DE FILIIS, Anastasio
Nacque a Temi da Paolo nel 1577, della madre nulla si sa.
Una lettera manoscritta del 3 sett. 1822 (cod. Vat. lat. 9684, f. 116rv) dell'erudito Pietro Antonio Megalotti a Giuseppe Riccardi, che gli aveva affidato il compito di esplorare l'Archivio Cesi di Terni, per chiarire i rapporti di parentela fra le famiglie De Filiis e Cesi, ci trasmette notizie sulla sua famiglia. I De Filiis una volta appartenenti alla stessa casata dei Cesi se ne divisero verso la metà dei XV secolo quando Carlo De Filiis De Caesis, conte palatino (titolo con cui il D. soleva firmarsi), si trasferì da Cesi a Terni ottenendo "con autorità imperiale, per sé e per l'intera sua discendenza mascolina in infinitum il diritto di essere notari e sindaci ordinari".
I discendenti furono a più riprese gonfalonieri della città, e fra questi furono Persio, che come riferisce l'Angeloni, fu insignito dal papa nel 1573 della "dignità vescovale di Nusco in Reyno", e il padre del D., Paolo. Il D. ebbe due fratelli, Angelo, nato nel 1583 e morto forse nel 1624, che fu bibliotecario dell'Accademia dei Lincei e scrisse la lettera dedicatoria e la prefazione alle Lettere sulle macchie solari dei Galilei (G. Galilei, Opere, [ediz. nazj, V, pp 14 s.); e Valentino di cui nulla sappiamo.
Mancano completamente dati sull'infanzia e sulla prima formazione culturale del De Filiis. L'unico fatto di cui abbiamo sicura documentazione è che nel 1603 era a Roma, ospite di Federico Cesi. Qui con il giovane nobile, allora diciottenne, con Francesco Stelluti e l'olandese johannes Heck, fondò l'Accademia dei Lincei, come risulta dalla sua firma del primo atto verbale o Appunto dell'Accademia, premesso al manoscritto delle Gesta Lyncaeorum (Roma, Acc. naz. dei Lincei, Archivio Linceo, ms. 3).
A ciascuno dei membri della neoistituita Accademia spettò una epigrafe, uno stemma e un nome particolare: il D. ebbe, come epigrafe "Spero lucem"; come stemma una Luna oscurata dalla Terra che si frappone appunto fra quella e il Sole; e come nome particolare Eclissato, ad indicare, come spiega l'Odescalchi, che egli, rischiarato meno degli altri più dotti compagni dal lume del sapere, sperava di trovare nelle loro dottrine quelle conoscenze di cui era.privo. Lo statuto di fondazione dell'Accademia precisava anche i compiti e i doveri di ciascuno: i quattro componenti si dovevano radunare tre volte alla settimana e ciascuno aveva il dovere di insegnare agli altri qualche scienza e, mentre allo Heck spettò l'incarico di insegnare filosofia platonica e metafisica, al Cesi la botanica e allo Stelluti matematica e astrologia, "Eclipsatus Historiarum lectionem sortitus est Lyncaeorumque secretarius constitutus"; ed egli "a Berosi Noe fecit lectionis iúitium, acta ante diluvium enarrans" e poiché era "uomo alle opere meccaniche inclinatissimo", come dice l'Odescalchi, "... de miris lampadum naturalibus effectibus esperimentum ad mulierum nudatam derisionem proponebat" (Roma, Acc. naz. dei Lincei, Archivio Linceo, ms. 3, c. 52). Dati i suoi notevoli interessi per l'astronomia e la sua preparazione in questo campo, gli fu anche richiesto di costruire un "planisfero o astrolabio" che terminò il 22 ott. 1603, e in cui, come ancora sostiene l'Odescalchi "vennero da loro esattamente descritti tutti i corpi celesti colle loro dipendenze secondo i più moderni non men che antichi sistemi di filosofia".
Difficile seguire il D. negli anni successivi alla fondazione dell'Accademia. Probabilmente anch'egli, come lo Stelluti e lo Heck, fu costretto ad allontanarsi da Roma in seguito alle persecuzioni del duca di Acquasparta, padre del Cesi, contro i quattro giovani sospetti di pratiche magiche e di comportamenti immorali; il D. ebbe forse molestie più miti e fu anche incaricato dal duca di rintracciare il figlio ribelle.
Da una lettera (G. Gabrieli, Il carteggio linceo della vecchia Accademia di F. Cesi (1603-1630), I, 1603-1609, in Atti d. R. Accademia naz. dei Lincei, cl. di sc. mor., s. 6, VII [1938], p. 59) del Cesi allo Stelluti e al D., che è sostanzialmente il verbale di una adunanza accademica fra membri lontani, si apprende che il D. nell'aprile del 1605 era ancora a Temi dove "si esercita Lyncealmente quanto può", anche se l'ozio, la casa paterna e la mancanza di rapporti con uornini dotti gli fanno desiderare di "uscir dal nido". E infatti da Terni il D. non dovette tardare ad allontanarsi se firmò, insieme con il Cesi e lo Stelluti, una lettera scritta da Roma il 15 maggio 1605 e se, come ancora si desume da una lettera del Cesi allo Heck, datata 13 ag. 1605, "andava di continuo a spasso in carrozza per Roma" con il principe dell'Accademia "facendo i consigli dove ci pare senz'alcuna obiettione". L'anno successivo doveva essere di nuovo a Terni, come dimostra una sua lettera, probabilmente autografa, del 15 ag. 1606, indirizzata a Bernardino Bertoldi, familiare di Federico Cesi (Roma, Arch. d. Accad. naz. d. Lincei, Archivio Linceo, ms. 2, cc. 81r-82v). Essa accompagnava l'indice di un'opera dello Heek contro i protestanti. Probabilmente anche lontano dalla sede romana il D. continuava a svolgere le sue funzioni di segretario dell'Accademia.
Non abbiamo altre notizie sui suoi movimenti fra Temi e Roma. 16 certo soltanto che partì alla volta di Napoli, non sappiamo precisamente quando, richiamato forse dalle lezioni di G. B. Della Porta.
Il D. mori a Napoli nel 1608 e vi fu sepolto nella chiesa delle monache della Carità. Delle sue opere che figuravano fra i perduti manoscritti della Biblioteca Albani cì sono rimastì solo due titoli, De arcanis naturalibus e Novae saecundorum motuum tabulae ab Eclipsato Lyncaeo delineatae.
Fonti e Bibl.: F. Angeloni, Historia di Terni, Roma 1646, p. 188; B. Odescalchi, Memorie istor. crit. d. Accad. de' Lincei, Roma 1806, pp. 12, 15 s., 18 s., 43, 55, 79 s., 86 s.; D. Carutti, Di Giovanni Eckio e della institutione dell'Accad. dei Lincei, con alcune note inedite intorno a Galileo, in Arti della R. Accademia dei Lincei, cl. di sc. mor., stor. e filol., s. 2, VIII (1876-77), p. 45; D. Berti, Antecedenti al Processo galileiano e alla condanna della dottrina copornicana, ibid., s. 3, X (1882-83), p. 71; D. Carutti, Breve storia d. Accademia dei Lincei, Roma 1883, pp. 3, 8 s., 13 s., 24, 189 s.; E. Ferrero, recens. a D. Carutti, Breve storia d. Accad. dei Lincei, in Arch. stor. ital., s. 4. XV (1885), pp. 394 s.; G. Gabrieli, Il carteggio scientif. ed accademico fra i primi Lincei (1603-1630), in Mem. d. R. Accademia naz. dei Lincei, cl. di sc. mor., stor. e filol., s. 6, I (1925), p. 173; Id., Verbali delle adunanze e cronaca della Prima Accademia Lincea (1603-1630), ibid., 111 (1927), pp. 472, 475; M. Maylender, Storia delle Accademie d'Italia, Bologna 1929, III, pp. 435 s., 438.- 441; G. Gabrieli, Bibliogr. lincea, IV, Scritti di Giovanni Faber Linceo, in Rendiconti della R. Accademia naz. dei Lincei, s. 6, IX (1933), p. 333; A. Belioni, Il Seicento, in Storia letter. d'Italia. Milano e. d., p. 450; A. De Ferrari, Cesi Federico, in Diz. biogr. d. Italiani, XXIV, Roma 1980, p. 256.