GERMONIO, Anastasio
Nacque nel marzo 1551 a Sale delle Langhe, da Giambattista (notaio in Torino) e da Caterina, dell'antica famiglia dei marchesi di Ceva.
Tra i suoi fratelli si ricordano Rodomonte, medico di corte, docente universitario e autore di un Carmen de Academia Taurinensi (Torino 1573); Antonio, baccelliere dell'Ordine di S. Domenico, teologo e matematico del duca Vittorio Amedeo I; Vincenzo, alfiere d'ordinanza, deceduto nella guerra del Delfinato.
Segnalatosi in gioventù per il gusto delle lingue antiche, di cui più tardi illustrerà la superiorità sui moderni dialetti volgari nelle Pomeridianae sessiones (Torino 1580) ammirate da G. Tiraboschi, il G. studiò giurisprudenza a Pavia e a Torino con G. Manuzio e G. Panciroli, il quale ne stese l'elogio nel suo De claris legum interpretibus. Proclamato nel 1579 dottore in utroque iure, l'anno successivo fu chiamato dal duca di Savoia Emanuele Filiberto a occupare la prima cattedra di diritto canonico dell'Università di Torino. Fu degli stessi anni la consacrazione sacerdotale, seguita nel 1584 dalla nomina ad arcidiacono della diocesi metropolitana torinese. Successivamente il G. lasciò l'università e la brillante attività didattica (M. Chiaudano lo ricorda tra i docenti che avevano dato lustro all'ateneo torinese e contribuito al disegno di rinascita promosso dal duca) per accompagnare a Roma l'arcivescovo di Torino Girolamo Della Rovere, nominato cardinale nel novembre del 1586. Conosciuto e apprezzato alla corte papale - che in un breve lasso di tempo vide la successione di cinque pontefici -, da Clemente VIII il G. fu proclamato referendario di entrambe le Segnature (di grazia e di giustizia) e incaricato di redigere e commentare i Decretalia di Gregorio IX: nascevano così i Paratitla super quinque libros Decretalium (Torino 1586), recanti in appendice le Animadversiones in iure tam pontificio quam caesareo, nelle quali egli intendeva esaltare il dirittocanonico, oggetto anche del De sacrorum immunitatibus (Roma 1591) e del De indultis apostolicis (ibid. 1590-91). Per l'impegno profuso nella compilazione dei Decretalia, nel 1595 fu nominato vicario della basilica di S. Maria Maggiore.
Frattanto, nel 1594 il duca di Urbino Francesco Maria II Della Rovere lo sceglieva come ambasciatore presso la corte romana: l'incarico, a memoria del quale rimane un ricco epistolario, segnava l'avvio di una brillante e duratura carriera diplomatica. Delle doti di mediatore del G. si servì qualche anno dopo anche Paolo V, nel corso della contesa con la Repubblica di Venezia circa le immunità ecclesiastiche: su istanza dello stesso pontefice, il G. stese l'Assertio libertatis pro Ecclesia Romana contra Venetos (Roma 1606-07); all'orgogliosa apologia dei diritti romani si accompagna però, riservatamente, l'invito a risolvere la crisi per via negoziale.
Nel 1607 il duca Carlo Emanuele I lo richiamava ai suoi servizi e - con ratifica di Paolo V - lo nominava arcivescovo della diocesi di Tarentasia, in Savoia, nel quadro di un disegno di romanizzazione delle diocesi d'Oltralpe che prevedeva l'invio di illustri prelati piemontesi (così A. Giustiniani a Ginevra e C. Bobba nella Moriana) che contribuissero a creare una mentalità tridentina di contenimento dello spirito gallicano. Assolto l'impegno di seguire presso la S. Sede le pendenze del trattato di Lione per conto dello stesso Carlo Emanuele, il G. entrò nella città arcivescovile di Moûtiers il 7 ott. 1608 e rivelava subito una forte sollecitudine pastorale nei confronti di una diocesi trascurata dai predecessori (si vedano i rapporti pessimistici del nunzio G.C. Riccardi e di monsignor T. Pobel) e che egli prendeva immediatamente a visitare con zelo (gli archivi conservano i testi delle visite pastorali a Beaufort e Bozel), fino alla convocazione di un sinodo diocesano (1609) che promuoveva la promulgazione di statuti sinodali ancora raccomandati come esemplari nel De synodo diocesana di Benedetto XIV (si tratta degli Acta seu decreta Tarentasiae Ecclesiae [Roma 1620, poi Lione 1696] - postumi - per la cura di monsignor F.-A. Milliet-de-Challes, che vi comprende anche i decreti dei due arcivescovi successori).
Le costituzioni sinodali del G., che miravano ad abrogare la legislazione precedente non conforme ai decreti conciliari, imponevano alla diocesi l'osservanza del tridentino non solo in campo dogmatico ma anche disciplinare e giurisdizionale: in essi, ai principî del diritto romano e del diritto canonico, si affiancavano i principî della giurisprudenza ecclesiastica dell'amico A. Favre, che nel 1595 gli aveva dedicato l'XI libro delle sue Coniecturae iuris civilis (lo stesso giurista, di lì a qualche anno, nel 1612, presiedendo il Senato di Savoia, si troverà a dar torto al G. in una causa che lo vedrà contrapposto all'istituzione caritativa dell'"Aumône de mai"). L'azione pastorale dell'arcivescovo, efficace e duratura, malgrado il breve tempo trascorso nella diocesi, univa volontà di apostolato e senso romano dell'autorità: particolare attenzione era rivolta alla promozione del restauro dei luoghi di culto e del palazzo arcivescovile, a misure pratiche d'ordine amministrativo e materiale che adeguassero la vita parrocchiale ai principî tridentini, alla cura della predicazione e della catechesi infantile, alla creazione di una confraternita della dottrina cristiana.
Nel 1609, nel corso di una visita pastorale, il G. conobbe Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, ben disposto verso l'azione riformatrice intrapresa da Roma. L'incontro seguì precedenti contatti epistolari, risalenti al 1606, quando da Roma il G. aveva consultato il vescovo ginevrino nell'ambito della contesa de auxiliis, che aveva contrapposto teologi domenicani e gesuiti. La risposta del Sales - perduta ma testimoniata nei contenuti dal terzo capitolo del suo Trattato dell'amore di Dio -, mostrata a Paolo V e trasmessa alla congregazione incaricata di dirimere la disputa, ebbe un ruolo rilevante nell'appianamento della crisi. Il felice esito della consultazione muoveva il G. a scrivere ancora al Sales nel 1612, nel quadro della querelle relativa alla superiorità del potere papale su quello dei re.
Proprio all'illustre ginevrino il G. affidava la sua diocesi quando nel 1614 dovette cedere alle pressioni ducali - sostenute anche dal papa - e accogliere l'invito di Carlo Emanuele a rappresentarlo presso la corte spagnola, nel tentativo di appianare i contrasti suscitati dalla conquista sabauda del Monferrato. Partito per Madrid, da dove mantenne vivo il legame con i suoi fedeli attraverso i tre libri delle preziose Epistolae ad clerum et populum Tarentasiae (Roma 1620), il G. fu però presto costretto a lasciare il territorio spagnolo per il precipitare della crisi del Monferrato, con la dichiarazione di guerra di Filippo III: richiamato a Torino, in una lettera a Carlo Emanuele del 16 ag. 1614 l'arcivescovo tentava di dissuadere il duca dal conflitto. Nel 1615 era a Nizza e poi nella capitale sabauda, dove rimase come consigliere segreto fino alla sospensione delle ostilità nel giugno successivo. Tornato quindi alla sua diocesi, la lasciava definitivamente nel 1618, quando era nuovamente inviato a Madrid: qui tre anni dopo assistette al decesso del re, di cui spesso nelle lettere loda la pietà e il discernimento religioso. Scomparso nel 1623 anche Gregorio XV, il G. festeggiò l'elezione di Urbano VIII con una lettera di felicitazioni e il dono di tutte le sue opere raccolte in due tomi (Roma 1623); al pontefice dedicava anche, nel 1627, l'ultimo dei suoi scritti, il Tractatus de legatis principum et populorum (pubblicato a Roma), nel quale rimeditava la propria esperienza di ambasciatore.
Il G. si spense a Madrid il 4 ag. 1627 e fu sepolto nel convento di S. Geronimo all'Escorial.
Dei suoi scritti sono editi modernamente, entrambi per cura di C.F. Comino, i Commentariorum libri, in Monumenta historiae patriae, XI, Torino 1863, pp. 688-1142, e le Lettere, in Miscellanea di storia italiana, X (Torino 1870), pp. 697-839. I Commentarii, in particolare, ricapitolano in chiave autobiografica gli avvenimenti della sua vita e il significato delle sue opere, confermando la vena di un uomo che, impegnato nell'insegnamento prima, nell'amministrazione ecclesiastica e nella rappresentanza diplomatica poi, non cessò mai di scrivere e di applicarsi all'attività intellettuale.
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Congregazione del Concilio, Relationes ad limina, Tarentaise 1627; Torino, Biblioteca nazionale, A. Manno, Patriziato subalpino (dattiloscritto), ad nomen; G. Panciroli, De claris legum interpretibus, Venetiis 1637, pp. 488-491; A. Favre, Codex Fabrianus definitionum forensium et rerum in Sacro Sabaudiae Senatu tractatarum, Genevae 1659, pp. 41 s., 928; Francesco di Sales, Oeuvres, a cura di A. Ravier, Paris 1969, pp. LI-LVIII; O. Derossi, Scrittori piemontesi savoiardi nizzardi registrati nei cataloghi del vescovo Francesco Agostino Della Chiesa e del monaco Andrea Rossotto, Torino 1790, ad nomen; G. Bonnefoy, Vie d'A. G., Lyon 1835; G. Claretta, Il principe Emanuele Filiberto di Savoia alla corte di Spagna. Studi storici sul regno di Carlo Emanuele I, Torino 1872, passim; G. Pérouse, Les paroisses rurales d'un diocèse de Savoie au XVIIe siècle. L'archevêché de Tarentaise, in Revue d'histoire de l'Église de France, IV (1913), pp. 132-140; E. Stampini, Monregalensia et Taurinensia, in Studi pubblicati dalla R. Università di Torino… per Emanuele Filiberto, Torino 1928, pp. 314-325, 331-352; M. Chiaudano, I lettori dell'Università di Torino ai tempi di Carlo Emanuele I (1580-1630), in Carlo Emanuele I. Miscellanea, II, Torino 1930, pp. 155 s.; A. Erba, La Chiesa sabauda tra Cinque e Seicento. Ortodossia tridentina, gallicanesimo savoiardo e assolutismo ducale (1580-1630), Roma 1979, passim; M. Hudry, Monseigneur A. G. (1551-1627). Piémontais, archevêque de Tarentaise (1607-1627), in Échanges religieux entre la France et l'Italie du Moyen-Âge à l'époque moderne, a cura di Maccarrone - A. Vauchez, Genève 1987, pp. 235 s.; A. Eubel - P. Gauchat, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, IV, Monasterii 1935, p. 326; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XX, coll. 989-993.