anamnesi
Termine adoperato soprattutto nell’enunciazione di un concetto fondamentale della filosofia di Platone, per cui la conoscenza vera si fonda sull’a. o ricordo delle idee conosciute dall’anima nella sua esistenza iperurania anteriormente al suo ingresso nel corpo. Tale teoria presuppone la concezione dell’immortalità dell’anima e della sua preesistenza al corpo. Durante la sua prima esistenza disincarnata, l’anima, a diretto contatto con le idee, acquisisce tramite la sua parte più nobile, l’intelletto o νοῦς, un bagaglio di conoscenze che tuttavia il successivo contatto con il corpo le farà dimenticare. Compito specifico della filosofia sarà appunto quello di risvegliare nell’anima il ricordo della primitiva esistenza e quindi far tornare alla mente il bagaglio di conoscenze vere a suo tempo acquisito. Il dialogo più significativo in questo senso è il Menone (➔), opera in cui la possibilità di rievocare conoscenze acquisite nella vita passata, ossia la sostanziale identità tra scienza e a. o reminiscenza, è dimostrata concretamente. Uno degli schiavi di Menone preso a caso, sollecitato dalle domande di Socrate, si scopre in grado di risolvere un complesso problema di geometria, pur non avendo mai studiato tale disciplina. Socrate dunque aveva fatto riaffiorare nella sua mente le nozioni apprese dalla sua anima nella vita disincarnata, e successivamente cadute in oblio. La teoria platonica della conoscenza è in realtà parte di una dottrina etica ed escatologica secondo la quale scopo principale dell’anima è la liberazione dal corpo. Una prima manifestazione di tale esigenza si attua sicuramente nel processo conoscitivo, ma Platone aspira a una reale liberazione dal corpo, concepito come la «prigione» dell’anima. Nel Fedone (➔) Socrate, chiuso in carcere, è felice di morire, perché questo permetterà alla sua anima, e quindi al suo vero io, di tornare nel luogo da cui era partita, quel luogo che più tardi Plotino chiamerà «la cara patria» dell’anima. Nello stesso dialogo è contenuto un passo che fa capire meglio la lontana origine di questa concezione: «Purificazione, come è detto anticamente nel [sacro] discorso, non è forse il separare quanto più è possibile l’anima dal corpo e abituarla a chiudersi e a raccogliersi, lontana da ogni contatto col corpo, tutta in sé stessa, e a starsene, per quanto è possibile, tutta sola da sé sia in questa vita che in quella futura, intenta a sciogliersi, come da ceppi, dal corpo?» (67 c-d). L’allusione è alle dottrine orfiche, incentrate sulle vicissitudini dell’anima prigioniera del corpo e sulla opposizione fra a. o reminiscenza (μνημοσύνη) e oblio (λήϑη). Il termine μνημοσύνη, sinonimo di a., compare continuamente nelle cosiddette ‘lamine d’oro orfiche’, sottilissime lamine dorate rinvenute in vari sepolcri della Magna Grecia, di Creta e della Tessaglia, dove sono vergate le istruzioni per il viaggio nell’oltretomba dell’anima degli iniziati a tali misteri. Le istruzioni contengono in particolare l’invito a non percorrere il sentiero di sinistra, quello della dimenticanza, ma quello di destra, che conduce verso l’acqua del lago di Mnemosyne. L’anima che beve quest’acqua metterà fine al ciclo delle reincarnazioni, e tornerà fra i beati. Chi va verso la fonte della dimenticanza, invece, sarà condannato a una nuova esistenza terrena. Che la dottrina platonica della conoscenza, con tutte le sue implicazioni etiche ed escatologiche, abbia preso le mosse da qui, è confermato da altri dialoghi, per es. il Fedro, dove il filosofo, in possesso della verità grazie all’a. o reminiscenza, è paragonato a chi è «divenuto perfetto, perché compiutamente iniziato ai perfetti misteri» (249 c). Da questo ordine di considerazioni nasce anche la teoria platonica dell’eros, esposta nello stesso Fedro e nel Simposio. La visione della bellezza dell’amato, infatti, suscita nel filosofo degno di tale nome il ricordo della bellezza del mondo iperuranio, e quindi, nuovamente, il desiderio di tornare lassù.