Ammissibile il ricorso del sostituto
Le sezioni unite penali della Corte di cassazione, con sentenza 24.4.2016, n. 40517, hanno statuito l’ammissibilità del ricorso per cassazione proposto da avvocato iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, nominato quale sostituto del difensore d’ufficio o di fiducia, ancorché il difensore sostituito sia privo del requisito dell’iscrizione nel medesimo albo speciale. Un approdo innovativo rispetto al passato, cui il Supremo Collegio perviene mediante un’analisi sistematica delle disposizioni di riferimento e che rappresenta un’apertura importante in chiave di garanzia sostanziale del potere di impugnazione attribuito al difensore, anche tenuto conto delle recenti modifiche apportate all’art. 613 c.p.p. dalla l. 23.6.2017, n. 103.
Il Tribunale del riesame di Palermo, in accoglimento dell’appello proposto dal p.m. avverso il rigetto del giudice per le indagini preliminari della richiesta di applicazione della custodia carceraria, pronunciava ordinanza applicativa della misura custodiale. Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore d’ufficio dell’indagato, non iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, con ricorso sottoscritto dal sostituto processuale nominato ex art. 102 c.p.p. ed in possesso – a differenza del difensore sostituito – dei requisiti di abilitazione previsti dall’art. 613 c.p.p. La prima sezione della Corte di cassazione, sul presupposto della ritenuta inammissibilità del ricorso in quanto presentato da soggetto non legittimato, rimetteva alle Sezioni Unite la questione – su cui si registra un contrasto interpretativo – in ordine all’eventualità che, in fattispecie quali quella in esame, alla dichiarazione di inammissibilità debba conseguire o meno la condanna al pagamento delle spese del procedimento e, in caso affermativo, se la condanna debba essere disposta nei confronti della parte ovvero del difensore.
La questione devoluta alle Sezioni Unite – la sorte delle statuizioni relative alle spese del procedimento in casi analoghi a quello in esame – trova il proprio antecedente logico nella ritenuta inammissibilità del ricorso proposto dal sostituto cassazionista del difensore d’ufficio privo dei requisiti di cui all’art. 613 c.p.p. Un approdo, quest’ultimo, al quale la sezione rimettente giunge attraverso un articolato percorso argomentativo, il cui punto di partenza è costituito dalla constatazione in ordine al carattere estemporaneo ed episodico dell’intervento del sostituto nel processo. In questo senso militerebbero, secondo un primo ordine di considerazioni, le disposizioni di cui all’art. 97 c.p.p. (e segnatamente il comma 5) le quali – prevedendo la sostituibilità del difensore d’ufficio solo in ragione di un giustificato motivo – fungono da presidio alla continuità dell’assistenza tecnico giuridica, garantendo una più effettiva tutela dei diritti dell’imputato. Ne discende – secondo la sezione rimettente – che la sostituzione motivata da un ostacolo temporaneo o contingente del difensore originariamente designato, non priva affatto quest’ultimo del proprio incarico e delle funzioni ad esso connesse. Analogamente gli artt. 97, co. 4 e 102 c.p.p., sebbene rispondenti a distinte esigenze sistematiche (nel primo caso il sostituto interviene per iniziativa ufficiosa dell’autorità procedente, nel secondo per designazione volontaria del titolare della difesa), delineano una figura la cui caratteristica comune è quella di intervenire in ragione di esigenze transitorie e comunque sempre in mancanza di una designazione che risalga all’inizio del procedimento o anche solo ad un momento antecedente agli eventi che ne hanno determinato l’incarico. Non a caso, motiva il rimettente, le Sezioni Unite già in passato hanno rilevato che in tutte le situazioni in cui la sostituzione del difensore derivi da situazioni contingenti (e come tali diverse dai casi di revoca, rinuncia al mandato, abbandono della difesa o dispensa dall’incarico), l’originario difensore riassume automaticamente le proprie funzioni al cessare della causa che ha dato luogo alla sostituzione, senza necessità di avvisi o comunicazioni, proprio in ossequio a quel principio di immutabilità della difesa che costituisce il cardine dell’assetto voluto dal legislatore1. Il carattere di tendenziale estemporaneità e occasionalità rispetto al processo dell’istituto della sostituzione – prosegue il rimettente – consente di pervenire alla conclusione che il sostituto non è titolare di una soggettività difensiva autonoma, ma piuttosto la mutua dal dominus, al quale soltanto essa è e resta ascrivibile. Se ne trova conferma ulteriore nella circostanza che il diritto a proporre impugnazione nell’interesse della parte assistita ai sensi dell’art. 571, co. 3, c.p.p. rimane in capo al titolare, a prescindere dal fatto che costui sia stato momentaneamente sostituito ed indipendentemente dall’eventuale impugnazione proposta dal sostituto, al quale è sì riconosciuta tale prerogativa in funzione di garanzia ulteriore dei diritti dell’imputato, ma tale riconoscimento riveste carattere aggiuntivo e non sostitutivo rispetto alle facoltà del difensore inizialmente designato2.
Per un verso dunque, se il sostituto trae dal sostituito la propria soggettività difensiva, non potrà mutuare da quest’ultimo un potere di intervento e di iniziativa – la facoltà di proposizione del ricorso per Cassazione – di cui il titolare della difesa è sprovvisto per mancanza dei requisiti ex art. 613 c.p.p. Per altro verso, il difetto di abilitazione al patrocinio dinnanzi alla Suprema Corte priva il difensore di tutte le facoltà connesse all’espletamento del mandato difensivo nel giudizio di legittimità, e, significativamente per quanto attiene al caso in esame, anche di quella di nominare un proprio sostituto nell’ambito della medesima fase. Secondo la sezione rimettente, in ultima analisi, la sfera di operatività del sostituto resta circoscritta agli stessi diritti ed ai medesimi obblighi del titolare, di talché il difetto di abilitazione di quest’ultimo finisce per estendersi al sostituto processuale, ancorché egli sia provvisto dei requisiti per la partecipazione al giudizio di legittimità. Non osterebbe a tale conclusione il rilievo secondo cui la condizione di irreperibilità (ovvero di latitanza) dell’imputato, al quale sia stato originariamente designato un difensore non abilitato ex art. 613 c.p.p., priverebbe in concreto la parte del diritto di azionare il giudizio di legittimità. Tale rilievo, secondo il rimettente, non appare decisivo, posto che in simili casi la soluzione al difetto di legittimazione del legale è da individuarsi nel combinato disposto degli artt. 97, co. 5, c.p.p. e 30 disp. att. c.p.p., che consente al difensore d’ufficio di rivolgersi al giudice procedente per sollecitare la designazione di altro difensore regolarmente abilitato, al fine di rimuovere l’ostacolo all’esercizio del diritto di impugnazione. Un rimedio che, d’altronde, apparirebbe in linea con la natura permanente e non temporanea dell’impedimento costituito dal difetto di abilitazione, in relazione al quale – al pari dei casi di rinuncia al mandato, revoca, abbandono della difesa o dispensa del difensore d’ufficio – il sistema consente (ed impone) di ovviare con una nuova designazione, sostitutiva della precedente. Come evidenziato dall’ordinanza rimettente, si tratta del resto di una soluzione già individuata dalle Sezioni Unite con la pronuncia Lepido e altri3, con la quale si è affermata l’inammissibilità del ricorso proposto dal difensore d’ufficio non abilitato nell’interesse dell’assistito latitante, la cui condizione è stata considerata equiparabile a quella dell’imputato irreperibile.
In conclusione, il dualismo tra impedimento temporaneo, ovviabile tramite l’istituto della sostituzione (volontaria o officiosa), e impedimento definitivo (categoria cui va ascritto il difetto di abilitazione ex art. 613 c.p.p.), rimediabile attraverso una nuova designazione, sembra costituire il principale criterio interpretativo del giudice rimettente. La premessa normativa svolta dall’ordinanza suggerisce l’inadeguatezza dell’istituto della sostituzione a rimediare al difetto di abilitazione al patrocinio dinnanzi alla Corte di cassazione del difensore originariamente designato, esattamente come è inadeguato un rimedio temporaneo con riferimento ad una situazione non contingente. Proprio la natura episodica della sostituzione processuale, nell’ottica del rimettente, priva il sostituto di un’autonoma titolarità difensiva, la quale – in quanto meramente “derivata” dal sostituito – non può comprendere facoltà di cui quest’ultimo è sprovvisto.
La questione concretamente rimessa alle Sezioni Unite finisce per rimanere assorbita dalla valutazione in ordine al suo antecedente logico, ovvero l’inammissibilità del ricorso in esame, rispetto al quale il Supremo Collegio ritiene di non condividere gli approdi della sezione rimettente.
Il percorso argomentativo utilizzato per giungere a tale conclusione appare del tutto omogeneo rispetto allo sviluppo dell’ordinanza di rimessione. Se quest’ultima muove dal carattere essenzialmente estemporaneo dell’intervento del sostituto, il Supremo Collegio fonda il proprio argomentare dalla confutazione di tale assunto.
Un assunto che – secondo le Sezioni Unite – non tiene conto delle modifiche apportate dalla l. 6.3.2001, n. 60 in materia di difesa d’ufficio e, segnatamente, l’introduzione della facoltà, anche per il difensore d’ufficio, di nominare dei sostituti processuali. Una facoltà non più condizionata all’esistenza di un impedimento – giusta la modifica dell’art. 102 c.p.p. – e che costituisce estrinsecazione di una scelta difensiva, indipendentemente dalla fonte – fiduciaria o officiosa – della designazione originaria. La nomina del sostituto processuale – prosegue il Supremo Collegio – può anche avvenire in via preventiva ed il relativo incarico protrarsi per un lungo periodo, finanche per l’intera durata del processo. Tale nuovo assetto conferisce all’istituto una valenza di carattere strategico difensivo che si aggiunge all’originaria natura contingente, finendo per smentire la premessa da cui muove l’ordinanza rimettente e ponendo il sostituto in una posizione di collaborazione, non più solo di alternanza, con il difensore titolare.
Non v’è dubbio, anche alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, che il sostituto possa esercitare tutti i diritti4, assumendone parimenti i doveri, del titolare, cosicché eventuali limitazioni al potere di surroga, ancorché sancite formalmente nell’atto di designazione, devono considerarsi in ogni caso prive di efficacia5. In questo contesto va letta – secondo il Supremo Collegio – la pronuncia delle Sezioni Unite Lepido, citata nell’ordinanza di rimessione. Ivi si è stabilita l’inammissibilità del ricorso proposto dal difensore non cassazionista dell’imputato latitante sulla base di un duplice ordine di considerazioni. Per un verso il potere dell’imputato di proporre personalmente impugnazione non rientra tra i diritti esercitabili dal difensore ex art. 99, co. 1, c.p.p., essendo esso riservato personalmente alla parte; per altro verso la rappresentanza dell’imputato latitante ex art. 165, co. 3, c.p.p. non può ritenersi comprensiva della facoltà di surroga del difensore nell’esercizio di un diritto dell’imputato di natura strettamente personale, quale quello ex art. 571, co. 1, c.p.p. Argomentazioni che – osserva il Supremo Collegio – pur conducendo alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto dal difensore non abilitato del latitante, sotto altro e diverso profilo rafforzano il concetto di autonomia del potere di impugnazione attribuito al difensore ex art. 571, co. 3, c.p.p. rispetto al corrispondente diritto dell’imputato. Con la conseguenza che anch’esso va annoverato tra quelli che il sostituto esercita senza limitazioni di sorta ex art. 102 c.p.p. In questo contesto il difetto di abilitazione del difensore originario non può ritenersi privativo delle prerogative del sostituto, il quale – se iscritto nell’albo speciale ed in presenza di una valida designazione da parte del titolare della difesa – può quindi legittimamente proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 571, co. 3, c.p.p. e sottoscrivere i successivi atti. Contrariamente all’ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite ritengono in sostanza che la limitazione dei poteri processuali del difensore non abilitato al giudizio di legittimità non lo privi del potere di nominare un sostituto nell’ambito del medesimo giudizio e che quindi non si “trasmetta” al suddetto.
Un ultimo rilievo supporta la conclusione delle Sezioni Unite, a chiusura di un cerchio ideale che unisce la premessa dello sviluppo argomentativo con la sua conclusione. Si tratta di un argomento dirimente, che fa leva su quel rimedio che già le Sezioni Unite avevano individuato nella sentenza Lepido rispetto ai casi – quale quello in esame – in cui all’imputato latitante (o irreperibile) sia stato designato un difensore d’ufficio non iscritto all’albo speciale ex art. 613 c.p.p.; soluzione illo tempore individuata nel combinato disposto degli artt. 97, co. 5, c.p.p. e 30 disp. att. c.p.p. (v. supra, § 1.1).
La disposizione di cui all’art. 30, co. 3, disp. att. c.p.p. – osservano le Sezioni Unite – è stata oggetto di interpolazione da parte dell’art. 16 l. n. 60/2001 (la stessa che, tra l’altro, ha esteso al difensore d’ufficio la facoltà di nominare sostituti processuali, v. supra, § 2). Tale disposizione ha inserito dopo la frase «che si trova nell’impossibilità di adempiere l’incarico» le parole «e non ha nominato un sostituto». L’intervento normativo individua evidentemente la sostituzione al primo posto tra i rimedi ai casi di impossibilità di adempiere all’incarico, relegando la richiesta di nuova designazione in una posizione subordinata. Pertanto, ove si ritenga che – come prospettato dall’ordinanza di rimessione – la mancanza di abilitazione rientri nella fattispecie applicativa dell’art. 30, co. 3, disp. att. c.p.p., la tesi in ordine all’inadeguatezza della sostituzione ad ovviare all’impedimento de quo contrasterebbe con il dato normativo che viceversa la qualifica come primo strumento di risoluzione di un impedimento non transitorio.
Il maggior pregio della soluzione affermata dalle Sezioni Unite è da ricercare – ad avviso di chi scrive – nell’aderenza del percorso argomentativo ad una corretta esegesi delle fonti di riferimento. Tanto la premessa espositiva in ordine alla valenza non solo episodica della sostituzione, quanto la conclusione sulla adeguatezza di tale istituto ad ovviare a problematiche di tipo non necessariamente contingente, appaiono imperniate sulla necessità di valorizzare il dato normativo costituito dalle modifiche di cui alla l. n. 60/2001; un dato che, viceversa, la soluzione prospettata dalla sezione rimettente – ancorché estremamente lineare sotto il profilo logico – ha finito per trascurare. La rispondenza della decisione in commento al generale principio del favor impugnationis (del quale la motivazione invero non fa alcun cenno) appare dunque più la fisiologica conseguenza di un ragionamento sistematicamente corretto che un criterio ispiratore, sebbene sia evidente che è in quel terreno che i risvolti pratici della pronuncia in esame sono destinati a mettere radici. Non sembra solo una questione di maggiore dinamismo legato alla semplicità – e dunque celerità – della soluzione offerta al difensore non abilitato. Il valore aggiunto risiede anche nella garanzia, sensibilmente più elevata, che la sostituzione offre all’imputato in termini di effettività della difesa, intesa soprattutto nel senso di continuità, assicurata in misura maggiore dalla sostituzione – fisiologicamente più incline ad una sinergia tra sostituito e sostituto – piuttosto che dal meccanismo della nuova designazione ex art. 30 disp. att. c.p.p.
Sempre sul piano della prassi va infine osservato che l’opzione avallata dalle Sezioni Unite è destinata oggi ad operare in un contesto processuale parzialmente diverso in ragione della modifica dell’art. 613 c.p.p. ad opera della l. n. 103/2017, il cui art. 1, co. 62, ha soppresso la possibilità che alla sottoscrizione del ricorso per cassazione provveda la parte personalmente, di fatto restringendo il campo delle soluzioni percorribili anche in casi analoghi a quello in commento, escludendo che al difetto di abilitazione possa sopperire l’iniziativa della parte6. Una ragione in più per considerare favorevolmente l’approdo delle Sezioni Unite.
1 Cass. pen., S.U., 11.11.1994, n. 22, in CED rv. n. 199399.
2 Cass. pen., 24.11.2014, n. 5620, in CED rv. n. 262666.
3 Cass. pen., S.U., 11.7.2006, n. 24486, in CED rv. n. 233919.
4 Con l’unico limite dei poteri derivanti da una procura speciale e pertinenti esclusivamente al procuratore costituito dalla parte.
5 Cass. pen., 15.1.2008, n. 7458, in CED rv. n. 239010.
6 Allo stato non è chiaro se tale soppressione debba intendersi riferita, come sembra, anche alle impugnazioni di legittimità relative agli incidenti cautelari, le cui norme di riferimento (artt. 311 c.p.p. e 325 c.p.p.) continuano a prevedere la proponibilità del ricorso per cassazione da parte del pubblico ministero, dell’imputato e del suo difensore.