NARDI, Anacarsi
– Nacque ad Apella, frazione di Varano (Ducato di Massa e Carrara), il 21 dicembre 1800 da Gregorio e da Innocenza Varanini.
Nel 1813 fu inviato dalla famiglia a Modena presso lo zio Biagio, insigne avvocato, il quale, negli anni seguenti, lo guidò con paterno affetto nel percorso scolastico e universitario, culminato con il conseguimento della laurea in giurisprudenza. Sebbene non avesse dato l’esame di abilitazione alla professione, nella seconda metà degli anni Venti esercitò con discreto successo l’avvocatura nel rinomato studio legale dello zio. Poco soddisfatto però della remunerazione e persuaso che la riunificazione del Ducato di Massa e Carrara con quello di Modena (1829) avrebbe portato all’istituzione di un convitto legale nella natia Lunigiana, attese alla compilazione di un Corso d’Istituzioni per le scuole superiori. Il progetto, caldeggiato dal professor Giovanni Lenzini, rettore del collegio dei nobili, s’interruppe allo scoppio della rivoluzione che sconvolse il Ducato di Modena nel febbraio 1831: in quel concitato frangente, come segretario particolare di Biagio Nardi, dittatore di Modena e provincia, Anacarsi rivestì un ruolo tutto sommato secondario. Nonostante ciò, al momento della restaurazione ducale, ritenne più opportuno seguire lo zio, rifugiatosi dapprima a Bologna, poi ad Ancona, quindi a Corfù nell’aprile 1831.
Il 10 ottobre inviò un’accorata supplica al duca Francesco IV, per giustificare la sua condotta e dimostrare che, se aveva «avuta parte negli affari avvenuti in Modena dopo il 5 febbraio», ciò era dipeso da «una quasi necessità» cui era stato «costretto» (Sforza, 1916, pp. 185 s.). L’istanza, simile nel tono a quella inviata da Biagio Nardi nell’agosto, fu però respinta il 17 novembre. Accusato in particolare di essere l’autore dell’iscrizione lapidaria in onore di Ciro Menotti e dei suoi compagni (edita dal governo provvisorio modenese alla fine del febbraio 1831) e di aver sottoscritto l’atto di decadenza di Francesco IV, redatto dallo zio, fu processato dalla commissione militare del Ducato di Modena e condannato in contumacia il 6 giugno 1837 a dieci anni di reclusione.
Rassegnatosi dunque, già sul finire del 1831, a rimanere a Corfù, si adattò in breve tempo alla vita sull’isola, sotto il controllo britannico dal 1815. Mentre si deteriorarono rapidamente i rapporti con lo zio Biagio, ormai stanco, deluso e angosciato dalla lontananza dalla sua Modena, si legò alla contessa Marianna Grabinski Broglio, della quale divenne agente e amministratore, e strinse relazioni via via più salde con molti esuli italiani, in particolare con il medico modenese Tito Savelli, giunto a Corfù nel 1833. Con gli amici prese l’abitudine di riunirsi all’Exoria (casa d’esilio), la modesta villetta che Savelli aveva fatto edificare su un colle a poche miglia dall’abitato di Corfù.
In questo contesto nacque verosimilmente il proposito di compiere un’azione spettacolare sul territorio italiano, ma l’idea assunse una veste concreta solamente nel 1844, quando giunsero a Corfù Attilio ed Emilio Bandiera, ufficiali disertori della Marina asburgica, che nel 1841 avevano dato vita alla società segreta Esperia (collegata alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini). Convinti che un tentativo isolato avrebbe potuto accendere una vasta insurrezione nell’Italia meridionale e probabilmente male informati sulla reale portata del moto avvenuto a Cosenza nel marzo 1844 (represso rapidamente nel sangue), i fratelli Bandiera elaborarono il progetto di uno sbarco in Calabria, al quale Nardi aderì entusiasticamente. Fu così uno dei 21 uomini che, preso il mare a bordo del San Spiridione nella notte fra il 12 e il 13 giugno 1844, sbarcarano la sera 16 giugno alla foce del fiume Neto, a nord di Crotone. Il tentativo rivoluzionario, inesorabilmente minato dallo spionaggio del governatore di Corfù (che aveva preventivamente informato le autorità borboniche e austriache), dal tradimento del corso Pietro Boccheciampe, uno dei componenti la spedizione, e dall’ostilità delle popolazioni locali, fu stroncato dalla gendarmeria borbonica la sera del 19 giugno 1844 in uno scontro a fuoco (durante il quale Nardi riportò una ferita a una coscia) avvenuto in contrada Canale della Stràgola, presso l’abitato di San Giovanni in Fiore.
Arrestato assieme a 11 compagni, fu condotto a Cosenza, ove il 15 luglio 1844 si aprì il processo presso la seconda commissione militare. Dall’accusa più pesante, ossia «cospirazione e attentato all’ordine pubblico, per far cambiare governo ed eccitare i sudditi calabri alla rivolta» (Pierantoni, 1909, p. 455), si difese sostenendo, in linea con gli altri imputati, d’essere giunto in Calabria convinto che re Ferdinando II appoggiasse le rivolte popolari in atto e fosse pronto a concedere garanzie costituzionali in vista di una guerra d’indipendenza italiana. L’encomiabile difesa degli avvocati Cesare Marini, Tommaso Ortale e Gaetano Bova, i più autorevoli del foro cosentino, conferì una parvenza di legalità a un processo oltremodo sbrigativo (non venne, tra l’altro, consentita nel dibattimento la presentazione di prove a discarico), ma non potè evitare a Nardi, e alla quasi totalità degli altri imputati, la condanna a morte, emessa in data 24 luglio 1844, per i reati di lesa maestà, cospirazione, violenza contro la forza pubblica.
Il 25 luglio 1844 Nardi, Attilio ed Emilio Bandiera, Nicola Ricciotti e altri cinque compagni furono fucilati nel Vallone di Rovito, non lontano da Cosenza.
Poche ore prima di morire Nardi aveva scritto all’amico Savelli una breve lettera, destinata ad ampia notorietà mediatica e celebrata dalla prima storiografia risorgimentistica come «capolavoro di coraggio senza spavalderia, di tenerezza senza fiacchezza, di serenità senza ostentazione» (Pierantoni, 1909, p. 498). Inviata dal governo borbonico a quello austriaco e da questo al proprio console a Corfù, giunse al destinatario solamente nel dicembre 1844. Apparsa su alcuni quotidiani locali, fu poi spedita da Nicola Fabrizi a Londra a Mazzini, il quale, rimastone profondamente impressionato (come attestano le missive alla madre e all’editore del Times del 22 gennaio 1845), riuscì a farla pubblicare sul Times e sul Morning Chronicle.
Fonti e Bibl.: Edizione nazionale degli scritti editi ed inediti di G. Mazzini, Indici, II, 2, a cura di G. Macchia, Imola 1973, ad nomen; R. Pierantoni, Storia dei fratelli Bandiera e loro compagni in Calabria, Milano 1909, ad ind.; G. Sforza, Il dittatore di Modena Biagio Nardi e il suo nepote A., Milano 1916; G. Canevazzi, A proposito di Biagio e A. N., Roma 1917; L. Lavagnini, Rapporti familiari e politici fra Biagio Nardi e il suo nipote A., in Atti e Memorie. Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 10, III (1968), pp. 237-248; Biagio e A. N. patrioti del Risorgimento. Studi e celebrazioni, s. l. 1983; S. Meluso, La spedizione in Calabria dei fratelli Bandiera, Soveria Mannelli 2001, ad indicem; M. Rosi, Diz. del Risorgimento nazionale, III, Milano 1933, ad vocem; A. Barbieri, Modenesi da ricordare. Politici, diplomatici e militari, II, Modena 1973, ad vocem.