violazione di questo termine, come avviene per tutti quelli a carico del giudice, non comporta alcuna preclusione, decadenza o altro effetto sul piano processuale, ma solo eventuali sanzioni disciplinari a carico del magistrato.
Si ritiene che, in limine litis, il giudice tutelare possa dichiarare l’inammissibilità della domanda per carenza di legittimazione o incompetenza (Vianello, A., op. cit., 1091).
In ogni caso, il giudice tutelare ordina la comunicazione degli atti al p.m. (v. art. 71 c.p.c.): costui, infatti, è parte necessaria del procedimento, come prevede espressamente l’art. 407, ult. co., c.c., ribadendo peraltro quanto già si ricaverebbe dall’art. 70, co. 1, n. 1, c.p.c. (appartenendo tale organo al novero dei soggetti legittimati ad agire).
Ai sensi dell’art. 713, co. 1, c.p.c. (richiamato dall’art. 720 bis c.p.c.) il p.m. può chiedere il rigetto della domanda nel merito (cd. potere di archiviazione) (v. per tutti Tommaseo, F., op. cit., 203 s.; contra, Chizzini, A., op. cit., 436): il giudice tutelare, dopo avere ascoltato il ricorrente (Vianello, A., op. loc. ultt. citt.), può accogliere tale richiesta con un provvedimento avente forma di decreto, reclamabile davanti alla corte d’appello ex art. 739 c.p.c., ma non ricorribile in cassazione (Tommaseo, F., op. cit., 204 s.).
Qualora il giudizio debba proseguire (poiché la domanda di archiviazione non è stata proposta o è stata respinta), il giudice, sempre in forza dell’art. 713, co. 1, c.p.c., fissa con decreto in calce al ricorso la data dell’udienza. Se non vi è dubbio che tale provvedimento debba essere notificato, insieme all’atto introduttivo, al beneficiario e a tutte le persone indicate nel ricorso che il giudice ritenga utile ascoltare, si discute se tale adempimento rappresenti un onere a carico del ricorrente (Tommaseo, F., op. cit., 205) oppure se debba provvedersi su impulso d’ufficio (Chizzini, A., op. cit., 438 s.). Si discute, altresì, se l’udienza de qua sia un’udienza vera e propria, come quella che ha luogo nel giudizio di interdizione o inabilitazione (così, se ben intendo, Tommaseo, F. op. cit., 202, 205), o se invece non si delinei solo l’audizione in camera di consiglio «dei vari soggetti interessati e con finalità probatorie, per l’espletamento dell’eventuale contraddittorio, secondo la tipica struttura del procedimento camerale» (Chizzini, A., op. cit., 438).
5. La fase istruttoria e la decisione
La fase istruttoria del procedimento in esame è fondamentalmente regolata dai commi secondo e terzo dell’art. 407 c.c. Dal primo di tali precetti si desume l’importanza centrale che la legge attribuisce all’audizione del beneficiario: un’incombenza alla quale il giudice dovrà provvedere «recandosi, ove occorra, nel luogo in cui [il beneficiario stesso] si trova» e tenendo conto, «compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa». Quanto alle modalità con cui deve svolgersi tale adempimento, si ritiene che l’audizione non sia soggetta a forme particolari (e dunque, p. es., che non sia necessaria la capitolazione dei fatti: Chizzini, A., op. cit., 442), ma che di essa debba essere redatto idoneo verbale (Chizzini, A., op. cit., 443).
La perentorietà dell’espressione «deve» utilizzata dal legislatore all’art. 407 c.c., insieme all’ovvia importanza di tale adempimento istruttorio, inducono a considerare tendenzialmente indispensabile l’audizione del beneficiario (v., p. es., Trib. Bari, 21.12.2004, in DeJure; diff., Trib. Modena, decr. 21.3.2005, in Corr. mer., 2005, 753): i soli casi in cui si potrà omettere tale incombenza sono quelli dell’irreperibilità della persona da sentire o il suo netto rifiuto ad essere ascoltato, nonché le ipotesi in cui il beneficiario non sia più in grado di comunicare, o ancora, secondo alcuni, quelle situazioni nelle quali l’ascolto del soggetto potrebbe rilevarsi controproducente per l’oggettiva debolezza psico-fisica del beneficiario stesso (ergo, per ragioni sostanzialmente ispirate al rispetto della persona: Chizzini, A., op. cit., 443 s.).
Il giudice potrà fondare la propria decisione, oltre che sull’audizione del beneficiario, anche su altre fonti di convincimento: in particolare, ai sensi del terzo comma dell’art. 407 c.c., egli potrà assumere le informazioni necessarie (ascoltando, ad es., i soggetti indicati all’art. 406 c.c.: Vianello, A., op. cit., 1094; o acquisendo le relazioni dei servizi sociali: Montserrat Pappalettere, E., L’Amministrazione di sostegno come espansione delle facoltà delle persone deboli, in Nuova giur. civ. comm., 2005, II, 36), potrà disporre accertamenti di natura medica (ergo una consulenza tecnica sullo stato di salute del beneficiario; Danovi, F., Il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno (l. 9 gennaio 2004, n. 6, in Riv. dir. proc., 2004, 802), ma potrà soprattutto, a conferma della natura inquisitoria del giudizio in esame, disporre d’ufficio «tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione» (ad es., l’ordine di ispezione di persone o cose ex art. 118 c.p.c.: Chizzini, A., op. cit., 445). Anche le parti, dal canto loro, avranno certamente diritto di richiedere mezzi istruttori (una prova testimoniale, una consulenza tecnica, un’ispezione giudiziale: Chizzini, A., op. loc. ultt. citt.), ma non, per alcuni, il giuramento decisorio o la confessione, stante l’indisponibilità della situazione soggettiva dedotta (Chizzini, A., op. loc. ultt. citt.). La fase decisoria non è espressamente regolata dalla legge, ma si reputa che debba assumere le forme «rapide e snelle» del procedimento camerale (Chizzini, A., op. cit., 447).
Il provvedimento con il quale il giudice tutelare nomina l’amministratore di sostegno, stabilendo altresì la durata e l’oggetto dell’incarico, ha la forma di «decreto motivato immediatamente esecutivo» (si tratta del cd. “decreto di apertura” dell’amministrazione di sostegno, che la legge contrappone al cd. “decreto di chiusura”, emanato invece quando vengono meno i presupposti della misura protettiva). Il decreto di apertura (come il decreto di chiusura e ogni altro provvedimento assunto nel corso del processo: v. infra, § 8) va immediatamente annotato a cura del cancelliere «nell’apposito registro» (art. 405, co. 7, c.c.: al riguardo, v. Tommaseo, F., op. cit., 165 ss.); inoltre, il decreto di apertura e quello di chiusura (e solo questi: Tommaseo, F., op. cit., 167), devono essere comunicati entro dieci giorni all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni a margine dell’atto di nascita del beneficiario (art. 405, ult. co., c.c., ove si aggiunge che se la durata dell’incarico è a tempo determinato, le annotazioni vanno cancellate alla scadenza del termine indicato nel decreto di nomina o in quello di eventuale proroga). Secondo una decisione di merito (a mio avviso non condivisibile), con il decreto di nomina dell'amministratore si sostegno, il giudice tutelare potrebbe disporre «che la cancelleria non provveda all'annotazione del decreto stesso nel registro di cui all'art. 47 disp. att. c.c., né a darne comunicazione all'ufficiale dello Stato civile per [l’] annotazione a margine dell'atto di nascita del beneficiario, ove la capacità di agire di quest'ultimo non sia stata in alcuna misura limitata dalla predetta misura di protezione» (Trib. Modena, 22.7.2008, in DeJure). L’art. 405, co. 4, c.c., prevede anche che nel corso del procedimento il giudice tutelare possa adottare, pure d’ufficio, provvedimenti urgenti volti a garantire la cura della persona interessata e la conservazione e l’amministrazione del suo patrimonio, eventualmente nominando un amministratore di sostegno provvisorio e indicando gli atti che questi è autorizzato a compiere (in argomento, v. Trib. Pistoia, 8.6.2009, in Giur. mer., 2010, 103, con nota di R. Masoni; Trib. Modena, 6.3.2006, in DeJure; Trib. Roma, 7.1.2005, in Giur. mer., 2005, 2344; Trib. Bari, 21.12.2004, in DeJure).
Si ritiene che, applicando per analogia quanto previsto in caso di revoca dell’amministratore di sostegno dall’art. 413 c.c. (v. infra, § 8), il giudice tutelare investito della nomina dell'amministratore di sostegno, qualora si convinca che sussistano i presupposti per l’interdizione o l’inabilitazione, pronunciando il decreto di rigetto, possa trasmettere gli atti al p.m., affinché questi valuti l’opportunità di promuovere il relativo giudizio (Tommaseo, F., op. cit., 144; Trib. Salerno, 10.12.2004, in DeJure).
Ai sensi dell’art. 407, co. 4, c.c., il giudice tutelare può, in ogni tempo, modificare o integrare, anche d’ufficio (oltre che, naturalmente, su richiesta dell’amministratore di sostegno o del beneficiario: Tommaseo, F., op. cit., 211), le decisioni assunte con il “decreto di apertura”. Secondo l’opinione preferibile, l’esercizio del potere di modifica o di integrazione non presuppone il ricorrere di nuove circostanze, ma può basarsi anche su un diverso apprezzamento delle circostanze di fatto o di diritto che avevano giustificato l’adozione della misura protettiva (Tommaseo, F., op. cit.; Chizzini, A., op. cit., 391 s.). Si ritiene che la regola prevista all’art. 407, co. 4, si applichi pure ai provvedimenti interinali che il giudice tutelare può assumere ex art. 405, co. 5, c.c. (Chizzini, A., op. cit., 454, il quale sostiene anche che tali provvedimenti sarebbero soggetti ai gravami di cui all’art. 720 bis c.p.c.: v. infra, § 6).
6. Le impugnazioni: generalità
I commi secondo e terzo dell’art. 720 bis c.p.c. prevedono, in materia di amministrazione di sostegno, un sistema di impugnazioni articolato su due rimedi: precisamente, il decreto del giudice tutelare è reclamabile davanti alla corte d’appello ai sensi dell’art. 739 c.p.c.; il decreto con cui la corte d’appello decide sul reclamo è a sua volta ricorribile in cassazione, così come stabilisce l’ult. co. dello stesso art. 720 bis c.p.c.
Prima di esaminare singolarmente tali rimedi, conviene formulare alcune considerazioni di ordine generale, cominciando dalla legittimazione a impugnare. In proposito un importante studioso ritiene applicabili le regole dettate per il processo di interdizione o inabilitazione dall’art. 718 c.p.c.; questa norma, infatti, pur non compresa tra quelle richiamate dall’art. 720 bis c.p.c., troverebbe cittadinanza nel procedimento di amministrazione di sostegno in quanto ad essa fa rinvio l’art. 719 c.p.c., disposizione che appartiene invece al catalogo contenuto nello stesso art. 720 bis e che supererebbe il filtro di compatibilità. Dunque, secondo questo autore, in virtù del combinato disposto degli artt. 718 e 719 c.p.c., la legittimazione a impugnare spetterebbe non solo a coloro che parteciparono al giudizio di primo grado, ma anche a quanti, pur avendo la legittimazione a promuovere il processo de quo, a tale giudizio non hanno partecipato e, inoltre, al rappresentante della parte priva di autonomia (sempre in forza dell’art. 718 c.p.c. che attribuisce al tutore o curatore provvisorio il potere di impugnare la sentenza di interdizione o inabilitazione) (Tommaseo, F., op. cit., 539 ss.; contra, Chizzini, A., op. cit., 455 s., il quale sostiene che la legittimazione a impugnare sarebbe soggetta ai principi generali e dunque spetterebbe solo a chi è stato parte nel precedente grado del processo).
Ancora, la dottrina si è domandata quali, tra le disposizioni generali che regolano le impugnazioni nel processo contenzioso, siano applicabili anche al giudizio di nomina dell’amministratore di sostegno. Così, mentre si sono reputati compatibili gli artt. 330 e 336 c.p.c. (rispettivamente, luogo di notificazione dell’impugnazione ed effetti della riforma o cassazione), di contro si è negata l’applicabilità degli artt. 329 (acquiescenza), 331 e 332 (litisconsorzio in fase di gravame), 335 (impugnazioni incidentali), 337 e 338, (sospensione dell’esecuzione e dei processi; effetti dell’estinzione del procedimento di impugnazione) (Chizzini, A., op. cit., 456-458).
Poiché ai sensi dell’art. 405, co. 1, c.c., il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno è immediatamente esecutivo, ci si è chiesti inoltre se sia possibile disporne la sospensione dell’efficacia esecutiva (o dell’esecuzione) in pendenza di impugnazione (in senso favorevole, Tommaseo, F., op. cit., 157; contra, Chizzini, A., op. cit., 458). Infine, per chiudere questi cenni sul sistema dei gravami in generale, occorre ricordare che, secondo la dottrina, tra i rimedi proponibili contro il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno sarebbero esclusi, per diverse ragioni sistematiche, sia l’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., sia la revocazione prevista all’art. 395 c.p.c. (Chizzini, A., op. cit., 458 s.).
7. Le impugnazioni: il reclamo e il ricorso in Cassazione
Quanto ai singoli rimedi previsti dalla legge, il reclamo è stato definito come un’impugnazione «agile e semplificata, di natura sostitutiva, a critica libera ed efficacia devolutiva» (Chizzini, A., op. cit., 459). Giudice competente è la corte d’appello. Il reclamo va proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione, e ciò in virtù dell’applicazione dell’art. 739 c.p.c. espressamente richiamato dall’art. 720 bis c.p.c. (Tommaseo, F., op. cit., 542); peraltro vi è chi considera altresì applicabile la diversa regola prevista all’art. 669 terdecies c.p.c., asserendo dunque che il termine de quo potrebbe anche decorrere dalla comunicazione effettuata dalla cancelleria (così che la decorrenza dalla notificazione opererebbe solo qualora tale adempimento sia anteriore alla comunicazione) (Chizzini, A., op. cit., 459). Se si ritiene operante la regola speciale prevista all’art. 718 c.p.c., il termine per impugnare per i soggetti che, pur avendo la legittimazione a proporre l’azione non hanno partecipato al giudizio di primo grado, va calcolato «dal giorno dell’ultima notificazione eseguita a quanti abbiano assunto la qualità di parte nel giudizio di apertura» (Tommaseo, F., op. cit., 542). Nel caso in cui non si sia provveduto alla notificazione (o alla comunicazione), la dottrina concorda sulla sicura applicazione del cd. termine lungo di sei mesi (olim di un anno) decorrente dalla pubblicazione del decreto (Tommaseo, F., op. cit., 542). Riguardo alla struttura del procedimento, si è evidenziato come il rinvio all’art. 739 c.p.c. non debba essere interpretato «quale piena recezione» del tipo camerale delineato dagli art. 737 ss. c.p.c., ma in senso più restrittivo, e cioè quale «assunzione di un modello di gravame nelle sue essenziali linee formali», ma subordinatamente all’adeguamento di tale rito «alla specifica disciplina dettata dal legislatore per l’amministrazione di sostegno» (Chizzini, A., op. cit., 460). Ciò significa, in altre e più piane parole, che il gravame si svolgerà essenzialmente secondo le regole dettate per il procedimento di primo grado, e in particolare che la corte potrà esercitare gli stessi poteri inquisitori o ufficiosi che la legge riconosce al giudice di prima istanza (Tommaseo, F., op. cit., 543; al riguardo, peraltro, la S.C. ha statuito che nella fase del reclamo non sussisterebbe l’obbligo di ascoltare il beneficiario: Cass., 18.7.2008, n. 19971, in Dir. fam., 2010, 552). Infine si ritiene che il giudice d’appello, riformando il decreto di rigetto della domanda di apertura dell’amministrazione di sostegno, potrà nominare l’amministratore stesso indicando altresì gli atti che richiedono la sua assistenza o sostituzione (Tommaseo, F., op. cit., 543 s.).
Come già accennato, l’ult. co. dell’art. 720 bis c.p.c. completa il sistema dei gravami in materia di amministrazione di sostegno, prevedendo che contro il decreto della corte d’appello pronunciato ai sensi del secondo comma della stessa norma possa essere proposto ricorso in cassazione (per tutti i motivi previsti dall’art. 360 c.p.c.: ex multis, Tommaseo, F., op. cit., 545 s.). Si è già accennato (supra, § 1) che mentre i sostenitori della natura volontaria del giudizio in esame ritengono che il rimedio de quo risponda esclusivamente ad esigenze nomofilattiche (Chizzini, A., op. cit., 392 ss.), diversamente chi riconduce il procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno nell’ambito della giurisdizione contenziosa afferma che tale impugnazione assolve alla consueta funzione di suggellare con il giudicato un provvedimento decisorio, i cui effetti incidono su uno status personale (Tommaseo, F., op. cit., 544 ss.). Coerentemente, i fautori di quest’ultima tesi limitano l’ammissibilità del ricorso per cassazione ai soli decreti pronunciati in sede di reclamo che abbiano ad oggetto «provvedimenti ablativi, sia pure parzialmente, della capacità d’agire e dunque incidono sulla possibilità di operare attivamente e validamente nella realtà giuridica», mentre la escludono senz’altro contro i provvedimenti, sempre pronunciati in sede di reclamo, avverso quei decreti che siano espressione «della variegata attività di gestione e di controllo sull’andamento dell’amministrazione che la legge affida al giudice tutelare» (Tommaseo, F., op. cit., 544). Diversamente, chi opta per la natura volontaria del procedimento in esame, pur concordando che il rimedio del ricorso in Cassazione non si applica ai meri provvedimenti autorizzativi emessi nel corso dell’amministrazione di sostegno, ne afferma invece l’ammissibilità con riferimento a tutti i «provvedimenti che attengono alla istituzione e alla vita dell’amministrazione di sostegno» e dunque non solo al decreto di apertura o di revoca di quest’ultima (Chizzini, A., op. cit., 462 s.). Dal canto suo, la S.C. (aderendo nella sostanza alla tesi di F. Tommaseo) ha recentemente statuito l’inammissibilità del ricorso per cassazione «avverso i provvedimenti emessi in sede di reclamo in tema di rimozione e sostituzione ad opera del giudice tutelare di un amministratore di sostegno, avendo tali provvedimenti carattere meramente ordinatorio ed amministrativo e dovendo riferirsi tale norma soltanto ai decreti, quali quelli che dispongono l'apertura o la chiusura dell'amministrazione, di contenuto corrispondente alle sentenze pronunciate in materia di interdizione ed inabilitazione, a norma dei precedenti art. 712 ss. [c.p.c.], espressamente richiamati dal [co. 1] dell’art. 720 bis c.p.c.» (Cass., 10.5.2011, n. 10187, in Giust. civ., 2011, I, 1998).
Mentre taluno ritiene che i termini per proporre ricorso in cassazione siano quelli ordinari, e dunque sessanta giorni dalla notificazione (a cura della parte) del decreto ovvero il termine lungo di sei mesi decorrente dalla pubblicazione del provvedimento stesso (Tommaseo, F., op. cit., 545), altri sostengono invece che il termine breve decorrerebbe «dalla notificazione operata d’ufficio, o eventualmente dalla notificazione ad istanza di parte se anteriore» (Chizzini, A., op. cit., 465).
8. La disciplina processuale della cessazione per revoca dell’amministrazione di sostegno e della sostituzione dell’amministratore
L’art. 413, co. 1, c.c. prevede che il beneficiario, l’amministratore di sostegno, il p.m., o taluno degli altri soggetti legittimati a promuovere l’apertura dell’amministrazione di sostegno siano legittimati a chiederne la cessazione o a domandare la sostituzione dell’amministratore stesso. Il co. 4 della medesima norma attribuisce anche al giudice tutelare il potere di dichiarare d’ufficio la cessazione dell’amministrazione di sostegno quando essa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario.
La domanda di cessazione o di sostituzione, che l’art. 413 c.c. definisce genericamente «istanza», ha forma di ricorso (Tommaseo, F., op. cit., 534) che deve contenere i requisiti indicati dall’art. 407 c.c., nonché le altre indicazioni che non sono previste da quest’ultima norma, ma dall’art. 712 c.p.c., per la domanda di interdizione o inabilitazione, e dall’art. 125 c.p.c., per gli atti processuali di parte in generale (Tommaseo, F., op. cit., 534 s., secondo il quale tale l’istanza de qua non dovrà menzionare i soggetti ai quali fa riferimento l’art. 407, co. 1, c.c.). Il ricorso deve essere comunicato al beneficiario e all’amministratore di sostegno (art. 413, co. 2, c.c.), nonché al p.m. (Tommaseo, F., op. cit., 535); il giudice tutelare, peraltro, può ordinare l’intervento anche di altri legittimati, i quali hanno comunque facoltà di intervenire volontariamente nel giudizio di revoca come prevede, per l’interdizione, l’art. 720 c.p.c. (richiamato dall’art. 720 bis c.p.c.: Tommaseo, F., op. cit., 535 s.). Il giudice tutelare decide sull’istanza di revoca con decreto motivato, il quale è soggetto alle medesime impugnazioni previste per il decreto di apertura (reclamo e ricorso in cassazione: v. supra, § 7; in particolare, per la competenza della corte d’appello a decidere sul reclamo proposto avverso il decreto del giudice tutelare che abbia disposto la sostituzione dell'amministratore di sostegno e la rimodulazione dei suoi poteri, v. recentemente App. Palermo, 10.2.2011, in Foro it., 2011, I, 2167; Trib. Modena, 27.4.2012, n. 718) e alle stesse formalità pubblicitarie imposte per quest’ultimo (v. supra, § 5). Infine il giudice tutelare, qualora ritenga che l’amministrazione di sostegno non soddisfi le esigenze di protezione del beneficiario, ma che sia necessario avvalersi delle misure più incisive dell’interdizione e dell’inabilitazione, ne informa il p.m. affinché eserciti i relativi poteri di iniziativa (art. 413, co. 4, c.c., ove si aggiunge che, in questo caso, «l’amministrazione di sostegno cessa con la nomine del tutore o del curatore provvisorio ai sensi dell’articolo 419, ovvero con la dichiarazione di interdizione o di inabilitazione»).
Fonti normative
Artt. 404-413 c.c.; art. 720 bis c.p.c.
Bibliografia essenziale
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