Ammortizzatori sociali nel mercato del lavoro
Le misure di sostegno al reddito alla cessazione del rapporto di lavoro sono state completamente ridisegnate ad opera del d.lgs. n. 22/2015, attuativo della l. n. 184/2014 (cd. Jobs Act). La nuova normativa semplifica ulteriormente l’apparato regolativo previgente e, accanto ad una prestazione di tipo assicurativo (Naspi), inserisce per la prima volta una misura a carattere non contributivo (Asdi). Il presente contributo vuole ricostruire i tratti essenziali del nuovo impianto normativo, cercando di evidenziare i profili problematici della complessa materia.
La materia degli strumenti di sostegno al reddito alla cessazione del rapporto lavorativo è stata completamente revisionata nel corso del 2015, a seguito dell’entrata in vigore della l. 10.12.2014, n. 183 (cd. Jobs Act) e dei suoi decreti attuativi.
La nuova normativa, contenuta nel d.lgs. 4.3.2015, n. 22, si inserisce nel solco della riforma approvata appena tre anni fa (artt. 2 e 3, l. 28.6.2012, n. 92, cd. Riforma Fornero), e porta a maturazione alcune delle scelte già delineate in quel provvedimento legislativo. Si tratta, invero, di un percorso incompiuto e, come vedremo, ancora in progress1; ciò soprattutto in considerazione dei limitati spazi di manovra imposti dal necessario contenimento della finanza statale, cui si aggiungono l’esiguità di risorse disponibili e l’incertezza circa la ripresa del ciclo economico (condizione, questa, indispensabile per ottenere risultati significativi in termini di creazione di nuovi posti di lavoro). L’analisi degli elementi di continuità e discontinuità rispetto all’assetto normativo previgente non può, dunque, prescindere dalla consapevolezza della morsa economica che costringe il legislatore a continui equilibrismi giuridici, nel faticoso tentativo di contemperare l’esigenza del rispetto dei sempre più stringenti vincoli di bilancio (art. 81 Cost.), con il principio della garanzia di prestazioni adeguate (art. 38 Cost.).
Ai fini della comprensione della nuova disciplina, è fin d’ora necessario contestualizzarne i contenuti all’interno di un disegno riformatore ben più ampio, che ha investito innanzitutto le regole in materia di flessibilità in entrata e in uscita dal mercato del lavoro (tipologie contrattuali di accesso al lavoro e disciplina del licenziamento individuale).
Sotto tale aspetto, la strumentazione prescelta dal legislatore del 2014 si incentra, ancora una volta, su un mix di politiche di flexibility e security coerenti con i principi di matrice europea2. Sul primo profilo insiste non solo il riordino delle tipologie contrattuali esistenti, per renderle «maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo» (art. 1, co. 7, l. n. 183/2014, e d.lgs. 15.6.2015, n. 81), ribadendo il ruolo prioritario del contratto a tempo indeterminato quale forma comune di contratto di lavoro3; ma, soprattutto, l’introduzione, per le assunzioni successive al 7.3.2015, di un contratto a tempo indeterminato, denominato “a tutele crescenti”. Tutele che, a ben vedere, si risolvono nella sola rimodulazione “a ribasso”, al crescere dell’anzianità di servizio, dell’apparato sanzionatorio applicabile in presenza di un licenziamento illegittimo4. Su tale istituto si incentrano le attese di un aumento significativo della quota di assunzioni a tempo indeterminato sul flusso complessivo dei nuovi contratti; incremento che risulta, poi, fortemente incentivato dalla previsione di consistenti sgravi contributivi per i primi tre anni di impiego5.
Alla rimodulazione dei modelli contrattuali, sostanzialmente incentrata sulla contrazione dell’area della tutela reale in caso di licenziamento illegittimo, fa da pendant la revisione del sistema degli ammortizzatori sociali; l’auspicio è, in quest’ottica, quello di riequilibrare l’abbassamento delle tutele interne al rapporto con l’incremento di quelle apprestate nel mercato del lavoro. L’emergenza (dis)occupazionale emerge, fin da subito, dalla posizione prioritaria che riveste, all’interno del disegno riformatore di fine 2014, il riordino degli ammortizzatori sociali: la prima delega contenuta nella l. n. 183/2014 concerne, infatti, proprio la revisione di questi istituti. E si tratta di un’esigenza di indubbio rilievo, se si considerano i dati sempre più allarmanti sui trend occupazionali dell’ultimo periodo6, che evidenziano l’incremento del tasso di disoccupazione, con una dinamica più sostenuta per quello giovanile e per quello relativo ai disoccupati di lunga durata. Il dato generazionale non deve essere sottovalutato, se si considera che i giovani7 costituiscono il target di riferimento privilegiato dei contratti di lavoro flessibili, con una assoluta prevalenza femminile in occupazioni con contratti di lavoro a tempo parziale, specie di tipo involontario8.
Il disegno riformatore del 2014 è poi completato da altri due tasselli, rinvenibili nella revisione delle misure di sostegno al reddito in costanza di lavoro, la cui frammentata legislazione previgente viene oggi razionalizzata e raccolta all’interno di un unico testo normativo (d.lgs. n. 148/2015); e delle misure e strumenti in materia dei servizi per l’impiego e delle politiche attive. Quest’ultimo intervento, attuato con il d.lgs. 14.9.2015, n. 150, investe in particolare il profilo della governance, in risposta all’inadeguatezza dimostrata, il più delle volte, dai centri per l’impiego nella gestione delle politiche attive e nell’accertamento degli obblighi di condizionalità per l’accesso alle politiche passive. La revisione così operata vuole garantire un più efficiente intreccio tra politiche attive e passive, collegando l’utilizzo degli ammortizzatori sociali, che costituiscono una risorsa nazionale, alle politiche attive, che rinvengono il loro perno operativo nei centri per l’impiego. L’accesso e il mantenimento di tutti i trattamenti di disoccupazione, così come degli strumenti di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro, è oggi subordinato al rispetto di meccanismi di condizionalità ancora più rigidi che in passato, con previsione di un impianto sanzionatorio molto articolato e graduato in ragione della gravità del comportamento omissivo tenuto dal beneficiario della prestazione (artt. 21 e 22). L’enfasi è posta, inoltre, sulla valorizzazione della ricollocazione incentivata, il cui perno ruota intorno all’assegno di ricollocazione; istituto la cui portata applicativa è stata, invero, notevolmente attenuata a seguito della nuova disciplina introdotta dall’art. 23 del d.lgs. n. 150/2015. Esso infatti era stato originariamente rivolto a tutti i soggetti in stato di disoccupazione (art. 17, d.lgs. n. 22/2015); il timore di un eccessivo affollamento, difficilmente gestibile con le risorse organizzative, pubbliche e private esistenti, ha condotto il legislatore a circoscrivere il riconoscimento dell’assegno (già contratto)9 di ricollocazione esclusivamente ai percettori della Naspi, disoccupati da più di quattro mesi, qualora ne facciano richiesta. I compiti e le funzioni assegnate ai servizi per l’impiego risultano comunque, nel complesso, notevolmente arricchiti; da qui la necessità di un serio rafforzamento dell’apparato amministrativo ad esso preposto, così come di un sinergico coordinamento tra strutture pubbliche e private, che possa risultare davvero funzionale ad assicurare l’efficiente incontro tra domanda e offerta di lavoro.
2.1 Sostegno al reddito e cessazione del rapporto di lavoro
All’interno di tale contesto complessivo devono essere lette le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 22/2015, attuativo della delega contenuta nell’art. 1, co. 2, lett. b), l. n. 183/2014, che riordina gli strumenti di sostegno al reddito in caso di disoccupazione involontaria10. Di tali strumenti la l. n. 183/2014 prevede la rimodulazione, «con omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi, rapportando la durata dei trattamenti alla pregressa storia contributiva del lavoratore» (art. 1, co. 2, lett. b, n. 1). L’obiettivo è, dunque, quello di portare a compimento il processo di razionalizzazione delle tutele, avviato con la l. n. 92/2012 che, come è noto, per i nuovi eventi di disoccupazione successivi al 1.1.2013 ha introdotto una sola prestazione, l’Aspi, nella quale stavano ancora gradualmente confluendo i trattamenti previgenti11. Alla nuova indennità è stata affiancata, poi, la cd. Mini-Aspi, un trattamento specificamente rivolto – al pari della previgente indennità di disoccupazione con requisiti ridotti – ai lavoratori che, in ragione di carriere lavorative brevi e discontinue, non riuscivano a soddisfare le più rigide condizioni di accesso all’Aspi12. La stessa legge del 2012 ha, infine, confermato – stabilizzandolo, ma sempre entro determinati vincoli di risorse – il particolare regime di tutela per i collaboratori a progetto, già previsto in via sperimentale dalla l. 29.11.2009, n. 2 e succ. mod. Si tratta, dunque, di istituti da poco innovati, e in corso di assestamento13, dei quali si prevede ora un sostanziale accorpamento; operazione condivisibile, in ragione della comune struttura e funzione che caratterizza, oramai, Aspi e mini-Aspi14.
Il nuovo decreto apre, dunque, una seconda fase di riassetto normativo dei trattamenti di disoccupazione, delineando un sistema protettivo che rimane ancora saldamente incardinato sul welfare occupazionale, rivolto ai soli lavoratori che perdono una precedente occupazione; lasciando esclusi gli inoccupati e i disoccupati di più lungo periodo, involontariamente esclusi dal mercato del lavoro15. Le tutele si articolano, oggi, lungo tre linee direttrici: l’omogeneizzazione degli istituti vigenti in un unico trattamento (la Naspi), incentrato sul rafforzamento del criterio assicurativo; la sua universalizzazione, fino a ricomprendervi l’area del lavoro autonomo economicamente dipendente; l’introduzione di un sussidio di disoccupazione, a carattere non contributivo, rivolto ai disoccupati che hanno già usufruito della Naspi, se abili al lavoro e in condizione economica di bisogno. Quest’ultima misura appare, senza dubbio, quella dotata di maggiore impatto innovativo, introducendosi per la prima volta un sussidio con funzione assistenzialistica, seppure a carattere non universalistico; con esso il sistema di protezione italiano si avvicina all’Europa, uniformandosi a modalità protettive già ampiamente diffuse in molti sistemi di sicurezza sociale vigenti in Paesi europei.
2.2 Verso un modello unitario di tutela: la Naspi
La strumentazione utilizzata per il restyling della materia si incardina su una nuova misura di sostegno al reddito, poco fantasiosamente denominata Nuova Aspi (Naspi), che sostituisce l’Aspi e la mini-Aspi per gli eventi di disoccupazione successivi al 1.5.2015.
Tale sostituzione non comporta, invero, l’abrogazione della normativa contenuta nella l. n. 92/2012; la Naspi è istituita «nell’ambito» dell’Aspi (art. 1, d.lgs. n. 22/2015), la cui disciplina rimane in vigore «in quanto compatibile» (art. 14); dal che discende una certa incertezza del contesto normativo di riferimento, essendo rimesso all’interprete il compito di raccordare le due discipline e individuare, di volta in volta, le disposizioni effettivamente applicabili16.
Passando ad analizzare i tratti innovativi della Naspi, ed il suo impatto sulla protezione dei futuri disoccupati, il nuovo trattamento conferma, seppure con alcuni aggiustamenti, i tratti essenziali delle misure previgenti, con indubbio rafforzamento della natura contributiva-assicurativa dell’istituto17.
Un primo elemento di continuità – peraltro parziale, per quanto diremo tra breve – risiede nel campo di applicazione soggettivo della nuova misura, che resta invariato rispetto a quello dell’Aspi e della miniAspi (art. 2, d.lgs. n. 22/2015). Se identica rimane la tipologia di lavoratori interessati, la platea dei potenziali beneficiari del nuovo trattamento risulta ben più ampia, grazie al significativo ridimensionamento dei requisiti contributivi minimi necessari ai fini dell’accesso alla Naspi. Il decreto delegato richiede infatti – oltre alla presenza dello stato di disoccupazione di cui, oggi, agli artt. 19 ss., d.lgs. n. 150/2015 – il soddisfacimento di almeno tredici settimane di contribuzione negli ultimi quattro anni, e trenta giornate di lavoro effettivo nell’anno precedente la disoccupazione (a prescindere dal raggiungimento del minimale contributivo)18; viene meno, inoltre, il requisito biennale dell’anzianità assicurativa19. Si tratta, dunque, di requisiti meno stringenti rispetto alla normativa previgente, che dovrebbero consentire di ricondurre nel campo di applicazione della Naspi anche i lavoratori subordinati occupati in attività lavorative estremamente precarie e discontinue.
Relativamente alle modalità di calcolo, alla Naspi si applicano i medesimi criteri validi per le indennità Aspi e mini-Aspi20, con le sole modifiche dell’ampliamento del periodo di riferimento della retribuzione imponibile dagli ultimi due agli ultimi quattro anni, e dell’elevazione del limite massimo di importo a 1.300 euro mensili (rispetto ai 1.167,91 euro mensili in vigore nel 2015). Sotto il primo aspetto, l’importo viene dunque direttamente correlato alle settimane di contribuzione versate nel quadriennio, secondo un criterio che, nel rafforzare la natura contributiva-assicurativa dell’istituto, rischia di depauperarne l’importo, in assenza di meccanismi rivalutativi delle retribuzioni “più antiche”.
La previsione di un più elevato importo massimo aumenta evidentemente il quantum della prestazione percepita nei primi mesi di disoccupazione; e tuttavia questo iniziale vantaggio risulta subito ridimensionato dalla repentina operatività del meccanismo del decalage del trattamento nel tempo, di modo che – al fine di incentivare la ricerca di una nuova occupazione – si prevede che l’entità della prestazione subisca, già a partire dal quarto mese, una decurtazione mensile del 3 per cento (art. 4, co. 3). La combinazione delle due previsioni potrebbe comportare un effetto di neutralizzazione reciproca; e tuttavia è indubbio che dall’applicazione reiterata della seconda derivi una considerevole penalizzazione del trattamento goduto dei disoccupati di lunga durata per i quali, raggiunto il periodo massimo di fruizione, l’importo del trattamento risulterà all’incirca dimezzato rispetto a quello inizialmente goduto21. Il reiterato abbattimento del trattamento è frutto, probabilmente, del necessario contemperamento con il prolungamento della durata di erogazione della Naspi, ora espressamente e in via generale rapportata all’anzianità contributiva vantata dal lavoratore, con «incremento della durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti» (art. 1, co. 2, lett. b, n. 2, l. n. 183/2014). La legge, nell’allineare la Naspi alle più interessanti esperienze d’oltralpe, di fatto generalizza il meccanismo già in vigore per la mini-Aspi: per tutti gli eventi di disoccupazione successivi al 2015, la durata di fruizione della Naspi sarà “anagraficamente neutra”22 e pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni, con un limite massimo, quindi, pari a 24 mesi23. Durata, questa, inizialmente ridotta a 18 mesi (78 settimane) per gli eventi di disoccupazione successivi al 1.1.2017. Sennonchè tale limitazione, riconducibile alla necessità di contenere gli oneri derivanti dal transito in Aspi dei percettori del trattamento di mobilità24, è stata opportunamente superata dal legislatore più recente (art. 43, co. 3, d.lgs. n. 148/2015), che ha esteso la durata dei 24 mesi anche per gli eventi di disoccupazione successivi al 2017. Si è attenuato, in tal modo, il pericolo di scaricare sulla Naspi le problematiche connesse alla gestione delle crisi economiche e occupazionali dei prossimi anni, ancor più aggravate in ragione della recente revisione, in senso restrittivo, del ricorso alla Cassa integrazione guadagni.
Alla finalità di contenimento della spesa è poi riconducibile la previsione che introduce un tetto retributivo alla contribuzione figurativa riconosciuta durante il godimento della Naspi, pari a 1,4 volte la misura massima mensile del trattamento per l’anno in corso (1820 euro, per il 2015). Tale previsione – il cui impatto risulta attenuato per i soli lavoratori che applicano il sistema di calcolo misto (art. 10, co. 2) – colpisce negativamente i lavoratori più giovani, che ricadono integralmente nel metodo contributivo; per essi l’apposizione del richiamato massimale impoverisce e rallenta la costruzione del montante contributivo individuale che darà luogo alla determinazione della pensione, potendo così ostacolare il raggiungimento della condizione economica di accesso alla pensione25.
Il d.lgs. n. 22/2015 conferma, infine, la finalità occupazionale del trattamento, e riconosce ai beneficiari della Naspi – a particolari condizioni – la possibilità di svolgere una nuova occupazione, incentivando altresì l’avvio di un’attività autonoma professionale o imprenditoriale, ovvero l’associazione in cooperativa. La nuova disciplina riprende, in buona misura, quanto già disposto in materia dalla l. n. 92/2012, superando però il principio – ivi contenuto – di incompatibilità tra retribuzione da lavoro subordinato e percezione del trattamento di disoccupazione. Il nuovo regime di compatibilità e cumulabilità della Naspi con i redditi derivanti dal lavoro subordinato risulta modulato in base all’importo del reddito annuale derivante da tale attività: se esso è superiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale (8.000 euro) si decade dalla prestazione, a meno che la durata del rapporto di lavoro non superi i sei mesi: in tal caso la Naspi è sospesa d’ufficio per tutta la durata del rapporto stesso. Se viceversa il reddito percepito è inferiore a tale soglia, è prevista la conservazione del trattamento di disoccupazione, secondo un regime di cumulabilità parziale analogo a quello previsto per i casi di svolgimento di attività lavorativa autonoma economicamente inferiore ad una determinata soglia26.
La nuova disciplina si risolve, quindi, nella generalizzazione di un regime di cumulo molto limitativo: come si è già avuto modo di osservare in altra sede27, esso rischia, in realtà, di alimentare il fenomeno del lavoro sommerso, già molto diffuso nelle occupazioni di modesto importo. Ed infatti, i benefici fin qui richiamati risultano più apparenti che reali: ciò in ragione dell’elevata decurtazione che colpisce l’importo della Naspi e, altresì, della penalizzazione che ne deriva in termini di mancato accredito della contribuzione IVS che dovrà, comunque, essere versata (artt. 9, co. 4 e 10, co. 2). Ne consegue che, in caso di avvio di un’attività di lavoro autonomo o di impresa individuale (nonché di associazione in cooperativa), risulterà maggiormente appetibile il ricorso alla liquidazione anticipata dell’indennità non ancora erogata, in un’unica soluzione (art. 8). Resta così confermata la possibilità di optare per la capitalizzazione del trattamento previdenziale, in luogo della tradizionale erogazione in forma periodica; si tratta, in questo caso, di una norma promozionale, volta a ridurre la pressione sul mercato del lavoro subordinato, attraverso la creazione dei presupposti affinché nuovi soggetti assumano iniziative di natura imprenditoriale o professionale. L’indennità perde, in tal modo, la sua connotazione di tipica prestazione di sicurezza sociale e si configura come un contributo economico destinato a sopperire alle spese iniziali di un’attività che il lavoratore svolgerà in proprio28. Questo è il percorso maggiormente incentivato dal legislatore, e che ha già trovato ampio riscontro fattuale29; tanto che la possibilità di avvalersi dell’anticipazione del trattamento previdenziale, già temporaneamente prevista per l’Aspi, perde ora il carattere della sperimentalità e diviene misura strutturale, non più assoggettata ad un plafond massimo di spesa.
2.3 Universalità di tutele: un obiettivo mancato. La Dis-Coll
Tra i principi dettati dalla l. n. 183/2014 era poi ricomparsa l’universalizzazione del campo di applicazione dell’Aspi, qui espressamente riferita alla «estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, fino al suo superamento ... mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e l’automaticità delle prestazioni, e prevedendo, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite» (art. 1, co. 2, lett. b, n. 3). Nelle intenzioni del legislatore delegante, dunque, l’enfasi sulla universalizzazione appariva specificamente orientata alla parificazione delle tutele per tutti i lavoratori economicamente dipendenti, da realizzarsi attraverso l’inclusione di una più ampia cerchia di lavoratori autonomi, che inglobasse quella dei collaboratori a progetto, già destinatari di un’apposita indennità una tantum30. Un percorso che, per questi ultimi lavoratori, anticipava quanto già disposto dalla l. n. 92/2012, ove si prevedeva – all’esito di un apposito monitoraggio – l’intensificazione delle tutele, attraverso l’estensione della mini-Aspi.
Questo obiettivo resta ancora una volta31 del tutto disatteso, registrandosi al riguardo lo scostamento più rilevante tra i principi della delega e la loro attuazione; per tali lavoratori il decreto introduce, infatti, un’indennità diversa dalla Naspi – per requisiti, durata e finanziamento – denominata Dis-Coll32.
Tale indennità, peraltro, è riconosciuta in via sperimentale per tutto il 2015, in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione involontaria verificatisi nel corso di tale anno; il provvedimento ha quindi carattere temporaneo, e sospende, fino al 31.12.2015, l’efficacia delle disposizioni che disciplinano l’indennità una tantum per i collaboratori a progetto (con previsione, peraltro, di un periodo di sperimentazione più breve – un anno – rispetto a quello richiesto dalla legge delega). L’auspicio è che la misura sia rifinanziata, soprattutto a seguito del superamento della tipologia contrattuale da ultimo richiamata33 e della prevedibile attrazione di tali lavoratori – laddove non sussistano i requisiti per la riconducibilità al lavoro subordinato – nella (seppur ridimensionata) area delle collaborazioni coordinate e continuative.
2.4 Dalla corrispettività alla solidarietà: l’Asdi
Il perno della riforma si rinviene, infine, nell’introduzione di un assegno universale per chi perde il posto di lavoro, l’Asdi (Assegno di disoccupazione).
Come si è già accennato, attraverso tale misura il nostro Paese compie un primo passo verso l’allineamento con le soluzioni giuridiche adottate in altri ordinamenti europei, introducendo un secondo livello di prestazioni di disoccupazione a carattere non (strettamente) contributivo. A ben vedere, all’Asdi può essere attribuita una natura mista: da una parte, esso assolve ad una funzione “assistenziale”, essendo destinato a fornire un sostegno economico finanziato con risorse pubbliche, previa verifica della situazione di bisogno del beneficiario e del suo nucleo familiare; dall’altra, viene erogato al disoccupato solo in presenza di stringenti requisiti soggettivi ed oggettivi.
L’Asdi viene introdotto, infatti, facendo seguito alle ampie cautele mostrate dal legislatore delegante, evidentemente dettate dalla necessità di verificare attentamente la sostenibilità economica del nuovo istituto. E di tali cautele la nuova misura porta il peso, per: il suo carattere sperimentale, inizialmente limitato a pochi mesi del 2015 e, solo più di recente, temporalmente prorogato (art. 43, co. 5, d.lgs. n. 148/2015); il limite di un determinato plafond di risorse, che – privilegiando (ancora una volta) la logica del “chi tardi arriva male alloggia” – rende difficile l’inquadramento di tale posizione quale vero e proprio diritto soggettivo; il circoscritto campo di applicazione soggettivo, essendo lo strumento riservato ai soli beneficiari della Naspi (con esclusione, quindi, dei percettori dell’Aspi, così come dell’intera area del lavoro autonomo beneficiaria della Dis-Coll) e destinato – nel suo primo anno di applicazione – prioritariamente ai disoccupati appartenenti a nuclei familiari con minorenni e, quindi, ai lavoratori in età prossima al pensionamento; la limitata durata di erogazione (6 mesi); il suo modesto importo, parametrato a quello dell’ultima indennità Naspi percepita e che non potrà, comunque, risultare superiore all’assegno sociale34. Al pari degli altri trattamenti di disoccupazione, poi, anche l’Asdi è assoggettato ad un rigido regime di condizionalità, essendo la sua corresponsione vincolata all’adesione del beneficiario a un progetto personalizzato di inserimento nel mercato del lavoro, redatto dai competenti servizi per l’impiego. Una connotazione “proattiva”, questa, che caratterizza anche la Carta acquisti sperimentale, prestazione assistenziale avviata nel 2013 quale strumento di contrasto alla povertà assoluta, e prototipo del “Sostegno per l’inclusione attiva” (SIA)35; misura, quest’ultima, con la quale l’Asdi dovrà essere attentamente coordinato.
Resta infine da segnalare come il godimento della prestazione sia, ad oggi, del tutto virtuale, non essendo ancora stato adottato – nonostante l’ampio superamento del termine previsto36 – il decreto ministeriale contenente la disciplina di dettaglio necessaria per l’operatività dell’istituto.
Le considerazioni da ultimo svolte evidenziano, in sé, i numerosi profili problematici connessi alla nuova prestazione non contributiva.
Anch’essa del resto, al pari delle altre misure introdotte dal legislatore del 2015, opera nei ristretti margini delle risorse economiche tempo per tempo disponibili. Si tratta di un processo ancora in corso, come dimostra il recentissimo riassestamento di tali strumenti; e non ancora concluso, se si considera il carattere sperimentale della DisColl, che lascia privi di copertura i collaboratori coordinati e continuativi per gli eventi di disoccupazione successivi al 1.1.2016. Sotto il profilo soggettivo, poi, dal nuovo assetto di tutele continua a restare esclusa l’intera area del lavoro autonomo “puro”, bacino di confluenza verso il quale il legislatore tenta di convogliare le opportunità occupazionali dei disoccupati, per decongestionare l’area del lavoro subordinato (v. supra, § 2.2). E tuttavia, anche dalla prima area giungono sollecitazioni per la predisposizione di misure a sostegno del reddito, in mancanza di lavoro: sintomatica è la recente – e, ancora una volta, temporanea – rivitalizzazione, nel settore del commercio, dell’indennizzo economico riconosciuto agli iscritti alle Gestione degli esercenti attività commerciali in caso di cessazione dell’attività, per accompagnare fino alla pensione coloro che si ritirano definitivamente dal lavoro37. Così come la previsione, per le Casse dei liberi professionisti, di poter destinare aggiuntivi risparmi di gestione anche al «sostegno dei redditi dei professionisti » nelle fasi di crisi38.
Dal nuovo assetto protettivo continuano, poi, a restare esclusi i lavoratori a tempo parziale verticale su base annua; tipologia contrattuale in crescita, specie per la sua componente involontaria39, per la quale però non si riscontra alcuna forma di tutela – se non a carattere volontario e oneroso – nei periodi di inattività connaturati al rapporto lavorativo in essere40. Conseguenza, questa, di un sistema protettivo ancorato ad una visione tradizionale della disoccupazione, in cui l’evento protetto resta ancora connesso alla perdita di un posto di lavoro già conseguito, e non alle condizioni oggettive del mercato.
Una vera universalizzazione delle tutele richiederebbe, invece, il superamento dei tradizionali confini della sicurezza sociale occupazionale, riconosciuta cioè ai soli lavoratori che perdono una precedente occupazione, per estendersi fino a ricomprendere anche coloro che ricercano un lavoro senza successo (si pensi, in particolare, ai giovani inoccupati ed ai disoccupati di lungo periodo, involontariamente esclusi dal mercato del lavoro). A fronte del persistente stallo produttivo e occupazionale, su cui da ultimo impattano le incisive innovazioni introdotte dal Jobs Act nell’area della flessibilità in uscita, sarebbe necessario un complessivo ripensamento del sistema di welfare, ancora più equo ed inclusivo, incentrato su politiche volte a sostenere la laboriosità di tutti coloro che, in situazione di bisogno economico, vorrebbero accedere al sistema produttivo, ma sono impossibilitati in ragione di condizioni oggettive, il più delle volte imposte dal mercato del lavoro41.
1 V., da ultimo, le novità apportate dall’art. 43, d.lgs. 14.9.2015, n. 148.
2 In questo senso, v. – già con riferimento alle disposizioni contenute nella l. n. 92/2012 – Bozzao, P., La tutela previdenziale nel c.d. lavoro flessibile, in Santoro Passarelli, G., a cura di, Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, Torino, 2014, 2298 ss.; con riferimento alla normativa del 2015; Id., I nuovi trattamenti di disoccupazione: a piccoli passi verso l’Europa, in Fiorillo, L. Perulli, A., a cura di, Contratto a tutele crescenti e Naspi. Decreti legislativi 4 marzo 2015, n. 22 e n. 23, Torino, 2015, spec. 202; riprende questa posizione Orlandini, G., La via italiana alla flexicurity: la riforma degli ammortizzatori sociali nel Jobs Act, in Questione giust., 2015, 3, 67.
3 Art. 1, co. 7, lett. b) e, in termini analoghi, art. 1, co. 1, lett. a), l. n. 92/2012.
4 In caso di licenziamento per motivi economici, la tutela si risolve sempre e solo in un indennizzo economico, crescente con l’anzianità di servizio (due mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, nella misura massima di 24 mensilità); il diritto alla reintegrazione viene circoscritto ai licenziamenti nulli e discriminatori, nonché a specifiche fattispecie di licenziamento ingiustificato.
5 Art. 1, co. 118124, l. 23.12.2014, n. 190; sulle modalità operative dell’incentivo, v. la Circ. INPS, 29.1.2015, n. 17.
6 V. i dati ISTAT, relativi all’anno 2014, pubblicati il 2.3.2015.
7 Rapporto ministeriale di monitoraggio sulla l. n. 92/2012, pubblicato nel gennaio 2014, spec. 34.
8 I lavoratori parttime sono in aumento dal 2010, ma quasi esclusivamente per la componente involontaria, che attualmente rappresenta il 64,6 per cento dei lavoratori a tempo parziale e l’11,9 per cento del totale degli occupati: Rilevazione Istat 15.9.2015, Il mercato del lavoro, II semestre 2015.
9 Così denominato nell’art. 17, d.lgs. n. 22/2015 (oggi abrogato), con la sola esclusione del co. 1. Lo scarto semantico è ben evidenziato da Esposito, M., Servizi e politiche per il lavoro nel “Jobs Act”: riforme, vincoli e necessità, in corso di pubblicazione negli Scritti in onore di R. De Luca Tamajo.
10 Sui contenuti del d.lgs. n. 22/2015 v. diffusamente Bozzao, P., I nuovi trattamenti di disoccupazione, cit., 201218; Natalini, F., La riforma dell’Aspi nell’ambito del Jobs Act: nasce la Naspi. Come cambia il sussidio di disoccupazione. Le ulteriori novità: la Diss-Coll e l’Asdi, in Fiorillo, L. Perulli, A., a cura di, Contratto a tutele crescenti e Naspi. Decreti legislativi 4 marzo 2015, n. 22 e n. 23, Torino, 2015, 219 ss.; Garofalo, D., Il d.lgs. 4 marzo 2015, n. 22: un primo commento, in Riv. dir. sic. soc., 2015, 2, 385 ss.
11 Per l’analisi di tale istituto v. Bozzao, P., L’assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), in Cinelli, M.Ferraro, G.Mazzotta, O., a cura di, Il nuovo mercato del lavoro. Dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013, Torino, 2013, 427 ss.
12 Ovvero due anni di anzianità assicurativa e almeno un anno di contribuzione nell’ultimo biennio. La mini-Aspi è riconosciuta, infatti, a fronte di un ridotto periodo lavorativo (bastano esclusivamente 13 settimane di contribuzione negli ultimi 12 mesi), senza più la necessità di soddisfare il (previgente) requisito dei due anni di anzianità assicurativa: novità, quest’ultima, finalizzata a consentire l’allargamento della platea, soprattutto a beneficio dei giovani che perdono il primo impiego. Per l’analisi di entrambe le misure v. Bozzao, P., Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), in Diritto online Treccani, 2014.
13 Si rammenta, infatti, che l’Aspi era in via di progressiva implementazione, essendo destinata ad acquisire portata generale solo a decorrere dal 1.1.2017.
14 Il pagamento della miniAspi, infatti, non avveniva più a consuntivo (ovvero nell’anno successivo a quello in cui era stata prestata l’attività lavorativa: così operava il trattamento di disoccupazione a requisiti ridotti) ma nel momento in cui occorreva il periodo di disoccupazione.
15 In senso critico v., già, Bozzao, P., L’assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), cit., spec. 429 ss.; tale carenza si intreccia con la mancanza di strumenti universalistici di sostegno al reddito, su cui v. Ead., Reddito minimo e welfare multilivello: percorsi normativi e giurisprudenziali, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2011, 589 ss.
16 Per alcune prime indicazioni, v. le Circ. INPS, 12.5.2015, n. 94, e 29.7.2015, n. 142.
17 Renga, S., Post fata resurgo: la rivincita del principio assicurativo nella tutela della disoccupazione, in Lav. dir., 2015, 1, 77 ss.
18 Relativamente ai lavoratori domestici, ai fini della costituzione di tale ultimo requisito la circ. INPS, n. 142/2015 richiede la presenza di un minimo di 120 ore, con un’attività lavorativa per 5 settimane, con un minimo di ore lavorate per ciascuna settimana pari a 24 ore: con evidente penalizzazione di tali lavoratori, se occupati a tempo parziale (con orario settimanale inferiore a tale soglia).
19 Rimasto, nella precedente disciplina, in vigore solo per l’accesso all’Aspi.
20 La percentuale di calcolo del trattamento è pari al 75 per cento della retribuzione, nel limite di una soglia reddituale annualmente rivalutata e pari, per il 2015, a 1.195 euro mensili; per gli importi retributivi più elevati, è previsto un incremento pari al 25 per cento del differenziale tra l’importo della retribuzione mensile e il predetto importo.
21 Non sarà quindi infrequente che il disoccupato arrivi a percepire importi estremamente modesti, al limite della adeguatezza sancita dall’art. 38, co. 2, Cost.
22 La nuova previsione dispone, infatti, il superamento della durata differenziata di godimento della prestazione in ragione dell’età anagrafica del beneficiario (di cui all’art. 2, co. 11 e 45, l. n. 92/2012); previsione, quest’ultima, finalizzata a favorire il disoccupato più anziano (over cinquantacinquenne), in ragione delle maggiori difficoltà occupazionali da questi rinvenute nel mercato del lavoro. La rigida applicazione del principio corrispettivo non rinviene, dunque, alcun correttivo a favore dei soggetti difficilmente ricollocabili; mentre sarebbe stato più opportuno mantenere criteri che valorizzassero, a tal fine, anche il profilo personale di occupabilità del disoccupato.
23 Rispetto alla condizione di accesso all’Aspi, l’ampliamento del periodo di godimento della Naspi sconta un limite, rinvenibile nella necessità di soddisfare una raddoppiata anzianità contributiva, per poter accedere al medesimo periodo di fruizione della prestazione: si introduce, cioè, un rapporto “2 a 1”, mentre ai fini della percezione dell’Aspi il rapporto era “paritario”, riconoscendosi la prestazione per un periodo pari a quello lavorato, pur entro i massimali di 12/18 mesi. Ai fini del calcolo della durata di erogazione della Naspi, poi, non si computano i periodi contributivi che hanno già dato luogo all’erogazione dei trattamenti di disoccupazione (art. 5, co. 1); per il superamento – seppure limitatamente agli eventi di disoccupazione verificatisi entro il 31.12.2015 – dei problemi applicativi di tale norma nei confronti dei lavoratori stagionali, v. l’art. 43, co. 4, d.lgs. n. 148/2015.
24 Per l’analisi di tale istituto sia consentito, per tutti, rinviare a Bozzao, P., Indennità di mobilità, in Diritto online Treccani, 2015.
25 V. l’art. 24, co. 7, d.l. 6.12 2011, n. 201, convertito da l. 22.12.2011, n. 214.
26 Tale soglia era originariamente parametrata al reddito utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, di cui all’art. 4, co. 1, lett. a), d.lgs. 21.4.2000, n. 181. A seguito dell’abrogazione di tale norma (art. 34, co. 1, lett. g, d.lgs. n. 150/2015), il reddito da assumere a riferimento è, oggi, quello corrispondente a un’imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti ai sensi dell’art. 13, d.P.R. 22.12.1986, n. 917: art. 10, co. 1, d.lgs. n. 22/2015, come mod. dall’art. 34, co. 3, lett. a), d.lgs. n. 150/2015.
27 Bozzao, P., L’assicurazione sociale per l’impiego, cit., 440.
28 In tal senso, sul tema analogo dell’anticipazione dell’indennità di mobilità, cfr, ex plurimis, Cass., 2.10.2014, n. 20826; Cass., 25.5.2010, n. 12746; Cass., 18.9.2007, n. 19338; Cass., 21.7.2004, n. 13562; Cass., 28.1.2004, n. 1587; Cass., 10.9.2003, n. 13272; Cass., 20.6.2002, n. 9007.
29 Nel 2014 l’INPS ha dovuto respingere le numerose domande di anticipazione, per l’esaurimento delle risorse stanziate per tale anno: v. il Mess. INPS, 30.1.2015, n. 736.
30 Art. 2, co. 51 ss., l. n. 92/2012.
31 V. già l’art. 1, co. 1, lett. d), l. n. 92/2012.
32 L’indennità, erogata mensilmente, è rivolta ai «collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, con esclusione degli amministratori e dei sindaci, iscritti in via esclusiva alla Gestione separata, non pensionati e privi di partita IVA, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione» (art. 16, co. 1); durante i periodi di fruizione non è riconosciuta la contribuzione figurativa. Per approfondimenti v. Natalini, F., La riforma dell’Asdi nell’ambito del Jobs Act, cit., spec. 239 ss.
33 Art. 52, co. 1, d.lgs. n. 81/2015.
34 Sono previste maggiorazioni, in presenza di carchi familiari.
35 Art. 60, d.l. 9.2. 2012, n. 5, conv. dalla l. 4.4.2012, n. 35; e art. 1, co. 216, l. 27.12.2013, n. 147.
36 Il decreto avrebbe dovuto essere adottato entro 90 giorni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 22/2015 (quindi, entro il 5.6.2015: art. 16, co. 6).
37 La misura è stata introdotta temporaneamente per un primo biennio (19961998: d.lgs. 28.3.1996, n. 207); più volte riattivata per brevi periodi, è stata da ultimo ripristinata fino al 31.12.2016 (art. 1, co. 490, l. 27.12.2013, n. 147).
38 Art. 10 bis, co. 1, d.l. 28.6.2013, n. 76 conv. con mod. dalla l. 9.8.2013, n. 99.
39 V., supra, nt. 9.
40 In tal senso, v. già C. cost. 24.3.2006, n. 121, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, 810, con nt. di C., Alessi; e l’art. 13, co. 9, d.l. 14.3.2005, n. 35, conv. con mod. dalla l. 14.5.2005, n. 80.
41 Sul punto v., da ultimo, Bozzao, P., Reddito di base e cittadinanza attiva nei nuovi scenari del welfare, in Riv. giur. lav., 2014, 2, 325 ss.