anadiplosi
Nella retorica classica e nella linguistica testuale moderna il termine anadiplosi (lat. conduplicatio, adiectio, reduplicatio, e in greco anche epanidiplōsis «reduplicazione», epanastrophē «ritorno», palilloghìa «ripetizione») indica ogni ripetizione di parole in quanto «ripetizione dell’uguale» tra due segmenti discorsivi di cui il primo termina con l’espressione che si ripete all’inizio del secondo, in base alla formula [… X / X …] (Laus-berg 1969: 250; Mortara Garavelli, 1997: 191).
Come espediente per legare due frasi o due clausole, il meccanismo è stato definito «effetto copia» (ripetizione identica) o «quasi copia» (ripetizione con varianti formali e grammaticali) (Simone 1990: 72; Mortara Garavelli 1993: 387-389) in quanto forma elementare di incatenamento anaforico o ripresa delle informazioni in un testo. Ma indica anche, dal punto di vista semantico, un espediente di sovraccarico (➔ amplificazione) che produce effetti in quanto stacca riprendendola l’informazione e vi aggiunge perciò un valore supplementare.
Nella tradizione più antica della Retorica a Erennio (opera del I sec. a.C. per tradizione attribuita a Cicerone ma in realtà di autore ignoto, il cosiddetto Pseudo-Cicerone), la conduplicatio è la parola ripetuta che, in quanto ripetuta, amplifica il proprio significato. Come figura, essa va distinta dalla semplice ripetizione di parole collocate all’inizio, all’interno o alla fine di un segmento discorsivo, denominata invece geminatio o, nella Retorica a Erennio, repetitio (IV, 19). Nel tardo medioevo il termine sarà riportato alla sola tecnica linguistica poetica e si preciserà che l’anadiplosi è meccanismo in base al quale si ripete immediatamente una stessa forma, però in versi successivi di un testo, come afferma Matteo di Vendôme nella sua Ars versificatoria (fine XII secolo) (Faral 19622: 168).
Pur usandolo con parsimonia, ➔ Dante recepisce l’espediente dell’anadiplosi e sembra utilizzarlo, almeno nella Commedia, per testimoniare aspetti colloquiali tipici del parlato fiorentino del Trecento:
«Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
di là da lui più che l’altre trapunta
ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia»
(Purg. XXIV, 19-22)
ruminando e sì mirando in quelle,
mi prese il sonno; il sonno che sovente,
anzi che ’l fatto sia, sa le novelle
(Purg. XXVII, 92)
Non di rado, in Dante, l’anadiplosi sembra spezzata da interpolazioni combinate con le perifrasi e spesso anche con il polittoto, cioè con la variazione grammaticale del termine ripetuto. Così, nel recuperare la tradizione provenzale degli schemi metrici delle coblas capfinidas, Dante mostra di seguirne l’uso codificato:
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira
(Vita nuova XXVI, 7-9)
Nell’Ottocento l’anadiplosi costituirà un tratto retorico specifico di ➔ Giacomo Leopardi. Basterà ricordare “A Silvia”:
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quello che prometti allor?
Perché di tanto inganni i figli tuoi? (vv. 36-39)
… Ahi come
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova
mia lacrimata speme (vv. 52-55)
La riflessione successiva ha permesso di elaborare un complesso schema dell’anadiplosi, recuperando la tradizione antica, greca e latina. Si è così distinta l’anadiplosi apposizionale, che si realizza attraverso apposizioni, clausole o subordinate relative e altri membri coordinati che la collegano al primo segmento discorsivo, dall’anadiplosi integrata sintatticamente al secondo segmento. Un esempio di questo ultimo aspetto in Guido Gozzano, “La signorina Felicita”:
«Sarebbe dolce restar qui, con Lei!...»
«Qui, nel solaio?...» – «Per l’eternità!»
«Per sempre? accetterebbe?...» – «Accetterei!»
(vv. 208-210)
Nel discorso politico, l’anadiplosi fu un espediente figurale molto usato nella prima metà del Novecento da Benito Mussolini.
In realtà, se consideriamo la struttura dell’italiano l’anadiplosi è figura grammaticalizzata che esprime l’intensificazione della qualità espressa dall’aggettivo (Serianni 1989: § 74. III). La reduplicazione diventa così una proprietà dell’italiano e permette di ricavare non pochi effetti stilistici (così ➔ Alessandro Manzoni, che fa un uso notevole dell’anadiplosi; si ricordi l’inizio della passeggiata di Don Abbondio (Promessi sposi, cap. I):
Per una di quelle stradicciole, tornava bel bello dalla
passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7
novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato di
una delle terre accennate di sopra.
Cicerone, Marco Tullio (1992), La retorica a Gaio Erennio, a cura di F. Cancelli, in Id., Tutte le opere di Cicerone, Milano, Arnoldo Mondadori, 33 voll., vol. 32°.
Halm, Karl (a cura di ) (1863), Rhetores Latini minores. Ex codicibus maximam partem primum adhibitis emendabat, Leipzig, Teubner.
Quintiliano, Marco Fabio (2001), Institutio oratoria, a cura di A. Pennacini, Torino, Einaudi, 2 voll.
Faral, Edmond (a cura di) (1924), Les arts poétiques du XIIe et du XIIIe siècle. Recherches et documents sur la technique littéraire du moyen âge, Paris, Champion (2ª ed. 1962).
Lausberg, Heinrich (1949), Elemente der literarischen Rhetorik. Eine Einführung für Studierende der romanischen Philologie, München, Max Hueber Verlag (trad. it. Elementi di retorica, Bologna, il Mulino, 1969).
Lausberg, Heinrich (1960), Handbuch der literarischen Rhetorik. Eine Grundlegung der Literaturwissenschaft, München, Max Hueber Verlag.
Mortara Garavelli, Bice (1993), Strutture testuali e retoriche, in Introduzione all’italiano contemporaneo. Le strutture, a cura di A.A. Sobrero, Roma - Bari, Laterza, pp. 371-402.
Mortara Garavelli, Bice (1997), Manuale di retorica, Milano, Bompiani.
Serianni, Luca (1989), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET (1a ed. 1988).
Simone, Raffaele (1990), Fondamenti di linguistica, Roma - Bari, La-terza.