DIMENSIONALE, ANALISI
. Analisi dimensionale è termine recentemente introdotto per indicare la parte più propriamente analitica della teoria della similitudine (v. similitudine: meccanica, XXXI, p. 800) e come tale l'analisi dimensionale s'affianca alla teoria dei modelli che della teoria della similitudine raccoglie invece gli sviluppi prevalememente fisici (v. anche idraulica: modelli [XVIII, p. 720] e idrometria: modelli idraulici [XVIII, p. 762]; nonché, in questa App., modelli, teoria dei). Precisamente col nome di analisi dimensionale si indica quel procedimento deduttivo col quale si cercano le limitazioni incluse nell'affermazione che una grandezza fisica q, funzione delle sole grandezze q1... qn, deve assumere lo stesso valore (pur non dando luogo allo stesso numero) qualunque sia il sistema di unità di misura scelto quando restino fermi i valori delle qi (mentre i numeri che la rappresentano variano col sistema di unità).
1. - Una classe di enti della stessa specie costituisce, in fisica, una classe di "grandezze" quando si conosca il rapporto tra uno degli enti della classe e un altro ente della stessa classe preso come unità. In forma più sintetica, ma equivalente, si può dire, con V. Wallot, che una grandezza fisica è il prodotto di un numero per una unità. Se ne deduce che le grandezze della fisica soddisfano a tutti i postulati cui soddisfano le grandezze definite nelle "teorie sintetiche" dell'aritmetica generale, incluso il postulato di Archimede e quello di continuità.
La misura di una grandezza può essere ottenuta con metodo diretto o indiretto. Le lunghezze, per es., si possono misurare direttamente. Altre grandezze invece possono essere misurate soltanto indirettamente servendosi della formula di definizione. Fra le grandezze fisiche alcune hanno carattere di grandezze estensive: sono quelle alle quali è possibile far assumere valori a piacere; altre grandezze invece sono grandezze intensive e sono le grandezze che possono essere graduate ma alle quali non si può far assumere valori arbitrarî. Così si può misurare la viscosità di un fluido, ma non si può far sì che un fluido abbia, in assegnate condizioni, una viscosità assegnata.
2. - La misura di grandezze di tipo differente si effettua servendosi di un "sistema di unità". Il significato del "sistema" è illustrato dalle considerazioni seguenti. Siano l e l′ i due lati di un rettangolo. L'area di esso è data dalla formula A = l l′ sottintendendo che se l'unità di misura della lunghezza è il metro, l'unità di misura dell'area sia il m2. Se si assumesse come unità di area per es. l'ettaro ma si continuasse a misurare le lunghezze in metri, l'area del rettangolo sarebbe rappresentata dalla formula
sarebbe così necessario introdurre il coefficiente parassita
Ciò complicherebbe inutilmente le relazioni tra le grandezze, ma permetterebbe di avere tutte le unità di misura indipendenti. Se si esige che i coefficienti parassiti compaiano nel minor numero possibile, allora, scelte alcune unità indipendenti (per le grandezze fondamentali) le altre dovranno essere dedotte da quelle (grandezze derivate). Nel campo meccanico le unità fondamentali sono usualmente tre (massa, lunghezza e tempo; oppure forza, lunghezza e tempo) per quanto sia stato osservato da più autori che si potrebbero anche ridurre ad un numero minore. Nella teoria del calore svolta da J.-B.-J. Fourier le grandezze fondamentali sono cinque, e cioè oltre alle tre della meccanica anche quantità di calore e temperatura. Nell'elettromagnetismo basta aggiungere alle unità fondamentali meccaniche una unità elettrica (o magnetica) che può essere scelta in varî modi (v. XXXIV, p. 715; App. I, p. 515; unità, sistema di, in questa App.).
3. - Riferiamoci al campo meccanico. Ricordiamo che, fissate come grandezze fondamentali la lunghezza, la massa e il tempo, si dice che una grandezza y ha dimensioni α, β, γ, rispetto ad esse se, variando l'unità di misura di queste rispettivameme nel rapporto 1 a λ, 1 a μ, 1 a τ, l'unità di misura di y deve variare (perché restino invariate le formule di definizione) nel rapporto λα μβ τγ.
Si indica questo fatto scrivendo [y] = Lα Mβ Tγ.
In base al principio di omogeneità (n° 4) è stato dimostrato da P. W. Bridgman che una grandezza derivata può dipendere dalle grandezze fondamentali soltanto nel modo indicato dalla relazione precedente.
Si può dimostrare: 1) che se al posto di L, M, T si scelgono tre grandezze tra loro indipendenti Q1, Q2, Q3, allora come Q1, Q2, Q3 si possono esprimere a mezzo di L, M, T, anche L, M, T si possono esprimere per mezzo di Q1, Q2, Q3; 2) che la condizione perché Q1, Q2, Q3, siano tra loro indipendenti è che si possano trovare tre numeri m, n, p tali che Q1m • Q2n • Q3p rappresenti un monomio di dimensioni zero (XXXI, p. 800).
4. - Enunciamo ora il principio di omogeneità di Fourier. Egli, dopo aver rilevato che le equazioni della propagazione del calore dipendono da 5 grandezze fondamentali (lunghezza, massa, tempo, temperatura e quantità di calore), afferma come evidente il fatto che se si altera l'unità di misura di una di esse, le equazioni devono rimanere inalterate: le equazioni devono quindi essere omogenee rispetto a tutte e cinque le grandezze indipendenti che intervengono nella teoria. L'osservazione vale per qualunque teoria relativamente alle grandezze fondamentali che in essa intervengono e dà luogo a una conseguenza importante. Supponiamo che nello studio di un fenomeno fisico si sia pervenuti a riconoscere che la grandezza fisica q dipenda soltanto da m numeri puri r e da n grandezze dimensionate (variabili o costanti):
Quale restrizione introduce nella f il principio di omogeneità ? A tale domanda risponde il teorema di A. Vaschy-D. P. Rjabusinskij-E. Buckingham detto anche teorema π (v. similitudine: XXXI, n. 14).
Se le grandezze fondamentali sono k si può scrivere
essendo
È stato osservato da A. Signorini che i parametri puri possono essere in numero infinito e addirittura costituire una funzione di elementi puri. Conviene perciò dare al simbolo r della formula precedente tale significato più generale.
5. - Il teorema π dà luogo a numerose applicazioni anche nel campo della teoria dei modelli. È infatti evidente che se Nk+1.... Nn assumono lo stesso valore nel modello e nel prototipo, allora anche senza conoscere la ψ si può dedurre il valore di q nel prototipo da esperienze eseguite sul modello (v. modelli, teoria dei, in questa App.).
Rimanendo nel campo delle limitazioni analitiche imposte dal teorema π si può osservare che esse sono tanto più forti quanto più piccolo è il numero n − k.
Un esempio può essere dato dal pendolo semplice. Supposto che il periodo T della sua oscillazione dipenda soltanto dalla lunghezza l del filo, dall'accelerazione di gravità g, dalla massa m, e dall'ampiezza d'oscillazione ϕ, si può precisare subito la dipendenza di T da l e g, perché il prodotto lα gβ mγ deve avere le dimensioni di un tempo e ciò accade soltanto ponendo
Segue
e pertanto resta solo da determinare la funzione k(ϕ) (ciò che potrebbe essere fatto sperimentando con un solo pendolo).
Presentiamo anche un secondo esempio. Si consideri il deflusso di un liquido in un tubo. Se supponiamo che la perdita di pressione per unità di lunghezza del tubo (Δp/l) dipenda soltanto daρ (densità), U (velocità media), d (diametro del tubo), η (coefficiente di viscosità), si può costruire il monomio
che ha le stesse dimensioni [FL-3] di (Δp/l) e si può costruire un numero puro
Perciò, tenuto presente che è
(γ peso specifico del liquido, i pendenza motrice) segue
essendo λ una funzione della sola N (numero di O. Reynolds). La formula precedente si presta ad altre considerazioni. Poiché in essa non compare la resistenza alla parete, essa è certamente valida se il liquido "attacca" alla parete. Se vi fosse strisciamento si dovrebbe avere, in corrispondenza della parete stessa, una resistenza specifica τ = ϕ(u) • u, essendo u la velocità alla parete e ψ (u) una funzione di u di dimensioni FL-3T della quale si dovrebbe determinare la possibile espressione. Con questa posizione, al posto di λ(N), troveremmo λ(N, R) con
Ma noi possiamo considerare due tubi tali che sia U1d1 = U2d2 e perciò sperimentando con lo stesso liquido sarebbe N1 = N2. Poiché l'espressione di i è completamente confermata per via sperimentale si deve concludere che λ non dipende da R (ciò che vorrebbe dire assenza di strisciamento) oppure che R deve avere lo stesso valore nei due tubi. Seguirebbe in quest'ultimo caso
cioè in generale ψ(u) = cρU; τ = cρUu. La c dovrebbe avere lo stesso valore per tutti i tubi circolari, nei quali avrebbe il carattere di costante universale. ll che non è concettualmente impossibile ma sarebbe abbastanza strano in questioni di questo tipo. Perciò E. Foà ritiene di poter concludere che il liquido "attacca" alla parete.
6. - Negli esempî precedenti la costruzione del monomio N (o dei due monomî N e R) era così semplice che non è stato necessario ricorrere a regole generali. E tuttavia tali regole sono state suggerite e vogliamo qui ricordarle. La prima è quella seguita da Lord Rayleigh. Riferendoci per semplicità a un fenomeno meccanico, se è q funzione di q1...qn, scelte le grandezze fondamentali q1, q2, q3 scriviamo
i tre esponenti α1, α2, α3 risultano determinati quando sia noto che
perché allora risulta
Indicato poi con N un monomio formato con le n grandezze (fondamentali e derivate) elevate a convenienti esponenti λi:
cerchiamo di determinare i λi in modo che le dimensioni di N risultino nulle. Dovremo soddisfare tre equazioni del tipo
e queste daranno luogo a n − 3 soluzioni indipendenti che consentono di ricavare n − 3 monomi N4, ..., Nn.
Un secondo procedimento più semplice è il seguente. Scriviamo
da ciascuna di queste equazioni potremo ricavare gli esponenti che forniscono i relativi numeri puri (in numero di n − 3).
7. - Ci si deve ora domandare quale sia il campo cui possono essere applicati i procedimenti di analisi dimensionale. Il punto di vista più restrittivo è quello del Foà che non ammette "a priori" il principio di omogeneità ma chiede che ne sia constatata la validità, caso per caso, nel sistema di equazioni preso in esame. Non è che il Foà neghi il valore intrinseco della misura di una grandezza, ma egli osserva che qualunque equazione può essere resa omogenea con l'introduzione di costanti dimensionali (che in qualche particolare sistema di unità possono anche non comparire esplicitamente perché assumono il valore uno nel prodotto o il valore zero in una somma).
ln esempio portato dal Foà è il seguente. Si consideri la variazione della pressione di saturazione di un vapore saturo in funzione della temperatura assoluta. La relazione
esprime abbastanza bene il fenomeno e si comporta come dimensionalmente omogenea se si interpretano le costanti a e b rispettivamente come logaritmo di una pressione e come una temperatura. Ora il Foà non ammette una discriminazione tra queste costanti dimensionali e quelle che si ricavano dalle formule e dalle esperienze che stanno a base delle varie teorie della fisica (per es. accelerazione di gravità, costante della gravitazione universale, velocità della luce): per lui tutte le costanti dimensionate hanno gli stessi diritti e quindi non vi è luogo a distinguere tra formule empiriche" e formule "teoriche".
Per la validità del procedimento di analisi dimensionale in un dato problema il Foà ritiene perciò necessario: a) partire da un sistema di equazioni nelle q1 q2.... qn dimensionalmente omogeneo rispetto alle grandezze fondamentali; b) che questo sistema ammetta soluzione determinata. Si deduce allora che la formula risolutiva è dimensionalmente omogenea e che non è necessario introdurre altre condizioni, sicché si è in grado di fare l'elenco di tutte e sole le grandezze che intervengono nel fenomeno. Invece se la soluzione non fosse determinata sarebbe necessario aggiungere nuove condizioni ed è da aspettarsi che queste richiederebbero l'introduzione di nuove grandezze sicché l'elenco precedentemente fatto non le comprenderebbe tutte.
Questo punto di vista - certamente corretto dal punto di vista logico - ha l'inconveniente di svalutare l'analisi dimensionale, perché quando sono scritte le equazioni che reggono il problema, il teorema non ha più una vera utilità, anzi in generale (G. Supino) da esso si ricava molto meno che non dall'esame diretto delle equazioni.
Un diverso punto di vista è quello degli autori inglesi, in particolare di P. W. Bridgman. Per questi autori non tutte le costanti dimensionali sono ugualmente accettabili. Si possono includere, nei procedimenti di analisi dimensionale, le costanti che intervengono nelle formulazioni di leggi fisiche ben definite, non le costanti che provengono da leggi empiriche. Scrive il Bridgman: "Le costanti dimensionali che entrano nelle formule finali sono quelle e soltanto quelle che noi dobbiamo usare per scrivere le equazioni del moto. Questa è la vera essenza della questione delle costanti dimensionali". E poche righe prima avverte che il termine "equazioni del moto" deve essere inteso in senso generale "applicabile tanto ai sistemi meccanici che ai sistemi termodinamici o elettrici".
Questo punto di vista è meno distante da quello del Foà di quanto non appaia a prima vista. Le limitazioni più importanti consistono nel fatto che le "formule empiriche" debbono essere escluse dalla ricerca. Inoltre l'analisi dimensionale può in tal modo servire soltanto a ritrovare leggi note, o a formulare leggi nuove nell'ambito di teorie note, o infine a mostrare che non è possibile risolvere qualche nuovo problema nell'ambito di queste teorie (per la constatata scorrettezza della posizione dimensionale o per contrasti tra l'esperienza e la soluzione dimensionale corretta), ma non potrà mai servire a formulare leggi che richiedano l'introduzione di nuove costanti dimensionali.
8. - Nelle considerazioni di tutti gli autori finora ricordati le dimensioni di una grandezza fisica hanno carattere convenzionale, non soltanto perché le k grandezze fondamentali possono essere scelte in modo arbitrario, purché siano tra loro indipendenti (n. 3), ma anche perché il loro numero k è in parte arbitrario. È noto che nel campo della meccanica celeste si possono avere due sole grandezze fondamentali (in luogo di tre) perché la legge di gravitazione universale permette di definire la massa come funzione della lunghezza e del tempo; ed è noto che mentre nella teoria del calore secondo Fourier la quantità di calore è una grandezza fondamentale, in altre teorie essa ha le dimensioni di una energia. Scrive M. Planck: conoscere le dimensioni vere di una grandezza è come voler conoscere il nome vero di un oggetto.
Questo punto di vista non è accettato da P. Straneo, al quale si deve un'opinione molto diversa sulla portata dell'analisi dimensionale. Tutta la fisica conosciuta - afferma lo Straneo - è inclusa nelle costanti dimensionali. Pertanto noi possiamo ritrovare, per via molto semplice, tutte le leggi della fisica, una volta conosciute le dimensioni delle costanti che in esse intervengono. Per es., conoscendo le dimensioni del potere induttore specifico [ε] = L-3T2M-1Q2 (dove Q è la carica elettrica) si può ritrovare la legge di Coulomb; e se si pensa al campo elettromagnetico, e alle dimensioni di ε si aggiunge la conoscenza delle dimensioni della permeabilità magnetica μ, allora non solo si ritrova anche la seconda legge di Coulomb, ma si può dimostrare che il numero delle elettrologie possibili viene ridotto perché la libertà di scelta delle altre costanti dimensionali risulta limitata dalle dimensioni fissate per ε e μ. Per giungere a questi risultati lo Straneo deve peraltro considerare "le dimensioni delle grandezze fisiche come una caratteristica fisica che loro compete", in contrasto con le idee di tutti gli altri autori. Il fatto è che lo Straneo pensa ad una fisica che costituisca come un tutto unico, una specie di teoria unitaria, e non ritiene che nella fisica possano coesistere teorie diverse, applicabili a campi diversi di una stessa disciplina e con costanti dimensionali pure differenti.
Bibl.: J. B. J. Fourier, Théorie Analytique de la Chaleur, cap. II, sez. IX, pp. 152-158, Parigi 1822; J.C. Maxwell, Treatise on electricity and magnetism, I, Oxford 1873, p. 1-5; A. Vaschy, in Comptes rendus, CXIV (1892), p. 1416; D. Riabusinskij, in L'Aérophile, settem. 1911; E. Buckingam, in Phys. Rev., IV (1914), p. 345; P. W. Bridgman, Dimensional analysis, New Haven 1922 (2ª ed. 1931); E. Foà, in L'Industria, XLII (1928), p. 540; ibid., XLIII (1929), p. 426; ibid., XLIV (1930), n. 9; B. Levi, in Rendiconti delle sessioni della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, nuova serie, XXVI (1932), p. 72; G. De Marchi, in Rendiconti del Seminario matematico e fisico di Milano, VII (1933), p. 49; E. Pistolesi, Omogeneità - Similitudine - Modelli (Fondamenti teorici), in Atti del II Convegno di matematica applicata (Roma 1939), Bologna 1940; P. Straneo, in Nuovo Cim., XVII (1940), pp. 183-212 e 505-536; id., in Enciclopedia delle Matematiche Elementari, III, parte I, pp. 39-97; V. Wallot, in Phys. Zeitschr., XLIV (1943), p. 17; E. Perucca, in Atti della Accademia delle Scienze di Torino, LXXIX (1944), pp. 38-73; G. Supino, in Rendiconti Lincei, Serie VIII, vol. III (1947), p. 82 e 87; G. Polvani, Elementi di metrologia teoretica, Milano 1947; H. E. Huntley, Dimensional analysis, Londra 1952; A. Signorini, Discorso introduttivo al Convegno I modelli nella tecnica (Venezia 1955), I, p. XI, Roma 1956; R. Comolet, Introduction à l'analyse dimensionnelle et aux problèmes de similitude en mécanique des fluides, Parigi 1958. Si vedano poi, di G. Supino, le conferenze tenute al Seminario matematico delle università di Bari, n. 39 e 40, Bologna 1958; id., in Rendiconti del Seminario matematico e fisico di Milano, 1960.