analfabetismo di ritorno
analfabetismo di ritórno locuz. sost. m. – Espressione riferita a quella quota di alfabetizzati che, senza l’esercitazione delle competenze alfanumeriche, regredisce perdendo la capacità di utilizzare il linguaggio scritto per formulare e comprendere messaggi. L’analfabetismo di ritorno ha dunque effetti determinanti sulla capacità di un soggetto di esprimere il proprio diritto alla cittadinanza (dal voto al diritto all’informazione, alla tutela sul lavoro ecc.) e di potersi inserire socialmente in modo autonomo. I semianalfabeti, ossia coloro in possesso della sola licenza elementare, che rappresentano la quota più a rischio di analfabetismo di ritorno, potrebbero non perdere le competenze alfabetiche se il sistema educativo nazionale prevedesse di integrare i piani formativi con esperienze regolari e durevoli di educazione degli adulti. L’analfabetismo di ritorno unito all’analfabetismo funzionale, ossia all’incapacità a usare in modo efficace le competenze di base (lettura, scrittura e calcolo) per muoversi autonomamente nella società contemporanea, nel nostro Paese tocca la quota del 47%. È un fenomeno che ha dimensioni differenti in base alle fasce di età e al territorio di residenza, ma che comunque dipinge un quadro allarmante. Il Sud e le Isole a oggi rappresentano la quota più imponente di analfabetismo, nonostante abbiano tassi di disoccupazione più elevati per i profili dei laureati. Questo fatto ci invita a riflettere non solo sulla fuga dei cervelli che dal Sud si trasferisce al Nord per cercare lavoro (il 75% dei quali è laureato), ma sul rapporto che c’è tra il conseguimento del titolo di studio e il collocamento lavorativo che, nel nostro Paese, è a svantaggio di processi di formazione lunghi e specialistici. Il fenomeno dell’analfabetismo di ritorno comprende anche lo sviluppo e la mancata diffusione di nuove competenze alfabetiche (ossia la decifrazione e l’uso di simboli convenzionalmente riconosciuti) dalle quali rimangono tagliate fuori generazioni intere di alfabetizzati: pensiamo alle competenze informatiche di base che, oggi più di ieri, accompagnano la comunicazione globale e dalle quali in Italia è escluso il 50% della popolazione adulta. Secondo ricerche internazionali solo il 20% della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti indispensabili per orientarsi con efficacia e in modo autonomo nella vita di tutti i giorni. Il restante 80% se sa leggere e scrivere lo fa con difficoltà e solo per brevi elaborati, ha difficoltà nell’analisi di un grafico o addirittura non sa fare niente di tutto ciò. Negli anni Cinquanta del 20° sec. l’analfabetismo in Italia toccava la quota del 30% ed è evidente che l’espansione senza precedenti dell’istruzione scolastica nel secolo passato ha portato risultati tangibili, visto che gli analfabeti assoluti sono scesi nel nostro Paese al 5%. È altrettanto vero però che il confronto con gli altri paesi del mondo industrializzato ci pone più in alto del solo Messico: l’indiscusso abbassamento di livello culturale dei diplomati e dei laureati, l’analfabetismo di ritorno e quello funzionale sono dati preoccupanti per la società nel suo complesso, frutto dell’antintellettualismo dominante e soprattutto della mancanza di investimenti qualitativi in tutti i rami dell’istruzione pubblica. In un Paese nel quale il numero di persone considerate a rischio alfabetico raggiunge l’80%, e il livello culturale medio subisce una flessione anche nelle caratteristiche della sua classe dirigente, emergono nuovi problemi anche di rappresentanza democratica. In una società sempre più complessa e globale, la cultura e più in generale la conoscenza della realtà dovrebbero crescere, e non decrescere, per riuscire a garantire una capacità di risposta adeguata ai nuovi problemi.