Anacoreta
L'a. è 'colui che si pone fisicamente lontano dal mondo' (il verbo gr. ἀναχωϱεῖν significa 'starsene appartati'); il termine corrisponde a quello di 'eremita', più frequente in Occidente, che accentua l'idea di solitudine (ἐϱῆμοϚ in gr. significa 'deserto'). Elia, Giovanni Battista, Cristo che si ritira nel deserto rappresentano i grandi modelli biblici all'origine dell'anacoretismo cristiano.
La scelta anacoretica è di fatto alla base del mondo monastico e il personaggio di Antonio, posto tradizionalmente alle origini del fenomeno, la rappresenta in modo esemplare. Nell'organizzazione monastica, la posizione dell'a. deve essere distinta da quella del cenobita. L'a. vive solo; la sua scelta è individuale e quindi egli la amministra da solo; i cenobiti sono invece sottomessi a una organizzazione di vita comunitaria: due modi di vita di fronte ai quali le posizioni dell'Oriente e dell'Occidente sono molto diverse.
Oriente. - I Padri dell'anacoretismo cristiano (Paolo di Tebe, Antonio, Macario l'Egiziano, Onofrio, Ilarione, Saba, Caritone, Eutimio il Grande, Arsenio di Roma, Maria Egiziaca, ecc.) vissero tutti nei deserti d'Egitto, di Palestina e di Siria. Testi sin dall'origine rapidamente diffusi ne tramandano le vicende: la biografia di Antonio a opera di Atanasio, l'Historia Lausiaca di Palladio, l'Historia religiosa seu Ascetica vivendi ratio di Teodoreto di Cirro (relativa ai primi stiliti, dendriti, ecc.), la Scala paradisi di Giovanni Climaco, che organizza i gradi verso la perfezione ascetica. Circolavano poi altri testi, sotto forma di apoftegmi - parole dei Padri o brevi racconti edificanti di un episodio della loro vita.
Le comunità orientali non si raggrupparono, come in Occidente, in ordini specifici, ma si organizzarono in singoli monasteri, condividendo tutti i riferimenti ai primi a. intorno ai quali nei secc. 6° e 7° si sviluppò un autentico culto. Ogni comunità raccolse così la propria storia e glorificò il proprio fondatore. Tale struttura presupponeva, però, che non tutti i membri di simili fondazioni conducessero una vita strettamente anacoretica. Si sviluppò così il cenobitismo, che comunque non soppiantò l'anacoretismo; i due modelli di vita convissero e si combinarono perfino sotto la forma della 'lavra' che permetteva una vita semieremitica. Il Monte Athos, che a partire dal sec. 9° divenne il luogo d'incontro dei cristiani venuti da tutto l'Oriente e perfino dall'Italia intorno alle diverse forme di vita monastica, illustra bene lo spirito del monachesimo bizantino che armonizzò le varie tendenze in un'unica aspirazione alla vita contemplativa. Le grandi figure dell'anacoretismo si contano, durante tutto il Medioevo, tra i santi più venerati dal cristianesimo orientale.
Occidente. - Il termine a. non divenne mai in Occidente attributo applicato normalmente a un santo. Anche Paolo di Tebe e Antonio, normalmente considerati fondatori dell'anacoretismo, vengono piuttosto definiti di preferenza eremiti.Del resto in ogni senso il monachesimo occidentale oppose l'anacoretismo al cenobitismo. Del primo fece un ideale, ma nei fatti promosse il secondo. Ai modelli orientali si aggiunsero le figure di Girolamo (importatore di questi ultimi in Occidente, dopo avere sperimentato la solitudine dei deserti orientali), Cassiano, fondatore di uno dei primi monasteri occidentali, e soprattutto Benedetto. Nella Regola con cui organizzò la vita di gruppo di quelli che lo avevano raggiunto nella solitudine, Benedetto stabilì quella che divenne la norma del monachesimo occidentale. In effetti, dopo un primo periodo di esperienze varie, in cui in particolare il monachesimo celtico diede largo spazio all'anacoretismo, la Chiesa, nel sec. 9°, riunì praticamente pressoché tutte le fondazioni monastiche sotto la Regola di San Benedetto. Caratterizzata dalla diffidenza per i comportamenti individuali, diffidenza che sarà condivisa dall'Occidente medievale, la Regola di Benedetto stabilisce l'obbedienza e l'oblio di sé nella comunità, facendo del cenobitismo la norma e dell'anacoretismo un qualcosa 'al di là' di essa, il grado supremo della perfezione monastica. L'a. diventò così un'eccezione e dovette quindi passare attraverso la lunga prova del monastero. Sembra che i monasteri benedettini siano spesso riusciti a organizzare una solitudo nella cerchia delle loro costruzioni e che la figura popolare dell'eremita nei racconti romanzeschi o agiografici sia tutt'altro che una pura finzione. Tuttavia, l'atteggiamento ufficiale della Chiesa medievale fu quello di raccomandare prudenza di fronte alle aspirazioni degli a. e di condannare decisamente chi credeva di potersi adattare senza regola alla vita solitaria.
Nelle reazioni al monachesimo ufficiale, che si moltiplicarono a partire dal sec. 11°, l'anacoretismo occupò un posto molto importante. Ma i grandi riformatori (Roberto di Molesme, Romualdo, ecc.), dapprima a., furono poi raggiunti da discepoli e di conseguenza forzati a dare vita a loro volta a comunità in cui il cenobitismo tornò a prendere - di norma - il sopravvento. Alcune di queste comunità (Certosini, Camaldolesi) conservarono tuttavia in diverso modo costumi di vita prossimi all'anacoretismo.
Nel sec. 13°, quando i nuovi ordini religiosi interiorizzarono la loro solitudine per stabilirsi nelle città, si sviluppò fra i cittadini, religiosi o laici, un movimento all'inverso, sicché furono questi ultimi a muoversi in gran numero verso il 'deserto'. Per controllare queste situazioni dispersive, la Chiesa riunì allora le nuove fondazioni con aspirazioni anacoretiche in un nuovo ordine, quello degli Eremiti di S. Agostino, collocato fra gli Ordini mendicanti. Da quel momento, la parola 'eremita', che era sinonimo di a., indicò piuttosto i religiosi che conducevano vita in comunità.
Alla fine del Medioevo si intensifica la dissociazione dei due termini: il termine corrente di 'eremita' si applicò a chi praticava la vita eremitica; quello di a. unicamente ai primi Padri del deserto, designando così in essi uno stadio di perfezione diventato ormai irraggiungibile.
Nelle immagini, la veste dell'a. si contrappone tanto a quella dei secolari quanto a quella dei monaci per il suo aspetto, per così dire, 'atemporale'. Ampia, non tinta (grigia, nera o bruna), più raramente di un biancore che evoca il mondo angelico e la purezza originale, scende fino ai piedi nudi del personaggio. Compaiono fra le mani degli a. un certo numero di attributi che denotano la loro autorità e la loro pietà: il bastone, il libro, il rosario, il crocifisso, oggetti che accompagnano spesso gesti di benedizione e di preghiera. L'a. porta la barba e i capelli lunghi, che sono spesso bianchi per sottolinearne l'età e la saggezza; la lunghezza della chioma mostra il grado di 'inselvatichimento'. Alcuni personaggi, che restano eccezionali prima della fine del Medioevo, come Onofrio o Maria Egiziaca, sono caratterizzati dalla sovrabbondanza della pelosità. Una formula intermedia, che consiste nel rivestire l'a. di una pelle di animale, viene spesso applicata alle immagini di Giovanni Battista. Paolo di Tebe, primo eremita, è riconoscibile dalla veste di corteccia di palma. In altri casi l'iconografia dell'a. si adatta al tipo di religiosità che si vuole valorizzare. Non è raro, per es., che nelle miniature delle Vite dei Santi Padri la figura dell'a. si confonda con quella di un benedettino o di un francescano.
In Oriente, conformemente con lo spirito del monachesimo bizantino, la categoria degli asceti raggruppa monaci e a. ed è spesso difficile isolare l'immagine dei secondi fra le figure dei fondatori. Nel sec. 12°, l'Ermeneutica della Pittura di Dionisio da Furná fissò le caratteristiche dei principali a. che si distinguono soprattutto per nudità e pelosità. Però l'iscrizione che sta sul loro filatterio resta in genere il migliore modo per riconoscerli.
Area bizantina. - Gli a. sono raffigurati nella pittura bizantina in aspetto ieratico. Sono a volte rappresentati alcuni episodi della loro vita (per es. la comunione di Maria Egiziaca), ma i cicli narrativi sono rari.Si trovano nelle chiese ritratti di a. precedenti alla controversia sulle immagini (cappella della lavra di S. Eutimio a Khirbat al-Mardas, del sec. 7°), ma si deve arrivare al katholikon di Hosios Lukas nella Focide, del sec. 10°, per trovare il primo grande programma decorativo in cui l'immagine dell'a. compare sulle pareti, sotto forma di file di ritratti, nonché in busti nei medaglioni dei mosaici delle volte. A partire dal sec. 11°, numerosi monasteri lasciarono ampio spazio nella decorazione alle immagini di anacoreti. Allineati, frontali, immobili, essi occupano spesso con i santi la parte bassa delle pareti affrescate delle chiese: è la traduzione figurativa, nel microcosmo della chiesa bizantina, del loro compito di fondatori, di sostegni dell'edificio religioso. All'interno della sostanziale uniformità di questi ritratti regolarmente impassibili, dai corpi stilizzati (che si trovano anche nelle icone, dove se ne svilupparono anzi intere serie a partire dal sec. 14°), si verificarono puntualmente tendenze all'individualizzazione (Nerezi, Mileševo) che arrivarono a volte, alla fine del Medioevo, a una espressività particolarmente tormentata (chiesa della Trasfigurazione di Novgorod).
Nei manoscritti bisogna distinguere fra una illustrazione propriamente agiografica (menologi, salteri) e una illustrazione più narrativa. Il più celebre dei menologi è quello di Basilio II (Roma, BAV, gr. 1613, sec. 10°) che dedica una miniatura a ciascuno dei grandi a., spesso rappresentati in preghiera sullo sfondo di un paesaggio, ma a volte anche in scene più animate (martirio e dormizione di Efrem). Un altro manoscritto importante per la diffusione di queste immagini è il Salterio del monaco Teodoro (Londra, BL, Add. Ms 19352, sec. 11°), prototipo di una nuova illustrazione dei salmi in cui ampia parte è dedicata agli a., in atteggiamenti spesso contemplativi, a illustrazione di temi come quelli del digiuno e della pietà.I cicli di immagini della Scala paradisi di Giovanni Climaco, del sec. 11° (Martin, 1954), in cui le gesta degli eremiti siriani si mescolano all'illustrazione della loro vita quotidiana, consistono in piccole scene che spesso si sviluppano liberamente a margine della figurazione principale, con una varietà e una mobilità che contrastano con lo ieraticismo tipico dell'iconografia più diffusa nell'ambito degli affreschi.
Non mancano casi in cui simili figurazioni, per così dire, 'marginali' possono essere messe in relazione con miniature o tavole occidentali più tarde, soprattutto in relazione a quelle che si collocano intorno all'episodio della dormizione di Efrem e i cui prototipi, certamente bizantini, sono scomparsi (Martin, 1951).
Romanzi come quello di Barlaam e Iosafat concedono all'a. uno spazio che gli offre anche l'occasione di comparire in scene più narrative, a partire dal 12° secolo.
Un ultimo tipo di immagini deve essere ricollegato a Simeone Stilita, facilmente riconoscibile per la presenza della colonna. Si tratta di immagini che compaiono su un certo numero di piccoli oggetti di provenienza siriana (ampolle, medaglie, ecc.) dal 5° al 7° secolo. Sono arrivate fino a Roma e testimoniano la popolarità che lo Stilita godette in quell'epoca (Lassus, 1932).
Occidente. - Nell'iconografia occidentale pochi a. ottennero una popolarità individuale paragonabile a quella che si riscontra nell'iconografia bizantina. I più celebri - di cui si possono trovare le immagini nelle chiese dove si esercitò un'influenza bizantina o nelle grandi pale d'altare italiane, dopo il sec. 14° - sono Giovanni Battista, Girolamo, Antonio, Onofrio, Macario l'Egiziano e Maria Egiziaca. A quest'ultima sono consacrati alcuni cicli nei secc. 12° e 13°, altri poi, alla fine del Medioevo, sono dedicati a Onofrio; ma solo i primi tre a. (Giovanni Battista, Girolamo, Antonio) ebbero una fortuna iconografica davvero rilevante.
È bensí vero, infatti, che l'anacoretismo riguarda soltanto una parte della vita di Giovanni Battista e di Girolamo e non è la sola ragione della loro popolarità. Tuttavia la fine del Medioevo si compiace di rappresentarli in completa solitudine nel deserto: Giovanni Battista assume le sembianze di un solitario, dall'apparenza tranquilla e semiselvatica, che vive in armonia con la natura; Girolamo invece quelle, ancora più diffuse, del penitente tormentato, del cittadino in mezzo ai suoi libri, esiliato in un paesaggio ostile; Antonio fu il solo a conoscere una popolarità dovuta quasi unicamente alle sue vicende nel deserto. Questo 'successo' risale molto indietro nel tempo (Roma, S. Maria Antiqua, sec. 9°) e attraversa tutto il Medioevo; gli furono dedicati numerosi cicli e la sua popolarità si riverberò anche su Paolo di Tebe, primo eremita. La scena del loro incontro è infatti uno degli episodi più celebri della vita di Antonio; autentico emblema della vita monastica, quest'incontro permise un'assimilazione molto facile fra la vita cenobitica e la vita anacoretica e di fatto il suo ricordo compare già sulle croci irlandesi dell'Alto Medioevo (Schapiro, 1944). Un'altra scena della vita di Antonio frequentemente rappresentata è quella della sua tentazione. Essa aggiunge alle solitudini di Giovanni Battista e di Girolamo una versione da incubo del tema dell'a. assalito da animali diabolici.
Nelle miniature, gli a. si incontrano nelle Vite dei santi e nei libri di preghiere, che danno talvolta alle loro storie andamento narrativo. Uno degli esempi più ricchi è il manoscritto delle Très Riches Heures del Duca di Berry (New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters), che testimonia l'attrazione dei ricchi laici della fine del Medioevo per l'anacoretismo, in singolare contrasto con la loro vita fastosa. Il manoscritto consacra un ciclo di pitture a ciascuno dei grandi eremiti: Giovanni Battista, Girolamo, Antonio (e Paolo di Tebe), e vi aggiunge un ciclo che illustra la vita di Bruno, fondatore della Chartreuse (1084). Questi, rappresentato vestito di bianco e con la tonsura, era riconosciuto dal mondo monastico medievale come più vicino all'eremitismo dei primi Padri: egli aggiungeva pertanto una rara figura di a. occidentale alle rappresentazioni degli a. tradizionali.
Nella miniatura si sviluppò anche l'immagine generica dell'a. anonimo in quanto figura della società. Egli appare nei racconti e nei romanzi come un saggio, un consigliere, un ermeneuta. L'Hortus deliciarum di Herrada di Landsberg, alla fine del sec. 12°, facendo dell'a. un personaggio negativo, riflette invece l'atteggiamento generale del mondo monastico occidentale nei confronti del suo modo di vita: collocato, da una parte, alla sommità della scala delle Virtù, l'a. è anche esposto a cadere per primo e dal punto più elevato, cedendo alla tentazione del mitico 'giardino'.
I manoscritti delle Vite dei Santi Padri offrono, a volte, una rappresentazione collettiva della vita eremitica. La loro illustrazione, che si sviluppò a partire dalla fine del sec. 13°, unisce in un solo volume immagini di a. celebri a quelle di altri di minor fama (Roma, BAV, lat. 375; Roma, Bibl. Naz., V.E. 1189; New York, Pierp. Morgan Lib., M. 620). Fu anche l'occasione per mostrare scene di vita quotidiana nel deserto, spesso emblema di una vita tranquilla e campestre disturbata solo dalle sollecitazioni dei cittadini e dagli interventi demoniaci. L'immagine dell'a. con l'aspetto di selvaggio che si nutre di erbe si sviluppò soltanto alla fine del Medioevo. Le illustrazioni delle Vite dei Santi Padri servirono a volte a proporre un'equivalenza fra l'aspetto del monaco benedettino e quello dell'anacoreta. Ciò avvenne frequentemente soprattutto nelle Vie des Pères francesi, le cui immagini non illustrano esattamente le vite dei primi a., bensì racconti ispirati a esse, trasferiti in un contesto contemporaneo, nei quali compaiono in trasparenza le dispute fra Cistercensi e Cluniacensi o fra Benedettini e Mendicanti.
Agli inizi del sec. 14°, l'immagine della società degli a. entrò nella pittura monumentale italiana sotto una forma indicata con il termine di 'Tebaide', corrispondente in origine alla regione in cui si stabilirono i primi monasteri copti, agli inizi di quella che potremmo definire 'società del deserto'. Il primo esempio compare nel Camposanto di Pisa nell'ambito di un ciclo di affreschi destinati a ricordare al laico la vanità di questo mondo e la necessità di prepararsi alla morte. A partire da quest'epoca, infatti, il ruolo di rappresentante della 'buona morte' sarà spesso affidato all'a. soprattutto nelle immagini legate alla Leggenda dei tre morti e dei tre vivi.
La 'Tebaide' di Pisa è costituita da un paesaggio montuoso in cui si iscrive una moltitudine di scene relative alla vita dei primi eremiti e senza che la dimensione degli elementi diminuisca in funzione della loro posizione nell'immagine. Eseguito sotto l'influsso dei Domenicani - che nello stesso momento e nella stessa città producevano una volgarizzazione delle Vite dei Santi Padri a opera di Domenico Cavalca - l'affresco è, sul tema, uno dei 'resoconti' più storicamente fedeli che si possano trovare nel mondo dell'immagine medievale, pur accostando l'evocazione degli a. più celebri a scene di una armoniosa vita quotidiana.Nella stessa epoca i Carmelitani di Siena fecero dipingere rappresentazioni della vita anacoretica sullo sfondo della predella del polittico che ordinarono a Pietro Lorenzetti (Siena, Pinacoteca Naz.). Più semplice, la rappresentazione di Lorenzetti non aveva come scopo un'equivalenza simile a quella suggerita a Pisa fra Domenicani e Padri del deserto; i Carmelitani vengono rappresentati alle prese con la realtà: il che sembra attestare che, appoggiandosi alla pittura, i monaci committenti di Siena intendessero preservare la loro immagine originale di ordine anacoretico in un momento in cui, rientrando nelle città, esso ordine sembrava sul punto di abbandonare i nuovi principi originari.
Il successo della 'Tebaide' si estese nel periodo e in quell'ambito anche alla miniatura (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Cod. 341, c. 32), ma si manifestò, soprattutto, in una serie di tavole prodotte in Toscana fra la fine del sec. 14° e la metà del 15°, di cui si conosce anche una trasposizione in affresco in S. Andrea a Cercina. L'organizzazione delle tavole è vicina a quella dell'affresco di Pisa ma, molto meno fedeli alla storia, esse vogliono soprattutto mettere in scena il carattere idilliaco della vita nel deserto. La loro origine bizantina è quasi incontestabile, sia per lo stile dei primi esemplari, sia per lo spazio che si concede al soggetto bizantino della dormizione di Efrem (Martini, 1951). Probabilmente destinate dapprima alla meditazione individuale sulla perfezione dei primi a., queste tavole si trasformarono in poco tempo in racconti sulla storia di ordini o di personaggi ampiamente posteriori, come Bernardo di Chiaravalle e Francesco d'Assisi.
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