ANALFABETISMO (III, p. 79; App. II, 1, p. 175)
L'a. essendo fenomeno relativo all'alfabetizzazione, di cui rappresenta l'assenza o la carenza, è divenuto oggetto d'attenzione e d'intervento soltanto in tempi abbastanza recenti. Di fatto, sebbene non siano mancati nel corso della storia esempi di popoli in cui era diffusa la capacità di leggere e scrivere, essi si devono ritenere delle eccezioni; nella generalità dei casi, fino al sec. 19° la stragrande maggioranza della popolazione del mondo intero era analfabeta; ciò non ha per altro impedito lo sviluppo di una ricca cultura orale che ha alimentato tradizioni trasmesse per millenni. La possibilità di affidare a un supporto durevole messaggi verbali scritti, destinati a varcare grandi intervalli di spazio e di tempo, ha tuttavia condizionato in maniera decisiva lo sviluppo delle culture superiori. L'invenzione della scrittura ha segnato il passaggio dalla preistoria alla storia, così come in altro senso l'invenzione della stampa ha segnato quello dalla storia antica alla moderna.
Il problema dell'a. di massa non si è posto tuttavia contemporaneamente all'invenzione della scrittura; finché questa serviva a scopi giuridici, politici o militari, oppure a scopi religiosi o filosofici o letterari, eran sufficienti pochi addetti istruiti, appartenenti a classi o caste ristrette e definite. Ancora alle soglie dell'età medievale, perfino principi e re erano non di rado analfabeti, e si valevano di segretari, lettori e scrivani. Ben diversa situazione si è presentata con l'epoca moderna, con le esigenze affacciate dallo spirito della riforma protestante e cattolica, la nascita delle nuove scienze della natura, la trasformazione dell'artigianato in manifattura e poi in industria, la creazione di un mercato mondiale, la nascita del capitalismo, l'avvento al potere del terzo e poi del quarto stato, le diffuse aspirazioni al riscatto popolare alimentate dalla democrazia liberale e da quella socialista. I sudditi son diventati cittadini, i disuguali hanno reclamato l'uguaglianza. La capacità di leggere e scrivere ha assunto il significato di una "soglia" di promozione civile.
Oggi, il problema dell'a. si pone pertanto in stretto rapporto con quello dello sviluppo; tale concetto è per lo più usato in senso restrittivo, riferito all'indicatore economico del "prodotto nazionale lordo" o a quello del "reddito pro capite"; ma è evidente che attraverso tale parametro di comoda quantificazione si fa altresì riferimento a componenti più complesse, in cui ha un posto di primo piano l'accumulo di conoscenze scientifiche e di capacità tecnologiche, da cui dipende in misura decisiva il dominio delle condizioni ambientali. Poiché di fatto i paesi europei e la loro diaspora hanno fatto proprio un simile modello di civiltà, il problema dell'a. si è posto storicamente prima a essi, e poi al resto del mondo.
Nei paesi definiti come sviluppati, l'a. rimane come fenomeno residuale, per le sacche di povertà e per i gruppi meno favoriti (negli ambienti rurali, nei sobborghi metropolitani, con incidenza maggiore tra gli anziani e in essi tra le donne). Nei paesi meno sviluppati, l'a. è invece tuttora un fenomeno di massa, che si aggira (in difetto di cifre precise) attorno a una stima di 800 milioni di persone. Tali paesi, localizzati nel cosiddetto terzo mondo, coincidono nella maggior parte dei casi con paesi ex coloniali, di recente indipendenza: per essi l'alfabetizzazione significa emancipazione culturale, conquista di unità nazionale al di sopra delle divisioni tribali, creazione di quadri dirigenti e intermedi, assimilazione del patrimonio scientifico e tecnico, decollo economico. Purtroppo, la scarsa disponibilità di mezzi limita gli sforzi dei governi; inoltre è ancora fortemente avvertito il peso dell'acculturazione a modelli esterni di tipo europeo risalenti all'epoca coloniale, spesso ribaditi dai vincoli tuttora esistenti sotto l'aspetto di assistenza tecnica; in parecchi casi, come in Africa e in India, le lingue europee sono le uniche lingue veicolari abbastanza diffuse che consentono l'intercomprensione (si pensi che in Africa esistono circa 700 dialetti principali, e ben quattro gruppi linguistici fondamentali). Un gruppo a sé stante fra Africa e Asia è quello arabo, che ha unità linguistica e ora anche disponibilità di capitali, grazie alle risorse petrolifere.
L'alfabetizzazione presenta due aspetti collegati ma distinti: il primo riguarda l'attuazione dell'obbligo scolastico per i fanciulli e gli adolescenti, il secondo il recupero dell'obbligo non assolto per gli adulti. È chiaro che con il passar del tempo si dovrebbe raggiungere l'obiettivo di eliminare il secondo aspetto, grazie alla completa realizzazione del primo. Tuttavia, lo sviluppo demografico da un lato, e i costi crescenti dell'istruzione dall'altro, fanno ritenere che l'obiettivo non sarà raggiunto molto presto. Benché i tassi di a. diminuiscano, in alcuni paesi il numero assoluto di analfabeti è in aumento, perché il numero dei nuovi nati eccede quello dei nuovi scolarizzati nel totale della popolazione. Inoltre, parte delle risorse dei paesi poveri devono esser destinate all'istruzione secondaria e tecnica prima ancora che tutta la popolazione possa esser scolarizzata a livello primario, se si vuol evitare il pericolo di una totale dipendenza dall'estero.
Tanto il primo quanto il secondo aspetto concernono in ogni caso la cosiddetta educazione di base o educazione fondamentale. Essa è il presupposto indispensabile di ogni educazione ulteriore, sia rivolta alla formazione professionale, sia rivolta all'arricchimento della cultura personale libera. Gli scopi dell'educazione di base comprendono la capacità di leggere e scrivere, ma anche quella di effettuare le quattro operazioni aritmetiche, e inoltre un certo capitale d'informazioni storiche, geografiche, scientifiche, sociali, economiche; viene inoltre ritenuta insufficiente la mera istruzione, senza educazione altresì civica, morale, e in molti paesi anche religiosa. Per questo, oggi taluno parla di alfabeto "minore" e "maggiore", o di alfabetizzazione strumentale e funzionale: nel primo caso si denota il leggere-scrivere-far di conto (o come dicono gli Inglesi le tre "r", dalla pronuncia dell'iniziale delle tre parole reading, writing, reckoning) come abilità appunto strumentale; nel secondo caso si denota anche la capacità d'inserirsi socialmente con un'attività produttiva. Quest'ultima accezione tradisce un significato soprattutto economico, ma può venir rettificata per includervi altri più ricchi significati sul piano umano: in ogni caso resta nell'orbita di una prospettiva funzionalistica, per cui fine fondamentale dell'educazione è quello d'inserire le giovani generazioni nel corpo sociale, in modo che ne condividano i valori e possano contribuire al loro sviluppo.
Il rapporto tra alfabetizzazione strumentale e funzionale sottolinea pertanto il già accennato rapporto con lo sviluppo. Dove i modi di produzione sono ancora arcaici, e la società è fortemente tradizionale, mancano spesso gl'incentivi al "bisogno di leggere", e l'alfabetizzazione è sterile perché, in difetto di occasioni d'esercizio, le capacità appena apprese vengono dimenticate e sottentra il fenomeno dell'a. di ritorno e del semi-analfabetismo. D'altra parte, invece, forti motivazioni religiose o politiche possono rincalzare potentemente gli altri motivi strettamente strumentali, e allearsi ai bisogni funzionali di sviluppo. La spinta più forte nei paesi industrializzati viene dal fatto che la scolarizzazione vi è ormai percepita come correlato indispensabile dell'inserimento nel lavoro e nel tempo libero: legame che appare in forma drammatica in fasi di disoccupazione tecnologica determinata da nuovi processi di produzione più avanzati (meccanizzazione, poi automazione), d'instabilità professionale, di necessità di riqualificazione e di aggiornamento.
L'approfondimento delle ragioni dell'alfabetizzazione ha condotto, al di là della formula dell'alfabetizzazione funzionale, a quella più incisiva della coscientizzazione. Come ha scritto J.P. Sartre, "la cultura è la coscienza in continua evoluzione che l'uomo assume di se stesso e del mondo nel quale vive lavora e combatte". Questo concetto è stato divulgato con efficacia soprattutto da un educatore brasiliano, Paulo Freire, che ne ha fatto il principio ispiratore dei suoi "circoli di cultura", in cui il riscatto dei poveri contadini del Nordeste vien collegato alla presa di coscienza dei rapporti economici e sociali e della dignità civile.
L'alfabetizzazione come coscientizzazione prende le mosse dall'esperienza concreta: il che è importante a ogni età, ma soprattutto nell'età adulta, nella quale l'insegnamento dell'alfabeto e dell'aritmetica non possono restare scolasticamente astratti. Ciò significa che devono aver luogo nello stesso ambiente di vita e di lavoro: il centro, casa, circolo, pagoda (al limite, perfino una pianta nella radura) dev'essere luogo naturale d'incontro. Non è solo questione di organizzazione e neppure solo di partecipazione: si tratta anche e soprattutto di un'atmosfera e di uno spirito.
Il problema dell'alfabetizzazione su scala mondiale si è posto dopo la prima guerra mondiale alla Società delle nazioni a Ginevra: e si è riproposto in maniera più incisiva dopo la seconda guerra mondiale all'Organizzazione delle nazioni unite. Sebbene, come abbiamo detto sopra, l'impegno prioritario sia quello di assicurare l'assolvimento dell'obbligo scolastico da parte dei ragazzi, l'UNESCO, come agenzia internazionale per la scienza e la cultura, ha dedicato una crescente attenzione al problema del recupero degli adulti analfabeti. La storia della lotta contro l'a. coincide pertanto in larga misura con quella dell'educazione degli adulti (v. educazione, in questa Appendice) nel cui quadro trova posto, come momento iniziale, e spesso addirittura principale.
Le più note conferenze internazionali su questo tema sono state nel secondo dopoguerra quelle di Elsinör (1949), di Montreal (1960), di Teheran (1965), di Tokyo (1972). Oltre ad esse, non sono mancate conferenze convocate da varie istituzioni per studiare aspetti particolari connessi al problema: come quella di Washington (1959) dedicata agl'insegnanti, quella di Parigi (1962) per gli esperti, quella di Amburgo (1962) per l'industria, quella di Roma (1962) su alfabeto e società, quella di Grenoble (1964) sui giovani, e quella di Praga (1965) sul tempo libero. Al centro di tutta l'attività di collaborazione internazionale nel periodo si colloca la grande campagna mondiale contro l'a. promossa dalla risoluzione dell'ONU dell'8 dicembre 1965.
La campagna mondiale, oltre a mettere a disposizione fondi internazionali (PNUD, OIT, FAO), si è articolata attraverso la promozione in dodici paesi (Algeria, Equador, Etiopia, Guinea, India, Iran, Madagascar, Mali, Sudan, Siria, Tanzania, Venezuela) di progetti pilota basati sulla strategia dell'approccio selettivo-intensivo, cioè incidente anzitutto sulle zone di minore resistenza e dove già esiste una forte domanda, così da mettere in atto al più presto meccanismi moltiplicativi e forze di trascinamento.
La collaborazione internazionale, per quanto importante, presuppone in ogni caso altre due condizioni: l'impegno dei governi, e la partecipazione spontanea e volontaria di gruppi e di persone. I governi devono garantire un impegno coordinato di tipo politico, sociale, economico, psicologico e pedagogico. Si devono rammentare a questo riguardo le grandi campagne nazionali del Messico, del Brasile, di Cuba, dell'Indonesia, delle Filippine. Da parte sua l'URSS, che aveva ereditato alti tassi di a. nelle zone rurali soprattutto nelle regioni asiatiche, ha realizzato un'alfabetizzazione totale.
Le strategie di soluzione sono estremamente varie: vanno dallo sviluppo e capillarizzazione del sistema scolastico (attraverso corsi festivi, stagionali, itineranti, centri di lettura) a misure para- o extra-scolastiche (emissioni radio e televisive da stazioni locali o via satellite, centri d'ascolto assistiti). In qualche paese si è fatto appello agli studenti delle scuole superiori perché si facessero "alfabetizzatori popolari" (in tal modo a Cuba la percentuale è stata ridotta dal 23% al 3,9%); in qualche altro si è organizzato un particolare servizio attraverso l'esercito (come la cosiddetta armata del sapere in Iran). Talvolta l'iniziativa è partita dalle chiese, talaltra da gruppi laici e radicali (in Brasile i vescovi hanno organizzato una rete radiofonica, mentre per altro verso si diffondevano i centri e circoli di cultura appoggiati al movimento populista). In tutti i casi è avvertita l'esigenza di superare iniziative generose ma sporadiche, per affrontare una programmazione che coordini gli sforzi.
In Italia dopo la seconda guerra mondiale fu creato il Servizio centrale per l'educazione popolare, poi trasformato in Direzione generale.
Il principale mezzo d'intervento pubblico è stato costituito in Italia nel secondo dopoguerra dalla scuola popolare, istituita con d.l. 17 dic. 1947 (convertito in l. 14 apr. 1953): una scuola gratuita diurna o serale per soggetti dopo l'età dell'obbligo, distinta in corsi di tipo: a) per analfabeti; b) per semianalfabeti; c) per aggiornamento. I corsi possono essere istituiti dai provveditori agli studi o sotto la loro sorveglianza da enti o da privati; particolare disciplina hanno i corsi delle scuole reggimentali e carcerarie.
Un'altra forma d'intervento pubblico si può considerare quella svolta tra il 1960 e il 1965 dalla RAI-TV attraverso le trasmissioni di Telescuola della serie "Non è mai troppo tardi", che conseguirono notevole successo. In essa venne messa a punto una metodologia centrata su parole chiave, illustrate con scenette e disegni estemporanei, a cura di A. Manzi.
Già dal 1949 era tuttavia attiva in Lucania, e poi in tutto il Mezzogiorno l'Unione italiana Lotta contro l'Analfabetismo (UNLA), che si svolgeva in forme libere di partecipazione aderenti all'ambiente; essa riprendeva l'opera della pedagogia "d'apostoli e d'operai" (come l'aveva chiamata G. Lombardo Radice) degl'inizi del secolo, sostenendo l'intervento pubblico con forme più flessibili collegate alla coscientizzazione di tutti gli aspetti della vita sociale.
L'impostazione data al problema dall'UNLA, mentre si pone in continuità ideale con l'opera degli enti delegati del primo Novecento, ne supera pertanto alcuni limiti, integrando il momento strumentale nel contesto della più generale educazione degli adulti come educazione permanente (v. educazione, in questa Appendice).
Nel complesso, l'azione congiunta dell'iniziativa pubblica e privata ha progressivamente ridotto in un secolo l'a. in Italia, come risulta dalla tabella 1. Il fenomeno non è tuttavia ancora scomparso, e ha una certa consistenza nelle regioni rurali, soprattutto meridionali, nelle classi anziane; per la distribuzione regionale si veda la tabella 1, dove si è anche indicato il numero degli alfabeti che son tuttavia privi di titolo di studio, perché hanno precocemente abbandonato la scuola e sono pertanto candidati probabili all'a. di ritorno. Infine, si deve notare che la massiccia immigrazione dalle zone meno favorite verso le grandi città ha reintrodotto in queste l'a. che vi era quasi scomparso: si veda per questo la tabella 2.
Bibl.: F. Abel, N. J. Bond, Illiteracy in several countries in the world, in Bureau of Education Bulletin, n. 4 (1929); L'analphabétisme dans divers pays, in Monographies sur l'éducations de base a cura dell'UNESCO, VI, Parigi 1953; L'analphabétisme dans le monde au milieu du XXe siècle, a cura dell'UNESCO, ivi 1957; Atti del convegno mondiale Alfabeto e società, a cura dell'UNLA, 2 voll. in it. e in ingl. (il secondo contiene un Repertorio dell'analfabetismo e dell'alfabetizzazione nel mondo con dati di 59 paesi), Roma 1963; R. de Montvalon, Un miliardo di analfabeti, Parigi 1965,, (trad. it. Roma 1966); A. Lorenzetto; Alfabeto e analfabetismo, Roma 1962; id., La scuola assente, Bari 1968; P. Freire, La pedagogia degli oppressi, Milano 1971; id., L'educazione come pratica della libertà, ivi 1973. Per gli aspetti statistici ed economici v. anche: ISTAT, Sommario di statistiche storiche dell'Italia 1861-1965, Roma 1968; CNEL, Rapporto sulla situazione sociale del paese, a cura del Censis, ivi (dal 1967); Le aree socioeconomiche in Italia (a cura dell'Un. it. camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), Milano 1975.