AMORE (lat. amor; gr. ἔρως; fr. amour; sp. amor; ted. Liebe; ingl. love)
L'amore che, infuso nelle memhra mortali, dà agli uomini dolci pensieri e unioni beate, viene da Empedocle (fr. 17 Diels) elevato a principio cosmico, quale Amicizia (Φιλία, Φιλότης) contrapposta alla Contesa o all'Odio (Νεῖκος). E l'ἔρως, l'amor di bellezza, e di generare nella bellezza - analizzato (dopo le prime indagini del Liside sulla ϕιλία) con finezza insuperata nel Convito e nel Fedro - è da Platone indicato come la prima, misteriosa iniziazione all'idea del bello eterno, e anzi a tutto il mondo delle idee. Diretto alla bellezza ideale, questo amore, che poi si disse platonico, si stacca quanto può dal piacere sensibile, a cui lo trarrebbe l'appetito, il cavallo nero descritto nel celebre mito del Fedro (253 e). È, invece, amore di padre quello del Dio cristiano verso gli uomini, e amor fraterno quello dei cristiani tra loro. Tuttavia l'anima che ama Cristo tende a unirglisi come a sposo: onde tornano nella mistica cristiana le più ardenti immagini dell'amore sensibile. Nel nuovo platonismo del Rinascimento l'Amore, come per Platone non era un dio bensì un demone, medio tra divinità e umanità, così per Marsilio Ficino è un satellite di quell'iddio, o angelo, che muove il pianeta Venere: e poiché Venere muove gli uomini ad amare per mezzo del suo satellite Amore, "io dico Demonio Venereo" (Sopra lo amore, ovvero Convito di Platone, Orazione VI, cap. IV). Per Leone Ebreo l'amore, forza cosmica viva in tutti gli esseri, nell'uomo ha di nuovo il compito, indicato da Platone, di far ascendere l'anima nostra "da le bellezze corporali ne le spirituali, e conoscere per l'inferiori sensibili, le superiori bellezze intellettuali" (Dialoghi d'amore, III). Per il Bruno l'amore è "eroico furore" delle anime grandi, rapimento per la bellezza divina, che traluce nelle bellezze sensibili. Nel naturalismo della Rinascenza, ponendosi a fondamento della natura umana l'impulso a conservarsi, l'amore fu interpretato come diretto sempre verso ciò che promuove la nostra conservazione. Si cercò tuttavia di mostrare che questo stesso amore di conservarsi mena alla "benignità", come disse il Telesio; o che, su l'amore di conservarsi, si innesta, tutto proprio dell'uomo, l'amore per Dio, che il Campanella interpreta come tendenza a tornare alla prima origine. Annoverato da Cartesio tra le sei passioni primitive, l'amore fu invece escluso dai tre affetti primi enumerati dallo Spinoza: cupiditas, laetitia, tristitia. Ma lo Spinoza intese dimostrare che l'amore deriva immediatamente dalla letizia, in quanto la gioia, non appena consapevole della causa che l'ha provocata, si muta in amore verso tal causa: Amor est laetitia concomitante idea causae externae (Eth., III; Affectuum definitiones, IV). Come la più alta letizia umana è la contemplazione intellettuale della necessità naturale di tutte le cose, che per lo Spinoza è Dio, tale gioia si muta in amore per la sua causa: Ex tertio cognitionis genere (la conoscenza intellettuale) oritur necessario amor Dei intellectualis (Eth., V, Prop. XXXII, Cor.). Mentre per il naturalismo spinoziano anche il più elevato amore ha sempre una prima base egoistica, per Leibniz amare sive diligere est felicitate alterius delectari. E nelle minute analisi a cui sottopongono gli affetti umani i teorici inglesi del sentimento morale, l'amore dell'uomo per l'uomo è, per il Hutcheson, così generale da potersi paragonare alla gravitazione universale; similmente per il Hume la benevolenza è innata e naturale negli uomini. Non amore, ma dovere è per Kant la moralità: sebbene l'amore prescritto dalla morale evangelica sia, per la sua universalità e obbligatorietà, qualcosa di diversissimo da quel comune sentimento che si dice amore. Speciosa è l'interpretazione schopenhaueriana dell'amore, come un inganno che all'individuo fa il genio della specie perché ci sia nuova prole. Nell'Ottocento l'amore fu infinite volte e sotto aspetti infiniti analizzato dai romanzieri con più acutezza psicologica di molti poeti dei secoli precedenti.
La concezione cristiana. - Nel concetto cristiano, l'amore, ch'è compiacenza del bene o naturale o sensitivo o spirituale, non esclude, ma suppone la tendenza naturale, cui perfeziona e innalza per mezzo di quell'atto e abito superiore, infuso da Dio soprannaturalmente, che vien detto carità. Onde ogni carità è amore, ma non ogni amore è carità. Nel concetto cristiano dell'amore è inchiuso come motivo od oggetto formale Dio per sé stesso, bene infinito, capace di appagare, il desiderio umano di beatitudine. Il suo oggetto materiale è Dio stesso, quale termine principale, e per ragion di lui l'uomo e il prossimo. Perché la carità non è che amore di amicizia con Dio; ed è proprio dell'amicizia l'estendersi non solo all'amico, ma ancora alle persone che a lui appartengono. Di qui il doppio precetto cristiano dell'amore: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e amerai il prossimo come te stesso" (Matteo, XXII, 37-40). Oggetto perciò primario e formale dell'amor cristiano è Dio, e per ragion di Dio, oggetto secondario l'uomo stesso, il prossimo, la patria, tutto il genere umano, e financo i nemici (Matteo, V, 44), non in quanto ci sono nemici, ma in quanto ci sono fratelli nell'umana natura, e per tal ragione da non escludersi dal generale amore verso il prossimo (S. Tommaso, Summa theol., Secunda Secundae, q. 25, a. 8).
La carità perfeziona e santifica ogni amore onesto, sia domestico, famigliare, coniugale, sia amicale, sociale, patrio; e quindi anche l'amor proprio o di sé, quando è ordinato al bene e alla perfezione propria, non secondo il senso, ma secondo la retta ragione e non è contrario alla dilezione di Dio e del prossimo e all'obbedienza alla divina legge.
La carità (ἀγάπη) è una delle tre virtù teologali, maggiore della fede e della speranza (I Corinzî, XIII, 13); è inseparabile dalla grazia santificante che rende l'uomo caro e accetto a Dio e si perde con la medesima grazia per ogni colpa mortale. Essa è principio di ogni atto meritorio in chi è in grazia di Dio ed è forma di tutte le virtù, influendo, secondo le varie spiegazioni dei teologi, nei singoli atti meritorî di vita eterna. Ha diversi gradi negl'incipienti, nei proficienti e nei perfetti; e può assurgere all'unione spirituale e mistica con Dio, con quei carismi di comunicazioni straordinarie, di cui ragionano S. Teresa, S. Giovanni della Croce e i teologi mistici.
L'amor cristiano, come atto, negli adulti può precedere la virtù della carità, che s'infonde da Dio insieme con la grazia e le altre virtù infuse. È atto di carità perfetta, quello compiuto per intuito della sovrana bontà di Dio che può rimettere tutti i peccati, come accade in chi si converte per un atto di perfetta contrizione, bastevole alla giustificazione davanti a Dio, col voto, implicito nell'atto di carità, di ricevere il sacramento, sia il battesimo sia la penitenza. È invece atto di carità imperfetta quello compiuto per timore dei castighi divini, com'è l'atto di attrizione, non sufficiente a salute senza il concorso del sacramento del battesimo o della penitenza o dell'estrema unzione.
Per amore come divinità e le sue figurazioni v. eros.
Bibl.: Per la concezione greca dell'amore, v. L. Robin, La théorie platonicienne de l'amour, Parigi 1908; A. Tilgher, La visione greca della vita, 2ª edizione, Roma 1926, pp. 96-107; G. Calogero, Il Simposio di Platone, Bari 1928, con la bibliografia ulteriore. - Per la concezione cristiana nelle sue origini: A. von Harnack, Das hohe Lied des Apostels Paulus von der Liebe und seine religionsgeschichtliche Bedeutung, in Sitzungsber. d. Berl. Akad., 1911, pp. 132-173. - Per il Medioevo e il Rinascimento, tra l'altro: P. Rousselot, Pour l'histoire du problème de l'amour au Moyen âge, Münster in W. 1908 (in Beiträge zur Gesch. d. Philos. des Mittelalters, VI, 6); H. Pflaum, Die Idee der Liebe. Leone Ebreo, Tubinga 1926.