anarchismo
Insieme di dottrine e movimenti che condividono, al di là delle differenze, alcune convinzioni fondamentali: l’individualismo radicale sul piano etico-politico, che conduce al rifiuto di ogni forma di autorità e alla prefigurazione di una società senza Stato (società anarchica o libertaria); il rifiuto dell’economia capitalistica a vantaggio di un’economia fondata sulla cooperazione, organizzata in forme mutualistiche o comunistiche (unica eccezione a questo punto è la corrente degli anarco-capitalisti, ➔ oltre); la tematica del federalismo, come legame orizzontale tra comunità libere. Le strategie per raggiungere tali obiettivi possono essere pacifiche (evoluzione storica, ‘rivoluzione morale’) o violente (ribellione, insurrezione, rivoluzione). Sebbene siano rintracciabili spunti di tipo anarchico anche nell’antichità (tra i sofisti e i cinici), nel Medioevo (in alcune sette ereticali) e nel 16° e 17° sec. (tra gli anabattisti, nella rivolta contadina guidata da Th. Müntzer e soprattutto tra i diggers inglesi), l’a. assume un’autonoma consistenza teorica soltanto a partire dalla fine del sec. 18°.
La sua prima formulazione è rintracciabile nell’Enquiry concerning the principles of political justice and its influence on general virtue and happiness (1793; trad. it. La giustizia politica) dell’inglese W. Godwin, il quale – portando alle estreme conseguenze l’individualismo della tradizione protestante non-conformista – sostiene che il giudizio individuale è una guida affidabile e una fonte di sicuro progresso: ogni sua limitazione, dovuta alle leggi e alla presenza di un governo, è dunque inutile e dannosa. Di qui la previsione di una progressiva (e pacifica) estinzione dello Stato, della proprietà e della famiglia: la società del futuro, composta da individui razionali e giusti, sarà costituita, secondo Godwin, da piccole comunità indipendenti, organizzate economicamente su basi solidaristiche e collegate tra loro attraverso una federazione. Nell’Enquiry di Godwin non è presente una strategia per realizzare la società libertaria, giacché questa è pensata come il frutto dell’ineluttabile progresso della ragione. Il suo è quindi un a. di tipo essenzialmente filosofico, come lo sarà quello di Stirner, che ha tuttavia una connotazione fortemente ‘egoistica’. In Der Einzige und seine Eigenthum (1845; trad. it. L’Unico e la sua proprietà) il filosofo tedesco sostiene che l’individuo è l’unica realtà e l’unico valore e che pertanto non deve essere subordinato a nessuna entità superiore, né di tipo tradizionale (Dio, Chiesa, Stato) né di tipo moderno (umanità, liberalismo, democrazia, socialismo, partiti). Stirner teorizza un’unione di egoisti fondata sul reciproco rispetto degli individui quali esseri «unici», lasciando alla «forza» di ciascuno il governo di sé stesso (l’egoista stirneriano è, sotto molti aspetti, il precursore del superuomo di Nietzsche). Ma una simile unione potrà nascere, secondo Stirner, soltanto attraverso un’insurrezione violenta, capace di abbattere ogni residuo di ordinamento statale. All’a. filosofico e individualistico appartiene anche quello dello scrittore russo L. Tolstoj, che ha però una chiara ispirazione pacifista: di qui la teorizzazione della non-violenza (che avrà tra i suoi seguaci, nel 20° sec., Gandhi) e di una rivoluzione di carattere spirituale ispirata ai valori del cristianesimo.
Proudhon è il primo pensatore ad autodefinirsi ‘anarchico’ (un termine usato sino ad allora con una forte connotazione dispregiativa) e a gettare, a metà del 19° sec., le basi teoriche dell’a. come dottrina politico-sociale. Anzitutto egli teorizza il mutualismo, ossia un’organizzazione economica a sfondo cooperativo ma non comunistico. Proudhon immagina infatti una società di liberi produttori, dove i lavoratori possiedono (come singoli o in gruppo) i mezzi di produzione: a scomparire, dunque, è soltanto la «proprietà capitalistica», quella che implica, secondo Proudhon, lo sfruttamento del lavoro altrui. Tra i lavoratori si instaura un vasto sistema di mutuo credito e scambio, anche grazie alla creazione di banche popolari: nascono così una serie di comunità locali e di associazioni industriali federate tra loro, non sulla base di leggi e costituzioni ma per contratto e reciproco interesse. Ai poteri politici si sostituiscono le forze economiche, dando vita a una sorta di «federalismo economico-sociale». Infine, Proudhon sostiene che la liberazione dei lavoratori dovrà avvenire grazie alla ‘azione diretta’ dei lavoratori stessi, organizzati nelle loro associazioni industriali: egli pone così le basi dell’anarco-sindacalismo, ossia di quella dottrina secondo la quale il sindacato non deve mirare a migliorare le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori (perché così facendo si rimane all’interno della società capitalistica) ma a prendere direttamente il controllo dei luoghi di lavoro per creare la struttura di base della società rivoluzionaria. A tal fine è necessaria una continua lotta, la cui grande arma deve essere lo sciopero generale. Nella misura in cui l’a. riuscì a raggiungere le masse e a influenzarle, ciò si deve all’anarco-sindacalismo, che si diffuse, a partire dall’ultimo quarto del 19° sec., soprattutto in Francia, Italia e Spagna.
L’elemento rivoluzionario e quello comunistico dell’a. si accentuano grazie a due agitatori russi come M. Bakunin e P. Kropotkin. Il primo riteneva necessaria, come i marxisti, l’azione rivoluzionaria, al fine di abbattere la società capitalistica: ma mentre i marxisti pensavano a una rivoluzione organizzata e guidata da un partito disciplinato, che avrebbe poi instaurato la «dittatura di classe», Bakunin faceva affidamento sulla insurrezione spontanea delle masse diseredate, le quali avrebbero dato vita a una società libertaria. Bakunin rimaneva quindi più vicino a Proudhon, per la sua polemica contro il centralismo e per il richiamo all’azione diretta; ma se ne discostava significativamente dal punto di vista economico, teorizzando la proprietà collettiva dei mezzi di produzione e la distribuzione dei prodotti in base al lavoro effettivamente svolto. Tra i seguaci italiani di Bakunin, spicca E. Malatesta, il quale sosteneva che «l’atto insurrezionale, volto ad affermare i principi socialisti con i fatti, è lo strumento di propaganda più efficace». Si svilupparono così, in Italia, vari tentativi di sollevare le masse contadine, che diedero tuttavia risultati molto scarsi e che contribuirono a far assumere, sul finire del 19° sec., caratteri più individualistici all’azione degli anarchici (si pensi agli omicidi di importanti personalità politiche, come re Umberto I in Italia o il presidente M.F.S. Carnot in Francia, che fissarono nell’immaginario collettivo la visione dell’anarchico come terrorista). Sulla linea di Bakunin si colloca anche Kropotkin (Mutual aid: a factor in evolution, 1902; trad. it. Il mutuo appoggio, fattore di evoluzione), il quale immagina la società anarchica come una federazione di libere comuni; egli tuttavia ritiene non sufficientemente generoso il collettivismo di Bakunin e teorizza pertanto la distribuzione dei prodotti secondo le necessità («a ciascuno secondo i propri bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità»).
L’unica eccezione al quadro delineato è rappresentata dagli esponenti dell’anarco-capitalismo, corrente sviluppatasi nella seconda metà del 20° sec. e che ha il suo massimo esponente nello statunitense M. Rothbard (The ethics of liberty, 1982; trad. it. L’etica della libertà). Costoro condividono, con la tradizione anarchica continentale, un radicale individualismo e il rifiuto di ogni forma di Stato (anche quello ‘minimo’ della tradizione liberale); a differenza degli anarchici, però, includono tra gli inalienabili diritti dei singoli anche quelli relativi alla proprietà e sono fermi sostenitori dell’economia di mercato. Gli anarco-capitalisti auspicano il superamento degli Stati nazionali e il sorgere di comunità libertarie («nazioni per consenso», «piccole patrie», «privatopie») all’interno delle quali qualsiasi funzione – incluse la giustizia, l’ordine pubblico, la difesa – dovrà essere svolta da agenzie private, in una logica di mercato che escluda qualsiasi elemento di coercizione.