anafonesi
Il termine anafonesi (composto del gr. ana- «sopra, indietro» e phṓnēsis, da phōnḗ «voce, suono», attestato per la prima volta nelle Meraviglie d’Italia, 1939, di Carlo Emilio Gadda, poi specializzato nel senso di «innalzamento di suono» per suggerimento di Arrigo Castellani) indica la presenza di /i/ e /u/ toniche – causata dall’influsso del consonantismo seguente – in luogo, rispettivamente, di /e/ e /o/: per es., dal lat. famĭlia avrebbe dovuto svilupparsi *fameglia e non famiglia.
Si distinguono due tipi di anafonesi in base alla consonante o al nesso consonantico coinvolti. Nell’anafonesi più antica (etichettata da Castellani «di primo tipo»), le vocali latine ē e ĭ, che nel passaggio all’italiano avrebbero dovuto produrre una vocale anteriore medio-alta, sono realizzate come vocale alta davanti alla laterale [ʎ] e alla nasale palatale [ɲ], rispettivamente da lj e nj: consĭliu > consiglio, cornēlia > Corniglia; matrĭnia > matrigna, tĭnea > tigna, *pos(t)cēniu > pusigno.
L’anafonesi più recente (ovvero «di secondo tipo») riguarda i continuatori di ĭ e ŭ che, invece di produrre le vocali medio-alte anteriori e posteriori, si innalzano, rispettivamente, in [i] e [u] se seguite dalla nasale velare, come in vĭnco > vinco e lĭngua > lingua per la serie anteriore, in iŭncu > giunco e fŭngu > fungo per la serie posteriore. Partecipa all’anafonesi anche il suffisso di origine germanica -ĭng > -ingo (ramingo, casalingo, guardingo). Si registra nel complesso una maggiore frequenza del fenomeno davanti al nesso -ng- rispetto al nesso -nk-: salvo giunco, il gruppo [oŋk] mostra infatti esiti fonetici privi di anafonesi (trŭncu > tr[o]nco, spelŭnca > spel[o]nca). Quest’asimmetria è spiegata da Castellani (1980: 78-79) in base alla maggiore forza articolatoria della velare sorda rispetto alla velare sonora, in grado di indebolire il potere di ‘chiusura’ esercitato dalla nasale sulla vocale precedente.
Secondo Castellani, l’anafonesi più antica ebbe luogo dopo la palatalizzazione dei nessi latini -lj- e -nj- (intorno al I-II secolo d.C.), ma prima che il nesso -gn- si palatalizzasse in [ɲ], ovvero prima dell’emergere delle forme legno e degno, sviluppatesi quando l’anafonesi non era più attiva (IV secolo): in caso contrario, lĭgnu e dĭgnu avrebbero prodotto *ligno e *digno. Verosimilmente, dunque, l’anafonesi più antica è collocabile fra il III e il IV secolo.
La datazione dell’anafonesi più recente si avvale della presenza di due forme anafonetiche quali sugna e spugna (rispettivamente, da axŭngia per errata segmentazione e da spōngia) in contesto palatale: dal momento che la presenza della consonante palatale non ha nessun effetto sulle vocali posteriori (cfr. carogna, cicogna), l’anafonesi può essersi prodotta solo prima della palatalizzazione del nesso -ng-, ovvero quando la nasale era ancora articolata con una pronuncia velare. Castellani (1980: 86) ipotizza che almeno per un certo numero di voci, l’anafonesi più recente sia avvenuta «verso la fine del IV secolo o l’inizio del V» e che abbia agito fino a tutto il V secolo.
Mentre l’anafonesi più antica è spiegabile in termini di fonetica generale, quella davanti a nasale velare non è facilmente interpretabile. Nel primo caso, si tratterebbe di una assimilazione anticipatoria (➔ assimilazione), prodotta in seguito all’innalzamento della posizione della lingua provocato dalla consonante palatale (Lausberg 19762: 231; Rohlfs 1966: § 49), ovvero di una sorta di «innalzamento assimilatorio analogo alla metafonesi e provocato da [j]» (Maiden 1998: 58, con rinvio a Franceschini 1991: 262-265). Per quanto concerne l’anafonesi più recente, per Tuttle (1991: 33 e 59-60) la debolezza acustica della nasale velare, insieme alla sua tendenza a portare al massimo grado la nasalizzazione anticipatoria, avrebbe prodotto nella vocale precedente un allungamento e una maggiore tensione e, conseguentemente, una chiusura. La tendenza all’innalzamento dinanzi a nasale velare era peraltro attiva anche nell’adattamento di certe forme latine dalle corrispondenti greche (cfr. Palmer 1977: 264-265).
Il fenomeno si concentra in un’area geografica ristretta: è caratteristico di Firenze, delle zone di Volterra e San Gimignano e della Toscana occidentale (Prato, Pistoia, Pisa, Lucca). Appare più controversa l’interpretazione storica e geografica dell’anafonesi nella Toscana occidentale (soprattutto per quella recenziore, più variabile e in concorrenza con forme non anafonetiche, tuttora presenti a livello rustico): si vedano a questo proposito le osservazioni di Franceschini (1991) e i rilievi critici di Castellani (1992). In Toscana forme non anafonetiche si ritrovano soprattutto nell’area aretina e senese, e in parte della Lucchesia: prima della diffusione del modello fiorentino erano comunque relativamente più diffuse e avevano peraltro una funzione di riconoscimento (➔ pronuncia), come testimoniano, ad es., le forme tenche del senese, longo del lucchese, gionto del pisano annotate da Girolamo Gigli nel suo Vocabolario Cateriniano (Gigli s.d.: passim) in merito ai vari “Idiotismo e pronuncia” di ogni città toscana.
La presenza dell’anafonesi differenzia il toscano (soprattutto) centrale (➔ toscani, dialetti) da molti dei dialetti italiani, i quali sono caratterizzati da fenomeni metafonetici e ignorano l’anafonesi: i dialetti toscani centrali risultano immuni dalla metafonia e sono invece caratterizzati dall’anafonesi. Il fenomeno è pertanto uno dei tratti fonetici che più dimostrano la fiorentinità alla base dell’italiano. Nel fiorentino corrente, d’altro canto, è ancora attiva una tendenza all’anafonesi, visto che questo dialetto «mal sopporta /e o/ in posizione anafonetica» (Giannelli 2000: 25): il suffisso -engo viene trasformato in [-ɛngo] e le uscite in -ongo sono ‘normalizzate’ in [-ɔngo]. Per analogia, le forme anafonetiche si sono estese anche in voci verbali dove la vocale era atona o nei participi passati, anche in assenza dei contesti consonantici in grado di attivare il fenomeno: cĭngo > cingo così come cĭngebat > cingeva e cĭnctum > cinto; pŭngo > pungo così come pŭngendo > pungendo e pŭnctum > punto.
Gigli, Girolamo (c. 1717), Vocabolario Cateriniano, A Manilla nell’Isole Filippine [i.e. Lucca].
Castellani, Arrigo (a cura di) (1952), Nuovi testi fiorentini del Dugento, Firenze, Sansoni, 2 voll.
Castellani, Arrigo (1980), Sulla formazione del tipo fonetico italiano, in Id., Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza, Roma, Salerno Editrice, 3 voll., vol. 1°, pp. 73-122.
Castellani, Arrigo (1992), Toscano occidentale. Vocali toniche, «Studi linguistici italiani» 18, pp. 72-118.
Castellani, Arrigo (2000), Grammatica storica della lingua italiana, Bologna, il Mulino, vol. 1° (Introduzione).
Franceschini, Fabrizio (1991), Note sull’anafonesi in Toscana occidentale. Atti del primo Convegno della Società internazionale di linguistica e filologia italiana (Siena, 28-31 marzo 1989), Torino, Rosenberg & Sellier, 2 voll., vol. 1° (Tra Rinascimento e strutture attuali), pp. 259-272.
Giannelli, Luciano (2000), Toscana, in Profilo dei dialetti italiani, a cura di M. Cortelazzo, [poi] di A. Zamboni, Pisa, Pacini, 23 voll., vol. 9º (1ª ed. 1976).
Lausberg, Heinrich (1956), Einleitung und Vokalismus, in Id., Roma-nische Sprachwissenschaft, Berlin, Mouton de Gruyter, 3 voll., vol. 1° (trad. it. Fonetica, in Linguistica romanza, Milano, Feltrinelli, 19762, 2 voll., vol. 1°, 1ª ed. 1971).
Maiden, Martin (1995), A linguistic history of Italian, London, Longman (trad. it. Storia linguistica dell’italiano, Bologna, il Mulino, 1998).
Palmer, Leonard R. (1954), The Latin language, London, Faber and Faber, 1954 (trad. it. La lingua latina, Torino, Einaudi, 1977).
Rohlfs, Gerhard (1949), Lautlehre, in Historische Grammatik der ita-lienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, A. Francke (trad. it. Fonetica, in Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1966, 3 voll., vol. 1°).
Tuttle, Edward F. (1991), Nasalization in Northern Italy: syllabic constraints and strength scales as developmental parameters, «Rivista di linguistica» 3, pp. 23-92.