GHEZZI, Anastasio (Anastasio da Ravenna)
Figlio di Ubaldo, nacque a Ravenna, probabilmente nel primo quarto del sec. XIV, da famiglia di rilevante rango sociale. Indicati come "Ghezi", "Gezzi", "Gecii", "De Gueciis" - tutte varianti grafiche dello stesso cognome - i Ghezzi, che a Ravenna sono definiti "nobiles", vengono spesso ricordati nelle cronache coeve sia ravennati, sia veneziane, e sempre con funzioni di prestigio.
Le prime notizie che riguardano il G. si trovano, in data 17 luglio, 31 ag. 1358 e 27 marzo 1359, in tre atti notarili veneziani, due testamenti e un documento della Cancelleria inferiore, in cui appare come testimone. In due di questi documenti il suo nome è preceduto dal titolo di "magister" e in tutti e tre è accompagnato dalla qualifica di "rector scolarum S. Geminiani". Il titolo di "magister", anteposto al nome senza ulteriori precisazioni, è caratteristico degli insegnanti di grammatica; mentre la qualifica di "rector scolarum" indica il responsabile degli studenti. La precisazione "S. Geminiani", infine, rimanda a una delle scuole vescovili, che in Venezia sono perdurate fino a tutto il XV secolo, situata in piazza S. Marco nelle vicinanze della basilica.
Durante la permanenza in Venezia entrò in contatto con l'ambiente colto della città e strinse rapporti, in alcuni casi di profonda amicizia, con letterati e umanisti, come Francesco Petrarca, Antonio da Legnago, Benintendi de' Ravagnani, Lombardo della Seta, Paolo de' Bernardo, Rinaldo da Villafranca. Con molti di loro ebbe una corrispondenza letteraria, come testimonia Ottavio Alecchi nelle sue Memoriestoriche dei letterati veronesi. In quest'opera (vol. IV, ms. Marc. It., cl. X, 102 [=7180] della Bibl. naz. Marciana di Venezia) l'Alecchi afferma di aver letto, in un manoscritto conservato nella biblioteca di Apostolo Zeno, due invettive di Rainaldo da Pagolibero (Rinaldo da Villafranca) e due lettere di Antonio da Legnago, tutte indirizzate ad Anastasio da Ravenna.
Nel 1362 fu latore di una lettera di presentazione del Petrarca - una delle poche in volgare rimasteci del poeta (Ricci) - indirizzata al mercante fiorentino Leonardo Beccanugi, che si trovava ad Avignone. Nella lettera Petrarca chiama il G. "valorosa persona et mio caro amico" e invita il destinatario ad aiutarlo "di consiglio e di favore" perché lo ha pregato che per lui "cerchi alcuni libri". La lettera porta la data "Venezia 4 gennaio 1362" (di questa lettera il Doni riporta una redazione diversa recante la data "Padova 4 gennaio 1366").
Nell'estate del 1362 portò da Venezia al Petrarca, che si trovava a Padova, una lettera del 26 agosto scritta dal notaio Paolo De Bernardo. In essa, rispondendo ai rimproveri del poeta per il suo lungo silenzio, il De Bernardo accenna al G. chiamandolo "Anastasius noster", locuzione che esprime l'amicizia profonda da cui i tre erano legati. A essa il Petrarca rispose con una lettera datata "Padova 28 agosto 1362", ora contenuta nel libro X delle Senili.
Il G. in seguito svolse diversi incarichi diplomatici per conto del governo veneziano: fu inviato in Puglia nel 1365; forse si recò ad Avignone nel 1366. Nel 1367 fu nominato notaio della Curia maggiore, carica già ricoperta negli anni precedenti da altri membri della famiglia: le fonti attestano che un Benança e un Nicola "de Gheciis" furono notai e scribi della Curia ducale rispettivamente nel 1310 e nel 1324. Il 6 marzo 1370 era ancora a Venezia, come attesta un atto pubblico da lui rogato in qualità di notaio imperiale e scrivano ducale. Nello stesso anno gli fu affidata una carica di grande importanza e di estrema delicatezza diplomatica: fu inviato come cancelliere a Sizia, capoluogo di una della quattro province dell'isola di Candia.
Rientrato in Italia, nell'inverno del 1376 si trovava sicuramente a Padova da dove inviò a Coluccio Salutati una lettera in versi destinata ad avere una grande notorietà. In essa infatti spiegava le ragioni per cui il Petrarca non aveva pubblicato il suo poema Africa mentre era in vita, e chiariva i motivi per cui gli amici padovani volevano rispettare le volontà del poeta.
Per quanto la sua vita privata e la sua attività professionale e di studio si siano svolte essenzialmente tra Venezia, Padova e Ravenna, è certo che il G. ebbe anche interessi a Bologna, come dimostra un atto rogato in data 17 ott. 1379 dal notaio padovano Marsilio Roverini. In esso il G. nomina suo procuratore in Bologna Pietro da Tossignano, abitante in quella città, revocando il mandato in precedenza affidato al "magister" Iacopo, un pavese pure residente a Bologna. Tra il 22 luglio 1379 e il 4 marzo 1383 il G. risiedette a Padova prima nella contrada di Braido, poi in quella di Falaroto, come è testimoniato da una cospicua serie di documenti. Poiché in essi egli viene costantemente indicato come "doctor" o "professor gramatice", non è azzardato avanzare l'ipotesi che egli insegnasse grammatica presso lo Studio padovano. La sua rilevanza sociale era allora assai grande, come è provato dalla circostanza che il 4 marzo 1383 la sua abitazione fu scelta come aula di tribunale per un processo in cui egli appare come testimone.
A questo periodo di tempo sono con ogni probabilità da attribuire due lettere (Biadego), che il G. inviò a Verona ad Antonio da Legnago, consigliere di Bartolomeo (II) Della Scala, figlio naturale e successore di Cansignorio, per chiedergli di trovargli un ufficio o un incarico in quella città, che fosse a lui confacente poiché, scriveva, "in spiritum mihi venit locum mutare et pedes e grammatice lectura convellere". Nella risposta, Antonio da Legnago, pur facendo un bell'elogio delle doti umane, della preparazione culturale e della dottrina dell'amico, non gli lasciava grandi speranze: si era dato un gran da fare ma per il momento non si prospettava a Verona, per il G., alcuna buona possibilità. Prometteva, comunque, il suo costante interessamento: "Sed vigilabo, et supra vires studebo, ut si quid in futurum te dignum emergat, pro te e vestigio intercipiam". Non arrivò, tuttavia, ad assolvere al suo impegno.
Il G. morì infatti a Padova prima del 21 genn. 1384.
Lo si apprende dall'atto, rogato in Padova il 21 genn. 1384, dal notaio Ottone Marostica, con il quale la vedova del G., Beatrice, "quondam ser Avanci et uxoris olim magistri Anastaxi gramatice professoris", venne nominata tutrice della figlia Gezia. Il matrimonio doveva essere stato alquanto tardivo e la vedova era probabilmente in età ancora abbastanza giovane, sia perché ella risulta sposata in seconde nozze quattro anni dopo, il 25 apr. 1388 (con un nobiluomo ferrarese, Giovanni Crivelli, allora residente in Padova), sia per la giovane età della figlia, definita "pupilla".
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