anafora
Il termine anafora ha più significati, di cui i più rilevanti sono quello testuale e quello retorico. In campo testuale, l’anafora è il fenomeno per cui per interpretare alcuni sintagmi del testo occorre riferirsi a un altro costituente che compare nella parte precedente del testo stesso (➔ contesto). Tali sintagmi sono chiamati anche espressioni anaforiche (➔ anaforiche, espressioni).
In (1) sono segnalate le espressioni anaforiche:
(1) Donatello Poggi è diventato leghista a tutti gli effetti. [soggetto sottinteso] Lo ha comunicato ieri urbi et orbi con il suo ennesimo fax alle redazioni, in cui [soggetto sottinteso] ricambia alla Lega quella fiducia incondizionata che [soggetto sottinteso] afferma di aver ricevuto da essa ...
Comunque sia, l’ex deputato PdL, dopo aver cavalcato la sua Onda (senza l’H davanti), adesso ha rinunciato anche all’etichetta di indipendente con la quale egli era stato eletto lo scorso aprile sulla lista della Lega. «Non vi sono più i presupposti per mantenere questo distinguo» [soggetto sottinteso] fa sapere, aggiungendo che nella Lega «mi trovo perfettamente a mio agio» («Giornale del popolo» 12 giugno 2007)
Il sintagma l’ex deputato PdL è un’anafora in quanto è interpretato attraverso il collegamento con Donatello Poggi; lo stesso vale per i tre soggetti sottintesi, per il pronome personale egli e i possessivi suo e sua. Il costituente a cui l’anafora si ricollega si chiama antecedente: l’antecedente dell’anafora l’ex deputato PdL è il soggetto sottinteso del predicato afferma, il quale ha a sua volta un antecedente nel soggetto sottinteso di ricambia, il quale si collega a suo, che ha come antecedente un soggetto sottinteso, il cui antecedente è Donatello Poggi. L’insieme delle espressioni anaforiche che si ricollegano a uno stesso antecedente si chiama catena anaforica (vedi sotto).
In ambito retorico, l’anafora è una figura che consiste nella «ripresa in forma di ripetizione di una o più parole all’interno di enunciati (o di loro segmenti) successivi (configurazione: /x ... /x ...). I membri ripetuti possono essere repliche integrali [come in (2)] o contenere variazioni» (Mortara Garavelli 1989: 201)
(2) Erano le donne che avevano conservato le lettere, erano le donne le mie interlocutrici più preziose [...]. Parlavano le donne de «L’ultimo fronte», parlavano da protagoniste (Nuto Revelli, L’anello forte, Torino, Einaudi, 1998).
Nella sua accezione più accreditata, l’anafora si riferisce a collegamenti testuali di natura semantica, cioè mediati dal significato. Quei costituenti che si riferiscono non al significato ma al significante di una forma linguistica sono dunque anafore sui generis. È così per esempio per il pronome lo che compare nel seguente esempio (Conte 19992: 55):
(3) a. Guarda là in fondo! Quello è un rododendro.
b. Cosa?! Me lo puoi sillabare?
Anche restringendola alle sole dipendenze testuali mediate dalla semantica, l’anafora è una relazione complessa. La sua manifestazione più caratteristica ruota attorno al concetto di referente testuale, ed è illustrata dalle espressioni sottolineate nel testo seguente:
(4) Si chiamava Rodolfo d’Asburgo, e i principi tedeschi lo avevano eletto re nel 1273 nella speranza che, essendo un cavaliere povero e sconosciuto, [1][soggetto sottinteso] non [2]li avrebbe infastiditi troppo. Ma [2][soggetto sottinteso] non avevano fatto i conti con la [1]sua abilità e la [1]sua giustizia (Ernst H. Gombrich, Breve storia del mondo, Milano, Salani Editore, 2006, p. 186)
Le anafore marcate con [1] hanno l’antecedente Rodolfo d’Asburgo, quelle marcate con [2] l’antecedente i principi tedeschi.
Accanto alle anafore che riprendono referenti testuali, ce ne sono altre che si collegano ad altri aspetti del significato. Un’espressione anaforica può per esempio legarsi a un’operazione semantica, cioè all’attribuzione da parte del locutore di una proprietà semplice o complessa a un referente. È così nel caso seguente (Conte 19992: 56), in cui la particella ci riguarda il fatto di classificare come rododendro il fiore a cui fa riferimento quello:
(5) a. Guarda là in fondo. Quello è un rododendro.
b. Non ci credo
Inoltre, un’espressione anaforica può collegarsi a un atto illocutivo, quali un ordine, una domanda, ecc. (➔ illocutivi, tipi); nel caso di (6) si tratta di un atto di promessa:
(6) Ti sosterrò sempre. Una promessa così, te la sei proprio guadagnata
Quando l’antecedente è un sintagma associato a un referente (persona, oggetto, concetto, ecc.), l’anafora può ricollegarsi non al referente in senso stretto ma piuttosto al suo ‘significato’. Ciò avviene tipicamente se si passa dal riferimento a un elemento specifico a quello a un riferimento generico, come in (7) (Conte 1999: 54):
(7) Karpov mosse l’alfiere. L’alfiere è il pezzo che muove in diagonale
Nella sua seconda apparizione, il sintagma l’alfiere non si riferisce a quello specifico alfiere mosso quella specifica volta da Karpov, ma all’intera classe degli alfieri.
Affinché un referente testuale sia suscettibile di collegamento anaforico, non occorre che sia menzionato esplicitamente nel co-testo. Nel testo seguente (Korzen 2003: 602):
(8) La trasmissione è in fase di montaggio. Gli spettatori vedranno scene inedite, sorprendenti («La Stampa» 14 settembre 1991)
il sintagma nominale sottolineato denota gli spettatori della specifica trasmissione evocata dalla prima frase, ed è dunque anaforico: questi non sono tuttavia evocati in modo esplicito, ma introdotti indirettamente attraverso il sintagma la trasmissione. Si parla in questi casi di anafora associativa (o indiretta o di referenza implicita).
Il referente dell’anafora associativa non è, dunque, introdotto in modo esplicito, ma è indirettamente generato da esso: può essere prodotto da una parola del testo o da un elemento del contesto (Korzen: 1996 e 2003). Nel primo caso, il referente dell’anafora è attivato dalle nostre conoscenze lessicali, dal nostro dizionario mentale. Appartiene a questo tipo di anafora associativa il sintagma nominale la tastiera in (9), in quanto la definizione della parola computer prevede senz’altro come sua componente una tastiera:
(9) Mi ha riparato il computer. Nulla di grave: è bastato sbloccare la tastiera
L’anafora associativa mediata attraverso le conoscenze enciclopediche si manifesta ogni qual volta il collegamento implicito si fonda su un sapere extra-linguistico. È di questo tipo la relazione tra Levi e Cristo si è fermato a Eboli nella quarta di copertina dell’edizione Mondadori del romanzo:
(10) Pubblicato nel 1945, subito dopo la Liberazione, Cristo si è fermato a Eboli incontrò l’immediato favore del pubblico e della critica, che videro in esso il primo libro di rottura del dopoguerra, la prima voce autentica di un rinnovato impegno civile e morale. La vicenda è autobiografica: Levi, confinato durante il fascismo in un piccolo paese della Lucania, viene a contatto ...
Si noti che le conoscenze (linguistiche o enciclopediche) su cui si basa l’associazione anaforica non devono necessariamente essere note all’interlocutore affinché l’interpretazione del testo sia possibile. L’anafora associativa è anzi spesso un meccanismo attraverso il quale le conoscenze del lettore si accrescono: guidato dal principio di coerenza (➔ testo, struttura del; ➔ coerenza, procedure di), egli si appropria di legami referenziali fino a quel momento a lui sconosciuti.
La relazione tra l’espressione anaforica e l’antecedente che instaura il referente può essere mediata da altre espressioni anaforiche. Così, per es., nel testo seguente:
(11) Di gran lunga il maggiore scultore e architetto del Seicento in Europa, il Bernini si è talvolta cimentato con la pittura: attività per lui certamente minore, affrontata soprattutto in anni giovanili con spirito quasi dilettantesco, e tuttavia rivelatrice di una mano sicura e brillante [...]. Allievo a Roma del padre Pietro, Gian Lorenzo è uno dei più precoci enfants prodiges della storia dell’arte: subito conteso fra i grandi collezionisti, poco più che adolescente [soggetto sottinteso] affronta per il cardinale Scipione Borghese il monumentale ciclo di quattro grandi gruppi marmorei (Stefano Zuffi, Grande dizionario dei pittori, Milano, Mondadori, 2004, p. 36)
Tra il soggetto sottinteso anaforico dell’ultima frase e l’antecedente referenzialmente autonomo il Bernini vi sono altre due anafore: Gian Lorenzo e lui. Una sequenza di elementi anaforici riconducibili allo stesso antecedente è chiamata catena anaforica, e il primo elemento capo-catena (cfr. ad es. Simone 1990: 414): nel testo (11), la catena è costituita dal capo-catena il Bernini e dagli anelli in successione lui, Gian Lorenzo, soggetto sottinteso di affronta. «Le catene anaforiche possono avere diversa lunghezza ed essere costituite di anelli posti a distanza (anche grande) l’uno dall’altro» (Simone 1990: 414).
Spesso, si parla di catena anaforica solo nei casi di legame referenziale diretto, come quello illustrato qui sopra. In alcuni studi, nella catena vengono incluse tuttavia anche le anafore associative, così che per esempio sono considerati anelli di una catena anaforica tutti gli elementi in rilievo nel testo seguente (Korzen 2003: 608):
(12) Nella capitale e in tutto il paese, lo choc è molto forte. Un omicidio in pieno giorno, nel cuore dell’università più grande d’Italia, affollata quotidianamente da migliaia di giovani, scuote l’opinione pubblica anche sul piano emotivo, alimentando paure e psicosi collettive.
Scatta in grande stile la caccia all’assassino, ma le indagini partono dal nulla e [soggetto sottinteso] sono destinate a procedere nel buio: tanto che gli inquirenti non riusciranno mai a scoprire né il movente né l’arma del delitto («La Repubblica» 14 marzo 1999)
Tipicamente, in un testo compaiono più catene anaforiche, che possono correre parallele, intersecarsi, interrompersi per spazi più o meno lunghi e, soprattutto nel caso di una concezione larga del fenomeno, diramarsi a più riprese. Consideriamo il testo seguente:
(13) [1]Marianne è arrivata con [2]il pane tagliato a fette in un vassoio di vimini chiaro, [1][soggetto sottinteso] [2]l’ha posato al centro della tavola come un simbolo di felicità famigliare, con una cautela da disinnescatore di bombe. [1][soggetto sottinteso] Si è seduta e ha unito [1a]le mani e [1][soggetto sottinteso] si è messa a recitare una preghiera in tedesco, con [1a]gli occhi socchiusi e [1a]un tono di fervore che mi faceva vergognare per [1]lei peggio che con i cori la sera prima. [3]Gli altri stavano fermi e guardavano nei loro piatti, [3]Jeff-Giuseppe con le mani giunte come [1]sua madre, [3]Nina con uno sguardo più distante, [3]Vittorio con un piccolo sorriso sulle labbra ma [3][soggetto sottinteso] si prestava quanto gli altri a tutto il gioco ritualizzato, è stato ben zitto e fermo finché [1]sua moglie non ha finito e [1][soggetto sottinteso] detto di nuovo «Buon anno nuovo a tutti!» (Andrea De Carlo, Uto, Bompiani, 2007, p. 41)
Abbiamo anzitutto una brevissima catena anaforica [2] costituita da il pane tagliato a fette e lo, che si esaurisce nella prima frase. Accanto a questa vi è una lunga catena [1] che attraversa tutto il testo e che comprende il capo-catena Marianne e una sequenza di anelli che lo riprendono direttamente: tre soggetti sottintesi, il pronome lei, sua madre, sua moglie e di nuovo un soggetto sottinteso. Al pezzo di questa catena che attraversa la seconda frase sono associati anche gli anelli [1a] le mani, gli occhi socchiusi, il tono di fervore. Nella parte conclusiva del testo, una catena [3] è inaugurata da gli altri e comprende gli anelli Jeff-Giuseppe, Nina, Vittorio: si tratta di anelli che si legano al capo-catena per associazione in quanto membri dell’insieme che esso evoca. Si noti che questa catena in due punti si aggancia a quella iniziata da Marianne, e ciò esplicitamente attraverso i sintagmi nominali sua madre e sua moglie, che la collegano a Jeff-Giuseppe e a Vittorio.
Oltre ad avere pertinenza entro la dimensione referenziale del contenuto del testo, le anafore possono fornire informazioni sul costituirsi e l’evolversi dell’atteggiamento del parlante nei confronti di ciò che dice. Si parla in questi casi di anafore empatiche.
I sintagmi nominali e aggettivali usati anaforicamente sono empatici quando nella loro semantica è inclusa, in modo completo o parziale, una componente valutativa. Questa può far parte del significato lessicale in senso stretto, come ad esempio nel caso del nome catapecchia, oppure può essere indotta dalla scelta di particolari combinazioni morfologiche, come ad esempio quelle con gli infissi alterativi (casaccia, paesello, ecc.; ➔ diminutivo). Possono assumere valore empatico anche impieghi particolari di termini generici o parole comuni in sé non valutative. Si pensi alla parola signorina utilizzata da Giovanni Boine per nominare la scrittrice, Amalia Guglielminetti, di cui sta recensendo un volume in Plausi e botte; o al sintagma questa roba (con valore spregiativo) per riferirsi ai suoi versi:
(14) AMALIA GUGLIELMINETTI. L’insonne, ed. Treves, 1913. [...] quanti cuori, signorina, han distrutti questi suoi occhi [...]. E lei niente; crudele, fatale, dominatrice: «Per un istinto – dominatore, vinto ti vuole il mio arido orgoglio». Perché già è inutile; vorrebbe bene sentirsi una volta tanto: «preda conquistata in fiero conflitto». «Ma fragil donna, in sorte da amore ebbi un dono costante – l’orgoglio umiliante di sentirmi io la più forte». [...] I quali [versi] s’intende son tutti sfoghi donneschi da non badarci granché; e tranne qualche ragazza in fregola o qualche critico che le somigli è impossibile che uno ritorni su questa roba come si torna sulla poesia sincera (Giovanni Boine, Plausi e botte, in Il peccato, plausi e botte, frantumi, altri scritti, Milano, Garzanti, 1983, p. 95)
Sono utilizzabili empaticamente anche i dimostrativi, in forma di determinante o di pronome. Un esempio è dato da un intervento orale quale in (15):
(15) a. Hai visto che c’è Francesca?
b. Che ci fa quella in una riunione che non le compete?!
L’evidenza della vicinanza fisica tra il locutore e la persona denotata da quella conduce a interpretare il pronome come un segno di distanza affettiva (o empatica).
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