ANACOLUTO (gr. ἀν-ακόλουϑον "senza seguito" cioè di nesso sintattico)
È deviazione di costrutto nel periodo o nella proposizione, rottura di filo logico nel discorso, espressione immediata del sentire e del pensare: onde un' idea che tutto prenda lo scrittore rimane come sospesa nel forte rilievo della sua indipendenza sintattica. È maniera viva del popolo e di autori, in cui il sentimento e la fantasia fanno violenza alla rigidità della logica: rara negli scrittori dal pensiero tranquillo e dal periodare simmetrico, cara a poeti e prosatori ingenui o passionali e a forme letterarie più vicine al tono della lingua parlata, quali l'epistola, la commedia, la novella. Omero ed Erodoto abbondano di simili costrutti, in cui è candore e calore di spontaneità. La letteratura greca, in genere, n'è piena, come la nostra. Potentissimi ne hanno Tucidide fra i Greci e il Machiavelli fra gl'Italiani. Dante, fra i poeti, è qui insuperabile per vigore; e naturalezza e sapidezza vi trovano i trecentisti tutti, gli scrittori sacri e i poeti cavallereschi del '400, il Cellini, il Manzoni, i poeti dialettali, la Novellaia fiorentina edita dall'Imbriani. Perfino un poeta levigato, quale il Petrarca, ne dà bellissimo esempio subito nel primo sonetto del Canzoniere. Nella più regolare sintassi latina non mancano, tuttavia, di simili costrutti, e di vivaci; specialmente in Properzio, ma anche in Lucrezio o Virgilio, in Sallustio o Tacito, e in Cicerone dialogatore ed epistolografo: eccezionali sono, naturalmente, in Cesare, l'uomo dell'ordine. Un esempio: Renzo nei Promessi Sposi: "quei che son morti, bisogna pregare per loro".
Bibl.: Di trattazioni più ampie o più dense siano ricordate, Havers, Indog. Forschungen, XLIII, p. 207 segg.; L. Reinhrad, Die Anakoluthe bei Platon, in Philologische Untersuchungen, XXV, Berlino 1920; F. Korn, Zur Geschichte der Absoluten Partizipial-Konstruktionen im Lateinischen, Lund-Lipsia 1918; I. H. Schmalz, Lateinische Grammatik, 4ª ed., Monaco 1910, p. 658 seg.