Amore e morte: Afrodite e Persefone nei pinakes di Locri
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I pinakes di Locri Epizefiri rappresentano una delle produzioni artistiche numericamente più consistenti dell’arte magnogreca, nonché una testimonianza unica di un complesso di devozione popolare. Si tratta di quadretti in terracotta di modesto formato realizzati da una matrice per essere sospesi come ex voto alle pareti del santuario di Persefone scoperto da Paolo Orsi in località Mannella. I soggetti rappresentano un complesso intreccio tra racconti mitologici relativi al ratto di Kore-Persefone, rappresentazioni simboliche dell’aldilà e pratiche devozionali connesse alle nozze e al passaggio delle giovani donne all’età adulta.
Tra il 1889 e il 1906, nel corso di sopralluoghi nella regione di Locri disposti dal Ministero della Pubblica Istruzione, Paolo Orsi viene a conoscenza della presenza, nelle collezioni private della zona, di numerosi frammenti pertinenti a tavolette in terracotta decorate a rilievo con scene di carattere mitologico e rituale. In particolare, Orsi ha modo di visitare la collezione che Domenico Candida, un ricco proprietario terriero, ha messo insieme con gli oggetti occasionalmente venuti alla luce nei suoi terreni: grazie alle informazioni così raccolte, concentra le ricerche sull’altura della Mannella, al margine collinare nord del territorio locrese.
Qui, a poca distanza dalla cinta muraria dell’antica Locri Epizefiri, a mezza costa nel vallone compreso tra due colli, rinviene il muro di terrazzamento e di delimitazione di un’area sacra che le iscrizioni consentono di identificare con un Persephoneion, un santuario di Persefone noto anche dalle fonti letterarie. Si tratta propriamente di un temenos, ovvero di un recinto sacro senza un vero e proprio edificio templare, frequentato almeno dal VII secolo a.C. e con particolare intensità nel VI e nella prima metà del V secolo a.C. A questo lasso di tempo appartiene infatti la maggior parte dei materiali votivi restituiti dagli scavi: essi erano stati deposti nell’intercapedine tra il muro del temenos e un secondo muro di contenimento, costruito un po’ più a valle nella seconda metà del V secolo a.C. probabilmente per sostenere un ampliamento del santuario.
Orsi interpreta questo deposito come uno scarico funzionale ad una ristrutturazione del santuario: gli oggetti che lo colmano sono stati intenzionalmente e accuratamente spezzati, secondo una modalità che caratterizza abitualmente lo sgombero delle aree sacre nel mondo antico, in cui gli arredi votivi non più utilizzabili vengono seppelliti ritualmente perché non siano profanati da usi impropri.
Lo scavo del deposito votivo del Persephoneion frutta il rinvenimento di migliaia di frammenti appartenenti a pinakes fittili; tuttavia Orsi, dopo le pubblicazioni preliminari dello scavo, non se ne occuperà più direttamente. Il compito di studiare e pubblicare i pinakes costituisce l’eredità scientifica che egli trasmette all’archeologa napoletana Paola Zancani Montuoro. A partire dal 1933 la studiosa dedica all’impresa oltre trent’anni: dopo aver ottenuto il loro trasferimento al Museo di Reggio Calabria e averne personalmente curato il percorso espositivo, affronta l’impresa di elaborare una griglia di classificazione tipologica delle raffigurazioni. Un lavoro estremamente complicato visto il numero elevato di frammenti spesso minuti e la loro enorme variabilità; ciononostante, la Zancani Montuoro elabora un complesso sistema di classificazione delle scene figurate, articolato in ben 176 tipi, che è tuttora la premessa metodologica per chiunque voglia misurarsi con lo studio di questi manufatti.
Il suo lavoro ha costituito la base di partenza per una recente revisione e pubblicazione integrale dei pinakes conservati nei musei calabresi. Alla testimonianza dei pinakes locresi si è infatti aggiunta, in tempi recenti, quella delle tavolette votive rinvenute in altre poleis della Magna Grecia, in particolare nelle colonie locresi di Medma e Hipponion e nelle località siciliane di Tauromenion e Francavilla di Sicilia: queste produzioni, analoghe a quelle locresi sia per tecnica che per soggetto, suggeriscono l’esistenza di un sistema di rappresentazioni religiose comune a tutta la grecità d’Occidente.
I pinakes di Locri Epizefiri rappresentano una delle produzioni artistiche numericamente più consistenti dell’arte magnogreca, nonché una testimonianza unica di un complesso di devozione popolare. Si tratta di quadretti in terracotta di modesto formato (non oltre i 30 cm in lunghezza e altezza per circa 1 cm di spessore) prodotti localmente, a partire da una matrice in cui il disegno era realizzato in negativo e su cui la lastra di argilla cruda veniva pressata in modo da presentare, dopo la cottura, il medesimo soggetto in positivo, ravvivato da una vivace policromia di cui restano tracce in diversi esemplari. Le tavolette così ottenute erano destinate ad essere sospese, mediante fori visibili sul bordo superiore, alle pareti del temenos o anche agli alberi di un boschetto sacro come offerta devozionale.
L’analisi stilistica consente di circoscriverne la datazione nella prima metà del V secolo a.C.: i pinakes si inscrivono infatti nel linguaggio artistico del cosiddetto stile severo, con alcuni attardamenti dello stile arcaico per gli esemplari più antichi della serie. La produzione di un numero così cospicuo di esemplari in un torno di tempo piuttosto limitato lascia supporre che i pinakes costituissero il dono prediletto dei fedeli alla divinità.
L’identità di quest’ultima si lascia facilmente decifrare sia dalle circostanze del rinvenimento entro la stipe della Mannella, sia dal soggetto più ricorrente tra i frammenti conservati: il ratto di Kore. Kore, “la fanciulla”, è l’epiteto che i poeti greci riservano a Persefone quando costei è ancora la giovane e innocente figlia di Demetra, prima che Ade la rapisca facendone la propria sposa. La vicenda è nota da numerose fonti (in particolare dall’inno pseudo-omerico a Demetra) e da centinaia di rappresentazioni figurative, che riproducono uno schema grossomodo fisso a cui ricorrono anche le tavolette di Locri: Ade, rappresentato come un uomo adulto dalla lunga barba, afferra per la vita la fanciulla riluttante caricandola di peso sul suo carro trainato da cavalli alati. Kore spalanca le braccia in segno di spavento; talvolta stringe al petto un galletto, il consueto animale da compagnia degli adolescenti di entrambi i sessi.
Ben altra atmosfera domina un altro consistente gruppo di pinakes, in cui la coppia divina siede in trono pacificata e celebra la propria hierogamia, le proprie nozze sacre: le due divinità ostendono i propri attributi (la spiga e il galletto per Persefone, un ramo fiorito e la patera per libagioni per Ade), ricevendo in alcuni esemplari l’omaggio delle altre divinità (Ermes, Dioniso, Ares, i Dioscuri). Talvolta la dea è raffigurata da sola, seduta in trono in atteggiamento maestoso, segno della sua preminenza nella devozione dei locresi. Le due serie possono leggersi in una sequenza ideale, ovvero come due momenti della vicenda individuale della dea che da Kore acquisisce lo statuto di Déspoina, signora del regno dei morti e, attraverso la sua stagionale emersione alla luce, di garante della ciclicità della vita vegetale, simboleggiata dal ramo di spighe ricorrente tra i suoi attributi.
Più discussa è invece la natura delle scene raffigurate negli altri gruppi. Un nucleo consistente di tavolette ha per soggetto delle giovani donne impegnate nella preparazione di un complesso cerimoniale: esse recano offerte presso un altare oppure colgono frutta da un albero; in un gruppo di immagini una giovane donna si sistema i capelli guardandosi in uno specchio, mentre una fanciulla più giovane, in piedi davanti a lei, le porge il necessario per la toilette. In un’altra serie le fanciulle celebrano una processione in cui trasportano casse e ceste di vimini contenenti una veste accuratamente ripiegata, la stessa che altrove estraggono – o ripongono – in una grossa cassa (detta in greco kibotòs).
Il punto d’arrivo della processione sembra essere l’interno di un santuario: qui la veste appare ben piegata su una cassa posta ai piedi del trono su cui siede una figura femminile dal capo velato che, per la posa solenne e gli oggetti che maneggia (una coppa da libagione e una bacchetta), è probabilmente una sacerdotessa. Al suo cospetto, una ragazza consegna i giochi d’infanzia, una palla e un galletto.
Un gruppo apparentemente a sé stante è poi quello costituito dai pinakes in cui una figura femminile seduta solleva il coperchio di una cesta nella quale giace un bambino. La Zancani Montuoro identifica la protagonista di questa scena con la stessa Persefone e colloca i pinakes di questo gruppo all’ideale punto di arrivo di un racconto mitico di cui le singole scene riprodurrebbero le diverse sequenze. Secondo la studiosa, infatti, i pinakes locresi costituiscono un ciclo unitario che narra la leggenda di Kore-Persefone, “che si compendia nel trasformarsi della fanciulla per antonomasia nella donna e dea sovrana del mondo sconosciuto ai sensi”. La violenza del ratto sarebbe dunque preliminare, attraverso il passaggio per le cerimonie di preparazione alle nozze, al compimento della theogamia e all’insediamento di Persefone sul trono degli inferi.
A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso la conoscenza dei culti locresi si è progressivamente arricchita di nuovi elementi, grazie anche ai nuovi scavi condotti nell’abitato e ad un affinamento nelle metodologie di indagine dei comportamenti rituali. Si è così affacciata da più parti l’ipotesi che le scene raffigurate sui pinakes non siano confinate al mondo degli dèi, ma coinvolgano anche attori umani. In particolare, si deve a Mario Torelli un’articolata rilettura dei culti locresi: lo studioso si sofferma sui riti connessi con la transizione delle fanciulle all’età adulta, la cui importanza a Locri si legge in filigrana dietro la tradizione storiografica circa l’esistenza in città della pratica della hierodoulìa, ovvero della prostituzione sacra praticata in un santuario di Afrodite, per un periodo determinato, da un gruppo di fanciulle scelte a sorte.
Anche le operazioni rappresentate sui pinakes della Mannella sono da intendersi, secondo Torelli, non come una teologia ma come una rappresentazione simbolica del percorso di formazione che conduce le giovani locresi alle nozze: la raccolta dei fiori e della frutta potrebbe evocare la realtà prenuziale e le occupazioni “non produttive” dell’adolescenza e dell’infanzia, a cui le giovani donne rinunciano mediante la consegna della palla e dei giochi infantili. La serie continuerebbe con i protéleia, i riti preliminari alle nozze che prevedevano sacrifici cruenti e incruenti, oltre alla preparazione e alla vestizione della sposa. Queste scene realistiche (le cui protagoniste sono da intendere ovviamente come rappresentazioni tipiche di fanciulle locresi e non come ritratti individuali) si salderebbero senza salti concettuali con quelle più propriamente mitiche, ovvero il ratto e la hierogamìa di Persefone: le vicende della dea costituiscono il paradigma mitico delle nozze umane, la promessa, per le korai divenute nymphai (“spose”), del felice esito di un evento che, comportando la rottura di una situazione precedente, era avvertito come “disintegratore”.
In questo quadro appare più conseguente anche la scena con la scoperta del fanciullo divino nella cista: al termine della vicenda mitica, la Kore diventa Metér, Madre. La nascita di uno hieròs kouros, di un bambino sacro, è al centro dei misteri celebrati in onore di Kore e Demetra ad Eleusi; nella prospettiva del percorso individuale delle fanciulle locresi, però, questa maternità miracolosa appare piuttosto come un voto per il conseguimento del fine sociale del matrimonio, ovvero la eukarpìa, la sessualità feconda.
Di recente proprio i pinakes di questo gruppo hanno indotto ad una rilettura di tutto il complesso. L’apertura della cista con il sacro fanciullo è stata messa in relazione con il ruolo di madre di Dioniso assegnato a Persefone dalla mitologia orfica, ovvero da quel complesso di credenze mistico-sapienziali legate ad un percorso iniziatico culminante, per gli adepti, nella rinascita a nuova vita dopo la morte. Secondo la poesia orfica, infatti, Zeus avrebbe affidato Dioniso bambino, orfano di Semele, proprio a Persefone, in onore della quale vengono da allora celebrati i sacri misteri. Dioniso è presente anche in altri pinakes, in particolare è rappresentato mentre rende omaggio alla coppia divina in trono porgendo loro un grande kantharos colmo di vino. L’ipotesi, di recente suggerita da Madeleine Mertens Horn, è che il rapporto tra Dioniso e i riti celebrati nel Persephoneion vada ripensato alla luce delle nuove conoscenze sul sistema religioso orfico, acquisite soprattutto grazie alle laminette auree trovate nelle tombe di Hipponion, Thurii e Petelia (e quindi in un contesto molto prossimo a quello locrese).
Si tratta di testi sacri contenenti indicazioni per il defunto su come presentarsi alle divinità del mondo sotterraneo e superarne l’esame per accedere alle sedi dei puri: “Ora moristi e ora nascesti, o beatissimo, in questo giorno / dì a Persephone che ti liberò Bakchos”, recita la laminetta di Thurii. La presenza di Dioniso/Bakchos, il “Liberatore”, sui pinakes locresi getterebbe una nuova luce sul significato delle tavolette che, almeno nelle scene ambientate nel palazzo di Ade, rifletterebbero aspettative di tipo escatologico.
Nelle pratiche devozionali che circondano il santuario di Persefone a Locri sembrano dunque coesistere due istanze fondamentali, connesse a due passaggi cruciali dell’esistenza umana e in particolare di quella delle fanciulle: le nozze e il destino dell’anima, l’amore e la morte.