Anassagora e Democrito
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Anassagora e Democrito “firmano” modelli cosmologici che portano, entrambi, i segni di una riflessione avanzata, che rifonda la scienza della natura superando la sfida lanciata da Parmenide, lambisce una problematica (quella teleologica) che verrà in primo piano nelle filosofie del IV secolo a.C., sviluppa infine elementi di una complessa teoria della conoscenza.
Anassagora, nato a Clazomene intorno al 500 a.C., è probabilmente il primo filosofo a stabilirsi ad Atene, dove arriva nel 456/455 a.C. e si ferma per vent’anni, entrando nella cerchia intellettuale di Pericle. Stando a una tradizione nutrita, anche se non del tutto sicura, verso il 437/436 a.C. viene processato per empietà, per avere negato la divinità dei corpi celesti. Può darsi che l’accusa miri a colpire, attraverso di lui, la persona politica di Pericle, ma in ogni caso la sua opinione che il Sole sia una roccia incandescente, benché abbia precedenti nella cosmologia ionica, può avere destato scalpore in ambiente attico. Esiliato a Lampsaco, Anassagora muore intorno al 428 a.C.
Anassagora, come Empedocle per un verso e gliatomisti per l’altro, viene annoverato tradizionalmente (e correttamente) fra i pensatori cosiddetti pluralisti, in quanto sostiene, contro la negazione eleatica del divenire fisico, che questo non è frutto di mero inganno dei sensi: esso non va spiegato però nei termini di nascita e morte che la maggior parte degli uomini applica erroneamente ai corpi sensibili, bensì come l’effetto di un processo di mescolanza e separazione di una molteplicità di costituenti ultimi non percepibili, e di per sé immutabili ed eterni, dunque tali da soddisfare i requisiti dell’essere parmenideo (la dichiarazione che si legge in tal senso nel fr. 17 di Anassagora è straordinariamente vicina a quella contenuta nel fr. 8 di Empedocle).
Le cose che appaiono in natura sono dunque prodotti temporanei della mescolanza di “semi” innumerevoli di sostanze fra le più varie: terra, aria, fuoco, acqua, ma anche capelli, carne, denso, rado, scuro, luminoso. Il termine “semi” rivela che nella sua spiegazione dei processi fisici Anassagora si rifà al paradigma biologico delineato in ambito ionico (nel riflettere sulla teoria di Anassagora, Aristotele occulterà questo approccio introducendo, fra l’altro, la denominazione “omeomerie” in luogo di “semi”). In uno stadio originario “tutte le cose erano insieme”, sì che nessuna era distinguibile dall’altra, fino a quando la mescolanza non è stata messa in moto vorticoso dall’intervento di un’entità cosmica indipendente e separata dal resto, chiamata Intelligenza o Intelletto (Nous). Il progredire della rotazione ha fatto sì che, gradatamente, gli ingredienti che erano fra loro confusi si separassero gli uni dagli altri e gradatamente si ricomponessero secondo un meccanismo di attrazione fra simili, così da formare i composti sensibili, caratterizzati secondo i “semi” presenti in misura prevalente. Del resto, il processo di separazione e aggregazione continua nelle trasformazioni fisiche del mondo presente, in cui niente nasce dal nulla, perché in tutte le cose resta una porzione piccola o grande di ogni altra cosa.
Anassagora
L’Intelligenza è la più pura di tutte le cose
Sulla natura, 59 B 12
Tutte le altre cose hanno parte di ogni cosa, ma l’Intelligenza è illimitata, indipendente, e non è mescolata ad alcuna cosa, ma sta sola in sé. Se infatti non stesse in sé, ma fosse mescolata a qualche cosa d’altro, parteciperebbbe di tutte le cose, se fosse mescolata a qualcuna. In tutto si trova infatti parte di ogni cosa, come ho detto prima, e le cose mescolate le sarebbero d’ostacolo, sì che non avrebbe potere su alcuna cosa, come lo ha stando sola in sé. È infatti la più sottile e la più pura di tutte le cose e possiede piena conoscenza di tutto e ha grandissima forza. E quante cose hanno vita, le maggiori e le minori, tutte domina l’Intelligenza. E alla rotazione universale diede impulso l’Intelligenza, sì che da principio si attuasse il moto rotatorio. E dapprima dal piccolo iniziò il movimento di rotazione, e verso il grande si svolge e si svolgerà ancora di più...
Anassagora, Testimonianze e frammenti, trad. it di D. Lanza , Firenze, La Nuova Italia, 1966
La nozione di una forza intelligente quale è il Nous, che avvia il movimento cosmogonico da una posizione di separatezza e alterità rispetto al mondo della natura (è costituito di una materia eccezionalmente fine e pura), è una novità significativa nel pensiero presocratico. È vero che gli attributi con cui Anassagora caratterizza il Nous sono tali da presentarlo come un qualcosa di divino (la divinizzazione dell’archè essendo tratto comune del pensiero presocratico sulla natura), ed è vero che un possibile precedente della sua concezione si potrebbe già ravvisare in quella del dio-sovrano del cosmo di Senofane di Colofone, che “tutto scuote con la forza del pensiero” (21 B 25 DK).
Ma ad Anassagora va comunque ascritto, come ha sottolineato recentemente David Sedley in un suo importante libro su Creationism and Its Critics in Antiquity (2007), il primo modello teorico forte di un dualismo mente-natura: un modello nel quale emergono i primi spunti importanti di una riflessione cosmologica attenta al problema della finalità del divenire (tali spunti saranno raccolti e sviluppati, fra l’altro, da Diogene di Apollonia, personalità interessante di filosofo naturalista e medico attivo in Atene verso la fine del V secolo a.C., che individua il principio cosmico nell’aria, alla maniera di Anassimene, ma dota quest’aria di intelligenza divina).
Alcuni commenti significativi di autori antichi ci dicono che la mossa di Anassagora ha attirato sulla sua filosofia un forte interesse, ma ha anche provocato delusioni e reazioni critiche in pensatori attenti al problema teleologico (ovvero del telos, del fine degli accadimenti naturali, visto di regola come un fine buono). La nozione di ordine cosmico (esibita dalla stessa parola kosmos, la cui attestazione più antica è nel fr. 30 di Eraclito) è centrale nella cosmologia greca fin da Anassimandro: ma tale ordine era pensato normalmente come immanente alla natura stessa e l’identificazione e divinizzazione di principi di spiegazione (poi detti archai) non si accompagnava alla ricerca di un “disegno intelligente” (l’espressione è volutamente tolta da un dibattito attuale, ma è tutt’altro che impropria per questa fase del pensiero cosmologico), che sembra adombrata nella dottrina di Anassagora; cosa che viene rimproverata ad Anassagora sia dal personaggio di Socrate nel Fedone di Platone, sia da Aristotele nel primo libro della Metafisica. Nel quadro della conversazione sull’immortalità dell’anima rappresentata nel Fedone, Socrate introduce una sorta di excursus autobiografico, in cui ricorda di essere stato attirato, negli anni della giovinezza, dalla “ricerca sulla natura” (historia perì physeos: questo dato sugli interessi giovanili di Socrate sembra confermato da altre fonti) e in particolare dalla dottrina di Anassagora. Questa prometteva infatti (a differenza di altri naturalisti, che chiamavano in causa principi del tutto materiali e meccanici) di spiegare, mediante il Nous, “qual è il meglio per ciascuna cosa e il bene comune per tutte” o in altre parole “il potere che le dispose nel modo migliore”.
Nel leggere lo scritto di Anassagora, però, Socrate si è reso conto che questi parlava sì, di intelligenza cosmica, ma se ne serviva come di una semplice causa meccanica del movimento: diverso invece è l’ordine di fattori indispensabili per il muoversi o meno di una cosa, che fa riferimento alla sua costituzione materiale (nel caso di Socrate in carcere, i suoi tendini e muscoli), da quello che spiega perché sia bene che una cosa sia o non sia in un certo modo (nel caso di Socrate, egli attende con serenità la cicuta perché pensa che ciò sia il meglio da fare).
Platone
La critica platonica ad Anassagora
Fedone,''' 97b-98c
Ma udito una volta un tale leggere da un libro, come egli diceva, di Anassagora, e dire che dunque c’è un’Intelligenza ordinatrice e causa di tutte le cose, io mi rallegrai di questa causa, e mi parve in certo modo che questo porre l’Intelligenza come causa di tutto fosse perfettamente giusto; e pensai, se la cosa è così, vuol dire che questa Intelligenza ordinatrice ordina tutte le cose nel loro insieme e ognuna dispone singolarmente nel modo che per essa è il migliore... con grande gioia ritenevo di aver trovato in questo Anassagora chi m’avrebbe insegnato, secondo il mio proprio pensiero, la causa di tutto ciò che è... pensavo che egli, assegnando a ciascuna cosa individualmente e a tutte collettivamente questa causa, anche avrebbe dichiarato qual è l’ottimo per ciascuna e il bene comune per tutte. E queste mie speranze non le avrei cedute per tutto l’oro del mondo; e, presi con grande sollecitudine quei suoi libri, mi misi a leggerli con la massima rapidità, perché volevo con la massima rapidità conoscere il meglio e il peggio. Ed ecco invece, o amico, che da così alta speranza io mi sentivo cader giù e portare via man mano che, procedendo nella lettura, vedevo quest’uomo non servirsi affatto dell’Intelligenza, non assegnarle alcun principio di causalità nell’ordine dell’universo, bensì presentare come cause e l’aria e l’etere e l’acqua, e altre cose molte, e tutte quante fuori di luogo...
Platone, Fedone, trad. it. di M. Valgimigli, Bari-Roma, Laterza, 1921
Si profila già qui una distinzione fra cause meccaniche e intelligenti del divenire, che Platone stesso svilupperà nel suo più tardo dialogo cosmologico, il Timeo. Ed è notevole che Aristotele, in quel primo libro della Metafisica in cui passa in rassegna la tradizione precedente del pensiero sulla natura alla luce delle sue quattro cause, conceda ai predecessori di avere intuito (per quanto confusamente!) solo la causa materiale (per esempio Talete l’acqua, Anassimene l’aria, Eraclito il fuoco e così via) e la motrice (per esempio Empedocle con Amicizia e Contesa che muovono i quattro elementi, cause materiali), e anche ad Anassagora rimproveri di non aver approfondito la nozione di Intelligenza cosmica sì da farne una causa finale. Di fatto, osserva Aristotele, Anassagora ricorre al Nous solo per spiegare l’inizio del movimento cosmico, con un procedimento tanto artificioso (mechanè) quanto quel deus ex machina cui ricorrono talvolta gli autori delle tragedie per risolvere il conflitto drammatico.
Aristotele
La spiegazione di Anassagora alla costituzione del cosmo
Metafisica, Libro I, 985a 18-21
Anassagora... nella costituzione dell’universo si serve [dell’Intelligenza] come di un artificio (mechané), e solo quando si trova in difficoltà nel dar ragione della necessità di qualche cosa, trae in scena l’Intelligenza; per il resto, invece, come causa delle cose che avvengono pone tutto, tranne che l’Intelligenza.
Aristotele, Metafisica, trad. it. di G. Reale, Napoli, Loffredo, 1968
Di fatto gli studi più recenti (come quello di Sedley sopra menzionato) attribuiscono a Socrate stesso la “svolta teleologica” che sta a monte sia della critica ad Anassagora che Platone mette in bocca al suo personaggio nel Fedone (probabilmente rielaborandola personalmente), sia della critica aristotelica. A ciò autorizzano due passi dei Memorabili di Senofonte (I 4, IV 3), in cui sono attribuiti per l’appunto a Socrate lunghi discorsi sulla provvidenza divina, che ha organizzato il cosmo nel modo migliore per l’uomo.
In ogni caso, negli ultimi decenni del V secolo a.C. lo studio della natura sembra uscire dalle coordinate “classiche”, marcate dalla fisica ionica, della riflessione su un ordine cosmico che si autolegittima. Emergono nuovi temi di riflessione e posizioni diversificate, che tendono ad aggregarsi intorno alle due opzioni teoriche opposte del finalismo e del meccanicismo.
A una visione antifinalistica sono riportabili, per esempio, alcune affermazioni del sofista Antifonte che può ben essere, benché non nominato, l’obiettivo polemico di Platone nelle Leggi (889e). Ma è altrettanto probabile che Platone, sostenitore in questo dialogo di una concezione finalistica forte, che si appoggia all’idea della divinità degli astri, polemizzi contro un amalgama di concezioni sostenute sia da sofisti che da naturalisti presocratici, che convergevano sulla negazione di un’organizzazione del cosmo ad opera di un progetto divino consapevole. Ed è probabile che in tale amalgama siano compresi gli atomisti, sostenitori di una teoria fisica dichiaratamente meccanicistica.
Colui che ha gettato le basi del sistema atomistico può essere stato Leucippo di Abdera in Tracia. Se ne sa però ben poco, mentre siamo informati molto meglio sulle dottrine del suo discepolo Democrito, cui si deve una complessa elaborazione teorica che si stende dalla cosmologia ad altri ambiti quali la gnoseologia e l’etica (anch’egli di Abdera, si tramanda che abbia viaggiato molto e, se è passato da Atene, vi deve aver soggiornato brevemente). In base alla teoria atomistica i costituenti fondamentali del mondo naturale sono unità indivisibili di materia o “atomi” (atomos in greco significa appunto “che non si divide”) e vuoto, che è descritto come qualcosa che “non è”, e ha la funzione di separare gli atomi l’uno dall’altro.
Gli atomi sono fatti tutti della stessa materia, altrimenti indeterminata, e differiscono l’uno dall’altro solo per forma (cui si accompagna la dimensione), posizione, e disposizione reciproca negli aggregati (è poco probabile che differiscano anche per peso, come certamente riterrà Epicuro). Infiniti di numero, si muovono nel vuoto anch’esso infinito sotto il semplice impulso degli urti reciproci (l’ammissione del vuoto e dell’infinito è eccezionale nel panorama del pensiero antico), dando luogo a svariate combinazioni cui corrispondono i diversi oggetti dell’esperienza sensibile: solo questi ultimi sono soggetti a generazione e dissoluzione, mentre gli atomi sono per propria natura immutabili. Un testo di Leucippo afferma che niente accade invano ma di tutto si può dar conto, rintracciandone una ragione (logos). Tale logos non ha tuttavia a che fare, per Leucippo, con un principio intelligente, perché egli aggiunge che tutto accade, anche, per necessità.
Leucippo
Tutto ha una ragione
Fr. 67 B 2
Nessuna cosa avviene invano, ma tutte le cose [avvengono] tanto per una ragione quanto per necessità.
Ciò rinvia a una spiegazione degli eventi naturali come processi necessari: il moto degli atomi non è infatti disordinato, anzi, essi si aggregano secondo determinate tendenze, per esempio, di atomi simili (per grandezza e forma) a congiungersi con simili (68 B 164). In questo quadro il “caso” può essere presente come assenza di scopo: secondo Democrito, anzi, gli uomini che parlano di “caso” (tyche) mascherano con questa parola la loro ignoranza della strutturazione deterministica del cosmo (68 B 119). Il giudizio tardomedievale che si condensa nell’immagine dantesca di Democrito che “‘l mondo a caso pone” è dunque fuorviante: alla visione degli atomisti renderà maggior giustizia la scienza moderna che ne recupererà, a partire da Gassendi, l’impianto meccanicistico.
Tanto Anassagora quanto gli atomisti, infine, considerano i fenomeni come il riflesso di una realtà sottostante, più autentica, che non si vede: in un caso sono i “semi”, nell’altro atomi e vuoto i principi realmente esistenti che determinano, secondo il proprio carattere e le diverse possibilità di combinazione, le caratteristiche degli oggetti sensibili.
Su questa base Anassagora costruisce la prima formulazione di un principio epistemologico di inferenza dal visibile all’invisibile (“le cose che appaiono sono la vista di quelle che non si vedono”, opsis ton adelon ta phainomena: 59 B 21a DK), e sottolinea che gli uomini si distinguono dagli animali precisamente per la capacità di versare l’esperienza sensibile (empeiria), grazie alla memoria (mneme), in sapere (sophia) e capacità tecnica (techne, 59 B 21b: è notevole che questa sequenza di gradi di conoscenza sia ripresa da Aristotele proprio all’inizio della Metafisica).
Democrito, d’altronde, per primo circoscrive con chiarezza un livello di realtà oggettiva (gli atomi, caratterizzati da figura e grandezza, ordine e posizione) distinto da quello della realtà sensibile, deprivando le qualità sensibili (che ancora appartenevano tanto agli elementi di Empedocle quanto ai semi di Anassagora) di esistenza oggettiva e riducendole a risultanza secondaria dell’incontro fra il soggetto e gli effluvi atomici che si distaccano dalla superficie delle cose (e ne rendono le immagini, eidola, agli organi di senso, in un percorso nel quale subiscono variazioni, sia da parte dell’ambiente circostante che del percipiente). Questa concezione anticipa quella che, fra Cartesio e Galileo, si preciserà come una distinzione fra qualità primarie e secondarie: qualità primarie sono quelle che spiegano il mutare delle cose permettendo di dare un fondamento ai fenomeni, mentre la realtà delle secondarie si esaurisce nel loro divenire.
Nel fr. 11 Democrito distingue due forme di conoscenza: una forma inferiore (detta “conoscenza oscura” o “bastarda”, gnome skotie) è quella data dai sensi, mentre l’altra forma (“genuina” o “autentica”, gnesie) giunge dove la prima non riesce. Affermazioni come questa hanno prestato il fianco, in interpreti sia antichi che moderni, a una lettura scettica, ma va notato che la percezione sensibile pur merita per Democrito il nome di “conoscenza”: in altre parole, le è conferito un certo grado di verità, nella misura in cui fornisce dati utili per la comprensione della realtà di atomi e vuoto. Su questo punto Democrito si ricongiunge dunque ad Anassagora, ritenendo che dal modo in cui le cose si presentano ai sensi si possa derivare (attraverso un procedimento inferenziale) un’idea della struttura sottostante. È significativo che lo stesso autore (Galeno) riporti un passo democriteo che asserisce la convenzionalità e soggettività delle qualità sensibili a poca distanza da un altro in cui, nella cornice efficace di una situazione giudiziaria, i sensi si rivolgono alla phren, organo del pensiero, accusandola di sprezzare il loro ruolo, mentre di fatto la sua attività non può in realtà prescindere dalla loro testimonianza.
Democrito
Il processo conoscitivo
Fr. 68 B 125
Per convenzione il colore, per convenzione il dolce, per convenzione l’amaro: in realtà solo atomi e vuoto. [e fece che i sensi si rivolgessero al pensiero in questo modo:] “Misera mente (phrén), ricavi da noi le tue prove e poi osi abbatterci? Buttarci giù significherebbe per te cadere”.