analogia
Dal gr. ἀναλογία, der. da ἀναλογίζομαι «calcolare proporzionalmente». È possibile individuare due significati fondamentali del termine che sono stati declinati in vari modi nelle diverse discipline: il primo è connesso a un uso matematico e considera l’a. come un’identità di rapporti tra cose diverse, ossia come una proporzione; il secondo fa riferimento alla costruzione di un nesso di similitudine che la mente può costruire tra cose, situazioni e processi che sono differenti, determinando così un’estensione probabile della conoscenza. Il ruolo di entrambe le accezioni nella speculazione filosofica è in funzione dell’intenzione di cogliere nell’a. rispettivamente una relazione di proporzionalità o una connotazione di probabilità. Esse, inoltre, non escludendosi reciprocamente, sono storicamente occorse anche in connessione in molte manifestazioni della riflessione filosofica (per es., in Kant).
L’etimologia del termine richiama l’origine matematica del suo significato, ossia il rapporto che lega tra loro quattro termini di cui il primo sta al secondo come il terzo sta al quarto. In tale accezione il termine compare nella matematica greca associato agli aggettivi aritmetica, geometrica e armonica in corrispondenza di particolari proprietà del rapporto matematico che sussiste tra gli oggetti considerati. L’a. geometrica corrisponde, per es., all’usuale concetto di proporzione. Il nesso profondo tra filosofia e matematica (o le scienze in generale) nell’antichità è sufficiente a spiegare il passaggio di questa accezione tecnica del termine dalla matematica alla filosofia. Tra le diverse occorrenze di tale significato nella letteratura filosofica antica si possono ricordare quelle in Platone e Aristotele. In Platone: nella Repubblica (VIII, 534 a-b) il termine a. definisce il rapporto tra le quattro forme di conoscenza; nel Timeo (31 b, 32 a) appare in tale accezione con riferimento al modo in cui il Demiurgo compone l’Universo. Similmente molti esempi possono essere trovati in Aristotele: nella Metafisica (XIV, 6, 1093 b 19) il termine viene connesso allo studio dell’essere poiché «in ogni categoria di essere c’è a.»; nell’Etica Nicomachea (V, 3, 5, 1131 a 18-20) viene usato con riferimento alla nozione di giusto; nelle opere di scienza naturale, come il De partibus animalium (645 b 6), Aristotele definisce analoghi gli organi con la stessa funzione. Questa tradizione platonica e aristotelica confluisce nella filosofia tomista dove l’a. è al contempo uno strumento logico e un principio metafisico-teologico. La considerazione dei rapporti analogici trova per es., un ruolo fondamentale nello studio dei predicati che si attribuiscono allo stesso tempo a Dio e agli esseri umani (a. di attribuzione; a. di proporzionalità), ovvero nello studio più generale della possibilità di una conoscenza di Dio e della sua formulazione in termini umani. Nel Medioevo la prima accezione del termine inizia ad aprirsi alla seconda, pur non trovandosi in tale periodo nessuna chiara esplicitazione di questo secondo significato. Le definizioni dell’a., infatti, rimandano tutte a un concetto di proporzionalità, ma con una apertura a una problematica gnoseologica che è tipica della seconda accezione, apertura che andrà progressivamente sempre più ampliandosi nella riflessione filosofica moderna e contemporanea, per es., con Cusano, Galilei, Bacone, Leibniz, Kant. In tale primo significato, infine, il termine viene adoperato anche nella logica matematica contemporanea (➔ oltre: Ragionamento per analogia).
Un concetto corrispondente al secondo dei significati del termine a. è presente nell’antichità con il nome di procedura per somiglianza (per es., Aristotele, Topici, I, 10, 104° 28; Elenchi sofistici, 171 b 38) o nell’epicureismo in connessione con il ragionamento induttivo (per es., Filodemo, De signis, II, 25). Anche Locke (per es., Saggio, IV, 16) e Leibniz (per es., Nuovi saggi, IV, 16, 12) propongono una concezione probabilistica dell’analogia. In Kant, diversamente, le due accezioni si compongono profondamente dando come esito una concezione in cui l’a. è una uguaglianza tra rapporti che costituisce uno strumento fondamentale per estendere la conoscenza dei fenomeni naturali (per es., Critica della ragion pura, Analitica dei principi, III, 3; Critica del giudizio 90). Nell’Ottocento l’a. è stata generalmente ridotta all’induzione, per es. da J. S. Mill, Cournot, Hamelin (➔ oltre: Analogia e induzione). Nel Novecento, infine, tale seconda accezione – con alcuni nessi alla prima – ha avuto un importante sviluppo nello studio della logica della scoperta (➔ oltre: Ragionamento per analogia).
Come sottolineato da J. Dieudonné (L’analogie in mathématique, 1981) l’a. gioca un ruolo così importante in matematica che «almeno il cinquanta per cento dei problemi e delle idee feconde ha tratto origine da essa». Il ragionamento per a. costituisce oggi un importante ambito di ricerca interdisciplinare: esso interessa i campi della logica matematica, della filosofia della scienza, dell’intelligenza artificiale (automated theorem proving; automated problem solving), della didattica della matematica, delle scienze cognitive. Il ruolo delle inferenze analogiche è stato ampiamente sottolineato nella speculazione filosofica: basti ricordare la posizione kantiana (esemplificatrice di una posizione diffusa nella modernità), che, pur riconoscendo in esse delle semplici presupposizioni logiche e inferenze empiriche (dunque non sillogismi), le considerava utili e indispensabili per l’ampliamento della conoscenza. Le inferenze analogiche, sostiene Kant, debbono essere utilizzate con prudenza e cautela perché non sono certe, ma solo probabili; nonostante ciò bisogna riconoscere al probabile un ruolo importante nello sviluppo della conoscenza (Logica, KA IX). Lo schema generale dell’inferenza analogica è: se P(a)e b è simile ad a, allora P(b), dove P è un attributoo proprietà. Come si può notare, il concetto di similitudine ha un ruolo fondamentale in questo schema. Lo schema generale può corrispondere, per es., alle due seguenti accezioni del termine simile: (1) «sono simili le cose che, pur non essendo le stesse in assoluto, né essendo senza differenze nella loro sostanza concreta, sono le stesse per la forma»; (2) «sono simili le cose in cui vi è lo stesso rapporto o proporzione tra le loro parti corrispondenti». Ovviamente, (1) implica (2) poiché se due cose hanno la stessa forma, allora sussiste lo stesso rapporto tra le loro parti corrispondenti. Esistono molte definizioni di similarità, e molte di queste richiedono una modifica dello schema generale di inferenza analogica. Per es.: (3) «due cose sono simili quando si sa che hanno alcuni (o molti) attributi in comune, ma si sa che ne hanno altri non in comune». Questa nozione di similarità considera non soltanto una a. positiva tra due cose, ovvero ogni somiglianza che si può mostrare esistere tra di esse, ma anche l’a. negativa, ovvero ogni dissomiglianza che si può mostrare esistere tra di esse. Gli attributi che non stanno né nell’a. positiva (nota) tra a e b, né nell’a. negativa (nota) tra a e b, vengono definiti in a. neutra tra a e b. Per questa nozione di similarità lo schema di inferenza analogica deve essere perfezionato nel seguente modo: se P(a) e b ed a concordano rispetto agli attributi Q1,…, Qn mentre discordano rispetto agli attributi R1,…, Rn, allora P(b), dove P è un attributo appartenente all’a. neutra tra a e b.
Nell’epicureismo e soprattutto nell’età moderna l’a. è stata ricondotta all’induzione. Da un lato, infatti, l’inferenza induttiva sembra analogica in quanto presuppone il riconoscimento di somiglianze tra i casi considerati; dall’altro l’inferenza analogica sembra induttiva in quanto presuppone che dal fatto che certe cose concordano tra loro rispetto a certe proprietà si possa concludere che esse concorderanno anche rispetto ad altre proprietà. Posizioni di tale tipo sono espresse da Mill, Hume, Kant, W. S. Jevons. Questo punto di vista è, tuttavia, problematico. Nell’asserzione, infatti, che ogni inferenza induttiva è analogica perché presuppone una somiglianza tra i casi, si può riconoscere un punto di vista che si limita alla considerazione della sola a. positiva, trascurando quella negativa. D’altra parte, nell’asserzione che ogni inferenza analogica è induttiva in quanto inferisce che, se due cose concordano tra loro rispetto a certe proprietà, dovranno concordare anche rispetto ad altre proprietà, ci si limita sempre solo all’a. positiva. Quel che emerge è, dunque, che l’inferenza induttiva e quella analogica sono connesse tra loro solo rispetto all’a. positiva. Se si considera anche il caso dell’a. negativa esse, diversamente, sono irriducibili. In tal senso, i due tipi di inferenza risultano essere complementari tra loro, utili in differenti situazioni.