contratto, analisi giuridica del
La definizione del contratto
La definizione legislativa (art. 1321 del c.c.) identifica il contratto nell’accordo di due o più parti diretto a costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. Elementi essenziali – in difetto dei quali il contratto è nullo – sono: l’accordo delle parti (che ne costituisce il nucleo fondamentale), la causa, l’oggetto e, se prevista come obbligatoria, la forma (art. 1325 c.c.).
Senza accordo non c’è contratto. Esso esprime la volontà dei contraenti di vincolarsi reciprocamente ed è fattore di legittimazione della ‘forza di legge’, che il contratto assume al momento della sua conclusione, e che costituisce il motore dei suoi effetti giuridici (art. 1372 c.c.). L’accordo si forma quando le parti raggiungono una comune intesa, talvolta mediante trattative, altre volte scambiandosi proposta e accettazione, sulla base di uno dei procedimenti regolati dall’art. 1326 e segg. c.c., altre ancora, determinando congiuntamente il regolamento contrattuale. Le parti possono determinare liberamente il contenuto del contratto – anche inserendovi condizioni e termini – e scegliere di stipulare contratti non tipizzati (autonomia privata). Le parti possono concludere il contratto direttamente o attraverso rappresentanti, cui conferiscono apposita procura, e che debbono agire nei limiti di essa, affinché gli effetti del contratto si producano nella sfera giuridica del rappresentato. La buona fede – intesa come correttezza e lealtà – assiste il contratto dalla sua formazione (buona fede precontrattuale, art. 1337 c.c.) alla sua esecuzione. Essa integra il regolamento contrattuale (artt. 1374 e 1375 c.c.), guida l’interprete nella sua comprensione e costituisce la prima direttiva, alla luce della quale vagliare il comportamento esecutivo delle parti contraenti.
Rappresentano, la prima, la funzione economica concretamente svolta dal contratto, il secondo, l’insieme delle prestazioni da questo regolate. Entrambi i requisiti non possono porsi in contrasto con le norme imperative, con i principi di ordine pubblico o con il buon costume, pena la nullità del contratto. La forma è elemento solo eventualmente essenziale. Se la legge richiede che l’accordo debba esprimersi in una determinata forma (scrittura privata, scrittura privata autenticata, atto pubblico), il contratto deve recare la forma prescritta, a pena di nullità. Diversamente, le parti possono contrattare verbalmente o attraverso comportamenti concludenti.
Si producono al tempo della conclusione del contratto (principio consensualistico), fatti salvi i casi in cui la legge o le parti differiscano la produzione degli effetti a momenti successivi (come, per es., con i contratti reali, il cui perfezionamento necessita della consegna della cosa oggetto del contratto). Gli effetti possono essere reali (quando il contratto implica il trasferimento della proprietà o di un altro diritto reale), oppure obbligatori (quando il contratto disciplina solamente obbligazioni che le parti reciprocamente si assumono).
Una volta concluso, il contratto non può essere unilateralmente modificato, né un contraente può, da solo, liberarsi del vincolo così assunto (fatti salvi i casi di recesso unilaterale, previsti dal contratto stesso o dalla legge in casi particolari). Può essere sciolto solo se ricorre un vizio che ne determina l’invalidità (nullità, annullabilità, rescissione) o che ne giustifica la risoluzione (inadempimento, eccessiva onerosità sopravvenuta, impossibilità sopravvenuta).
Rimedio più radicale e distruttivo, colpisce il contratto che è privo di un suo elemento essenziale o che è contrario alle norme imperative, ai principi dell’ordine pubblico o al buon costume: è insanabile, può essere rilevata dal giudice anche d’ufficio, e chiunque vi abbia interesse può farla valere senza incorrere in termini di prescrizione. Opera retroattivamente e gli effetti del contratto sono cancellati ex tunc fin dalla sua conclusione.
L’annullabilità reagisce a 4 vizi meno gravi: incapacità, errore, violenza e dolo. Se il contratto concluso dall’incapace legale è direttamente annullabile, quello dell’incapace naturale può esserlo solo se egli ha subito un pregiudizio e se l’altra parte ha tratto in mala fede profitto dal suo stato di incapacità. L’errore è una falsa rappresentazione dei fatti che turba la formazione della volontà di contrarre. Esso è rilevante solo se essenziale (perché interessa certi elementi del contratto) e riconoscibile dall’altra parte. Il dolo è l’inganno che induce in errore e che proviene o dall’altra parte o da un terzo a essa noto. Se determinante del consenso, è causa di annullamento. Se incidente, è causa di risarcimento del danno. La violenza è la minaccia che induce una parte a contrattare. Essa porta all’annullamento solo se seria e diretta contro la persona del contraente, i suoi beni o i suoi ascendenti o discendenti. L’annullabilità può essere fatta valere solo dal contraente interessato, di regola non è rilevabile d’ufficio, e l’azione deve essere proposta entro 5 anni dalla scoperta del vizio o dalla conclusione del contratto. Il contratto annullabile può essere convalidato espressamente o tacitamente.
La rescissione può scattare in caso di contratto concluso in stato di pericolo (il contraente contratta per salvarsi da un pericolo) o in stato di bisogno (il contraente contratta in stato di bisogno economico, dal quale l’altra parte ha tratto profitto).
La risoluzione, invece, può pronunciarsi quando uno dei contraenti incorre in un grave inadempimento alle proprie obbligazioni. Non è necessaria una sentenza quando la parte fedele ricorre alla diffida ad adempiere, quando nel contratto era inserita una clausola risolutiva espressa o nel caso di termine essenziale. Le altre due cause di risoluzione scattano in caso di impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni contrattuali (art. 1463 e segg. c.c.) o quando, per l’operare di eventi straordinari e imprevedibili, una delle prestazioni è divenuta eccessivamente onerosa rispetto all’altra.
Alberto Maria Benedetti