‛AMR IBN al-‛ĀṢ
Capitano e uomo di stato arabo del primo periodo dell'età musulmana. Nato alla Mecca e ostile dapprima all'Islām, si convertì nell'8 ègira (629-30 d. C.), quando Maometto aveva già assodato la propria potenza, ma non si era ancora impadronito della Mecca; accostandosi al futuro trionfatore proprio alla vigilia della vittoria, Amr mostrò di possedere fin da allora quel sicuro intuito del momento propizio che non gli venne mai meno neppure in seguito e gli valse la fama del "più astuto tra gli Arabi" (dāhiyat al-‛Arab), se non pur quella di uomo fornito di scrupoli morali e religiosi. Prese parte, sotto i califfi Abū Bekr e ‛Omar, alla conquista della Palestina, e di li mosse, a quanto pare più di proprio impulso che per ordine ricevutone, a quella dell'Egitto, che tolse ai Bizantini con fulminea rapidità (19-21 ègira = 640-42), donando al nascente impero islamico una delle sue più ricche provincie. Rimasto in Egitto come governatore, fu deposto da ‛Othmān; si tenne tuttavia estraneo al movimento di ribellione contro questo califfo e alla uccisione di lui; dopo questa, destreggiandosi abilmente nella lotta tra Mu‛awiyah e Ali (v.), mercanteggiò il proprio appoggio al primo, cui riconquistò l'Egitto, togliendolo ai partigiani di Ali, e ottenendo in compenso di riaverne il governo senza controllo da parte del potere centrale (37 ègira = 657-8). Di lì, durante i primi anni del califfato di Mu‛āwiyah, riprese la graduale conquista dell'Africa settentrionale, già iniziata durante il suo primo governo e che doveva più tardi esser condotta a termine dai suoi successori. Morì, secondo le testimonianze più attendibili, nel 43 ègira (663-4).
‛Amr ibn al-‛Āṣ è una tra le figure più caratteristiche di quei Meccani di straordinario talento militare e politico che il fermento dell'espansione islamica mise in evidenza, portandoli di colpo dall'oscurità della vita araba alla parte di attori della storia mondiale. La tradizione pietistica musulmana dà di lui un giudizio severo, pur rammentando che in punto di morte egli si mostrò sinceramente religioso; i cristiani di Palestina e di Egitto, che lo conobbero conquistatore e governatore, ne lodarono la moderazione, la tolleranza, l'equità. Pura leggenda è quella che gli attribuisce l'incendio della biblioteca di Alessandria. Un suo figlio, ‛Abd Allāh, quasi a contrasto con la mondanità del padre, è celebrato come uno dei più devoti asceti della seconda generazione musulmana.
Bibl.: L. Caetani, Annali dell'Islām, Milano 1904, e segg., passim (v. Indici); id., Chronographia islamica, Parigi s. a. (1912 e segg.), I, 487-88 (con elenco delle fonti).