anacoluto
Con il termine anacoluto (dal lat. tardo anacoluthon, gr. anakólouthon (skhēma), composto da an- privativo e akólouthos «seguace») si indica generalmente la frattura di una sequenza sintattica mediante l’intromissione di un altro frammento sintatticamente sconnesso o, nella linguistica testuale, un cambio di progetto che interviene nel corso della strutturazione del discorso da parte del parlante.
In quanto ‘irregolarità’ sintattica, l’anacoluto è considerato un errore dalla maggior parte delle grammatiche prescrittive, che lo considerano altamente scorretto; in quanto concetto, si presta però ad almeno una critica fondamentale, che – nelle grammatiche descrittive – mette in luce l’estrema relatività del suo statuto: l’irregolarità (e quindi la deviazione rispetto a una presunta norma) di cui sarebbe spia avrebbe infatti un valore non assoluto ma, appunto, relativo ad una data fase storica e a un dato livello di lingua. Come fa notare Serianni (1997: 371-372), infatti, oggi si definirebbero ‘anacolutici’ un fenomeno come la ➔ paraipotassi o un costrutto fondato sul ➔ che polivalente, che invece sarebbero ‘normali’ se considerati nel contesto, rispettivamente, (1) dell’italiano dei primi secoli (variabilità della lingua nel tempo, o diacronica) e (2) di un registro informale parlato (variabilità di registro e secondo il contesto d’uso, o diafasica):
(1) Questo imperadore Arrigo stando in italia, e’ principi della Magna vennero e ellessero re Ridolfo, il quale era duca di Sansognia (Cronica fiorentina)
(2) Mangia che ti fa bene
Lo stesso dicasi per l’anacoluto più frequente, quello che nasce dall’impulso di «esprimere la preminenza del soggetto logico, ponendolo in primo piano, ad apertura di frase, e poi subordinandovi [...] il discorso che intorno al soggetto si muove» (Cortellazzo 1972: 139), prescrittivamente condannato da molte grammatiche novecentesche (cfr. Debenedetti 2009).
Per lo spostamento a sinistra del soggetto logico, e quindi per l’isolamento del tema, si parla anche di tema sospeso (➔ tematica, struttura), che a differenza della dislocazione a sinistra (➔ dislocazioni) «non è accompagnato dagli indicatori della sua funzione sintattica» (Benincà 1988: 131), cioè da eventuali preposizioni (come nell’es. 3), e viene quindi obbligatoriamente ripreso non solo con un pronome clitico, ma anche con un pronome libero, o un dimostrativo, o un sintagma nominale di tipo anaforico (come negli es. in 4):
(3) di Luca, (ne) parlano sempre male
(4) Luca, ne parlano sempre male / parlano sempre male di lui / parlano sempre male di quel ragazzaccio.
Questo fenomeno di marcatezza del soggetto logico – anche soggetto assoluto, o nominativus pendens – era già ben noto agli scrittori latini della classicità (Tito Livio, Cicerone, Catone), che ne facevano uso per ragioni stilistiche, e fu spesso utilizzato anche dagli autori italiani del Trecento:
(5) Calandrino, se la prima gli era paruta amara, questa gli parve amarissima (G. Boccaccio, Dec. VIII, 6, 48)
(6) Io Giovanni, cittadino di Firenze ... mi pare che si convegna di raccontare (G. Villani, Croniche I, 1)
per essere ripreso, come consapevole strumento d’arte, anche da autori posteriori, e non solo in prosa. È il caso di Pascoli, cui si deve il noto esempio nella poesia “Romagna”, in cui – per accentuare il pathos – si ignorano i precetti della logica:
(7) io, la mia patria or è dove si vive
Proprio a causa della sua valenza stilistica, l’anacoluto è stato associato da Lausberg (1949) alla figura retorica della reticenza o ➔ aposiopesi: un’interruzione improvvisa del discorso creata artificiosamente per dare l’impressione di non poter o non voler proseguire, ma lasciando intuire la possibile conclusione dell’enunciato.
Oltre che una motivazione stilistica, l’anacoluto può comunque avere una giustificazione psicologica quando la rottura del filo del discorso avviene sotto l’urgenza dell’emozione, come è spesso riscontrabile nei registri meno formali (nel linguaggio familiare, o nel flusso di un monologo interiore, come sapientemente ricordato da James Joyce nell’Ulisse, in particolare nel finale stream of consciousness di Molly Bloom), o nelle varietà meno controllate, e fortemente marcate non solo in diafasia ma anche in diastratia, quali l’italiano popolare, come già rilevato nei primi studi sul tema (Cortelazzo 1972; Sornicola 1982):
(8) io il morale è alto e sono sempre allegro
(9) pecché io Napoli la mia città mi piace moltissimo
(10) io la frittura mi fa male
(11) io questa è l’impressione che ho
Proprio per la sua frequenza nel registro colloquiale, l’anacoluto è largamente impiegato dagli scrittori che vogliano imitare il parlato o abbiano intenti mimetici rispetto all’uso di varietà non standard. È il caso, ad es., di autori quali Gianni Celati (12) e Paolo Nori (13):
(12) il fratello la sua idea sarebbe stata di partire un bel giorno per Singapore e portarmi me come aiutante indigeno (Celati 1976: 3)
(13) la grafica, anche del titolo, sembra un giornale del far west (Nori 2006: 45)
Si tratta, anche in questo caso, di una vivacità già largamente documentata nella letteratura dei secoli scorsi. Molto noti, al proposito, gli anacoluti nei Promessi Sposi di ➔ Alessandro Manzoni:
(14) lei sa che noi altre monache, ci piace di sentir le storie per minuto
(15) quelli che moiono, bisogna pregare Iddio per loro
(16) i soldati, è il loro mestiere di prendere le fortezze
(17) il coraggio, chi non ce l’ha non se lo può dare
(18) un religioso che senza farvi torto, val più un pelo della sua barba che tutta la vostra
o quelli, altrettanto noti, delle novelle e dei romanzi di ➔ Giovanni Verga:
(19) il primo che va in giro di notte gli faremo la pelle (Verga, Novelle I, 249)
(20) chi cade nell’acqua è forza che si bagni
(Verga, I Malavoglia)
Proprio la scrittura verghiana mette in luce un’altra caratteristica dell’anacoluto, quella di essere ricorrente nei ➔ proverbi, che spesso cristallizzano un detto popolare:
(21) chi pecora si fa, il lupo se lo mangia
(22) chi s’aiuta, iddio l’aiuta
(23) chi le tocca son sue
In generale, e come si nota dagli esempi elencati, la frattura della normale sequenza sintattica, e quindi la mancata coesione – quali che siano le sue ragioni, stilistiche o psicologiche – non pregiudica la coerenza testuale (➔ coerenza, procedure di), ovvero l’unità e la continuità del significato di un testo. In linguistica, e in particolare nella linguistica testuale, l’anacoluto non viene definito pertanto in termini di scorrettezza o irregolarità, ma solo di marcatezza, e solo in quanto struttura marcata rispetto all’ordine dei costituenti.
Celati, Gianni (1976), La banda dei sospiri, Torino, Einaudi.
Nori, Paolo (2006), Noi la farem vendetta, Milano, Feltrinelli.
Benincà, Paola (1988), L’ordine degli elementi nella frase e le costruzioni marcate, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi & G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 1° (La frase. I sintagmi nominale e preposizionale), pp. 115-194.
Cortelazzo, Manlio (1972), Lineamenti di Italiano popolare, in Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana, Pisa, Pacini, 3 voll., vol. 3°.
Debenedetti, Andrea (2009), Val più la pratica. Piccola grammatica immorale della lingua italiana, Bari-Roma, Laterza.
Lausberg, Heinrich (1949), Elemente der literarischen Rhetorik. Eine Einführung für Studierende der romanischen Philologie, München, Max Hueber Verlag.
Mazzoleni, Marco (2002), La “paraipotassi” con ma in italiano antico: verso una tipologia sintattica della relazione, «Verbum» 4, 2, pp. 399-427.
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.
Serianni, Luca (1997), Italiano, con la collaborazione di A. Castelvecchi; con un glossario di G. Patota, Milano, Garzanti.
Sornicola, Rosanna (1982), L’italiano parlato: un’altra grammatica?, in La lingua italiana in movimento. Incontri del Centro di studi di grammatica italiana, Accademia della Crusca, Firenze, Accademia della Crusca, pp. 78-97.