Anarchismo
di George Woodcock
Anarchismo
sommario: 1. La dottrina anarchica. 2. Sviluppi storici dell'anarchismo. 3. Il protoanarchismo. 4. L'anarchismo nel XIX e nel XX secolo. □ Bibliografia.
1. La dottrina anarchica
Alexander Herzen racconta che Pierre-Joseph Proudhon, l'uomo che per primo si definì anarchico, a un ammiratore che si congratulava con lui per il suo sistema rispose: ‟Il mio sistema? Io non ho un sistema". Proudhon negò anche di aver mai fondato un partito politico e, quando venne eletto all'Assemblea Costituente francese durante la Rivoluzione del 1848, fece parte della sparuta minoranza che votò contro la costituzione approvata il 4 novembre di quell'anno. Nel motivare la sua presa di posizione, egli sottolineò che non aveva votato contro quel particolare tipo di costituzione o contro gli articoli in essa contenuti, e dichiarò: ‟Ho votato contro la costituzione solo perché è una costituzione".
Gli orientamenti che Proudhon esprimeva verso la metà del XIX secolo su problemi relativi all'organizzazione partitica e politica, sono significativi in quanto anticipavano prima che il movimento anarchico prendesse corpo, la forma che questo avrebbe assunto. L'anarchismo non ha mai costituito, a differenza del marxismo, un sistema filosofico o politico; non ha mai dato vita a un partito politico organizzato perché i suoi seguaci, anche quando si organizzarono, furono spinti a farlo per obbedire a impulsi spontanei e per fronteggiare situazioni concrete e non per conformarsi a modelli istituzionali. Inoltre gli anarchici si sono sempre rifiutati di accettare ogni costituzione quale strumento che garantisse la stabilità dell'ordinamento politico, perché hanno sempre ritenuto che all'ordinamento politico della vita collettiva incentrato sull'autorità dovesse subentrare un ordinamento economico e sociale incentrato sull'accordo contrattuale volontario. La società è per gli anarchici un organismo in continua crescita ed evoluzione, ed essi sono sempre stati riluttanti a circoscriverne il futuro anche entro i confini di un qualsivoglia piano utopistico.
Purtuttavia esistono una ben definita filosofia anarchica e anche caratteristiche peculiari proprie dell'anarchismo. Forse la definizione più semplice della parola anarchismo (che deriva dal greco ἄναρχος=mancante di governo) è: insieme di dottrine e orientamenti affini, il cui principale carattere unificatore è il convincimento che il governo dell'uomo sull'uomo, sia che si realizzi direttamente, sia attraverso la mediazione di istituzioni, è decisamente inutile e sicuramente dannoso.
Da tale concezione derivano naturalmente taluni corollari. Poiché l'anarchico nega la validità delle istituzioni create dall'uomo, egli generalmente crede che esista una legge naturale di aiuto reciproco alla quale anche l'uomo, come tutti gli animali, obbedisce - a patto però che le sue naturali inclinazioni non siano state atrofizzate dall'imperio di un'autorità. L'uomo può anche non essere buono per natura ma, secondo gli anarchici, è per natura sociale.
L'anarchico è anche portato a sostenere che, poiché il potere quanto più è centralizzato tanto più diviene forte e impersonale, lo Stato deve essere eliminato e l'organizzazione della società completamente decentrata, in modo che le decisioni relative alle questioni di comune interesse possano esser prese a livello comunitario o aziendale e cioè da coloro che ne subiranno direttamente gli effetti. Questa generale tendenza verso il massimo decentramento porta come conseguenza un orientamento altrettanto accentuato degli anarchici verso modelli federativi in grado di coordinare le istanze di più generale interesse, il che porrà automaticamente il potere centrale in una posizione di debolezza ed esalterà invece le capacità operative delle periferie. A eccezione di pochi individualisti estremisti, per gli anarchici il modo cooperativistico di affrontare i problemi sociali costituisce l'unica salvaguardia contro la coercizione, e ciò implica l'accettazione della proprietà comune dei mezzi di produzione, di norma sotto il controllo dei lavoratori direttamente interessati. Per l'anarchico la proprietà dei beni, da cui altri dipendono per il proprio sostentamento, è una forma di potere altrettanto dannosa quanto qualsiasi forma manifesta di autorità politica. ‟La proprietà è un furto", scrisse Proudhon, formulando così una delle massime fondamentali dell'anarchismo; e per proprietà egli intendeva il possesso, da parte di coloro che non lavorano, della terra, degli impianti tecnici e industriali, delle materie prime e di ogni altro mezzo necessario alla produzione.
Gli anarchici in realtà hanno preso più alla lettera e applicato in modo più completo di qualsiasi altro suo lettore la famosa massima dello storico inglese, lord J. Acton: ‟Nel potere è il germe della corruzione, e nel potere assoluto v'è corruzione assoluta". È così forte negli anarchici il convincimento circa la natura corruttrice del potere - sia che eserciti una coercizione diretta, sia che eserciti una coercizione attraverso la proprietà - che essi sono propensi a purificare la vita sociale semplificandola oltre che nella sua struttura organizzativa anche nelle sue normali manifestazioni quotidiane. Il futuro preconizzato dagli anarchici prevede lo smantellamento dell'attuale complicato ordinamento dello Stato, la sua sostituzione con iniziative locali e associazioni volontarie spontanee, l'eliminazione del lusso e di ogni sofisticato modo di vita e il ritorno dell'uomo a una vita caratterizzata da una gioiosa e naturale semplicità. Forse la più profonda differenza fra socialisti e anarchici, a prescindere dal loro disaccordo sull'efficacia dell'azione politica, sta nel fatto che, mentre i primi hanno sempre promesso ai derelitti un tenore di vita materialmente migliore, gli anarchici non hanno mai negato - e in questo il loro punto di vistà coincideva con gl'insegnamenti religiosi - che il prezzo della vera libertà possa in effetti consistere in una diminuzione di beni materiali, e che la libertà valga tale prezzo. Proudhon nel XIX secolo e lo scrittore anarchico americano P. Goodman nel XX sono stati entrambi fautori del concetto che una dignitosa povertà è la forma di vita che assicura il massimo appaga- mento spirituale. Lev Tolstoj nel suo raffigurarsi una pacifica società anarchica anelava a un ritorno ai valori della vita contadina a stretto contatto con la terra e con il ritmo naturale dei cicli produttivi, e il medesimo sogno nutrì il suo discepolo Gandhi, che progettò un'India fondata su un ritorno alle comunità indipendenti di villaggio e sulla rinascita dell'artigianato. W. Godwin, il filosofo inglese del XVIII secolo la cui opera Political justice (1793) fu definita la summa et substantia dell'anarchismo, analizzò la possibilità di combinare tecnica moderna e semplicità di costumi in modo da consentire all'uomo di lavorare soltanto mezz'ora al giorno per le proprie necessità e di dedicare il resto del tempo ad attività culturali. Durante la guerra civile spagnola del 1936-1939, quando i contadini andalusi riorganizzarono i loro villaggi in comuni anarchiche con terra, lavoro e prodotti equamente ripartiti, stabilirono di ridurre le loro esigenze entro gli stretti limiti di un'esistenza improntata a una semplicità ascetica che avrebbe però permesso loro di essere quanto più possibile indipendenti dal resto del mondo e di sentirsi perciò quanto più possibile liberi dalle preoccupazioni che la dipendenza crea. In un certo senso gli anarchici già molto tempo fa, prevedendo il futuro nel modo singolare che li distingue, anticiparono le teorie oggi sostenute da quegli ecologi e conservatori dell'ambiente naturale, che pongono come condizione fondamentale per la sopravvivenza dell'umanità sulla terra una semplificazione radicale del nostro modo di vivere.
Entro questo vasto contesto di orientamenti comuni l'anarchismo ha assunto una notevole varietà di forme ed ha anche trovato vie parallele di espressione, da un lato in una tradizione mai interrotta di origine filosofica, mantenuta viva essenzialmente da studiosi, scrittori e artisti, e d'altro lato in un movimento di attivisti e di elementi radicali, discontinuo in apparenza, ma in realtà dotato di straordinari poteri di ripresa, nel quale la filosofia di tanto in tanto si manifesta nel campo dell'azione sociopolitica.
È questione controversa quanto la tradizione anarchica affondi le radici nel passato. Gli apologeti dell'anarchismo, tendenzialmente orientati a storicizzare e a valorizzare i precursori, propendono a far risalire le origini della loro ideologia alle società primitive prive di governo. Ma il principale assertore di questa teoria, Pëtr Kropotkin, il geografo anarchico che scrisse Mutual aid: a factor in evolution (1902), poté sostenere la tesi del carattere anarchico delle società tribali solo ignorando il formidabile peso delle leggi consuetudinarie che in tali comunità solitamente sostituiscono forme di coercizione più arbitrarie e mani- feste.
Altri studiosi dell'anarchismo hanno individuato una tradizione di rifiuto dell'autorità politica che risale all'antichità classica, agli stoici e ai cinici; una tradizione che si riscontra nei gruppi religiosi giudeo-cristiani miranti a un ordinamento comunitario, come gli Esseni, i primi apostoli cristiani, i catari, gli anabattisti e i duchoborcy; che trova espressione attraverso le varie epoche in filosofi individualisti come Lao Tzu e Rabelais, Étienne de La Boétie e Fénelon, Diderot e Swift; che si ritrova nei moti insurrezionali di coloro che Albert Camus nel libro L'homme révolté (1951) descrisse come ‛ribelli' più che come ‛rivoluzionari', uomini come il gladiatore Spartaco, il capo della rivolta dei contadini tedeschi Thomas Münzer, e il parroco inglese John Balì che coniò la famosa rima egalitaria: ‟Se Adamo vangava ed Eva filava, chi comandava?"
Ma per molti di costoro il rifiuto dell'autorità politica non fu che un modo di ritirarsi dal mondo materiale in un regno dello spirito; divenne un motivo della ricerca della salvezza individuale, e come tale si collega soltanto alla lontana con una dottrina sociopolitica come l'anarchismo che mira a una vita libera e piena nella concreta realtà quotidiana. Analogamente, il disprezzo individualistico per il mondo del potere espresso da pensatori dell'antichità e del Rinascimento, e l'insurrezionismo antiautoritario un po' caotico degli schiavi e dei contadini rivoluzionari, non furono sviluppati al punto da poter entrare a far parte di un indirizzo dottrinale, anche se così duttile come l'anarchismo. Tali tendenze si collegano ad esso in un senso più vago e generico, come il libertarismo che abbraccia qualsiasi orientamento in cui l'elemento predominante sia costituito dal desiderio di libertà.
I requisiti fondamentali per definire anarchica una dottrina sia dal punto di vista filosofico, sia dal punto di vista storico sono: a) la contestazione globale del vigente ordinamento sociale fondato sull'autorità; b) l'immagine ideale di una società libertaria alternativa fondata sulla cooperazione, anziché sulla coercizione; c) gli strumenti per passare dal primo ordinamento al secondo.
2. Sviluppi storici dell'anarchismo
Concepito in questi termini, l'anarchismo è un fenomeno storico relativamente recente. Ed è significativo il fatto che il suo primo manifestarsi come una ben definita dottrina di azione sociale che opponeva la libera volontà al principio autoritario, e che si avvaleva in modo caratteristico del ricorso all'azione diretta, ebbe luogo nel XVII secolo nell'inghilterra della guerra civile e del Commonwealth.
La coincidenza temporale è significativa perché il Commonwealth fu il prototipo dello Stato-nazione moderno. Tendenze anarchiche ben individuabili riemersero durante la Rivoluzione francese, quando il modello dello Stato moderno fu perfezionato con l'introduzione da parte dei giacobini del governo di un solo partito e della coscrizione, che trasformavano l'eguaglianza in asservimento universale al principio del potere collettivo.
In altre parole, l'anarchismo trova origine nella reazione agli sviluppi politici caratteristici del mondo moderno e le sue alterne fasi di ascesa e declino - dal XVII secolo in poi - possono essere considerate, insieme ad altri indici, un barometro del malcontento popolare nei confronti dei metodi prevaricatori e della disumana struttura monolitica dello Stato moderno. È significativo il fatto che gli anarchici hanno costantemente e duramente avversato tutte le manifestazioni dello Stato moderno sia democratico sia autoritario; la loro opposizione alla democrazia politica scaturisce dal convincimento che nel contesto dello Stato moderno la volontà della maggioranza, espressa attraverso il suffragio universale, può essere altrettanto tirannica quanto la volontà di un dittatore.
Il XIX secolo fu il periodo più importante per la formazione dell'anarchismo: quello in cui furono attivi i suoi maggiori teorici e in cui esso si sviluppò passando dalla fase di orientamento, propugnato da studiosi isolati e da piccoli gruppi, alla fase di movimento di massa che trovava sostegno soprattutto fra i contadini e gli operai, specialmente nell'Europa latina, in Ucraina e in alcune zone del Sudamerica.
Fatta eccezione per alcune rare circostanze particolari, l'anarchismo non si manifestò in movimenti disciplinati paragonabili ai grandi partiti, con le regole di azione e i corpi di principi dogmatici che i socialisti crearono durante il medesimo periodo. Sempre, salvo che nella fase sindacalista, gli anarchici ebbero una tendenza a organizzarsi in piccoli gruppi autonomi dediti alla propaganda o all'azione, che spesso nascevano spontaneamente per far fronte a circostanze transitorie e che si scioglievano altrettanto prontamente. Gli anarchici hanno sempre fermamente creduto nell'azione diretta; in particolare, tra il 1870 e il 1890, fu assai diffusa fra loro la convinzione che la miglior propaganda si faccia con le azioni. Di qui l'esigenza di manifestare la protesta contro l'autorità con qualche fatto spettacolare, o il tentativo di dimostrare con l'esempio l'efficacia dell'organizzazione fondata sulla libera cooperazione. Ma se gli anarchici concepirono l'azione come un mezzo per dare espressione immediata alle loro idee, e in questo senso furono forse i primi autentici attivisti politici, vollero anche sviluppare le loro idee durante lo svolgimento dell'azione; pertanto la dottrina anarchica deve essere considerata un insieme di attivismo e di teoria, dato che richiede di essere applicata direttamente dai suoi fautori e non di essere attuata attraverso le indirette procedure dell'azione politica tradizionale.
Per questo motivo i principi dottrinari fondamentali dell'anarchismo non possono essere considerati avulsi dal movimento anarchico, nel quale coloro che li formularono - Proudhon e Kropotkin, Bakunin e Malatesta - ebbero un ruolo di guida. L'attivismo anarchico, da un punto di vista storico, può essere suddiviso in tre fasi. La prima - nella quale il movimento anarchico scelse come centro di azione l'Europa continentale, pur esercitando una certa influenza anche sulle Americhe e la Gran Bretagna va dalla costituzione dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori nel 1864 alla fine del XIX secolo: un periodo nel quale gli anarchici, in Francia, nella Svizzera francese e specialmente in Italia furono rivali dei socialisti nella lotta per la leadership del movimento della classe operaia; in quella stessa epoca, particolarmente in Francia, le idee e gli orientamenti anarchici erano in voga fra scrittori e artisti. Questa fase di attività ebbe un declino agli inizi del XX secolo, quando le idee anarchiche furono mantenute vive principalmente attraverso i movimenti sindacalisti rivoluzionari nell'ambito dei sindacati francesi e italiani, e si concluse virtualmente quando la Rivoluzione russa del 1917 sottrasse agli anarchici l'appoggio delle masse lavoratrici di queste nazioni facendole convergere verso il comunismo.
Tuttavia, nello stesso periodo, il movimento anarchico spagnolo, che era sopravvissuto a numerose persecuzioni durante il XIX secolo, aveva conquistato l'appoggio di un sindacato di massa, appoggio che si consolidò con la fondazione nel 1911 della Confederacion Nacional del Trabajo, la famosa CNT, un movimento sindacalista rivoluzionario che rimase il più forte movimento di sinistra del paese fino alla fine della guerra civile spagnola nel marzo 1939. Durante questa seconda fase di attivismo, che ebbe luogo nel primo Novecento, l'anarchismo si spostò dai centri rivoluzionari tradizionali d'Europa, cioè dalla Francia e dall'Italia, verso territori più periferici; oltre alla Spagna, la nazione che fornì l'esempio più spettacolare di attivismo anarchico fu l'Ucraina, dove, per parecchi anni dopo il 1917, il movimento anarchico contadino, guidato da Nestor Machno, resistette con successo sia alle armate rosse sia a quelle bianche. Durante tale periodo i principi e i metodi anarchici ebbero un ruolo considerevole anche nella Rivoluzione messicana (ove influenzarono profondamente le idee e l'azione di Emiliano Zapata, capo dell'insurrezione meridionale) e, in una forma tolstoiana, in India. In questo paese i seguaci più radicali di Gandhi, come Vinoba Bhave, e più tardi Jayaprakash Narayan, subirono fortemente l'influenza della concezione di Kropotkin di una società a base rurale in cui l'industria fosse integrata all'agricoltura. Essi tentarono, attraverso il movimento Bhoodan, di realizzare un modello rurale di comunità decentrate che potesse fornire un'alternativa allo stato centralistico instaurato in India dai leaders del Congresso, nonostante il parere contrario di Gandhi, negli anni successivi alla liberazione del paese avvenuta nel 1947.
Tra la prima e la seconda fase dell'anarchismo interviene un mutamento non semplicemente nell'habitat tradizionale del movimento - che si allontana infatti dal centro della cultura europea - ma anche nell'elemento umano. A prescindere dagli intellettuali individualisti del ceto medio e anche di estrazione aristocratica, che hanno sempre costituito una significativa minoranza nel movimento, l'anarchismo della metà del sec. XIX trovò molti simpatizzanti fra la classe artigiana. In Francia i più accesi sostenitori furono coloro che lavoravano nelle piccole e raffinate botteghe artigiane che fiorivano in quell'epoca a Parigi, e i tessitori di seta di Lione; in Svizzera furono gli orologiai del Giura; in Italia i cavatori di marmo di Carrara furono i primi convinti sostenitori degli ideali anarchici, cui rimasero fedeli fin oltre gli inizi del XX secolo; nella prima fase dell'attivismo anarchico si ebbero ovunque molte adesioni fra i tipografi e i calzolai. Nell'ultimo periodo di questa prima fase, in cui la dottrina del sindacalismo rivoluzionario si sviluppò dall'idea-base anarchica della gestione diretta dei lavoratori, furono fatti molti proseliti tra gli operai manifatturieri, particolarmente nel periodo nel quale gli anarchici dominarono la Confédération Générale du Travail (CGT), e cioè dalla sua costituzione fino al 1917, allorché i suoi aderenti passarono nelle file dei comunisti, che erano in grado di offrire un travolgente esempio di rivoluzione sociale manifestamente vittoriosa sotto la guida bolscevica in Russia.
La seconda fase dell'attivismo anarchico fu contrassegnata da una notevole diminuzione numerica degli artigiani, dovuta alla sempre crescente meccanizzazione del lavoro, e dei lavoratori dell'industria che, fatta eccezione per la Spagna, seguirono la leadership dei socialisti e dei comunisti. D'altro lato i contadini che Michail Bakunin fin dalla metà del XIX secolo aveva considerato un'importante categoria di anarchici potenziali, divennero decisi sostenitori di iniziative anarchiche di vario tipo, in particolare nelle zone più depresse, come l'Ucraina in Russia, l'Andalusia in Spagna, il Mezzogiorno in Italia e le province meridionali del Messico.
La terza fase dell'attivismo anarchico è più difficile da collocare entro un contesto storico definito, poiché ancora non si è conclusa. Esso si è caratterizzato come un movimento di rifiuto dei tradizionali orientamenti conservatori e radicali e, a differenza della seconda fase, è tornato a fiorire nei centri più importanti della vita moderna - Nordamerica, Europa occidentale e Giappone - rappresentando una sfida al culto dell'opulenza e del progresso materiale. Quando questa tendenza si manifestò nella contestazione giovanile degli anni sessanta, essa aveva scarsi punti di contatto con quanto sopravviveva del movimento precedente il 1939, che si era mantenuto vivo fra fuorusciti spagnoli e italiani, emigrati soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti. Tuttavia è possibile rilevare una certa continuità ideale fra il nuovo movimento e gli intellettuali anarchici inglesi e americani che avevano continuato ad applicare, durante gli anni quaranta e cinquanta, le idee essenziali dell'anarchismo tradizionale, pur adeguandole alle nuove condizioni.
3. Il protoanarchismo
Nell'esaminare lo sviluppo della dottrina anarchica dai suoi inizi nel XVII secolo a oggi, ho cercato di tener presente il reciproco influsso fra le fasi dell'attivismo che ho delineato e l'opera di scrittori che hanno avuto un duplice ruolo nella storia del pensiero moderno. Costoro, infatti, se da un lato hanno dato espressione in chiari termini filosofici alle conclusioni cui gli uomini che cercano la libertà giungono attraverso l'esperienza, divenendo in tal modo gli autentici portavoce della tradizione anarchica, d'altro lato sono figure alle quali la statura intellettuale e l'indipendenza di pensiero conferiscono un'importanza anche al di fuori del movimento di cui con le loro idee si sono fatti paladini. Uomini come William Godwin e Pierre-Joseph Proudhon, come Pëtr Kropotkin e Lev Tolstoj, e in epoca moderna Herbert Read e Paul Goodman, operano in un vasto orizzonte di pensiero umanistico di cui l'anarchismo, inteso nel suo significato più ristretto e cioè politico, è soltanto un aspetto.
A questo proposito è da tener presente che in linea di massima gli anarchici sono sempre stati propensi a considerare le loro idee non una semplice dottrina politica nel senso più ristretto, né un indirizzo strategico, analogo a quello dei marxisti, per conquistare il potere, che essi disprezzano, ma piuttosto l'esortazione a un modo di vita di cui ogni aspetto deve essere illuminato dalla coscienza della libertà. Essi considerano l'azione di cui sono fautori e spesso promotori non come la preparazione a un'utopistica comunità pianificata ma piuttosto come un mezzo per stimolare la coscienza della libertà e per rimuovere le remore mentali che impediscono all'uomo di maturare sia individualmente sia collettivamente in armonico accordo con la propria natura. È per questo motivo che essi sono sempre stati riluttanti a tracciare un quadro minuzioso di quella futura condizione che essi definiscono anarchia - usando il termine nel suo senso positivo - cioè una società senza coercizione. Gli anarchici credono fermamente che uomini in catene non possano progettare il futuro per altri uomini che saranno invece liberi, per quanto essi riconoscano che anche in una società fondata sull'autorità taluni individui hanno pur sempre la possibilità di crearsi una propria isola di libertà.
Nel tracciare l'evoluzione del pensiero anarchico non si può ignorare il retaggio dottrinario del XVII e del XVIII secolo, che potremmo definire protoanarchismo, poiché rappresenta il primo tentativo di formulare un orientamento critico nei riguardi del nascente Stato-nazione, e un metodo per opporsi ad esso. Analogamente il neoanarchismo della seconda metà del XX secolo contiene intuizioni nuove dei dilemmi di un mondo in continuo mutamento, che lo rendono perciò interessante materia di indagine per qualsiasi studio relativo ai problemi e alle possibilità evolutive della società. Fu comunque nel XIX secolo che, in forme diverse e in fasi successive, furono elaborati i concetti base dell'anarchismo in rapporto all'azione. Le principali forme in cui si manifestò l'anarchismo del XIX secolo - ognuna col suo nutrito gruppo di fautori - furono: l'anarchismo individualista, il mutualismo, il collettivismo, il comunismo anarchico, l'anarco-sindacalismo e l'anarchismo pacifista (noto anche sotto il nome di anarchismo tolstoiano). I punti di diversità fra questi indirizzi riguardano tre aspetti principali: l'uso della violenza, il grado di cooperazione compatibile con la libertà individuale, la forma di organizzazione economica più adeguata a una società libertaria. Queste differenze, e le divergenze che ne scaturirono, assunsero importanza anche maggiore poiché il XIX secolo, a differenza del XVII e del XVIII, fu un'epoca in cui le dottrine anarchiche indussero un considerevole numero di persone a tentare di metterle in pratica.
Non che i protoanarchici fossero stati unicamente dei teorici. O. Winstanley, il cui Truth lifting its head above scandals (1648) costituisce probabilmente la prima opera che può essere definita un manifesto anarchico, fu capo di un movimento di attivisti denominati diggers (zappatori). Winstanley era un mercante, rovinato dai dissesti economici causati dalla guerra civile; era un cristiano dissidente che identificava Dio con la Ragione e cercava di dare alla sua religione una forma pratica delineando una filosofia sociale che potesse rendere giustizia ai diseredati.
Nel suo manifesto espresse principi e concetti che la maggior parte degli anarchici hanno da allora accettato come fondamentali: che il potere corrompe, che la proprietà non può conciliarsi con la libertà, che l'unione di autorità e proprietà genera crimine, e che l'uomo per poter essere libero e felice deve agire secondo la propria coscienza in una società nella quale non vi siano governanti e ove il lavoro e i suoi frutti siano equamente ripartiti. Winstanley sosteneva, come sostennero del resto quasi tutti gli anarchici delle epoche successive, che la gente può por fine all'ingiustizia sociale non eleggendo dei governanti, ma soltanto agendo individualmente. Nel 1649 lanciò un appello ai ‟membri della comunità perché rendessero fertili e lavorassero le terre comuni", guidò i suoi seguaci a occupare le terre incolte dell'Inghilterra meridionale ed essi si misero a dissodarle. Quando furono attaccati con la forza dai proprietari terrieri ostili, i diggers opposero una resistenza passiva, ma gli avversari riuscirono alla fine a distruggere i loro insediamenti e non si sentì quasi più parlare di Winstanley; perfino il luogo e la data della sua morte restano tuttora ignoti.
Altre importanti manifestazioni di protoanarchismo si ebbero come conseguenze della Rivoluzione francese. A Parigi nel 1793, l'anno del Terrore, comparve un movimento, non molto organizzato, di protesta radicale contro le tendenze autoritarie dei giacobini. Gli aderenti al movimento venivano comunemente chiamati les enragés (gli arrabbiati), ma il capo girondino Brissot nel chiedere la loro soppressione usò l'appellativo di ‛anarchici'. Questo non fu il primo esempio dell'uso della parola ‛anarchico' come termine di denigrazione politica. In Inghilterra all'epoca della rivoluzione di Cromwell, i levellers - che chiedevano il suffragio universale venivano piuttosto impropriamente chiamati dai loro avversari Switzerizing anarchists. Ma nel caso degli enragés il termine era esatto, anche nel senso positivo per la prima volta precisato da Pierre-Josepb Proudhon, quando nel 1840 dichiarò ‟io sono un anarchico" e spiegò che con questo intendeva affermare il suo convincimento che le vere leggi della società non avevano nulla a che fare con l'autorità, ma scaturivano dalla natura stessa della società, e che l'ordine non si trova in un governo ma nell'equilibrio naturale che verrà a crearsi grazie alla sua assenza. J. Roux e J. Varlet, i principali esponenti degli enragés, raggiunsero entrambi la conclusione, attraverso la loro esperienza del Terrore durante il quale Roux morì, che l'espressione ‛governo rivoluzionario' era una contraddizione in termini.
Roux e Varlet, vivendo in mezzo al vortice della rivoluzione, erano troppo presi dall'azione per poter dare una forma sistematica al loro pensiero. Fu W. Godwin che, osservando gli eventi dalla non lontana Inghilterra, scrisse in quello stesso 1793 una serie di considerazioni sulla natura del governo in gran parte provocate dai fatti della Rivoluzione francese. L'opera apparve con il titolo The enquiry concerning political justice, e ispirò l'idealismo politico di grandi poeti romantici inglesi, quali P. B. Shelley e W. Wordsworth. Political justice viene giustamente considerato il testo fondamentale che precorre l'anarchismo moderno. Godwin attacca il sistema statuale nelle sue basi teoriche e nella pratica di governo con il classico argomento anarchico secondo il quale l'autorità è contro natura e i mali sociali sussistono perché gli uomini non sono liberi di agire secondo i dettami della ragione. Passa poi a tratteggiare una società libertaria decentrata nella quale piccole comunità autonome (che chiama parishes) costituiscono le unità base e in cui sono ridotte al minimo anche le attività politiche democratiche, perché il governo della maggioranza è pur esso una forma di tirannia e il votare per un rappresentante riduce le responsabilità individuali dell'uomo. Godwin critica anche l'‟accumulazione delle proprietà" in quanto fonte di potere sugli altri, e propone un sistema economico libero nel quale gli uomini possano svolgere l'attività cui sono portati e possano dare e prendere secondo le necessità.
4. L'anarchismo nel XIX e nel XX secolo
Fu nell'Europa continentale che l'anarchismo si sviluppò effettivamente in un movimento d'azione, mentre il protoanarchismo di Godwin, pur somigliando in molti punti alle teorie più tardi elaborate da Kropotkin e altri, vi rimase in pratica sconosciuto fino alla fine del XIX secolo.
Anche l'anarchismo individualista, pur condividendo l'estrema sfiducia di Godwin nelle imprese collettive (che lo condusse una volta a dire che nessun uomo libero può suonare sotto la guida di un direttore d'orchestra), nelle forme assunte in Europa sembrò dover poco a Godwin. Sotto taluni aspetti le forme più estreme di individualismo, nel tentativo di assicurare l'assoluta indipendenza dell'individuo, sembrano negare la base sociale sulla quale i veri anarchici fondano la loro dottrina di libertà. Max Stirner (il cui vero nome era Caspar Schmidt) pubblicò nel 1845 un'opera dal titolo Der Einzige und sein Eigenthum che portava questo concetto anarchico alle estreme conseguenze. Egli respingeva non solo lo Stato ma la società stessa, e riduceva l'organizzazione a un'‛unione di egoisti' fondata sul reciproco rispetto degli individui quali esseri ‛unici', lasciando alla ‛forza' di ciascuno il governo di se stesso. L'‛egoista' sotto molti aspetti è il precursore del ‛superuomo'; Nietzsche nelle sue più estreme manifestazioni di individualismo subì chiaramente l'influsso di Stirner.
Sul piano dell'azione l'anarchismo individualista ebbe un ruolo importante per il gran numero di atti terroristici compiuti nell'ultimo scorcio del sec. XIX particolarmente in Francia, e in una certa misura anche in Italia. I terroristi di norma erano uomini che miravano a risultati più immediati e spettacolari di quelli che potevano essere conseguiti attraverso una attività organizzata; tra questi, coloro che si misero maggiormente in evidenza, come Ravachol ed E. Henry, agirono da soli o come membri di sparuti gruppi autonomi. I loro attentati furono diretti contro personalità, di cui si erano autoeletti giudici e giustizieri. Il dilagare dell'irresponsabilità individualista pronta a giustificare inconsulti atti di violenza attuati al solo scopo di creare terrore, quali il lancio di bombe in caffè e teatri, contribuì in gran misura a creare la sinistra immagine che la parola anarchico evocava in molti alla fine del secolo e nel periodo successivo. Una forma di anarchismo individualista molto più attenuata fiorì per un certo periodo negli Stati Uniti sotto la guida di B. Tucker. Tucker aborrì la violenza e fu fautore del rifiuto d'obbedienza come tattica anarchica; anch'egli - come molti individualisti - respinse il comunismo economico perché incompatibile con la libertà, e propose invece che la proprietà venisse ripartita in parti eguali cosicché ogni uomo potesse disporre dei frutti del proprio lavoro.
I principî economici di Tucker derivavano dal tipo di anarchismo che prevalse nell'Europa continentale, noto sotto il nome di movimento mutualistico, che è intimamente connesso con le opere e la vita di Pierre-Joseph Proudhon. Molti anarchici del XIX secolo considerarono Proudhon il fondatore del loro movimento; anche Michail Bakunin dichiarò: ‟Proudhon è il maestro di noi tutti". Le sue prime opere, Qu'est-ce que la propriété? (1840) e Système des contradictions économiques, ou philosophie de la misère (1846), lo collocarono tra i più eminenti teorici del movimento socialista di allora, e attrassero l'attenzione di Bakunin, che divenne il suo principale discepolo, e di Marx, la cui divergenza di opinioni con Proudhon sul problema dell'azione politica fu all'origine della scissione storica che alla fine dell'Ottocento divise il socialismo europeo in un'ala marxista o autoritaria e in un'ala libertaria o anarchica.
Le opere successive di Proudhon furono condizionate dall'esperienza fatta durante la rivoluzione del 1848 cui partecipò in veste di protagonista, pur criticandola; tre di queste (Idée de la Révolution au XIXe siècle, 1851, Du principe fédératif et de la nécessité de reconstituer le parti de la révolution, 1863, e l'opera postuma De la capacité politique des classes ouvrières, 1865) furono assai importanti nello sviluppo della sua dottrina.
Il mutualismo economico, il federalismo sociale e l'azione diretta come mezzi per cambiare la società furono i principi essenziali che Proudhon saldò per creare la prima forma di anarchismo che potesse dar vita a un vero e proprio movimento. Se dichiarò che ‟la proprietà è un furto" ciò non significa che egli propugnasse il comunismo; in effetti lo contrastò sia come dottrina che sosteneva la proprietà di Stato sia come ordinamento utopistico della vita in collettività organizzate auspicato dai primi socialisti come Fourier e Cabet.
Il comunismo - come la proprietà privata del singolo che sfrutta il lavoro altrui - priva del ‛possesso', che è l'unica vera salvaguardia della libertà, lede il diritto di un lavoratore, o di un gruppo di lavoratori che vogliano amministrare insieme la terra e gli strumenti necessari alla produzione. Egli immaginò una struttura cellulare, una società decentrata di contadini e artigiani indipendenti, le cui attività dovevano svilupparsi in parallelo con quelle di associazioni di lavoratori per gestire le fabbriche e i mezzi di produzione: tutti dovevano essere collegati attraverso un sistema di mutuo credito fondato su assegni di lavoro negoziabili presso le banche del popolo. L'alternativa allo Stato centralizzato, che Proudhon proponeva, era un sistema di comunità autonome locali e di associazioni industriali federate fra loro; il sistema doveva essere regolato solo dagli obblighi scaturenti dal libero contratto e dall'interesse reciproco e le leggi dovevano gradualmente decadere. Per Proudhon l'alternativa ai tribunali era l'arbitrato, l'alternativa alla gestione burocratica l'autogestione dei lavoratori, l'alternativa all'istruzione accademica l'istruzione integrata, e tutte insieme queste strutture dovevano contribuire a creare quell'unità sociale naturale che avrebbe prodotto l'ordine e l'armonia mai conseguite attraverso la coercizione. Nella sua ultima opera, De la capacité politique des classes ouvrières, Proudhon ribadì fermamente che la libertà era un bene che i lavoratori potevano conquistare da soli con le proprie forze, organizzati in associazioni industriali; in questo stesso libro pose le basi concettuali di un movimento che avrebbe rifiutato la politica democratica e quella parlamentare per sostituirle con varie forme di azione diretta tese alla creazione di una società libertaria.
Sebbene gli anarchici delle epoche successive si siano discostati da Proudhon in taluni dettagli - in particolare per quel che concerne le tattiche rivoluzionarie e le modalità di ripartizione della ricchezza sociale - i lineamenti generali della dottrina così come egli li tratteggiò costituiscono da allora l'essenza del pensiero anarchico, e la discendenza da Proudhon è diretta, poiché egli, a differenza di Godwin, creò le premesse di un movimento anarchico. Si può dire che il movimento cominciò tra le 29.000 persone che egli convinse, con la sua propaganda giornalistica su ‟Le réprésentant du peuple", ad aderire alla Banca del Popolo da lui fondata nel 1848. Quando Proudhon fu imprigionato nel 1849, la Banca si sciolse, ma, sebbene Proudhon negasse qualsiasi intenzione di formare un partito politico e non avesse mai cercato di organizzare i suoi sostenitori, le sue opere ebbero un notevole successo fra i lavoratori francesi negli anni sessanta e fu un gruppo di suoi seguaci, che si definivano mutualisti, che nel 1864, in collaborazione con i sindacalisti inglesi e con i socialisti europei emigrati a Londra, fondarono l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, meglio nota come Prima Internazionale. I mutualisti, che miravano alla trasformazione della struttura sociale per mezzo dell'associazione economica, formarono in seno all'Internazionale la prima opposizione ai marxisti che sostenevano la necessità dell'azione politica e miravano alla conservazione dello Stato al fine di instaurare una dittatura proletaria.
L'influenza dei mutualisti in seno all'Internazionale diminuì con la nascita del collettivismo, una forma più combattiva di anarchismo, e fu come capo dei collettivisti che M. Bakunin, un nobile russo che era giunto ad una filosofia libertaria attraverso l'hegelismo, il panslavismo e il carbonarismo, contrastò e fece fallire il tentativo di Marx di controllare la Prima Internazionale.
L'associazione a causa di tale frattura si sfasciò e fra anarchici e comunisti si determinò un'ostilità che divenne costante. In sostanza Bakunin e gli anarchici svizzeri, italiani e spagnoli, che furono i suoi più stretti alleati, condivisero con i mutualisti il rifiuto dello Stato e dell'azione politica, l'esaltazione del federalismo e la concezione che il lavoratore doveva essere retribuito in relazione al lavoro svolto. D'altra parte si differenziavano dai mutualisti in quanto consideravano come unità fondamentale il gruppo dei lavoratori anziché il lavoratore singolo, ed esaltando la solidarietà come imprescindibile fondamento morale della società, erano fautori della proprietà comunitaria e della gestione della terra, di tutti i mezzi di produzione e di tutti i servizi attraverso associazioni di lavoratori. Sostenendo che l'anarchismo trae la sua giustificazione dall'esaltazione delle capacità sociali dell'uomo, Bakunin si opponeva in particolare all'individualismo e riteneva indispensabile l'accettazione di responsabilità collettive.
Ancora più che per l'importanza data alla proprietà collettiva fatta assurgere a ideale organizzativo, i collettivisti si differenziarono dai mutualisti per l'esaltazione dell'azione rivoluzionaria, se necessario violenta, come mezzo per determinare il crollo dello Stato e l'instaurazione di una società libera. Proudhon invece aveva ritenuto che sarebbe stato possibile creare in seno alla società, quale era, associazioni mutualistiche che alla fine avrebbero sostituito le vecchie strutture, già entrate in crisi per loro conto. Bakunin non poté accettare come possibile questo smantellamento dello Stato pezzo per pezzo; ‟la spinta alla distruzione - aveva dichiarato nei suoi anni giovanili - è, insieme, un'esigenza di creazione", ed egli credeva che una rivoluzione che spazzasse via come un uragano le istituzioni esistenti fosse il necessario preludio all'inizio della costruzione di un mondo reso libero. Nell'anarchismo si verificò quindi un mutamento che non riguardò solamente la teoria. In Europa la lotta tra Sinistra e Destra stava assumendo forme violente, come doveva porre in evidenza nel 1871 la Comune di Parigi; Italiani e Spagnoli, che si stavano inserendo nel movimento, provenivano in gran parte da movimenti di cospiratori, strenui sostenitori dell'attentato violento per rovesciare l'autorità costituita. Bisogna soprattutto tener presente la vulcanica personalità dello stesso Bakunin, il più impegnato attivista politico del suo tempo, che aveva partecipato a numerose insurrezioni, era vissuto in molte prigioni a causa delle sue azioni rivoluzionarie, e che a preludio della sua attività in seno all'Internazionale era stato protagonista di una clamorosa fuga dall'esilio in Siberia. La sua attività di scrittore fu solo occasionale e frammentaria, e anche questo caratterizza il personaggio. Non esiste un'opera che contenga l'essenza del pensiero di Bakunin; le sue teorie trovarono espressione non nei suoi scritti ma nella sua vita, e in questo assomigliò a un altro anarchico, assai diverso sotto altri aspetti: Gandhi. È stato grazie all'instancabile energia di Bakunin che importanti movimenti anarchici sorsero per la prima volta in paesi latini al di fuori della Francia, e perfino in Russia. La cosiddetta Internazionale di St. Imier (o Internazionale Anarchica), che gli anarchici costituirono e mantennero in vita fino alla fine degli anni settanta, dopo la scissione della Prima Internazionale al Congresso dell'Aia del 1872, definì chiaramente per la prima volta le differenze essenziali esistenti tra anarchismo e socialismo.
Fu nella Internazionale di St. Imier che, imitando Proudhon, i seguaci di Bakunin iniziarono a chiamarsi ‛anarchici' anziché ‛collettivisti'. Fu pure in questo contesto che gli anarchici italiani sotto la guida di E. Malatesta, C. Cafiero e A. Costa (che più tardi fu il fondatore del socialismo italiano) svilupparono le idee insurrezionali di C. Pisacane nella teoria della ‛propaganda con i fatti'. Infine fu sempre in seno all'Internazionale che Pëtr Kropotkin, insieme con gli Italiani e con E. Reclus e F. Dumartheray, elaborò ulteriormente la dottrina anarchica, creando il cosiddetto ‛comunismo anarchico'.
Kropotkin, un principe russo che rinunciò alla carriera militare per diventare geografo e che successivamente rinunciò alla carriera scientifica per diventare un attivista rivoluzionario, era approdato all'anarchismo a seguito dei contatti avuti con gli orologiai del Giura svizzero. Dopo un periodo di attività propagandistica - prevalentemente clandestina - in Russia, Svizzera e Francia, e dopo lunghi periodi di prigionia in Russia e in Francia e una fuga dalle carceri di Pietroburgo che fu perfino più clamorosa di quella di Bakunin dalla Siberia, Kropotkin si stabilì per quasi tutto il resto della sua vita in Inghilterra, dove divenne il grande teorico-apologeta del movimento, finché non ritornò in Russia nel 1917 per morirvi deluso sotto la dittatura di Lenin. Si deve alla sua opera di scrittore se le basi dottrinarie del comunismo anarchico risultarono meglio costruite di quelle del collettivismo; opere quali La conquête du pain, Fields, factories and workshops e Mutual aid sono divenute i testi classici che illustrano il concetto della società decentrata fondata sull'integrazione tra agricoltura e industria, città e campagna, istruzione e apprendistato, organizzata secondo un modello federativo in cui il consapevole ricorso all'istinto naturale del mutuo soccorso esemplifica in termini umani l'importanza della cooperazione quale fattore di evoluzione.
Uno solo era il punto fondamentale, ma cruciale, che costituiva l'elemento di differenziazione fra comunismo anarchico e collettivismo, ed era il sistema da adottare nella distribuzione del prodotto del lavoro. Mentre i collettivisti e i mutualisti insistevano sul principio che la retribuzione doveva essere commisurata al lavoro svolto sulla base delle ore lavorative, i comunisti anarchici ribadivano il concetto espresso nello slogan ‟da ognuno secondo la sua capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni". Come il protoanarchico Winstanley e il non-anarchico Tommaso Moro, essi auspicavano la creazione di magazzini aperti dove ognuno fosse autorizzato a prelevare senza neppure chiedere. Sostenevano che il lavoro è una necessità naturale, che l'uomo vi si sarebbe dedicato anche senza la spinta del bisogno, e che se nessuna restrizione fosse stata imposta sui beni disponibili per la distribuzione, nessuno sarebbe stato tentato di prelevare più di quanto gli fosse necessario. Più dei loro predecessori essi accentuarono l'importanza delle organizzazioni comunitarie locali e delle associazioni volontarie che avrebbero fatto della società un organico insieme di sforzi autonomi, e sostennero la necessità della massima autosufficienza economica locale come garanzia di indipendenza; al tempo stesso, con la distruzione dello Stato-nazione, preconizzavano una maggiore integrazione globale attraverso il moltiplicarsi di associazioni volontarie su scala mondiale.
I comunisti anarchici erano orientati a operare in piccoli gruppi che facevano propaganda con i fatti o con la parola. Il sindacalismo anarchico rappresentò una tendenza complementare nell'ultimo scorcio dell'Ottocento quando un gran numero di anarchici entrò a far parte dei sindacati francesi, che in quel periodo si stavano ricostituendo dopo la soppressione seguita alla Comune di Parigi. Per un lungo periodo di circa trent'anni, praticamente fino alla fine della prima guerra mondiale, le dottrine sindacaliste rivoluzionarie predicate dagli attivisti di convinzione anarchica che facevano parte dei sindacati dominarono il movimento sindacale francese. Inoltre, a partire dall'inizio del Novecento, gli anarchici dominarono il movimento sindacale spagnolo attraverso la CNT, occuparono posizioni preminenti nei movimenti sindacali dell'America Latina, in Italia costituirono (attraverso l'Unione Sindacale Italiana) una forte opposizione ai sindacati socialisti, e anche in Germania, Olanda e Svezia formarono importanti minoranze militanti. Elaborando le loro teorie in gran parte attraverso l'esperienza della lotta in fabbrica, i sindacalisti trasferirono le basi dell'organizzazione anarchica dalle Comuni, auspicate da Kropotkin e dai suoi seguaci, ai sindacati, da essi considerati come strumenti che univano i produttori nelle aspirazioni e nel lavoro. La lotta comune doveva essere condotta essenzialmente nelle fabbriche e negli altri stabilimenti industriali, poiché proprio nei posti di lavoro gli operai potevano far uso dell'azione diretta in modo più efficace contro i veri avversari, i capitalisti; la forma più estrema ed efficace di azione diretta era lo sciopero generale che doveva provocare la fine non soltanto del capitalismo ma anche dello Stato. I sindacati si sarebbero quindi trasformati da organi rivoluzionari in unità fondamentali della libera società; gli operai avrebbero gestito e controllato le fabbriche ove prima prestavano il loro lavoro e si sarebbero confederati a seconda dei settori industriali.
I concetti dottrinari del sindacalismo anarchico furono sviluppati essenzialmente da operai militanti, come F. Pelloutier, G. Yvetot ed E. Pouget, che crearono l'immagine di un movimento che scaturiva dal genio delle masse lavoratrici.
Vi furono anche scrittori estranei al movimento che trassero le proprie conclusioni teoriche dall'esperienza dei sindacalisti. Georges Sorel nelle Reflexions sur la violence presentò lo sciopero generale come un salutare ‛mito sociale' in grado di potenziare la forza della società mantenendola in una condizione di lotta perpetua. Certamente non tutti gli anarchici furono favorevoli al sindacalismo anarchico. Gli individualisti rifiutarono la sua mistica delle masse lavoratrici, e i comunisti anarchici non gradirono la sua distinzione tra produttori e consumatori. Sia gli individualisti, sia i comunisti anarchici guardavano con orrore alla prospettiva di sindacati di massa che sarebbero diventati strutture monolitiche cristallizzate incompatibili con l'idea di libertà, e al Congresso Internazionale Anarchico di Amsterdam nel 1907 Malatesta si scontrò con il sindacalista P. Monatte in un famoso dibattito in cui questi timori trovarono un'espressione esemplare. Cionondimeno, in Francia, Italia e Spagna furono i sindacalisti che portarono all'anarchismo la prima e unica adesione di massa, e in Spagna, durante la guerra civile, furono i sindacalisti della CNT che per un breve periodo misero in pratica i principi anarchici nelle fabbriche di Barcellona e nei villaggi dell'Andalusia, dimostrandone la vitalità e l'efficacia. Inoltre, l'unica organizzazione internazionale anarchica che ebbe successo dal punto di vista della durata, fu quella creata dai sindacalisti a Berlino nel 1922 cui fu data l'antica denominazione di Associazione Internazionale dei Lavoratori. Essa esiste ancora, ha sede a Stoccolma ed è sostenuta dai sindacati svedesi che sono le più importanti organizzazioni anarco-sindacaliste tuttora in vita.
L'anarchismo pacifista, come l'anarchismo individuali- sta, ha sempre agito ai margini del movimento storico, poiché il fulcro della sua concezione era il convincimento che la violenza è una forma di potere e che pertanto per essere coerente l'anarchico dovrebbe essere un non-violento. Storicamente l'anarchismo pacifista ha assunto due forme. Quella di Tolstoj cercò di realizzare in forma concreta e razionale l'etica cristiana. Tolstoj predicò una rivoluzione morale impostata sul rifiuto dell'obbedienza, e Gandhi fu il suo maggiore discepolo. Ma a prescindere dal problema della violenza, sia Tolstoj sia Gandhi ebbero molti punti in comune con altri anarchici nel rifiutare lo Stato, nel criticare la legge e la proprietà, nell'auspicare una forma cooperativistica di produzione e distribuzione secondo il bisogno. Una tendenza pacifista distinta da quella di Tolstoj apparve nell'Europa occidentale sotto la guida dell'ex socialista olandese D. Nieuwenhuis. Nell'interpretazione di Nieuwenhuis e del suo discepolo Bart de Ligt, questa tendenza accoglieva le forme sindacaliste di lotta purché non giungessero alla violenza, e incoraggiava l'idea dello sciopero generale, che naturalmente non fu mai attuato, come unico mezzo per porre fine alla guerra.
L'anarchismo risentì molto del trionfo del comunismo in Russia e del suo conseguente aumento di prestigio ovunque, dell'instaurazione delle dittature fasciste in Europa e della vittoria di Franco in Spagna. Dal 1939 non rimasero, in realtà, che i resti di quello che era stato il movimento anarchico.
Durante gli anni della guerra, dal 1939 al 1945, piccoli gruppi di intellettuali in Inghilterra e negli Stati Uniti contribuirono in notevole misura a mantenere viva l'idea anarchica e anche a dare ad essa nuove prospettive in campo artistico e scientifico. Fra questi intellettuali alcuni furono scrittori di grido: si pensi a H. Read e A. Comfort in Gran Bretagna, a D. Macdonald, a P. Goodman e K. Rexroth negli Stati Uniti.
Nel 1945, dopo la fine della guerra, gruppi anarchici riapparvero in paesi fino allora oppressi da regimi dittatoriali, in particolare in Italia e in Francia. A capo dei gruppi furono quasi ovunque esuli rientrati in patria, e all'inizio le loro azioni rappresentarono poco più che nostalgici tentativi di far rivivere un passato ormai morto e non più attuale.
Durante gli anni cinquanta e fino all'inizio degli anni sessanta, il movimento anarchico parve agonizzare, come se avesse ricevuto nel 1939 un colpo mortale dalla resa incondizionata del caposaldo anarchico di Barcellona alle forze nazionaliste del generale Yague. Tuttavia prima del 1965 la capacità di ripresa dell'anarchismo s'era ancora una volta manifestata, sia con un risveglio del movimento sul piano politico, sia con un'assai più larga diffusione delle idee anarchiche.
Si può riferire questo risveglio a una serie di situazioni verificatesi nei paesi occidentali che avevano contribuito ad alimentare un clima di sfiducia nelle strutture politiche tradizionali. In America il movimento per i diritti civili all'inizio degli anni sessanta, in Gran Bretagna l'indirizzo radicale assunto nello stesso periodo dal Movimento per il disarmo nucleare sotto la direzione del Comitato dei Cento (di cui facevano parte molti anarchici) e su scala ben più vasta il movimento della rivolta studentesca che ebbe inizio negli Stati Uniti verso il 1965 e rapidamente si diffuse in Occidente, assumendo forme drammatiche in Italia, Francia e Giappone: tutti questi movimenti incitavano i giovani a ricercare forme alternative di azione sociale rispetto a quelle che non erano riuscite a porre fine alla guerra o a mali ancora peggiori quali la miseria e la discriminazione razziale.
La ripresa moderna delle idee anarchiche si è manifestata in molteplici direzioni. Vi fu un'ondata di interesse accademico che iniziò verso il 1955, quando il movimento anarchico sembrava ormai appartenere al passato. I primi trattati storici di largo respiro furono pubblicati, assieme a opere più circoscritte sull'anarchismo, in molti paesi, e in particolare in Francia, Italia, Spagna e Russia. Vi fu anche un rifiorire di associazioni anarchiche con vaste adesioni fra le giovani generazioni che vi trasfusero il loro giovanile entusiasmo. Riemersero quasi tutte le antiche sfumature della dottrina e dell'azione anarchica, dal pacifismo radicale al terrorismo praticato da gruppi come la Angry brigade in Inghilterra.
Un'importante caratteristica del nuovo sviluppo fu la forza che l'anarchismo dimostrò in paesi nei quali in passato il suo richiamo aveva avuto ben poca presa, come in Inghilterra e in Olanda, dove il movimento che si denominò dei provos, e, dopo il 1967, dei kabouters, attirò l'attenzione e la simpatia del pubblico per l'introduzione di varianti originali nella propaganda con l'azione. In Francia gruppi anarchici ebbero un ruolo preminente nell'insurrezione di Parigi del 1968, innalzando la tradizionale bandiera nera dell'anarchia sui palazzi della Borsa e della Sorbona, e in Italia il movimento manifesta di nuovo la sua vitalità in molte direzioni.
Ma negli ultimi anni le dottrine anarchiche - proprio perché avversano più di tutte le altre i valori impersonali del nostro mondo dominato dalla tecnologia - hanno esercitato un richiamo ben al di là del movimento vero e proprio, ed è facile individuare la profonda influenza che hanno avuto su quel più esteso radicalismo che viene spesso denominato ‛Nuova Sinistra'. Tuttavia l'ampliarsi del richiamo esercitato dagli ideali libertari ne ha anche determinato l'inquinamento, sicché molto spesso l'anarchismo si rivela soltanto un elemento di quello che può forse essere descritto come una forma mentis insurrezionale piuttosto che come una nuova ideologia rivoluzionaria. Lo si ritrova commisto con motivi del leninismo e del marxismo prima maniera, con tracce della psicologia antitradizionale di W. Reich e di R. J. Laing, con reminiscenze dei movimenti comunitari americani dei primi pionieri e di quelli inglesi del periodo bellico, e spesso con numerosi elementi derivati dal misticismo, dal neobuddhismo e dal cristianesimo tolstoiano. Il rifiuto di accettare una qualsiasi linea teorica ben definita - fosse anche anarchica - che fa parte di un atteggiamento, oggigiorno assai diffuso, di contestazione di qualsiasi forma di pensiero strutturato, fa sì che nessuno dei capi delle famose rivolte studentesche americane come quelle delle università di Columbia e di Berkeley, o delle sollevazioni degli studenti tedeschi, o degli accaniti militanti tra gli zengakuren in Giappone, può essere definito anarchico in senso vero e proprio, pur essendo chiaro che la maggioranza di costoro ha letto sia Bakunin sia Marx. Fra le file dei seguaci di questi movimenti è presente un'ampia gamma di elementi che va dai rari anarchici convinti e consapevoli, alla massa degli aderenti occasionali, le cui motivazioni sono anarcoidi piuttosto che anarchiche, frutto di frustrazione piuttosto che di riflessione.
Purtuttavia, se dalla teoria si vuol passare al piano pratico, è evidente che la tradizione anarchica è penetrata profondamente nel radicalismo contemporaneo. Il rifiuto dello Stato, l'accento posto sul decentramento e sulle responsabilità individuali hanno trovato vasta eco nei movimenti che chiedono che la democrazia non sia puramente rappresentativa ma di partecipazione e che l'azione politica sia diretta.
La frequenza con cui ricorre il tema del controllo dell'industria da parte dei lavoratori in tanti manifesti del radicalismo contemporaneo mostra in modo inequivocabile il persistente influsso delle idee che Proudhon ha trasmesso ai sindacalisti anarchici sulla capacità politica della classe lavoratrice.
L'anarchismo ancor oggi sta mostrando la sua importanza in quanto movimento di protesta morale, di stimolo a esplorare vie nuove. Quale sarà, siamo tentati di chiederci, l'effetto finale del suo attuale e rinnovato slancio?
Mentre possiamo senza dubbio prevedere ampi mutamenti nelle strutture delle relazioni sociali come risultato della sua influenza, e in particolare un aumento della partecipazione dei lavoratori al processo decisionale nel luogo di lavoro e dello sviluppo di forme di azione democratica più diretta e più sensibile alle esigenze attuali, è improbabile invece che il risultato possa essere quello di una società del tutto priva di governo, come viene sognata dai libertari.
Il valore dell'anarchismo continuerà con ogni probabilità a risiedere essenzialmente nella sua forza di idea ispiratrice, di visione che spinge ad agire, che ci fa costantemente tendere verso una società ideale, la cui realizzazione, man mano che ci si avvicina, si dimostra irraggiungibile.
Ed è bene che sia così, poiché - come in fondo gli anarchici ci hanno sempre insegnato con le loro concezioni e le loro dottrine - un mondo di ordine perfetto sarebbe però anche un mondo privo di vita.
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